le PIETRE parlanti


(the living stones, le pierres vivantes, las  piedras vivas, o pedras vivas,  Живые камни, リビングストーンズ, 在活石, من الحجارة الحية)



"Tutto è pietra, e della più solida: pavimenti, scalinate, focolari, sedili: tutto."
(Mark Twain)


"Quel giorno non avrei mai creduto di arrivare fino al punto di sentirmi attratto perfino dalle pietre delle vie di Genova, e di ripensare a quella città con affetto, come al luogo in cui avevo passato molte ore di quiete e di felicità." 
(Paul Valery)


Alzate gli occhi mentre camminate nei vicoli: ci sono pietre parlanti!

Bassorilievi, sovrapporte, edicole votive, lapidi di marmo o di ardesia, incastonati nei palazzi e spesso ingrigiti o nascosti dal tempo e dall'incuria.
Raccontano di un tempo passato, storie di devozione verso la Madonna o i Santi, o di conquiste fatte dai genovesi nei mari del Mediterraneo, o, ancora, strani simboli da decifrare frutto di superstizioni che dal Medioevo son arrivate fino a noi.
Spesso pero' per la loro collocazione sfuggono all'occhio distratto del passante.
In questa pagina troverete molti esempi.



INDICE

1. Le pietre a bande bianche e nere
2. Le pietre di Vico Pinelli
3. Le pietre trofei di guerra
3.1 Le teste leonine di Palazzo San Giorgio
3.2 Il leone di San Marco al Molo
3.3 Il leone di Palazzo Giustiniani
4. La pietra patriottica
5. Le pietre della Seconda Guerra Mondiale
5.1 Le pietre "alleate"
5.2 Le pietre salvifiche 
6. Le pietre per la protezione degli edifici di valore
7. Le pietre di San Giorgio
8. Le pietre dei Re Magi
9. La pietra del cittadino Domenico Serra
10. Le pietre delle "mampæ"
11. La pietra Campana
12. La pietra della catena pisana
13. La pietra del marchese e del falegname
14. La pietra delle carrozze
15. Le pietre turche di Lepanto
16. Le pietre del Castelletto
17. Le pietre austriache nella Valle del Veilino
18. Le pietre del Re Sole
19. Le pietre del Generale La Marmora
20. Le pietre del bombardamento inglese del 9 febbraio 1941
21. La pietra ferita di guerra
22. La pietra simbolo dei liguri
23. La pietra del Melograno
24. La pietra del Gas
25. Le pietre dei "Guardiani della Galleria"
26. Le pietre delle colonne infami
26.1 La pietra della colonna infame di Piazza Vacchero
26.2 La pietra della colonna infame di San Donato
26.3 La pietra della colonna infame di Piazza Sarzano
27. La pietra dell'Immunità
28. Le pietre a guisa di braccia

29. Le pietre a guisa di volti
30. Le pietre che furono volti
31. La pietra del mortaio
32. La pietra delle giuggiole ed il quartiere più dolce della Superba
33. La pietra dei dragaggi
34. Le pietre antiche della Via Aurea
35. Le pietre antiche di Via della Consolazione
36. Le pietre della carità
37. La pietra dell'antica numerazione civica
38. Le pietre scheggiate dai proiettili
39. La pietra che fu orologio ed il compositore
40. Le pietre "igieniche"
41. La "pietra" che ricorda la nascita di quella che non fu mai Via Imperiale
42. La pietra di Mazzini
43. La pietra che permette di chiudere il vicolo
44. Le pietre che vietano il passaggio dei veicoli condotti a mano  

45. La pietra che vieta la circolazione dei cani in Galleria Mazzini
46. Le pietre che battono i portoni 
47. La pietra del pozzo di San Siro
48. Le pietre scalfite dai carri

49. La pietra dell'albero di vite 
50. Le pietre d'inciampo 
51. La pietra che ricorda il taglio della facciata di San Siro
52. La pietra con le parole di Leonardo da Vinci
53. La pietra della stazione meteo
54. La pietra di Piazza San Sepolcro
55. La pietra del giuoco del pallone
56. La pietra dei "faeri da posta"
57. La pietra del "quartiere dei maiali"
58. La pietra della colonna romana in Piazza Dante
59. La pietra del Duca di Galliera
60. La pietra della Duchessa di Galliera 
61. Le pietre a mosaico di Piazza Invrea 
62. Le pietre parlanti sui portali marmorei
62.1 La pietra del bene compiuto in Vico Lepre n. 5
62.2 La pietra del risparmio in Via Luccoli n. 26
62.3 La pietra di Virgilio in Via del Campo n. 1
62.4 La pietra di Cicerone in Via al Ponte Calvi n. 6
62.5 La pietra dei Serra in Via Garibaldi n. 12
62.6 La pietra di Palazzo Spinola di Pellicceria
63. Le pietre dei trionfi sui portali marmorei
63.1 Il trionfo degli Spinola
63.2 Il trionfo dei Doria 
64. Le pietre risorgimentali
64.1 La pietra dell'Albergo dei Mille 
64.2 La pietra dei Mille alla Foce 
64.3 La pietra della dimora di Mameli
64.4 La pietra della prima stesura dell'Inno di Mameli
64.5 La pietra che ricorda la "prima" dell'inno di Garibaldi
65. La pietra della Farmacia di Piazza Senarega
66. La pietra del drago di Piazza Cinque Lampadi 
67. La pietra di autorizzazione incisa sulla ghisa 
68. La pietra di Piazza della Stampa 
69. La pietra del cuore sotto il campanile di San Giorgio
70. Le pietre dei grifoni della passeggiata dell'Acquasola 
71. La pietra ovale di Via Banderali
72. Le pietre di Cristoforo Colombo nel monumento in Piazza Acquaverde
73. Le pietre di Cristoforo Colombo in Palazzo Faraggiana in Piazza Acquaverde
74. Le pietre di Andrea Doria e Cristoforo Colombo in Via Gramsci
75. Le Pietre della Pia Casa del Lavoro
76. Le pietre della Befana dei Cantuné
77. La pietra del Lotto 
78. La pietra della tragedia di San Benigno
79. La pietra che fu arco del teatro e del cinema a Parco Serra
80.  La pietra del "Confeugo"



Il deposito lapideo del Museo di Sant'Agostino, dove si trovano moltissime "pietre parlanti" provenienti da palazzi demoliti nel centro storico
(foto di Antonio Figari)



1. Le pietre a bande bianche e nere

Per iniziare a parlare di pietre parlanti nei vicoli non possiamo che citare la tipica bicromia delle bande bianche e nere che ancora oggi caratterizza le facciate di alcuni palazzi e chiese del centro storico genovese (la Cattedrale di San Lorenzo e la chiesa, già cappella gentilizia dei Doria, di San Matteo per fare due esempi a tutti noi noti).
Secondo la tradizione questa particolare decorazione era un privilegio concesso dalla Repubblica solo a quattro nobili famiglie: Doria, Spinola, Grimaldi e  Fieschi.
Il bianco è marmo di Carrara, mentre il nero è la pietra nera di Promontorio, estratta dalla "Cava di Promontorio" che si trovava presso la Lanterna. Era detta "Promontorio" la zona montuosa, il promontorio appunto, che dalla alture a ponente della zona di San Teodoro scendeva fino alla Lanterna. Con l'apertura a fine anni 20 del novecento di Via Di Francia questa altura fu "tagliata" e spianata e oggi ne rimane solo la zona terminale (ove si erge la Lanterna) e la parte a monte che ancora oggi porta il nome di "Promontorio".
Se osservate da vicino con attenzione le bande bianche e nere potrete notare che esse non hanno la stessa spessore: le fasce bianche sono più sottili del dieci per cento circa e questo perché le nere, assorbendo più luce, sembrano più piccole e se fossero state realizzate della stessa misura delle bianche non sarebbero apparse proporzionate all'occhio dell'osservatore (insomma sono diverse per sembrare uguali). Il differente spessore è quindi atto a creare un effetto ottico che rende il tutto più armonioso. 

Palazzo Lamba Doria e Palazzo Lazzaro Doria (poi di Andrea Doria)
in Piazza San Matteo con le caratteristiche bande bianche e nere 
(foto di Antonio Figari)


2. Le pietre di Vico Pinelli

Vico Pinelli, una piccola strada che da Sottoripa si inerpica nei vicoli, conserva nelle sue pietre il segno delle ruote dei carri che per secoli hanno percorso questo caruggio per portare le merci, che venivano caricate in Piazza Caricamento, verso il centro della città.





Le pietre di Vico Pinelli segnate dal passaggio dei carri nei secoli
(foto di Antonio Figari)

Anche in questa immmagine si notano pietre segnate dal passaggio dei carri
(foto di Antonio Figari)



3. Le pietre trofei di guerra

Nei secoli Genova ha dominato i mari del Mediterraneo e sui muri dei vicoli sono incastonati alcuni trofei di guerra,  portati in città per ricordare queste incredibili gesta e tramandare il loro ricordo ai posteri.


3.1 Le teste leonine di Palazzo San Giorgio

Sulla porta principale del vecchio edificio di Palazzo San Giorgio, quella per intenderci che si affaccia sui portici di Sottoripa, se alzate lo sguardo vedrete una piccola testa leonina in marmo che sembra beffare il passante con il suo ghigno. E non è la sola: altre due teste son inserite su questo lato del palazzo. Esse sono trofei di guerra provenienti dal palazzo veneziano detto del Pantocratore a Costantinopoli, demolito dai Genovesi nel 1260.
Nella prima immagine qui sotto è scolpita la data "1260" alla destra del leone.
Sopra la testa leonina collocata sopra il portale di ingresso di Palazzo San Giorgio (seconda immagine qui sotto) sono scolpite le seguenti parole: "L'anno 1260, Guglielmo Boccanegra, essendo Capitano di questa città, ordinò che io fossi fatto, e Frate Oliverio, uomo divino per acutezza di mente, mi adattò poco dopo, con sollecitudine, come era stato comandato, all'uso dell'autorità presente".



La testa leonina all'angolo destro della facciata di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

La testa leonina sopra la porta d'ingresso di Palazzo San Giorgio
(foto di antonio Figari)

La testa leonina all'angolo sinistro della facciata di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)


3.2 Il leone di San Marco al Molo

In Via del Molo, sul lato sinistro della chiesa di San Marco al Molo, è incastonata una lapide marmorea raffigurante il leone di San Marco, trofeo di guerra proveniente da Pola, portato in città dai Genovesi che nel 1380 saccheggiarono detta città, testimone silenzioso della vittoria dei Genovesi sui veneziani nella battaglia di Chioggia.


Il leone di San Marco presso la Chiesa di San Marco al Molo
(foto di Antonio Figari)


3.3 Il leone di Palazzo Giustiniani

Un secondo trofeo testimonia la vittoria di Chioggia del 1380: è il leone che si trova sulla facciata del Palazzo di Marcantonio Giustiniani, nell'omonima piazza nel centro storico di Genova, trafugato
dalle mura di Trieste.
La lapide sottostante racconta il tutto:
 
+ ISTE LAPIS IN QUO EST FIGURA SANCTI S.MAR
CI DELATUS FUIT DE TERGESTO CAP
TO A NOSTRIS MCCCLXXXII 

(questa pietra nella quale vi è la figura di San Marco fu portata via da Trieste presa da noi 1382)

Questo leone rischiò di lasciare Genova una prima volta nel 1897 quando la famiglia Giustiniani lo offrì alla città di Trieste ma le autorità austriache impedirono il tutto. Dopo la Prima Guerra Mondiale sarà poi D'Annunzio con una lettera al sindaco di Genova a provare a far tornare il leone a Trieste. Il sindaco consegnerà al Vate un calco del  leone ponendo fine alla "querelle".
 
Il leone di San Marco incastonato in facciata di Palazzo Giustiniani nella omonima piazza
(foto di Antonio Figari)



4. La pietra patriottica

Particolare
(foto di Antonio Figari)
Lasciata Campetto, imboccate via Scurreria e alzate lo sguardo sulla sinistra: troverete l'Italia!
Eh sì, pochi conoscono questa pietra patriottica che si trova in fondo a Via Scurreria: una donna, l'Italia, turrita con la bandiera nella mano destra e la sinistra alzata che indica la scritta che recita "Italia libera Iddio lo vuole e lo sarà".
Il motto "Italia libera Dio lo vuole" è nato nel Risorgimento italiano e lo troviamo sulle monete e sulla bandiera del Governo Provvisorio della Lombardia nato nel 1848 in seguito ai moti rivoluzionari contro il dominio asburgico.
Questo motto riprende le tesi di Vincenzo Gioberti (1804-1852) che a differenza di Mazzini pensava ad un'Italia unita in una confederazione di stati con a capo il Papato. 
Questo bassorilievo fu voluto dal signor Moscino, fervente patriota, che qui aveva la sua calzoleria, una bottega che chiuderà i battenti nel 1903.


L'Italia Turrita in cornice ornata da due cornucopie
(foto di Antonio Figari)



5. Le pietre della Seconda Guerra Mondiale

5.1 Le pietre "alleate"

L'ultimo conflitto mondiale ha lasciato ferite profonde nel centro storico: splendidi palazzi e Chiese non hanno resistito ai massicci bombardamenti.
Pochi sanno però che alcuni muri hanno ancora impresso il passaggio dei soldati alleati che arrivarono a liberare l'Italia dalle truppe naziste. L'abbandono e il non rifacimento delle facciate del centro storico ha lasciato ancora visibili alcune scritte impresse sui muri con la tecnica dello stencil dalla Polizia Militare alleata nel 1945 all'ingresso dei vicoli che costituiscono il perimetro del centro storico affinché i soldati evitassero di avventurarsi per questi carruggi e le loro insidie: prostituzione, risse e furti. 
La frase recita: 

"THIS STREET OFF LIMITS TO ALL ALLIED TROOPS"


Il monito alle truppe alleate all'imbocco di vico dei Caprettari angolo piazza Cavour
(foto di Antonio Figari)

Il monito all'imbocco di vico della Stampa angolo piazza Cavour
(foto di Antonio Figari)

Il monito all'imbocco di vico Fornetti angolo piazza Cavour
(foto di Antonio Figari

Il monito all'imbocco di Vico Morchi angolo portici di Sottoripa, imboccando il vicolo da Sottoripa sulla sinistra
(foto di Antonio Figari)
(ringrazio la mia lettrice Mary che ha scovato questa scritta)


Il monito all'imbocco di Vico Morchi angolo portici di Sottoripa, imboccando il vicolo da Sottoripa sulla destra
(foto di Antonio Figari)

Il monito all'imbocco di vico ai Quattro Canti di San Francesco angolo piazza della Meridiana
(foto di Antonio Figari)

Il monito all'imbocco di vico superiore del Roso angolo via Balbi
(foto di Antonio Figari)


Il monito in Vico Macelli Soziglia subito prima di giungere in Piazza Soziglia
(foto di Antonio Figari)
 (ringrazio il mio amico Gian Maria che ha scovato questa scritta)


Il monito all'imbocco di Via Tommaso Reggio angolo Piazza Matteotti
(foto di Antonio Figari)

Oltre alle scritte sui muri, nei vicoli che costituivano il perimetro del centro storico erano presenti altre forme di "avvertimento" scritte dai soldati alleati: nei carruggi di confine più larghi, come in Salita Pollaiuoli, vennero issati grandi striscioni con impresse le parole "OUT OF BOUNDS & OFF LIMITS AREA BEYOND THIS SIGN", mentre all'imbocco dei vicoli più stretti spesso vi era un cavalletto che, come dire, ostruiva la strada e sul quale vi era scritto "DANGER" (pericolo).

Un'immagine di Salita Pollaiuoli del 1945 con il grande manifesto issato dagli alleati
(ringrazio Giuseppe Tedde che mi ha donato questa immagine)


Un'immagine di Vico del Campo fotografato da Via Gramsci con il grande manifesto issato dagli alleati


Un'immagine di Vico del Campo fotografato da Via Gramsci con il grande manifesto issato dagli alleati


Un'immagine di Vico del Campo con il grande manifesto issato dagli alleati








5.2 Le pietre salvifiche

Avete mai visto lettere impresse sulle facciate di alcuni palazzi come una "R" o una "I"? Vi siete mai chiesti cosa vogliano dire e di che epoca siano?
Esse indicavano la posizione di rifugi antiaerei, le bocchette degli idranti, etc., e vennero pitturate sui muri dei palazzi durante la Seconda Guerra Mondiale dagli uomini dell'U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiarea).
Ecco il significato di queste lettere cerchiate:
- "R" indicava l'ubicazione di un rifugio antiaereo;
- "V" una presa d'aria dei rifugi, una dei primi luoghi da liberare dalle macerie per impedire la morte di tutti coloro che in esso avevano trovato riparo;
- "U.S." l'uscita di sicurezza dei rifugi;
-  "I"  una bocchetta per  idrante con la variante genovese "I m" per indicare che la presenza di una bocchetta dell'acquedotto marino;
- "C" una cisterna d'acqua;
- "P" un pozzo o forse una presa d'acqua non pubblica ma di pertinenza del palazzo;
- "F" simbolo che rimane misterioso (forse "feuerloscher", ovvero estintore in tedesco, oppure fossato o qualcosa riferito a farmacia o farmaci);
- la croce blu su campo bianco (un simbolo che si trova solo a Genova) probabilmente indicava la presenza di un presidio medico nel palazzo.
Purtroppo queste lettere ed il loro significato, ricordo di un passato triste ma importante testimonianza della nostra storia, rimangono ai più sconosciuti e quindi la loro traccia sui muri man mano che passano gli anni è destinata a scomparire.
Nel mio piccolo ho deciso di fare un censimento di tutte quelle che ho trovato in giro per Genova ed invito Voi, miei lettori, a segnalarmene altre.
Eccone alcuni esempi:


Ai piedi delle colonne di un palazzo in Via Maragliano 3 troviamo una "R" cerchiata con freccia e dall'altro lato la freccia
(foto di Antonio Figari)

Particolare della "R" e di una delle frecce in Via Maragliano n. 3
(foto di Antonio Figari)

Particolare della una delle frecce in Via Maragliano n. 3
(foto di Antonio Figari)
  
Un'altra "R" è disegnata in facciata del civico 2 di Via Maragliano.
In Via Frugoni troviamo un simbolo: 

"P" cerchiata alla destra del portone al civico 5 di Via Frugoni
(foto di Antonio Figari)

In corso Andrea Podestà, invece, sul muro del Palazzo ex Eridania, oggi sede della Facoltà di Scienze della Formazione, potrete notare a fianco del portone, riaffioranti nonostante uno strato di vernice le copra, due lettere, U.S., e un po' più in là verso il ponte monumentale, una "I" cerchiata.
"U.S."
(foto di Antonio Figari)

"I"
(foto di Antonio Figari)

In Via Montaldo al civico 35, sul pilastro alla destra del portone, seminascosta dalla buca delle lettere, si nota una "P" cerchiata e sulla sinistra una freccia.
(foto di Antonio Figari)


In Corso Firenze ci sono numerosi segni ancora presenti sui palazzi:
- al civico 5 alla destra del portone, deturpata dai vandali, si intravede ancora una "P" cerchiata;
(foto di Antonio Figari)

- al civico 12A, in mezzo alla facciata alla destra del portone si può notare una croce blu su campo bianco;
(foto di Antonio Figari)

- al civico 15 sulla facciata alla destra del portone ecco una "P" cerchiata;
(foto di Antonio Figari)

In Via Francesco Sivori, al civico 8, ci sono due "I" cerchiate.
(foto di Antonio Figari)
In Via Bernardo Strozzi, al civico 9, alla destra del portone, c'è una "P" cerchiata.
(foto di Antonio Figari)

In Corso Magenta al civico 27 potrete notare una "P" cerchiata, una delle meglio conservate in città.
(foto di Antonio Figari)

Via Marcello Durazzo conserva tre simboli della guerra su altrettanti palazzi:
-al civico 1, quasi sull'angolo sinistra della facciata, campeggia una "P" cerchiata;
(foto di Antonio Figari)

- al civico 3, in mezzo alla facciata alla sinistra del portone, si vede invece U.S. con una freccia verso sinistra e verso il basso;
(foto di Antonio Figari)

- al civico 7, in parte ricoperto da una recente tinteggiatura, c'è una "P" cerchiata;

(foto di Antonio Figari)

Splendida era la lettera che si trovava in Piazza Martinez al civico 10r prima che la facciata venisse ridipinta, eccola:


Una "I" con a fianco la "m" per indicare che l'acqua di questo idrante era acqua di mare in Piazza Martinez 10r
(foto di Antonio Figari)

Eccone altre:

Una "P" in Via Acquarone 24
(foto di Antonio Figari)


Una "R" in Via Andrea Doria 5, unico esemplare genovese ancora esistente di "R" inserita in una freccia
(foto di Antonio Figari)

Una "P" e una freccia in Via Volta alla sinistra dell'ingresso dell'Ospedale Galliera
(foto di Antonio Figari)

In una vecchia foto della Chiesa di San Pancrazio risalente ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, Chiesa che si trova nell'omonima piazza poco distante dai portici di Sottoripa, in mezzo alle macerie, sulla colonna alla sinistra dell'ingresso si può notare una "I" cerchiata. Oggi la facciata della chiesa è restaurata e non vi è più traccia di questo simbolo.



In un'immagine del Teatro Carlo Felice, risalente al periodo dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, si nota, sulla prima colonna a sinistra, una "I" cerchiata. 



In Via Fieschi al Civico 15 rosso una "F" cerchiata sembra riaffiorare dal muro incurante del tempo passato da quando è stata disegnata sul muro.
(foto di Antonio Figari)

Nell'immagine sottostante, raffigurante la parte terminale di Via XX settembre il 25 aprile 1945, si notano in alto a destra sulla facciata del palazzo che fa angolo con Via Fiume una "I" cerchiata e sopra una "R".




In via XX settembre ho scovato, anche grazie al mio amico Gian Maria che oramai per queste cose ha un occhio clinico, molti simboli della guerra; presto caricherò le foto di questi e di altri simboli che si trovano in giro per la città (Via Assarotti, Via Malta, Via Brigate Liguria, Stazione di Brignole, Via Caffaro, Via De Bellis, Viale Franchini a Nervi, Via Arrivabene a Sestri Ponente).
E voi, ne conoscete altri sui muri di Genova?
Vi invito a segnalarmeli e, se potete, a curare la loro conservazione.


6. Le pietre per la protezione degli edifici di valore

Nell'immagine qui di seguito, vedete quel rettangolo sul tetto della Cattedrale di San Lorenzo, sapete il suo scopo?



Ecco la spiegazione:





Questo segno, come spiega l'immagine qui sopra, era posizionato sui tetti di alcuni edifici ritenuti di particolare valore come Chiese o Musei ma purtroppo ciò non bastò a salvare molti di essi dalle bombe.


7. Le pietre di San Giorgio

Ci sono bassorilievi disseminati nei vicoli di Genova che raccontano la grande devozione della città verso San Giorgio.

Il legame della città con questo Santo ha origini molto antiche, quando in città stazionava una guarnigione dell'esercito bizantino il cui vessillo era appunto una croce rossa in campo bianco, conservata nella chiesa intitolata al Santo.
Questa bandiera fu dapprima utilizzata dai pellegrini che si dirigevano in Terra Santa e poi dai Crociati che dall'occidente si mossero per liberare Gerusalemme dagli infedeli. Si narra che San Giorgio apparve ai valorosi crociati genovesi che stavano per dare l'ultimo e decisivo assalto a Gerusalemme, vestito di bianco con una grande croce rossa, incitandoli a seguirlo contro i saraceni.
Il vessillo con San Giorgio, conservato nei secoli nell'omonima chiesa, veniva consegnato con una cerimonia solenne alla nave ammiraglia della flotta delle galee genovesi prima che le stesse partissero alla volta di nuove conquiste per portare nel mondo il nome di Genova e la sua forza e predominanza sui mari. Una volta tornate in patria il vessillo tornava in chiesa seguito da una lunga processione.
I capitani di galee che in queste battaglie si erano distinti per il loro coraggio, portando alto l'onore di Genova, potevano ornare il portone del loro palazzo con l'effigie del Santo. 
E così i bassorilievi sopra i portali di alcuni palazzi dei vicoli, che a noi oggi sembrano rappresentare solo un segno di devozione verso San Giorgio, ricordano in realtà che lì era vissuto un valoroso genovese, coraggioso capitano di galea, di cui tutti noi dobbiamo andare fieri per aver contribuito a rendere grande la Superba. 
Dove possiamo trovare bassorilievi con San Giorgio nei vicoli? Eccoli in foto: 

La "pietra" di San Giorgio in Salita San Siro
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Piazza Santi Cosma e Damiano
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Via Luccoli n. 14
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio sopra il portale della casa natale di Santa Caterina Fieschi Adorno in  Vico degli Indoratori n. 2
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Palazzo Cattaneo della Volta in Piazza Cattaneo
(foto di Antonio Figari)

La "pietra" di San Giorgio in Vico delle Posta Vecchia n. 12
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Vico Casana
(foto di Antonio Figari)


La splendida "pietra" di San Giorgio in Via Canneto il Lungo n. 29 r
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Vico delle Mele n. 6, sopra il portale di Palazzo Brancaleone Grillo
(foto di Antonio Figari)

La "pietra" di San Giorgio in Via Prè n. 68
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio in Via San Sebastiano al civico 4, nell'atrio di quello che fu Palazzo Piuma
(foto di Antonio Figari)


La "pietra" di San Giorgio sopra il portale di Palazzo Doria Danovaro in Salita San Matteo, copia dell'originale trafugato agli inizi del Novecento
(foto di Antonio Figari)

Altri cinque splendidi sovrapporte con San Giorgio sono presenti nei vicoli di Genova: uno in Vico dell'Oliva, uno in Via Canneto il Lungo al civico 67A, uno in Piazza San Matteo sul portale di Palazzo Giorgio Doria, uno, purtroppo ancora esistente solo in parte, in Vico Della Torre di San Luca, uno sul portale di Palazzo Pietro Spinola di San Luca in Piazza di Pellicceria, ed infine un ultimo sul portale di Palazzo Stefano e Felice Pallavicini in Via al Ponte Calvi al civico 3.
Vi sono poi tre bassorilievi in pietra nera di promontorio conservati al Museo di Sant'Agostino e un portale in marmo con con sovrapporta con San Giorgio e il drago a Castello d'Albertis, tutti originariamente collocati in palazzi del centro storico genovese.
E' poi presente un piccolo bassorilievo in marmo con San Giorgio ed il drago nel chiostro delle Vigne.
Tutte queste "pietre" che Vi ho mostrato mostrano la stessa scena: San Giorgio che trafigge il drago e non lontano, una giovane fanciulla, colei che Giorgio salva dalle fauci del drago. Conoscete questa storia?
Della vita di questo Santo poco sappiamo, se non che fu un soldato originario della Cappadocia che fu martirizzato durante l'impero di Diocleziano.
E' Jacopo da Varigine che nella sua "Leggenda Aurea" narra l'episodio scolpito sulle nostre "pietre": la cittadina di Selem in Libia era perseguitata da un drago che si nascondeva in uno stagno vicino alla città e che con il suo alito uccideva tutte le persone che incontrava quando si avvicinava al centro abitato.
Gli abitanti di Selem, per placare la sua furia, decisero si offrirgli in sacrificio due pecore ogni giorno. Quando però gli ovini cominciarono a scarseggiare, gli abitanti iniziarono a offrire in sacrificio al drago anche persone che venivano sorteggiate a caso ogni dì. Un giorno fu estratta a sorte la figlia del re, la principessa Silene. Fu in quel momento che arrivò a Selem il giovane cavaliere Giorgio il quale disse al Re che se gli abitanti della cittadina avessero abbracciato la Fede Cristiana e si fossero battezzati, egli avrebbe sconfitto il drago. Giorgio affronta il drago che davanti al Santo si ammansisce tanto che Giorgio chiede alla principessa di usare la sua cintola come guinzaglio e di condurre il drago in città. Gli abitanti di Selem, vedendo quanto aveva fatto Giorgio e interpretando questo gesto quale miracolo, si convertirono e Giorgio  a quel punto diede il colpo di grazia al drago. 



8. Le pietre dei Re Magi

In Via degli Orefici c'è uno splendido bassorilievo marmoreo raffigurante l’Adorazione dei Magi, opera di Elia e Giovanni Gaggini risalente al 1457: e' una delle "pietre parlanti" più conosciute del centro storico citata in tutte le guide artistiche di Genova.
Se Vi fermate ad osservarla con attenzione noterete non una singola scena ma un insieme di azioni: in primo piano, partendo da sinistra, il bue e l'asinello nella capanna,  San Giuseppe seduto, Maria che porge il Bambino ai Magi, tre donne in preghiera, l'angelo sopra di loro che annuncia la nascita di Gesù ed accanto a lui un pastore che suona la zampogna, un altro intento a controllare il suo gregge (tra questo pastore e l'angelo potrete notare la stella cometa), un terzo che pota un albero con ai suoi piedi foglie, ghiande e un cane che corre. Segue i Re Magi il loro lungo corteo: tra i tanti personaggi in quest'ultimo un uomo che fa abbeverare al fiume il proprio cavallo.
A proposito, come potete notare, il corteo dei Re Magi, come accadrà anche nei presepi settecenteschi genovesi del Maragliano e dei suoi successori, è formato da cavalli, con preziose bardature finemente scolpite,  e non da cammelli o dromedari (per approfondire la storia del presepe genovese vi rimando al paragrafo ad esso dedicato alla pagina de le ARTI MINORI a GENOVA).

L'adorazione dei Magi in Via degli Orefici
(foto di Antonio Figari)

Due pastorelli e il loro cane
(foto di Antonio Figari)

Particolare del bassorilievo raffigurante un uomo intento a potare un albero e sull'angolo destro fa capolino un cane che corre
(foto di Antonio Figari)

Particolare del bassorilievo raffigurante un cavallo che si abbevera
(foto di Antonio Figari)
 

Quella di via Orefici non è l'unica Adorazione dei Magi incastonata in un bassorilievo nei vicoli: ve ne sono infatti altre due, entrambe in pietra nera di promontorio, custodite all'interno di altrettanti palazzi.
L'una, originariamente collocata esternamente sopra un portale  di Via Canneto il Lungo, come ci documenta Alfred Noack in una sua foto, è oggi conservata nell'atrio di Palazzo Gerolamo Grimaldi (Palazzo della Meridiana).
Anche in questa Adorazione vi sono più scene oltre alla principale e si possono notare, come in quella di Via Orefici, un pastore che suona la zampogna ed uno, anzi due, intenti a tagliare alberi. Del tutto simile è anche la struttura della capanna e la posizione del bue e l'asinello di cui si vedono solo le teste (anche se, in questo caso, guardano a destra), così come le bardature dei cavalli del corteo dei Magi. Giuseppe invece in questo bassorilievo è posizionato più in alto, in secondo piano, e non dentro la capanna come nel bassorilievo di Orefici. Molto particolari gli alberi dove si nota una  singolare potatura. Ricordo di essermi fermato ad osservare  un taglio così particolare, forse ancora più evendente, negli alberi dell'Annunciazione di Leonardo da Vinci conservata agli Uffizi a Firenze: cercando informazioni a riguardo, avevo scoperto che si trattava di una particolare pratica topiaria dei giardinieri del quattrocento che tagliavano un palco sì e uno no creando questo particolare effetto che rende gli alberi quasi suddivisi a piani. Per chi "mastica" un pò di botanica, sembra di vedere delle Araucarie, alberi oggi diffusi anche in Italia (io personalmente ne ho due in giardino), che però arriveranno alle nostre latitudini solo dopo la scoperta dell'Australia essendo originarie di quelle terre lontane. 
Se confrontate la foto di Noack con quella attuale noterete come  alcune figure del bassorilievo, già allora rovinate, abbiano perso quasi del tutto la loro leggibilità


L'Adorazione dei Magi in  Via Canneto il Lungo (foto di Alfred Noack)



L'Adorazione dei Magi in Palazzo della Meridiana
(foto di Antonio Figari)



L'ultima Adorazione è invece collocata sopra la porta dell'interno 3 lungo lo scalone di Palazzo Giovanni Garibaldi in Vico Carmagnola 7. E' probabile che anche quest'ultima fosse posizionata all'esterno sopra il portale di un edificio ma, ad oggi, non ho trovato riscontro alcuno su una sua ipotetica precedente collocazione.


L'Adorazione dei Magi in Palazzo Giovanni Garibaldi


Ai Re Magi è dedicato anche un vicolo e un oratorio: Vi rimando alla pagina dedicata a gli ORATORI e le CASACCE per approfondire il tutto.



9. La pietra del cittadino Domenico Serra


Se vi capita di passare in Salita delle Battistine, la bella creuza che collega Piazza dei Cappuccini a Piazza Portello, sul muraglione di contenimento di Villetta di Negro, aguzzate le vista: sopra una porticina murata c'è una piccola lapide di marmo sulla quale sono incise le parole: "1781 C. NO DOMENICO SERRA N.371".
Siamo nel 1781, in piena età pre-rivoluzionaria: "C.NO" sta per cittadino. 
Il marchese Serra insomma era diventato il cittadino Serra.
Questa lapide marmorea sta ad indicare che lì vi era una deviazione dell'acquedotto cittadino richiesta dal Serra che proprio nel 1781 aveva acquistato dagli Spinola Palazzo Baldassarre Lomellini in Strada Nuova (oggi Via Garibaldi civico 12; trovate la storia di questo palazzo al paragrafo 79 nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte)

Il numero 371 è relativo alla deviazione (all'allacciamento): in giro per la città ci sono molte lapidi come questa con indicato il numero ma è raro che sia indicato il nome del proprietario del palazzo che si è allacciato alla condotta l'acquedotto.  


La lapide di marmo in salita delle Battistine
(foto di Antonio Figari)



10. Le pietre delle "mampæ"

Le "mampæ" (termine genovese che deriva dallo spagnolo "mampara" il cui significato è paratia, paravento) sono particolari pannelli mobili riflettenti  foderati di lamiera all'interno in modo da agevolare  il riflesso della luce: è un antico sistema genovese per convogliare all'interno delle abitazioni la poca luce che riusciva ad arrivare dall'alto negli stretti e bui vicoli della Superba. 
Ve ne sono presenti ancora molto poche nei vicoli: quelle che trovate qui sotto fotografate sono in facciata di Palazzo Giulio Sale in Piazza degli Embriaci e nella vicina Via di Mascherona.


 Una "mampâ" a Palazzo Giulio Sale
(foto di Antonio Figari)

Altre "mampæ" in Via di Mascherona
(foto di Antonio Figari)



Ve ne sono altre sulla facciata del palazzo al civico 12 di Piazza di Soziglia, eccole:

Le "mampæ" in Piazza Soziglia n. 12
(foto di Antonio Figari)


Altre "mampæ" sono presenti in Vico di San Genesio, una piccola traversa di Via San Lorenzo.
Una volta le "mampæ" erano molto diffuse nei vicoli, eccone alcuni esempi:

Via del Campo (antica cartolina proveniente dalla Collezione Stefano Finauri)

Via Conservatori del Mare (antica cartolina proveniente dalla Collezione Stefano Finauri)



Vico Boccanegra


Se guardate con attenzione la cartolina di Via del Campo noterete che queste "mampæ" non sono di metallo ma di stoffa bianca entro una cornice. La cosa non deve stupirci: come ci racconta il grande Vito Elio Petrucci poeta, giornalista e commediografo genovese, spesso le "mampæ" erano formate da lenzioli bianchi entro cornici di legno. 
Una curiosità: molti di voi saranno passati mille volte in piazza Cavour ed avranno costeggiato l'ingresso del Porto Antico senza accorgersi che, come documenta la sottostante foto, anche qui sono presenti moderne "mampæ". 
L'architetto Renzo Piano infatti, fautore del rinnovo del Porto Antico, in un suo libro citava questo antico sistema, e lo ha voluto inserire nei palazzi del porto.


Le moderne "mampæ" al Porto Antico(foto di Antonio Figari)




11. La pietra Campana

Lo scoglio Campana forse più che una pietra parlante è una pietra che ha fatto parlare di sé: poeti, scrittori e genovesi  tutti hanno sempre omaggiato l'antico scoglio a forma di campana che si trovava sotto le mura delle Grazie, mura che, fino alla fine dell'800, ai loro piedi avevano il mare.
Lo scoglio fu eliminato quando venne costruita la circonvallazione a mare.

Domenico Monleone (1875-1942) dedicò allo scoglio nel 1928 una famosa lirica "A-o Scheuggio Campann-a":

Cianzi, cäo scheuggio Campann-a, l'angonia te l'han sûnnä. E t'ae sfiddòu l'ira pisann-a t'ae sfiddòu l'ira do mâ!
Unn-a votta ti formavi a delissia di pescoei e l'äia e o çe t'imbalsamavi comme o letto di sposoei.
E li gh'ëa o Lippa e o Croxe co-e sò braghe redoggiae comme i vëi pescoei da Foxe tutto o giorno li assettae.
E co-o pämito e co-o çimello e o boggieu da l'ätra man a cantâ qualche strûnello e a sentî sûnna Caignan!

  
Lo scoglio Campana in una vecchia immagine del 1870


12. La pietra della catena pisana 

Il bassorilievo raffigurante il porto di Pisa con le due torri, Magnale e Formice, e la lunga catena stesa tra le stesse
(foto di Antonio Figari)


Particolare del bassorilievo raffigurante le catene del porto di Pisa
(foto di Antonio Figari)


La prossima pietra di cui Vi parlerò si trova ora nel Museo di Sant'Agostino, dopo aver ornato per secoli una delle case abbattute all'angolo tra Vico Dritto di Ponticello e Via dei Servi, nei pressi della Casa di Colombo: in questa pietra son scolpite le torri e la lunga catena del porto di Pisa che i genovesi riuscirono a spezzare grazie allo stratagemma ideato dal fabbro  Noceto Ciarli. 
Cosa ideò questo abile artigiano e perché i genovesi, guidati da Corrado Doria, rasero al suolo il porto di Pisa? 
Siamo nel 1290.  Sei anni prima, il 6 agosto 1284, i genovesi avevano sconfitto i pisani nella famosa battaglia della Meloria portando a Genova più di novemila prigionieri pisani (da qui il proverbio "chi vuol vedere Pisa vada a Genova") i quali, rinchiusi secondo la tradizione in quello che oggi è detto Campopisano (in realtà le fonti storiche ci dicono che furono rinchiusi in un edificio della zona del Molo), morirono quasi tutti a causa delle condizioni in cui era tenuti (trovate la storia delle loro anime vaganti al paragrafo 6 nella pagina de i FANTASMI di GENOVA). 
Pisa però non mantenne gli impegni imposti dalla pace firmata nel 1288, che imponeva loro pesanti condizioni, e così i genovesi, guidati da Corrado Doria, tornarono a Pisa per infliggerle il colpo di grazia. Il porto era chiuso da una grossa catena che era tirata tra la Torre Magnale e la Torre Formice.
Il fabbro genovese Noceto Ciarli ebbe un'intuizione illuminante: accendere un fuoco sotto la stessa per renderla incandescente e poterla spezzare sotto il peso delle navi.
Riusciti nel loro intento, i genovesi entrarono in porto, lo rasero al suolo e, come già avevano fatto i romani guidati da Scipione a Cartagine, sparsero del sale sulle sue rovine.
Gli anelli della catena furono portati a Genova ed appesi all'ingresso di alcune chiese, sulle porte cittadine e in altri luoghi pubblici della città.


Le catene nel Cimitero Monumentale di Pisa
(foto da http://www.francobampi.it/liguria/pezzi/catene/catene_oggi.htm)






In questo piccolo quadretto, ex voto che si trova nel Convento di Santa Maria di Castello, si notano sul portale della Chiesa alcuni anelli della catena pisana

Lì rimasero fino al 1860 quando, in nome della fratellanza italiana e per dimenticare antichi dissapori tra le città che nel frattempo si erano unite in un'unica nazione, si decise di restituire tutti gli anelli a Pisa: ora sono conservati nel Cimitero Monumentale di Pisa. 
E' un vero peccato che Genova si sia privata di questi singolari trofei di guerra, memorie storiche della supremazia della Superba sui mari, in nome di un buonismo postunitario.
Ci sono ancora tuttavia alcuni anelli che non vennero restituiti a Pisa: quattro sono oggi conservati al Museo Navale di Pegli (provenienti dagli "ospedali civili" ossia l'antico ospedale di Pammatone, sono questi gli unici anelli ancora in città), due a Murta (in realtà si tratta di una copia di essi poichè gli originali furono rubati dagli austriaci nel 1747), e due in facciata della Chiesa di Santa Croce a Moneglia (una lapide a fianco degli anelli ricorda che fu il signor Trancheo Stanco di Moneglia, probabilmente colui che era a capo dei marinai di Moneglia che presero parte alla Battaglia della Meloria, che volle appendere questo piccolo ma molto significativo trofeo di guerra).
 
Gli anelli della catena del Porto di Pisa conservati a Murta
(foto di G.G.)

   
Gli anelli della catena del Porto di Pisa in facciata della Chiesa di Santa Croce a Moneglia
(foto da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Moneglia-chiesa_santa_croce-lapide.JPG)
  

Una curiosità: del bassorilievo esistono due copie. La prima è appesa nel chiostro della Abbazia di San Matteo, la seconda al Museo Navale di Pegli sopra gli anelli di cui vi parlavo poco fa.


13. La pietra del marchese e del falegname



Questa targa si trova in Piazza Luccoli.
Le cronache dell'epoca narrano un curioso aneddoto legato a questa "pietra parlante": nell'angolo della piazzetta vi era un piccolo magazzino dove un falegname esercitava il suo mestiere fin dalle prime ore del mattino disturbando i sonni del marchese Gian Luca Serra, proprietario e residente nel vicino Palazzo Franzoni. 
Alle lamentele del nobiluomo il falegname faceva orecchie da mercante e anzi spesso rispondeva a tono con insolenza.
Il Marchese Serra allora di tutta risposta decise di acquistare il magazzino e, dopo esserci riuscito, sfrattò il falegname. L'artigiano, disperato e senza più lavoro, chiese umilmente scusa al Serra il quale, mosso a pietà, donò al falegname un bella somma di denaro a risarcimento del lavoro perduto ma non gli ridiede la bottega che anzi fece distruggere.


14. La pietra delle carrozze

Se  imboccate da Piazza Caricamento Via al Ponte Reale alzate lo sguardo. Sull'angolo del palazzo destro sopra i portici di Sottoripa potrete notare questa scritta:
 
(E' VIETATO IL PASS)AGGIO DELLE CARROZ(ZE) E CARRI 
NELLA (STR)ADA DEGLI OR(EFICI)
E PIAZZA BANCHI
 
E' questo forse il primo segno della pedonalizzazione di questa parte dei vicoli di Genova. 


La scritta in Via al Ponte Reale
(foto di Antonio Figari)




15. Le pietre turche di Lepanto

In Santa Maria di Castello, nella cappella dei Ragusani, sono conservate due bandiere: da dove provengono?

E' il 7 ottobre 1571 e le forze navali della Lega Santa infliggono alla flotta dell'impero Ottomano una storica sconfitta a Lepanto.
Genova partecipa alla Lega Santa con 27 galere di cui 11 appartenenti a Gianandrea Doria, pronipote di Andrea, il quale comanda l'ala destra della flotta cristiana.
Le due bandiere, secondo la tradizione, sono state portate a Genova dopo la vittoria nelle acque greche.
Si racconta che esse appartenessero ad Alì Pascià che, per disonore, si suicidò.
Un curiosità: la tinta rossa di queste bandiere, il rosso di kermes, è estratto dalle uova dell'insetto "Coccus Ilicic" usato ancora oggi per la tintura di stoffe.

Le due bandiere turche
(foto di Antonio Figari)


16. Le pietre del Castelletto

Ai lati del portone di Palazzo Gio Carlo Brignole, in piazza della Meridiana, ai piedi dei due grossi telamoni, vi sono due grosse pietre di forma sferica.


Una delle palle di cannone di Palazzo Gio Carlo Brignole
(foto di Antonio Figari)

La seconda palla di cannone di Palazzo Gio Carlo Brignole
(foto di Antonio Figari)

Esse sono due palle di cannone e provengono dal Castelletto, il forte che un tempo dominava la città e che oggi è una spianata (appunto "di Castelletto") dopo che questo baluardo venne raso al suolo.
Mio padre quando ero bambino, per impressionarmi un po', mi diceva sempre di passare lontano da esse poichè erano bombe e potevano esplodere, che dirvi...fate attenzione!
Un'altra palla di cannone, anch'essa proveniente dal Castelletto, è oggi elemento di decoro del terrazzo sul tetto del palazzo che ospita l'uscita superiore dell'ascensore di Castelletto di ponente: la potrete vedere alzando gli occhi proprio sopra l'ingresso dell'edificio.



17. Le pietre austriache nella Valle del Veilino

In Via del Veilino al civico 2, conficcate nel muro di una abitazione sotto un'edicola votiva, ci sono due palle di cannone che vennero qui lanciate dagli Austriaci nel 1747 durante la battaglia combattuta in Val Bisagno tra i Genovesi e appunto gli Austriaci.
Queste due palle di cannone sono pressoché sconosciute (e certo non aiuta il modo in cui sono occultate da vari cavi come potete osservare nella foto qui di seguito). In realtà ebbero come dire il loro momento di popolarità televisiva: nella famosa trasmissione "Lascia o raddoppia?" presentata da Mike Bongiorno un concorrente perse cinque milioni di lire rispondendo "Tre" alla domanda che verteva su quante fossero le palle  di cannone austriache murate in Via del Veilino. Io non avrei sbagliato la risposta e voi?  


Le palle di cannone austriache in Via del Veilino
(foto di Antonio Figari)



18. Le pietre del Re Sole


Nella Chiesa di Santa Maria di Castello, nella sala degli ex voto, è conservata una palla di cannone, risalente al 1684, anno in cui le navi del Re Sole bombardarono Genova dal mare.
Il drammatico bombardamento fu l'apice del travagliato rapporto tra Luigi XIV e Genova.
Già nel 1679 i francesi dopo aver lasciato il porto di Genova, offesi dal trattamento loro riservato dalle autorità cittadine ree secondo loro di non averli accolti con tutti gli onori, bombardarono Sampierdarena con 3.000 proiettili causando danni soprattutto alle numerose ville dei nobili che si trovavano oltre la collina di San Benigno.
Nel 1681 il re di Francia, in vista del futuro attacco alla Superba, spedì a Genova numerosi esperti militari travestiti da viandanti, pittori, religiosi per carpire più informazioni possibili sulle difese della nostra città.
I genovesi sentivano avvicinarsi il "D-Day" e presero le loro contromisure rinforzando i bastoni e chiedendo a Milano una guarnigione di uomini.
Nel mentre arrivò il fatidico giorno: il 17 maggio 1684 una flotta di 160 navi con 756 bocche da fuoco si piazzava nello specchio d'acqua antistante Genova coprendo uno spazio che andava dalla foce del Bisagno alla Lanterna. Immaginate lo stupore ed il terrore nei volti dei genovesi che affacciandosi alle loro finestre viderò tutto ciò.
Il giorno dopo il doge ordinò di sparar qualche colpo a salve per intimar alla flotta francese di allontanarsi. La risposta non tardò ad arrivare ed i nemici iniziarono già verso sera massicci bombardamenti che andarono avanti fino al 29 maggio facendo cadere in città, pare, 16.000 bombe causando danni ad un terzo degli edifici cittadini.
Nel frattempo, supportati dal fuoco amico, i francesi il 25 maggio tentarono di sbarcare in città ma Genova resistette nonostante i francesi potessero contare su più di 4.000 fanti.
Il 29 maggio i francesi lasciarono Genova poichè avevano esaurito le palle da cannone e la città così, sebbene molto ferita (si calcola che Genova fu distrutta per un terzo), era riuscita a non cadere nelle mani dei Francesi.
Ancora una volta Genova non si fece piegare da forze straniere mantenendo la propria indipendenza.
Qualche tempo dopo fu firmata la pace anche grazie all'intervento di Papa Innocenzo XI al quale Genova si era rivolta: si narra che il Doge, a Parigi alla corte del Re Sole per siglare la pace, alla domanda "cosa la stupisce di più di questo luogo?" rispose " io qui". 
L'orgoglio dei genovesi fece sì che la città fosse subito ricostruita e che venissero rinforzate le sue difese.
Tutta questa storia potrebbe essere racchiusa in un piccolo  oggetto, la palla di cannone francese conservata a Santa Maria di Castello nella stanza degli ex voto, eccola:

La palla di cannone conservata a Santa Maria di Castello
(foto di Antonio Figari)
Le palle di cannone francesi erano pesanti 90 chili, avevano un diametro di circa 33 cm ed erano piene di polvere incendiaria che quindi le faceva esplodere quando arrivavano sull'obiettivo, insomma vere e proprie armi di distruzione di massa.
La palla, piombata in mezzo all'altare della Chiesa dopo aver sfondato la cupola, miracolosamente non esplose: una storia simile a quella della bomba novecentesca in San Lorenzo, anch'essa inesplosa.
Quella conservata in Santa Maria di Castello non è l'unica bomba del 1684 inesplosa ancora conservata nei vicoli di Genova.
Una palla di cannone del Re Sole è custodita a Palazzo San Giorgio: essa, recuperata nello specchio acqueo della Lanterna dal Genio Militare di Genova, fu affidata in custodia all'Autorità Portuale di Genova che ha sede proprio in Palazzo San Giorgio.

La palla di cannone conservata a Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Altre due (una intera e parte di un'altra) sono conservate al Galata Museo del Mare nella sala dedicata a questo avventimento storico. 

 
Le palle di cannone conservate al Galata Museo del Mare
(foto di Antonio Figari)

 
Accanto a queste due palle di cannone troviamo un'interessante tela, commissionata da un nobile genovese, in cui si vede la città di Genova messa a ferro e a fuoco.
Qualche anno fa fu esposto anche un secondo dipinto, di collezione privata, opera di Jan Karel Donatus van der Beecq, in cui protagonista era la flotta francese schierata davati alla Superba durante il bombardamento: questa tela celebra infatti la potenza della flotta del Re Sole, guidata dall'ammiraglio De Quesne.
Altre due palle di cannone lanciate sulla Superba dal Re Sole sono conservate al Museo Diocesano. 
 
Palle di cannone al Museo Diocesano di Genova 
 



 


19. Le pietre del Generale La Marmora

Il Generale Alfonso la Marmora, su incarico del re sabaudo Vittorio Emanuele II, bombardò dal 5 aprile 1849 Genova per 36 ore consecutive dai cannoni delle batterie di San Benigno e del Forte Tenaglia.
Questo avvenimento storico, poco noto ai più, è conosciuto come il "Sacco di Genova":  la città fu messa a ferro e fuoco e molti inermi civili morirono.
Qualche anno fa in Piazza Corvetto è stata posta una lapide marmorea in ricordo di questo tristissimo avvenimento "forzosamente" dimenticato nella storia del Risorgimento italiano.
Se i genovesi conoscessero questo evento storico probabilmente a furor di popolo sarebbe abbattuta la statua del re che troneggia in mezzo a Piazza Corvetto: è un po' come se avessimo eretto una statua al Re Sole dopo che con le sue navi ci ha bombardato per giorni interi (trovate questa storia nel paragrafo precedente)!
Il monumento a Vittorio Emanuele II
(foto di Antonio Figari)
La dedica sotto il monumento
"A
 RE VITTORIO EMANUELE II
 FONDATORE
 DELL'UNITA' NAZIONALE
 I GENOVESI"
suona poi come una beffa: immagino con quale entusiasmo i Genovesi eressero il monumento equestre!
Come già avvenuto in altre occasioni, a seguito del bombardamento si diffuse l'uso di murare "in loco" le palle di cannone che avevano colpito le case del centro storico cittadino. 
Ancora oggi si possono osservare cinque palle di cannone murate: una in vico dei Cartai accanto ad un'edicola votiva, una all'ingresso del civico 23 di Via di Porta Soprana, una in una abitazione in Campetto, una in Via XXV aprile angolo Vico dei Parmigiani, ed una in Via di Mascherona sotto un'edicola votiva.
Eccole:

La palla di cannone murata in Vico dei Cartai
(foto di Antonio Figari)

La palla di Cannone in Via di Porta Soprana
(foto di Antonio Figari)

La palla di cannone in Campetto
(foto da http://www.francobampi.it/liguria/sacco/bomba1.htm)



La palla di cannone all'angolo tra Via XXV aprile e Vico dei Parmigiani
(foto di Antonio Figari)


La palla di cannone in Via di Mascherona
(foto di Antonio Figari)


In una teca del Museo del Risorgimento son conservati un frammento di palla di cannone, ritrovata il 26 febbraio 1883 in Salita San Rocco, nel giardino del Marchese Lomellini, e schegge di bomba cadute sull'oratorio di Sant'Antonio di Prè il 5 aprile 1849. Queste ultime erano state poste come ex voto in ringraziamento a Maria S.S. e Sant'Antonio Abate dai fedeli rifiugiatisi  nell'oratorio e rimasti miracolosamente illesi.
Vi era una palla di cannone anche ai piedi dell'altar maggiore nell'Oratorio della Carità che sorgeva all'interno dell'Ospedale di Pammatone, palla di cannone che era qui caduta il 5 aprile 1849. Purtroppo di questo oratorio nulla rimane dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che distrussero in gran parte l'Ospedale di Pammatone.
  

20. Le pietre del bombardamento inglese del 9 febbraio 1941
 

Il 9 febbraio 1941 alle 8:15 inizia un pesante bombardamento su Genova ad opera degli inglesi: tra i tanti, un proiettile da 381 mm, tirato dai cannoni della corazzata "HMS Malaya" o dell'incrociatore da battaglia "HMS Renown", sfonda il tetto della Cattedrale di San Lorenzo e cade a terra senza esplodere.

In realtà, quello che vediamo esposto in San Lorenzo, intatto, è un proiettile identico a quello caduto sulla Cattedrale il quale, miracolosamente inesploso, fu fatto brillare in mare. Le cronache dell'epoca infatti raccontano che "sotto la direzione delle autorità militari preposte alla difficile e pericolosa operazione, è stato rimosso da S. Lorenzo il proiettile rimastovi inesploso la mattina del 9. A mezzo di grue costruita appositamente da artiglieri e da operai specializzati nell'interno del duomo, il proiettile a cui era stata tolta la spoletta, è stato sollevato e caricato su un carrello con le ruote di gomma, quindi trasportato fuori dalla Chiesa, dove, a mezzo della grue dei Vigili del Fuoco, è stato susseguentemente trasbordato sopra un autocarro che si è poi diretto al mare. Il micidiale ordigno è stato caricato poi su una chiatta e trasportato al largo, dove è stato gettato in mare. La difficoltosa operazione è costata cinque ore di lavoro." (Secolo XIX, 18 febbraio 1941).

La lapide che è accanto al proiettile, che lo descrive come il proiettile originale, andrebbe quindi modificata.

Poco importa in realtà che sia l’originale o una copia, quello che importa davvero è ciò che il "proiettile", o "bomba" che dir si voglia, significa per noi genovesi: un ricordo indelebile di quello che fu la guerra per la nostra città ed in particolare quel 9 febbraio 1941 quando le bombe inglesi fecero morti e feriti in tutta la città, ed allo stesso tempo un evento miracoloso che preservò San Lorenzo dalla distruzione.

 


 






Questo che Vi ho appena raccontato è il proiettile più famoso e conosciuto da tutti, ma non l'unico presente a Genova.
Un proiettile da 381 mm, gemello di quello di San Lorenzo, cadde non lontano dalla Cattedrale, nel Palazzetto Criminale in Via Tommaso Reggio.
Oggi, nel cortile di questo palazzo, è conservata l'ogiva di quel proiettile.




All'Ospedale Galliera un proiettile cadde sul padiglione 7 uccidendo 19 persone i nomi delle quali sono ricordate in una lapide marmorea davanti alla quale, su un piccolo piedistallo, sono conservati i resti del cappuccio tagliavento deformato del proiettile stesso.




Mi è stato raccontato che a Voltri, nei pressi dell’ospedale, vi sarebbe una piccola edicola votiva in una villetta e davanti ad essa sarebbe conservato un proiettile del tutto simile a quello caduto su San Lorenzo.
Non appena avrò la certezza di quanto raccontatomi, Ve ne renderò partecipi.
 

21. La pietra ferita di guerra

Palazzo Doria, Via Garibaldi n. 6: se alzate lo sguardo, alla sinistra del portale di ingresso potrete notare un buco in facciata con una scritta sotto: è una ferita della seconda guerra mondiale che non è stata riparata ma lasciata lì a monito per i posteri con la scritta "dagli amici mi guardi Iddio" .

La ferita di guerra sulla facciata di Palazzo Doria
(foto di Antonio Figari)


22. La pietra simbolo dei Liguri

In Via San Pietro della Porta, poco prima di arrivare all'archivolto, una volta porta della città, c'è questa antica lapide muraria raffigurante un vescovo, probabilmente San Siro e accanto a lui due animali: cosa rappresentano queste creature?
Sono due cigni, simbolo del popolo dei Liguri. Perché questo animale è il simbolo del nostro popolo?
Un'antica leggenda racconta di un re ligure: Cigno. Egli disperato per la perdita della sua sposa fu trasformato per pietà dagli Dei in un cigno. Cupavo, suo figlio, decise di onorare il padre ornando il suo elmo con piume di questo elegante pennuto e forse è proprio questo il simbolismo che si nasconde dietro questa lapide nel centro storico.
Per altri invece gli elmi, con una piccola croce nel centro ed i cigni che si elevano da essi, potrebbero rappresentare i valorosi liguri che partirono per le Crociate.

San Siro e i simboli dei Liguri
(foto di Antonio Figari)


23. La pietra del Melograno


Il melograno di Palazzo Ottavio Imperiale
(foto di Antonio Figari)
In Campetto al civico 2, costruito nel 1585 su progetto di Bartolomeo Bianco, vi è palazzo Ottavio Imperiale.
Questo palazzo è noto ai più come "Palazzo del Melograno": sopra il portale infatti cresce rigogliosa una pianta di melograno: si narra che quattrocento anni fa un seme di questa pianta, trasportato dal vento di tramontana, arrivò sul frontone di questo palazzo e lì trovò il luogo giusto dove crescere. La leggenda vuole che fino a quando il melograno ci sarà Genova prospererà, e quando esso morirà la Superba andrà in rovina.




24. La pietra del Gas


(foto di Antonio Figari)
In Piazza Corvetto al civico 2, se abbassate lo sguardo nell'angolo in basso a destra del portone, noterete un piccolo foro circolare del diametro di circa 4 cm: non è l'ingresso al palazzo riservato ai topolini come pensavo quando ero bambino. Lì, come in molti altri palazzi ottocenteschi cittadini, era sistemato il rubinetto del gas che alimentava il lampione posto proprio sopra il portone: ogni sera, quando calava il tramonto, un solerte operaio comunale dell'Officina Comunale del Gas faceva il giro dei palazzi, apriva i rubinetti e la città diveniva una piccola "ville lumiere".

Recentemente, per i 150 anni dell'unità d'Italia, due lampioni originali in ghisa, appartenenti alla collezione storica di Genova Reti Gas e costruiti nello stabilimento Balleydier di Sampierdarena, complesso industriale nato a Genova per l’iniziativa dei fratelli Joseph-Marie e Jean Balleydier nel 1832,  sono stati posizionati ai lati del monumento a Mazzini poco sopra a Piazza Corvetto per ricordare come la città era illuminata nel 1860.


25. Le pietre dei "Guardiani della Galleria"


Un antica immagine della Galleria Regina Elena in Piazza Corvetto in una cartolina proveniente dalla collezione R. Budmiger


Il 28 ottobre 1929 vennero collocate sopra la galleria Regina Elena, oggi dedicata a Nino Bixio, che collega Piazza Corvetto a Piazza Portello, due statue opere di Eugenio Baroni, famoso per esser l'autore del monumento dei Mille a Quarto, ma anche di molte statue nel Cimitero di Staglieno.
Vi siete mai chiesti chi siano questi due "guardiani" della Galleria?
Essi sono i due più illustri eroi liguri della storia: alla destra Guglielmo Embriaco, alla sinistra Andrea D'Oria.
L'Embriaco, vestito di una cotta di maglia con una grossa croce al centro, lo sguardo al cielo, la spada avvolta da un ramo di alloro, e ai piedi un elmo saraceno, in ricordo delle sue vittorie sugli infedeli in Terra Santa.
Andrea D'Oria, ritratto in tarda età in un'armatura cinquecentesca, stringe con la mano destra la spada e con la sinistra la sua barba; ai suoi piedi un delfino a simboleggiare il rapporto del grande ammiraglio con il mare.
 
Guglielmo Embriaco
(foto di Antonio Figari)
Andrea D'Oria
(foto di Antonio Figari)


















 

26. Le pietre delle colonne infami

 
26.1 La pietra della colonna infame di Piazza Vacchero
 
A metà di Via del Campo c'è una fontana che occupa lo spazio dove precedentemente sorgeva il palazzo di Giulio Cesare Vacchero. Quest'ultimo fu protagonista di una congiura contro il governo genovese, appoggiata dal duca di Savoia Carlo Emanuele I. Tradito da uno dei suoi compagni di congiura, Gianfrancesco Rodino, il quale rivelò il piano al doge Gian Luigi Chiavari, Vacchero fu condannato a morte e il suo palazzo fu raso al suolo.
Una “colonna infame” fu eretta dove sorgeva il suo palazzo a memoria dello scellerato gesto da lui compiuto. In cima alla colonna una targa ricorda i fatti:


JULIJ CAESARIS VACHERIJ
PERDITISSIMI HOMINIS
INFAMIS MEMORIA
QUI CUM IN REMPUBLICAM CONSPIRASSET
OBTRUNCATO CAPITE PUBLICATIS BONIS
EXPULSIS FILIIS DIRUTAQUE DOMO
DEBITAS POENAS LUIT
A.S.MDCXXVIII

(A memoria dell’infame Giulio Cesare Vachero, uomo scelleratissimo, il quale avendo cospirato contro la Repubblica, mozzatogli il capo, confiscatigli i beni, banditigli i figli, demolitagli la casa, espiò le pene dovute, anno del Signore 1628)



In seguito i suoi discendenti fecero costruire un’imponente fontana per nascondere la "colonna infame" (vi rimando alla pagina dedicata a l'ACQUA pubblica  per approfondire la storia di questa fontana).
Quella che vediamo oggi è in realtà un rifacimento in cemento dell'antica colonna di cui rimane solo la lapide marmorea. L'antica colonna  infatti si trovava in mezzo alla piazza dietro la fontana (era appunto dalla stessa nascosta): fu demolita e riposizionata dove la vediamo oggi nel secondo dopoguerra per poter utilizzare lo spiazzo come parcheggio (un triste esempio di come spesso, per futili motivi, si distrugge la storia della nostra città). 

La Colonna "Infame" dedicata a Giulio Cesare Vacchero
(foto di Antonio Figari)

 
Si dice che il fantasma di Giulio Cesare Vacchero vaghi ancora per Via del Campo (vi rimando alla pagina dedicata a i FANTASMI di GENOVA per approfondire questa storia).
 
 
26.2 La pietra della colonna infame di San Donato
 
La torre nolare di San Donato
(foto di Antonio Figari)

La torre nolare di San Donato (di cui trovate la storia nella pagina de i CAMPANILI di GENOVA) fu muta testimone nel 1650 delle vicende del nobile Stefano Raggi, discendente di quello Stefano Raggi che, nel Cinquecento, commissionò al fiammingo Joos van Cleve, per la sua cappella di famiglia, lo splendido Trittico dell’Adorazione dei Magi, ancora oggi conservato in San Donato. 
Venuto a sapere di essere ricercato dalle Pubbliche Autorità a causa di una rissa da lui provocata, il Raggi, uomo iracondo e facile all’ira, decise di rifugiarsi nella torre nolare: da lì riuscì a difendersi ed a sfuggire alla cattura prendendo ad archibugiate chiunque tentasse di avvicinarsi. 
Passò non molto tempo e il figlio del Raggi venne messo al bando dal Doge Giacomo De Franchi Toso. Stefano Raggi criticò apertamente la decisione del Doge e quest’ultimo emise l’ordine di farlo arrestare. 
Sorpreso nella sua casa, lo stesso venne condotto nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale con l’accusa di essere in procinto di compiere un colpo di Stato. 
Il Raggi decise che era ora di farla finita: fattosi portare dalla moglie un crocifisso nel quale era celato un piccolo stiletto, si suicidò. 
Il suo corpo, come si soleva fare con i traditori della Repubblica ed i peggiori criminali, fu esposto davanti al Palazzo Ducale. 
Dopo la sua morte, la Repubblica comminò una punizione esemplare che fosse da monito a chi pensasse di compiere un gesto simile: i suoi figli furono messi al bando e privati dei loro titoli nobiliari, le sue proprietà confiscate e la sua dimora, che sorgeva non lontano dalla Chiesa di San Donato, fu rasa al suolo e al suo posto venne eretta una colonna infame (un epilogo simile a quello che toccò al più famoso Giulio Cesare Vacchero, le cui vicende ancora oggi sono ricordate da una “colonna infame” che sorge in Piazza Vacchero).  
A differenza di quella del Vacchero, la colonna infame del Raggi oggi non esiste più e quasi nessuno conosce la storia di quest’uomo. I libri ci tramandano quanto scritto su questa colonna:

STEPHANI RAGGI
CRIMINIS LESAE MAJESTATIS CONVICTI
ILLATA SIBI MORTE SCELERIS CONSCII
CADAVERE FURCA SUSPENSO
FILIIS EXPULSIS ET NOBILITATE PRIVATIS
BONIS PUBLICATIS DIRUPTIS AEDIBUS
SCELESTISSIMI ET TEMERARII HOMINIS
ET A GENTILIUM SUORUM MORIBUS LONGE
DESCINDENTIS 
MEMORIA PERPETUA DAMNATA
ANNO MDCL


(a memoria perpetua di Stefano Raggi, incarcerato per il crimine di lesa Maestà, che si diede la morte conscio del delitto, impiccato il cadavere sulla forca, banditi i figli e privati della nobiltà, confiscati i beni distrutte le case di quest’uomo scelleratissimo ed imprudente e diversissimo nei costumi dalla sua stirpe. Anno 1650)

Si dice che il fantasma di Stefano Raggi vaghi ancora per San Donato e che lo si possa intravedere in autunno, al tramonto, avvolto in una tunica rossa (vi rimando alla pagina dedicata a i FANTASMI di GENOVA per approfondire questa storia).


26.3 La pietra della colonna infame di Piazza Sarzano
 
In Sarzano, superato il pozzo, prima di imboccare Via Ravecca, girate a sinistra costeggiando l'abside di Sant'Agostino: troverete una moderna colonna infame.
 
(Foto di Antonio Figari)

 
I genovesi dei vicoli dedicarono questa stele all'avidità degli speculatori e alle colpevoli debolezze dei reggitori della nostra città che permisero, tra le altre cose, la distruzione della casa di Paganini (di cui trovate le immagini nella pagina de i PALAZZI privati) e di interi antichi quartieri contribuendo così a disperdere la popolazione ed a sradicare le fiere tradizioni che fecero Genova rispettata e potente.
La data incisa in alto a sinistra, 1981, mi fa riflettere: è l'anno della mia nascita, quasi a significare che la mia generazione non potrà mai vedere la bellezza dei quartieri distrutti dei nostri vicoli.
Se guardiamo poi come sono diventate zone come Via Madre di Dio ci rendiamo ancora più conto di cosa abbiamo perduto in nome della modernità e del progresso, che spesso sono solo sinonimi di ignoranza e avidità.
Nel 1990 sopra la moderna Colonna infame venne posta un'altra lapide con le parole con cui il poeta Francesco Petrarca, di passaggio a Genova nel 1358, descrisse la nostra città.
Cosa ci siamo persi? 
Ecco alcuni immagini di una Genova che non c'è più:


Via Fieschi e Via Madre di Dio

Via Fieschi e la Chiesa di Santa Maria dei Servi 



Chiesa di Santa Maria dei Servi nel 1925


Cartina della zona di Via Madre di Dio



Via dei Servi e sulla sinistra i Lavatoi opera del Barabino






Piazza dei Truogoli del Colle e sullo sfondo Piazza Bonifazio







Borgo Lanaiuoli e, sulla destra, la mole del Teatro Apollo 


La Montagnola dei Servi e in primo piano lavatoi pubblici



Piazzetta dei Librai



 La casa di Paganini in Vico Gattamora









 Uno scorcio di Via Madre di Dio


Un'altro scorcio di Via Madre di Dio







Vico Dritto Ponticello fotografato verso Porta Soprana


Vico Dritto Ponticello fotografato verso Piazza Ponticello



Salita alla Chiesa di Sant'Andrea




Chiostro di Sant'Andrea


Demolizione del colle di Sant'Andrea






Un'immagine di Piazza Ponticello



Un'altra immagine di Piazza Ponticello











Salita dei Cannoni


Salita dei Tintori


Passo delle Fucine


Case in Via Bartolomeo Bosco


1890: demolizione dell'Ospedale degli incurabili per la realizzazione di via Ettore Vernazza






27. La Pietra dell'Immunità

(Foto di Antonio Figari)

In Via Tommaso Reggio, lungo il muro perimetrale del chiostro dei Canonici, che sorge su parte delle mura medioevali della città del IX secolo, sopra il portale trova posto una lapide che recita:


QUESTO LUOGO NON GODE IMMUNITA'

Un tempo il chiostro, come tutti gli edifici religiosi, godeva dell'immunità e dunque coloro che vi erano rifugiati potevano sfuggire alla giustizia terrena. La cosa però venne sfruttata oltre misura: nel chiostro infatti trovavano rifugio molti banditi e fuorilegge. E fu così che nel XVIII Secolo, a seguito di una petizione, il Papa decise di revocare a questo luogo lo stato di immunità e di tutto ciò se ne diede pubblicità murando quella piccola lapide marmorea che ancora oggi resiste sopra il portale.
Una lapide del tutto simile con le stesse parole è incastonata nel muro interno del chiostro delle Vigne.





28. Le pietre a guisa di braccia

Ci sono pietre nei vicoli, scolpite in blocchi di marmo, che indicano gli edifici di proprietà pubblica.
Quest’usanza era diffusa già nel Medioevo e continuò per i secoli a venire: a qualche metro di altezza, in mezzo alla facciata, veniva inciso un braccio e una croce.
Nei vicoli ancora oggi si può osservare un esempio di questa antica usanza: un braccio scolpito nella facciata laterale destra della Cattedrale di San Lorenzo (a poca distanza dal famoso “Arrotino”) che tiene tra le dita una croce indicava appunto che quell'edificio era di proprietà pubblica.
Non manca però anche una suggestiva ipotesi che ritiene invece che il braccio di San Lorenzo, come la scacchiera posta sulla facciata sinistra della Cattedrale (di cui vi parlo nel paragrafo dedicato a San Lorenzo nella pagina de le CHIESE di GENOVA)  ed altri simboli posti sulle facciate delle chiese genovesi, siano simboli da ricondurre ai Cavalieri Templari. 


Il braccio in facciata di San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)

In Piazza della Posta Vecchia, all'angolo di un palazzo, ad una decina di metri di altezza, sono scolpite due braccia  che si guardano e sembrano chiudere un ipotetico perimetro. In questo caso esse stavano ad indicare che i confini di proprietà dei possedimenti della famiglia Spinola.


Le braccia in Piazza della Posta Vecchia
(foto di Antonio Figari)


29. Le pietre a guisa di volti

Se quello che sto per descriverVi fosse un film ed io fossi lo sceneggiatore scriverei: Genova, Sopraelevata, tramonto, bimbo in auto, testa misteriosa.
Quel bimbo, di ritorno dalla campagna causa inizio scuole, in macchina con mio fratello e mia mamma, che osservava con gli occhi sgranati lo spettacolo del Porto Antico appena messo a nuovo per le Colombiane del 1992, ero io.
E così mi capitò di scorgere, in facciata nel palazzo che sorge sull'angolo tra Via del Molo e Piazza Cavour, un volto che "usciva" dall'angolo dell'edificio.

La testa di Piazza Cavour come appare alzando gli occhi nei pressi della Casa del Boia, tra le barriere della Sopraelevata
(foto di Antonio Figari)

Lì per lì il mio stupore non fu condiviso da mia madre e mio fratello convinti più in una mia allucinazione che in un fatto reale.
Fu solo ripassando sulla Sopraelevata che le mie fantasie si rivelarono realtà e quel volto, che ad altri pareva disegnato in facciata dalla mia fantasia di bambino, si materializzava in un viso beffardo e spaventoso allo stesso tempo di cui non sapevo nulla.
La mia curiosità dovette aspettare qualche anno e il ritrovamento fortunoso di un vecchio libro che avevo in casa, una delle tante "bibbie" che esplorano a fondo il centro storico di Genova.
Si dice che nei vicoli di Genova siano incastonati dei volti umani: secondo una teoria essi rappresenterebbero il volto di Giano, il leggendario fondatore di Genova, la quale deriverebbe proprio da lui il suo nome.
Oltre a quella in Piazza Cavour finora ho trovato solo un'altra testa beffarda incastonata in un palazzo: essa si può osservare dal Chiostro dei Canonici in Via Reggio alzando lo sguardo verso est. 
La mia ricerca non finisce qui: continuerò a camminar con naso all'insù e se troverò qualche altro volto ve ne darò notizia.
La testa in Via Reggio
(foto di Antonio Figari)

Potrei concludere qui la storia sul significato di queste teste misteriose ma voglio riportarVi un'altra credenza sulla testa di Piazza Cavour: qualche tempo fa ho letto un vecchio libro sulle storie dei Boia che esercitarono la loro arte a Genova nel quale si racconta che le teste tranciate di netto dalla lama della scure dall'incappucciato facevano balzi anche di alcuni metri, e così capitò una volta che una testa si andò a conficcare proprio dove la vediamo oggi, in cima a quel palazzo all'angolo tra Piazza Cavour e Via del Molo. Molti però pensano che la testa sia proprio quella di uno dei boia che lavorò in Piazza e che ora da lassù osserva tutti con sguardo ironico, anche se, forse, la cosa più ironica è proprio il fatto che di colui che tagliava teste è rimasto proprio solo il capo, legge del contrappasso?


30. Le pietre che furono volti

E dopo avervi raccontato delle strane figure incastonate nei palazzi genovesi, fatte di pietra, è ora giunto il momento di narrarVi delle teste che di pietra hanno solo l'aspetto, poichè non respirano più.
Eh sì, una volta respiravano attaccate ai corpi di coloro che dalla Repubblica venivano condannati a morte.
La macabra scena era visibile a Porta Soprana: tra le due torri vi era un piccolo edificio ad un piano, sopraelevato poi nell'ottocento, che oggi non esiste più, nel quale abitava il boia e all'interno del quale, durante i restauri, è stato ritrovato anche lo strumento del mestiere: la ghigliottina.
Fino al 1797 era usanza appendere le teste dei giustiziati sopra l'arco della porta in gabbiette di ferro a marcire esposte alle interperie.
Il mestiere del boia a Genova sopravvisse fino al 1809.
Una curiosità: e' storicamente provato che qui a Genova esercitò la sua arte Monsieur Samson, il famoso boia francese passato alla storia per aver tagliato la testa a Luigi XVI e Maria Antonietta nel 1793.

Porta Soprana con la casa del Boia tra le due torri



31La pietra del mortaio 

5 dicembre 1746, quartiere di Portoria, poco distante dall'Ospedale di Pammatone, oggi sede del Tribunale di Genova: gli odiati invasori austriaci, che occupano Genova guidati dal plenipotenziario asburgico Antoniotto Botta Adorno, stanno passando in mezzo alla strada con un mortaio strappato ai genovesi, parte dell'artiglieria cittadina che gli invasori cercano di sottrarre alla Superba. Ed ecco che accade un imprevisto: una ruota del mortaio rimane impantanata e non c'è verso di liberarla da soli. Così, con maniere spicce, gli austriaci cercano di costringere qualche passante ad aiutarli. La popolazione genovese, poco propensa a farsi comandare da uno straniero, lei che da secoli domina i mari del Mediterraneo, coglie la palla al balzo. 
E, come spesso accade nella storia, l'eroe che dà inizio a tutto è un ragazzo: la spensieratezza della gioventù, il non pensare troppo alla conseguenze e la voglia di cogliere l'attimo presente danno a questo ragazzo, Giovan Battista Perasso detto il "Balilla" (di cui trovate una breve biografia nella pagina "poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI"), quello stimolo interventista che covava negli animi di tutti i genovesi.

Monumento a Balilla in Piazza Portoria
(foto di Antonio Figari)

Al grido di "che l'inse?" (traducibile come "La comincio?") Balilla scaglia la prima pietra di quella che di lì a poco divverà una fitta sassaiola.
Una tela di Giusepe Comotto, conservata al Museo del Risorgimento di Genova, rappresenta la scena, eccola:

Giuseppe Comotto,  Rivolta in Portoria, Museo del Risorgimento, Genova

Gli austriaci sono costretti ad abbandonare sul posto il mortaio genovese e di lì a poco ha inizio la rivolta che porterà alla liberazione dall'odiato invasore il 10 dicembre di quello stesso anno.
In via 5 dicembre, nel punto esatto in cui accadde questo avvenimento, è stata posta una lapide marmorea, ancora oggi visibile, sopravvissuta allo scempio urbanistico che ha portato alla distruzione del quartiere, muta testimone di quello che fu uno dei momenti più eroici della storia della Superba.

La lapide marmorea nel punto esatto in cui si impantanò il mortaio in mano agli austriaci
(foto di Antonio Figari)


Per concludere questo paragrafo eccovi una chicca: alla mostra "Pammatone: dagli Hospitalia all'Ospedale" al Museo dei Cappuccini di Genova era esposta la pagina del Registro dei ricoverati all'Ospedale di Pammatone il 5 dicembre 1746. Sono marcati, come vedete nell'immagine qui di seguito, 65 feriti, probabilmente coloro che parteciparono alla rivolta di Portoria contro gli Austriaci.

Registro dell'Ospedale di Pammatone
(foto di Antonio Figari)


32La pietra delle giuggiole ed il quartiere più dolce della Superba











C'è una piccola porzione dei vicoli che rievoca nei nomi delle sue strade le cose più dolci della natura: Vico del Cioccolatte, Vico dello Zucchero, Vico e Piazza della Fragola.
Siamo al Carmine, poco distanti dalla Salita dell'Olivella, da una parte, e dal Portello di Pastorezza, dall'altra, che nei loro nomi ci riportano al tempo in cui questa zona era ancora fuori dalle mura della città e percorsa da piccole mulattiere, campi  e terrazzamenti coltivati.
Le strade vicinali di campagna son divenute "creuze" più o meno grandi, i muri delle fasce coltivate son ora muri di contenimento di giardini o fondamenta di palazzine che qui iniziarono ad esser costruite nei secoli trasformando quella che era campagna nell'odierno quartiere del Carmine con i suoi caratteristici vicoli dove per fortuna il verde sopravvive ancora.
I nomi di questi vicoli derivano dal fatto che qui, nei secoli, si stanziarono i confettieri e coloro che lavoravano il cioccolato: al sol pensiero degli aromi che qui si spandevano nell'aria mi vien l'acquolina in bocca.
Sicuramente sarei venuto a far un giretto qui più volentieri in quell'epoca seguendo i profumi che si spandevano nell'aria come un'ape che punta al polline dei fiori in primavera.
In questa mia veloce descrizione mi sono volutamente dimenticato di una piazzetta, che nel suo nome rievoca la dolcezza di un frutto, la quale sorge poco distante da Vico del Cioccolatte, superata la stretta Salita Monterosso: Piazza della Giuggiola.

Visione notturna di Piazza della Giuggiola
(foto di Antonio Figari)

Ci si arriva camminando lungo antichi muri, avvolti dal silenzio che anche di giorno avvolge questa zona: e mi viene da pensare agli antichi Romani per i quali il giuggiolo era il simbolo del silenzio e per questa sua nomea veniva piantato nei templi della Dea Prudenza.
Torniamo alla nostra "mitica" pianta: quando arrivate nella piazza omonima guardatevi alle spalle, da dove siete arrivati, e vedrete in un piccolo orto un bell'albero di giuggiolo.

Il giuggiolo in Piazza della Giuggiola
(foto di Antonio Figari)

Il giuggiolo, "ziziphus vulgaris l.", noto anche come dattero cinese, è originario dell'Africa settentrionale e della Siria. Fu importato nelle nostre regioni dai Romani e tuttora è diffuso sopratutto in Veneto e in Romagna.
La crescita è molto lenta e ciò ci fa capire quanto antico sia l'esemplare di Piazza delle Giuggiole che si staglia nel cielo coi sui rami contorti e la corteccia corrugata, come il volto di una anziana signora.
I frutti del giuggiolo, grandi più o meno come un'oliva, hanno un colore che varia dal rosso porpora al marrone scuro, mentre la polpa è giallastra ed al centro vi è un nocciolo.

Un ramo carico di giuggiole
(foto di Antonio Figari)

Giuggiole cadute per terra
(foto di Antonio Figari)

Come saprete, da questa bella pianta, si ricava un antico e buonissimo, a parer mio, liquore ancora oggi preparato soprattutto in Veneto: il brodo di giuggiole diventato proverbiale per indicare una persona fuori di sé dalla contentezza. Oltre a questo il decotto di giuggiole era usato una volta come rimedio contro la tosse e per far guarire dalle infiammazioni, essendo riconosciute a questo frutto  proprietà medicinali.
Alberi di queste dimensioni, una volta diffusi nelle nostre campagne, sono oggi molto rari: ed è per questo, da appassionato botanico quale sono, che ho deciso di parlarvene nella pagine de "le PIETRE parlanti", ritenendolo un vero e proprio monumento del passato al pari delle altre "pietre" che Vi ho descritto e che Vi descriverò.

I rami del giuggiolo carichi di guggiole si confondono con la loro ombra
(foto di Antonio Figari)



Se Vi capita di passare in questa piazza come me a novembre o dicembre noterete l'albero spoglio da foglie ma pieno di frutti rossi, le giuggiole mature, che raggiungono infatti la maturazione completa alla fine della stagione calda. E' questo il periodo nel quale più mi affascina questa pianta così particolare.
Se invece passate di qui ad inizio estate, verso giugno, il giuggiolo vi accoglierà con i suoi fiori color bianco verdastri.


33. La pietra dei dragaggi

I dragaggi del porto di Genova e le esplosioni che scuotono i palazzi dei vicoli son un argomento molto attuale. In realtà sono secoli che con periodicità la città di Genova provvede all'abbassamento dei fondali del porto.
Se Vi capita di passare in Via del Molo, sul lato sinistro della Chiesa di San Marco, accanto alla lapide marmorea raffigurante il Leone di San Marco, trofeo di guerra che Vi ho descritto al paragrafo 2 di questa pagina, vi è un'altra lapide: essa, decorata con bellissimi fregi opera dei Della Porta, racconta che nel 1513 i Padri del Comune ordinarono lavori di dragaggio tra la Chiesa di San Marco e il Ponte dei Cattaneo

La lapide che ricorda i dragaggi nel porto di Genova
(foto di Antonio Figari)

Come ci ricorda la lapide marmorea i lavori costarono 16 mila lire genovesi e portarono la profondità del porto a 19 palmi. Erano 213 anni che non si provvedeva a questi lavori ed i fondali si erano ridotti a due palmi.


34. Le pietre antiche della Via Aurea

Da qualche tempo son in corso lavori nel sottosuolo di Via Garibaldi. Come sempre, quando si scava sotto un'antica strada c'è la possibilità che venga alla luce qualcosa di interessante. E così mi son deciso a monitorar questi scavi passando in Via Garibaldi due o tre volte alla settimana per osservare, come un vecchio pensionato, il cantiere dei lavori.
Il mio ottimismo e la mia fiducia negli scavi  sotterranei sono stati premiati: nei mesi invernali del 2012 son venuti alla luce tratti di antichi muri in laterizio (pare, dalle prime informazioni che son riuscito ad ottenere, ottocenteschi), di cui qui sotto avete qualche foto e qualche tempo dopo, all'altezza di Palazzo Rosso, è riemerso l'antico selciato di quella Via Aurea che fu ed è vanto dei Genovesi da secoli.

Resti di muri ottocenteschi sotto Via Garibaldi
(foto di Antonio Figari)

Era il tempo in cui Via Garibaldi era da poco diventata la via più elegante ed ambita dalla nobiltà genovese e questo selciato era giornalmente percorso dalla nobiltà della Superba: le verifiche eseguite hanno confermato che si tratta del selciato cinquecentesco frutto di due differenti interventi, l'uno con ciottoli più piccoli e l'altro con ciottoli di più grosse dimensioni. Sono altresì stati rinvenuti frammenti di ceramiche che hanno permesso di confermare che si tratta della prima pavimentazione della nuova via della nobiltà genovese, tracciata tra il 1558 ed il 1571.

L'antico selciato di Via Garibaldi
(foto di Antonio Figari
)

Particolare dell'antico selciato di Via Garibaldi
(foto di Antonio Figari
)

Prima che questa strada diventasse la Via Aurea genovese essa era chiamata Montalbano ed al posto dei palazzi nobiliari e delle feste sontuose qui vi era il pubblico postribolo e donne di malaffare che esercitavano la professione più antica del mondo.
Ancora non è stato deciso che fine farà l'antico selciato  alla fine dei lavori: l'idea che più mi avrebbe entusiasmato, quella di ricoprire il tutto con una lastra di vetro posta al livello dell'attuale selciato per permettere a queste antiche pietre di essere ammirate dai passanti, sembra non piacere alle Autorità cittadine.
Vedremo quale sarà la loro destinazione finale: per il momento esse purtroppo non sono più visibili in Via Garibaldi.
Settembre 2013: nel tratto di Via Garibaldi  davanti a Palazzo Lercari Parodi è venuto alla luce un altro tratto dell'antico selciato purtroppo ricoperto dopo pochi giorni, eccolo:

Il tratto dell'antico selciato venuto alla luce davanti a Palazzo Lercari Parodi
(foto di Antonio Figari)



35. Le pietre antiche di Via della Consolazione

Nel 2014 Via XX Settembre, una della principali arterie cittadine, è interessata da lavori nella rete Gas.
Come sempre, quando vi sono scavi in centro città, butto un occhio per vedere se riaffiora qualche segno del passato (vi ricordate le antiche pietre riemerse in Via Garibaldi? Sono descritte in questa pagina al precedente paragrafo).
Ebbene, nei primi giorni di agosto del 2014, all'altezza del Mercato Orientale sono state rinvenute le antiche pietre del selciato di Via della Consolazione.
Via XX Settembre infatti segue più o meno il tracciato dell'antica Via della Consolazione (il tratto tra piazza della Vittoria e il Ponte Monumentale) e Via Giulia (il restante tratto fino a De Ferrari). 
Per capire a che altezza si trovava Via della Consolazione rispetto all'odierna Via XX basta osservare il livello sottostrada in cui si trova il sagrato della Chiesa della Consolazione.
Oltre al selciato dell'antica Via sono stati inoltre rinvenuti resti di costruzioni postmedievali (presto caricherò le foto che ho fatto).


36. Le pietre della carità

In giro per i vicoli, agli angoli delle strade sotto le edicole votive, una volta vi erano molte cassette per le elemosine murate nelle antiche pietre dei palazzi nobiliari. 

Ancora oggi alcune di esse sopravvivono nel centro storico della Superba anche se, persa la loro antica funzione, sono spesso abbandonate e trascurate, testimoni silenziosi della carità e della devozione dei genovesi.
La più famosa, forse per la sua collocazione, è la cassetta posta sotto la splendida edicola votiva all'angolo tra Via di San Pietro della Porta e Via dei Conservatori del Mare.

La cassetta per le elemosine in Via di San Pietro della Porta
(foto di Antonio Figari)

Un'altra cassetta è posizionata all'angolo tra Via della Maddalena e Via della Posta Vecchia, sotto l'edicola votiva con entro il "mio" Santo, Sant'Antonio da Padova (a questa edicola e alla scritta che si trova sotto la statua del Santo è dedicato un paragrafo nella pagina de le EDICOLE votive).

La cassetta per le elemosine all'angolo tra Via della Maddalena e Via della Posta Vecchia
(foto di Antonio Figari) 

Una terza cassetta "sopravvive" in Via Giustiniani, quasi all'angolo con Via Chiabrera, incastonata nella facciata di Palazzo Giustiniani Franzoni, sotto un'edicola votiva con al centro un bellissimo tondo con la Madonna. Purtroppo di questa cassetta rimane solo il "buco" ed il segno delle cerniere dello sportello di metallo che permetteva la sua chiusura.

La cassetta per le elemosine in Via Giustiniani
(foto di Antonio Figari) 

La quarta cassetta da me censita si trova in Piazza Santa Maria degli Angeli: posizionata sotto un'edicola votiva oggi vuota, reca una scritta (ELEMOSINA NRA SIGNORA) e una data (1815). 

L'edicola vuota e sotto quel che rimane dell'antica cassetta per le elemosine
(foto di Antonio Figari)

 L'antica cassetta per le elemosine
(foto di Antonio Figari)

La piccola lapide sotto la cassetta
(foto di Antonio Figari)

La quinta cassetta che ho trovato nel peregrinare giornaliero nei "miei" vicoli è sita in Via delle Grazie, sotto l'edicola votiva posta all'angolo tra questa via e Via San Bernardo: di essa rimane, come per la cassetta di Palazzo Giustiniani Franzoni, solo il "buco" in facciata dove la cassetta era alloggiata.

Quel che rimane della cassetta per le elemosine di Via delle Grazie
(foto di Antonio Figari)

Altre due cassette per le elemosine, o meglio, ciò che ne rimane, si trovano in Vico delle Cinque Lampadi accanto ad un'edicola votiva con un ritratto della Madonna con Bambino, conservata entro una grata.

Quel che resta delle due cassette per le elemosine di Vico delle Cinque Lampadi
(foto di Antonio Figari)

L'ottava cassetta che ho trovato nei vicoli si trova alla destra del portale laterale della Chiesa delle Vigne: come recita la piccola targa marmoreo a fianco della cassetta, le offerte qui raccolte erano destinate ai massari della Chiesa. 

Quel che resta della cassetta per le elemosine alla destra del portale laterale della Chiesa delle Vigne
(foto di Antonio Figari)
 

Altre cassette per le elemosine sono poste rispettivamente in Piazza della Lepre angolo Vico della Lepre, in Vico Gesù, in Vico degli Indoratori angolo Via dei Conservatori del Mare e le ultime due in Vico del Filo angolo Vico delle Cinque Lampadi, tutte sotto altrettante edicole votive.
Per il momento sono queste le cassette per le elemosine che ho trovato nei vicoli di Genova. Se ne troverò altre le aggiungerò a questo paragrafo. E Voi, che leggete queste parole, aguzzate la vista e segnalatemi altre cassette dei vicoli della Superba se vi capita di imbattervici.


37. La pietra dell'antica numerazione civica


Non so se vi è mai capitato di passeggiar per Venezia e cercare un determinato numero civico. Lì, a differenza delle altre città, si segue ancora un antico sistema basato non sulla suddivisione in vie ma in sestieri: e così  dovrete cercare non un civico particolare in una certa via ma un numero civico all'interno di un intero quartiere.
Ebbene, se la cosa vi sembra strana sappiate che anche Genova fino a qualche secolo fa adottava  questo sistema.
C'è un palazzo dei vicoli che reca ancora in facciata, accanto al portone di pietra nera, il numero riferito all'antica numerazione civica per sestieri, è Palazzo di Negro in Piazza della Lepre n. 9, o, se volete, al n. 400 del Sestiere della Maddalena: insomma, due numeri, un solo luogo!

La doppia numerazione di Palazzo di Negro in Piazza della Lepre
(foto di Antonio Figari)


38. Le pietre scheggiate dai proiettili

Capita qualche volta di imbattersi in anziani che decidono di lasciarti un racconto della loro gioventù vissuta tra le bombe della Seconda Guerra Mondiale, quando poco più che bambini, si andava a giocare in mezzo alle macerie dei palazzi dei vicoli e si assisteva a sparatorie ed imboscate anche nel bel mezzo della città. E' così che ho scoperto che, in una delle zone più eleganti e tranquille della Superba, negli anni della guerra, ci furono sparatorie di cui rimangono ancora segni  visibili.
Se vi capita di passare in Corso Solferino osservate attentamente le inferiate lungo la scalinata che conduce in Via Palestro: ebbene, due di esse (non vi dico esattamente quali, aguzzate la vista!) portano ancora i segni dei proiettili di una sparatoria che qui ebbe teatro durante il secondo conflitto mondiale. 

(foto di Antonio Figari)
 
(foto di Antonio Figari)

Altri due segni di proiettili sono chiaramente leggibili in Via Balbi nelle inferriate che proteggono una finestra al piano terra di Palazzo Francesco Maria Balbi Piovera (poi Palazzo Raggio): guardate con attenzione e li vedrete.


39. La pietra che fu orologio ed il compositore

Il timpano del Teatro Carlo Felice
(foto di Antonio Figari)


Se, in cima a Vico Casana,  alzate lo sguardo sulla mole del Teatro Carlo Felice noterete, proprio in mezzo al timpano, un cerchio apparentemente senza significato.
In principio questo spazio ospitava la raffigurazione dello stemma civico cittadino, solo in seguito si decise di porre nel mezzo un orologio, la cui cornice è ancora oggi visibile, che divenne presto il regolatore ufficiale del tempo nel centro cittadino.
Si racconta che anche Giuseppe Verdi, che qui era solito passare, magari dopo essersi gustato un ottimo Falstaff dai Fratelli Klainguti di cui il compositore andava ghiotto (come descritto nella pagine de le BOTTEGHE storiche  al paragrafo 19, dedicato alla Pasticceria dei Fratelli Klainguti) regolasse i propri orologi da tasca (Verdi ne era un collezionista e ne aveva sempre quattro in tasca) adeguandoli all'ora del grande quadrante che troneggiava nel centro del timpano, come potete vedere in questa antica immagine:



Oggi purtroppo rimane solo uno spazio vuoto a ricordare quello che fu uno degli strumenti fondamentali per regolare il tempo nella vita cittadina.

Il quadrante vuoto di quello che fu l'orologio del Carlo Felice
(foto di Antonio Figari)
 

40. Le pietre "igieniche"

(foto di Antonio Figari)

Avete mai notato questo zoccolo di marmo sporgente posto in un angolo di Palazzo Interiano Pallavicino, poco distante da dove un tempo sorgevano le cosiddette "Fontane Marose"?
La sua funzione è tutt'altro che estetica: esso serviva ad evitare che questo angolo fosse usato a mo' di orinatoio.
"Riempire", per così dire, gli angoli dei palazzi dei vicoli con pietre, inferriate o con pregiati marmi come in questo caso, era quindi un metodo per preservare gli ambienti dal fetore e dalle malattie, in un'epoca nella quale non era difficile scorgere nelle locande persone che utilizzavano per i loro bisogni impellenti i muri interni delle stesse, come ci testimoniano molte rappresentazioni nei quadri e nelle stampe.
Questa pietra non è l'unica "pietra igienica" presente nei vicoli: ce ne sono due simili con decorazioni analoghe e dunque degne di nota, una in Via San Siro e una in Via dei Conservatori del Mare. In altri casi, come in Via Balbi ai lati dell'ingresso del Collegio dei Gesuiti, odierna sede della Facoltà di Giurisprudenza, sono poste lastre di pietra in posizione obliqua.
In Vico della Neve c'è invece un esempio di inferriate poste negli angoli sotto le colonne sporgenti aventi la stessa funzione igienica.



41. La "pietra" che ricorda la nascita di quella che non fu mai Via Imperiale

La lapide marmorea di Via Scurreria
(foto di Antonio Figari)

Quando imboccate Via Scurreria provenendo da Campetto, alzando lo sguardo sulla destra, noterete  una grande targa marmorea  la cui traduzione è la seguente:

“GIO GIACOMO IMPERIALE FIGLIO DI VINCENZO PER LA PUBBLICA E PRIVATA UTILITÀ E PROVVEDENDO AL DECORO DELLA CITTÀ PRESE E DISTRUSSE MOLTEPLICI ABITAZIONI, CON IL SUO DENARO SI CURÒ DI ERIGERE, ORNARE E APRIRE QUESTA VIA, ALLA QUALE È STATO IMPOSTO IL NOME DALLA FAMIGLIA DI COLUI CHE LA ERESSE 1587”.

Essa ricorda appunto la nascita di Via Scurreria ad opera di Gio. Giacomo Imperiale il quale, proprietario di una splendida dimora in Campetto (di cui trovate la storia nella pagina de i PALAZZI privati (prima parte)), a sue spese fece demolire alcuni suoi palazzi in zona o ne ridusse i volumi al fine di dare vita ad una larga strada che congiungesse Campetto alla Cattedrale di San Lorenzo.
L’alizeri ci fa notare che la lapide “dice altresì che la strada tolse indi innanzi a chiamarsi dagl' lmperiali: ma il volgo che non bada alle epigrafi, tenne pur fermo a chiamarla del nome antico, e anche oggi ci é nota per Scurreria, storpiatura del titolo Scutaria che ha in comune colle vicine". Ed è questa forse la cosa più curiosa: nonostante il nobiluomo avesse fatto costruire a sue spese la strada e ottenuto che la stessa prendesse nome dalla sua casata, per tutti i Genovesi essa rimaneva la via delle botteghe degli artigiani che con la loro arte davano vita agli splendidi scudi lavorati a sbalzo, dorati ed istoriati per i valorosi condottieri della Repubblica (che si vedono in tanti affreschi nei palazzi nobiliari della Superba) e così la continuarono a chiamare fino ai giorni nostri. Chiedete a qualcuno di indicarvi Via imperiale quando siete in Campetto e vedrete la sua aria stranita, provare per credere!


42. La pietra di Mazzini 

C'è una scena che da più di un secolo ha come palcoscenico Piazza Corvetto e la vicina collina sulla quale si arrampica Villetta Di Negro: come saprete, al centro della piazza c'è il monumento a Vittorio Emanuele II e verso nord, poco sotto Villetta Di Negro, quello di Giuseppe Mazzini posizionato in cima ad una colonna di marmo.
Giuseppe, pensieroso e con le mani conserte, ha in mano dei fogli, forse un proclama da leggere. Alla base della colonna vi sono due figure allegoriche: a destra il Pensiero, rappresentato da una figura femminile pensierosa con gli occhi fissi e lo sguardo malinconico, e sulla sinistra l'Azione, rappresentata da una figura maschile che con il braccio destro addita lo stendardo con il motto "Dio e Popolo".
C'è un altra versione più colorita, raccontata dai vecchi genovesi: si dice che Mazzini, colto da un improvviso ed urgente "bisogno", stia pensando dove farla. Giuseppe ha sotto braccio la carta, e la figura sotto di lui gliene porge altra. Il Re, accortosi dell'imprevisto occorso al Mazzini, gli porge il cappello (visto l'odio dei Genovesi per quel re che fece bombardare Genova chissà quanti vorrebbero fargliela nel cappello!).
Alla scena assiste, con disappunto e sguardo severo, la madre di Mazzini, Maria Drago, il cui busto e' posizionato tra il figlio e il re.
Ora che anche voi conoscete questa versione dei fatti, forse come me guarderete queste statue con aria diversa e ci farete su una risata.

Monumento a Giuseppe Mazzini 
(foto di Antonio Figari)

A cosa pensa questa statua?
(foto di Antonio Figari)

Perché questa statua tiene la carta in mano?
(foto di Antonio Figari)



Il busto di Maria Mazzini
(foto di Antonio Figari)



Il monumento a Vittorio Emanuele II
(foto di Antonio Figari)




43. La pietra che permette di chiudere il vicolo

Vico dei Griffoni
(foto di Antonio Figari)



All'imbocco di Vico dei Griffoni, quasi all'angolo con Via al  Ponte Calvi, c'è una lapide marmorea.


La lapide marmorea all'imbocca di Vico dei Griffoni
(foto di Antonio Figari)
Sapete cosa c'è scritto?
Viene dato il permesso al marchese Filippo Cattaneo, figlio di Giacomo, di posizionare un cancello nel vicolo per impedirne l'accesso notturno con l'onere però di tenerlo aperto durante il giorno, il tutto datato 25 gennaio 1686.


44. Le pietre che vietano il passaggio dei veicoli condotti a mano

"E' vietato il passaggio ai veicoli e carretti a mano": così e' inciso in due piccole "pietre parlanti" in marmo all'imbocco di Via Canneto il Curto sia provenendo da Via San Lorenzo che da Piazza Cinque Lampadi.
Il perché di questo divieto e' presto spiegato: un tempo Canneto il Curto era la prima via carrabile a nord dei portici di Sottoripa che, partendo da Piazza San Giorgio, tagliava da est a ovest i vicoli per poi proseguire in Via San Luca, Via del Campo e Pre'.
Data la sua importanza per i trasporti cittadini questa strada veniva riservata ai veicoli più veloci condotti dagli animali.
I carretti condotti a mano invece dovevano transitare in altre vie.
Ecco le due "pietre parlanti": 

La "pietra parlante" in Canneto il Curto angolo Via San Lorenzo
(foto di Antonio Figari)


La "pietra parlante" in Canneto il Curto angolo Piazza Cinque Lampadi
(foto di Antonio Figari)



45. La pietra che vieta la circolazione dei cani in Galleria Mazzini

In Via Roma, su una colonna di uno dei fornici di Galleria Mazzini, c'è ancora appeso un vecchio cartello, saldamente ancorato al marmo, che recita:  "Vietata la circolazione dei cani in Galleria Mazzini."
Questo antico  e oramai non rispettato divieto, come recita la scritta in basso a destra del cartello, è un Decreto del Sindaco (D.S.) del 23 febbraio 1922.

La "pietra parlante" in Via Roma sulle colonne i Galleria Mazzini
(foto di Antonio Figari)
 


46. Le pietre che battono i portoni


Ci sono "pietre" nei vicoli imprigionate o meglio inchiodate nei portoni dei palazzi nobiliari e condannate a battere ferro contro ferro per annunciare l'arrivo di un ospite.
Come avrete capito mi sto riferendo ai battenti: di diverse forme e dimensioni, essi sono piccole opere d'arte che riflettono la bellezza del palazzo a cui sono legate.
I battenti persero la loro funzione con l'avvento dell'elettricità che portò con sè l'innovazione dei campanelli acustici. 
Di seguito troverete una piccola selezione dei più belli che ho "incontrato" nei vicoli, o meglio, quelli che più mi piacciono, alcuni li avrete visti di sicuro, come quello di Palazzo Ducale (che mi ha sempre affascinato e che da piccolo avevo soprannominato "il tritone in altalena") o di Palazzo Imperiale in Campetto, altri invece sono inchiodati su palazzi meno conosciuti, eccoli:

Il battente a guisa di Tritone sul portone di Palazzo Ducale
(foto di Antonio Figari)
 
Il battente sul portone di Palazzo Imperiale in Campetto
(foto di Antonio Figari)
  
Il battente sul portone del palazzo di Vico Fasciuole al civico 14
(foto di Antonio Figari)

Il battente sul portone del palazzo in Piazza Pinelli al civico 1
(foto di Antonio Figari)

Il battente sul portone del palazzo in piazza Pinelli al civico 3
(foto di Antonio Figari)



Il battente sul portone di palazzo Stefano Squarciafico in Piazza Invrea
(foto di Antonio Figari)


Il battente sul portone di palazzo De Franchi in Piazza San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Il battente sul portone di palazzo Cattaneo in Piazza Cattaneo
(foto di Antonio Figari)

Di seguito ecco le foto dei due battenti sul portone di Palazzo Nicolosio Lomellino al civico 7 di Via Garibaldi, gli unici nella Via Aurea che si discostano dai tradizionali batacchi ad anello: essi sono esempi di quei battenti a guisa di animali mostruosi o maschere sbeffeggianti che erano inchiodate agli antichi portoni per tenere lontani gli spiriti malvagi e come monito per i nemici e tutti coloro che stavano per varcare la soglia del palazzo.

Uno dei battenti sul portone di palazzo Lomellino in Via Garibaldi al civico 7
(foto di Antonio Figari)

L'altro battente sul portone di palazzo Lomellino in Via Garibaldi al civico 7
(foto di Antonio Figari)



47. La pietra del pozzo di San Siro


La lapide che ricorda il luogo ove era ubicato il pozzo in San Siro
(foto di Antonio Figari)

Nella discesa che dalla Chiesa di San Siro porta in Fossatello, ancora oggi, incastonata tra gli archi di una casa torre medievale, c’è una piccola lapide marmorea raffigurante San Siro e il Basilisco che recita:


+ HIC EST PUTEUS ILLE
EX QUO BEATISSIMUS SY
RUS EPS QUONDAM IANUEN
EXTHRASIT DYRUM SER
PENTEM NOMINE 
BASILISCUM
CCCCCLXXX

(Qui è il pozzo dal quale il Beatissimo Siro Arcivescovo di Genova fece uscire il terribile serpente di nome Basilisco 580)

Racconta Jacopo da Varagine nella sua "Leggenda Aurea" che qui sorgeva un pozzo nel quale soggiornava un animale dalle forme bestiali e dall’alito infame, il Basilisco, con il corpo di serpente, la testa e le zampe di gallo. Siro, per liberare la Superba, dopo tre giorni di preghiera e digiuno, si fece calare nel pozzo dove dimorava l’orrida bestia. Dopo averla ammansita la portò in superficie con sé: alzatolo sul pastorale e mostrato alla folla, che nel mentre era accorsa da tutta la città dopo aver ricevuto la notizia dell’impresa miracolosa, Siro indicò al Basilisco il mare e la bestia, oramai ammansita dal Santo, si diresse verso l’acqua attraverso uno stretto vicolo che da Fossatello portava in Sottoripa e che prese il nome “del Basilisco” (vicolo chiuso nel 1798 quando proprio in quel luogo venne edificato un edificio).
Il pozzo venne murato nel 1347 per volere del Doge Giovanni da Murta e in seguito una lapide (quella ancora oggi visibile) venne collocata nel quale lo stesso sorgeva.
La cacciata del Basilisco deve essere interpretata come la vittoria della Fede Cristiana contro la nascente eresia ariana: l’orrido fiato della bestia rappresenta le false ideologie e gli artigli delle zampe il pericolo di essere catturati e avvolti da queste credenze.
Il miracolo del Basilisco è raffigurato nel catino absidale della chiesa di San Siro, a pochi passi dal sopra descritto pozzo, mentre in due splendide pale d'altare, una conservata nella Chiesa di San Siro di Struppa e l'altra nella Chiesa Plebana di San Siro a Nervi, l'orrida bestia è raffigurata ai piedi di San Siro.


48. Le pietre scalfite dai carri


Una foto di Piazza Caricamento, scattata da Alfred Noack Piazza nel 1880 circa, nella quale si nota una moltitudine di carretti


In Sottoripa un tempo, sotto i portici, scorrazzavano molti carri che portavano alle botteghe la merce scaricata dalle navi in porto.
Ancora oggi sono visibili sui lati di alcuni paletti in pietra sotto i portici i segni dei
mozzi delle ruote di questi carretti che a furia di scontrarsi contro i paletti stessi hanno nei secoli scalfito la parte centrale degli stessi.

Uno dei paletti in Sottoripa scalfiti dai carri
(foto di Antonio Figari)



49. La pietra dell'albero di vite 

Quando associamo la parola vigna ai vicoli di Genova, subito ci viene in mente la zona detta "delle Vigne", dove anticamente erano coltivati appunto, gli alberi di vite, prima che questa zona fosse inglobata nella città, perdendo la sua vocazione rurale.
Troviamo alberi di vite nei giardini rinascimentali genovesi, dove spesso splendidi pergolati eerano ricoperti da questa pianta, e nei giardini pensili nei palazzi nobiliari nei vicoli.
Fino a pochi anni fa sopravviveva una antica vite in Piazza Leccavela che, come potete vedere nella foto qui di seguito, si arrampicava lungo la facciata di un palazzo arrivando al terrazzo dell'ultimo piano. Purtroppo oggi di essa non rimane traccia.
Se volete osservare una vite nei vicoli, dovete fare un passo nel chiostro delle Vigne.
Tralci di vite sono poi scolpiti sull'altare della Basilica delle Vigne, a perenne ricordo di questa antica pianta che aveva dimora proprio dove oggi sorge questa splendida Chiesa.


L'albero di vite in Piazza Leccavela
(foto di Antonio Figari)
 


50. Le pietre d'inciampo

Ci sono pietre parlanti nel centro di Genova che ci narrano gli orrori del Novecento: si tratta delle pietre d'inciampo (in tedesco "Stolpersteine") che commemorano il destino delle vittime della Shoah. 
Pensate, ideate e collocate in loco dall'artista tedesco Gunter Demning, che in Europa ha già posato più di 71.000 pietre (numero rilevato all'inizio del 2019), a Genova ve ne sono ventiquattro posizionate in dodici diversi punti della città.
La prima fu collocata dall'artista il 29 gennaio 2012 all'imbocco di Galleria Mazzini lato Teatro Carlo Felice, a ricordo del rabbino capo di Genova Riccardo Reuven Pacifici, nel punto esatto in cui lo stesso fu arrestato il 3 novembre 1943. Deportato ad Auschwitz, fu lì assassinato il giorno 11 dicembre 1943. 

La pietra d'inciampo in ricordo di Reuven Riccardo Pacifici
(foto di Antonio Figari)
 
La seconda è stata posata il 7 marzo 2013 in Via Roma al civico 1 in ricordo di Giorgio Labò, che qui visse con la famiglia: studente di architettura nato a Modena e vissuto a Genova, giovanissimo si unì alla Resistenza e fu ucciso al Forte Bravetta a Roma il 1° febbraio 1944; per i suoi meriti gli venne conferita la medaglia d'oro al valore militare.
La città di Genova a Labò ha dedicato una piazza, a due passi da dove abitava: si tratta dello piccolo slargo tra Galleria Mazzini e il teatro Carlo Felice.
Nel 1983 è stata costituita a Genova una fondazione che fu intitolata a lui e a suo padre, Mario Labò, una delle personalità più rilevanti nel campo delle ricerche sull'architettura e sulla città: la "Fondazione Mario e Giorgio Labò, Centro di Ricerca sulle trasformazioni urbane e territoriali".

La pietra d'inciampo in ricordo di Giorgio Labò
(foto di Antonio Figari)

La terza pietra d'inciampo genovese è stata collocata il 16 gennaio 2017 in Via Barabino al civico 26 in ricordo di Ercole De Angelis, nato a Casale Monferrato il 16 febbraio 1882, che qui abitava: catturato il 2 ottobre 1944 e deportato a Flossenburg, fu in quel luogo assassinato il 18 aprile 1945 (il giorno del mio compleanno, e la cosa, pensandoci, mi fa ancora più male).

La pietra d'inciampo in ricordo di Ercole De Angelis
(foto di Antonio Figari)


Una quarta pietra d'inciampo è stata collocata nel 2020 in Corso Montegrappa al civico 37 in ricordo di Italo Vitale, nato a Genova il 1° agosto 1886, che qui abitava: arrestato il 10 dicembre 1943, fu dapprima condotto nel Carcere di San Vittore a Milano e poi deportato ad Auschwitz. Morì durante il trasportoverso il campo di concentramento come ci ricorda la "sua" pietra.
 
La pietra d'inciampo in ricordo di Italo Vitale
(foto di Antonio Figari)

 

Il 25 gennaio 2022 sono state posizionate altre sei pietre d’inciampo: due in Salita San Francesco al civico 7, a ricordo dei coniugi Emanuele Cavaglione e Margherita Segre Cavaglione, e quattro in Via  Giovanni Bertora, a fianco alla Sinagoga, ai piedi del monumento a ricordo del Rabbino Riccardo Pacifici, in memoria della famiglia del custode del tempio israelitico, Albino Polacco, la moglie Linda e i figli Carlo e Roberto.

I coniugi Emanuele Cavaglione (nato a Genova il 17 marzo 1880) e  Margherita Segre Cavaglione (nata a Casale Monferrato il 30 novembre 1893), che abitavano in Salita San Francesco, furono arrestati il 7 marzo 1944 e in seguito deportati nel campo di concentramento di Auschwitz  perché traditi da delatori italiani che li avevano denunciati, delatori che dopo la guerra furono processati e condannati.

Come ci ricordano le "loro" pietre d'inciampo, entrambi furono assassinati ad Auschwitz il 30 giugno 1944.


Le pietre d'inciampo in ricordo di Emanuele Cavaglione e Margherita Segre Cavaglione
(foto di Antonio Figari)


La famiglia Polacco invece fu catturata insieme a molti altri ebrei nella retata del 3 novembre 1943.

Particolarmente triste fu la storia di Albino Polacco: con la minaccia di uccidere i suoi due figli Carlo e Roberto, i nazisti costrinsero Albino, custode della Sinagoga, a telefonare a tutti gli ebrei per radunarli nel tempio. Fu così che iniziò la retata del 3 novembre 1943. Inutile dire che il suo gesto, compiuto sotto minaccia per salvare la vita ai propri figli, non sortì alcun effetto e la famiglia Polacco insieme ad altri 20 ebrei fu deportata nel  campo di concentramento di Auschwitz. 
Una curiosità: il 26 gennaio 2001 la Scuola genovese De Scalzi in Via Vincenzo Ricci è stata co-intitolata ai fratelli Roberto e Carlo Polacco. Fu scelta questa scuola poiché nel 1938, con l'entrata in vigore delle leggi razziali, questo istituto accolse gli alunni ebrei espulsi dalle altre scuole (ancora oggi sono conservati nell'archivio della scuola i registri di quel periodo riportanti la dicitura "scuola speciale razza ebraica").

Le pietre d'inciampo a ricordo di Albino Polacco, Linda Polacco, Carlo Polacco e Roberto Polacco
(foto di Antonio Figari)

L'undicesima pietra d'inciampo a Genova è stata posizionata il 24 ottobre 2022 in Via Mameli al civico 1 in memoria di Bruno de Benedetti, pediatra di origini ebraiche.
La pietra ci ricorda che lo stesso nacque nel 1911, fu arrestato il 2 dicembre 1943, deportato ad Auschwitz e assassinato il 31 dicembre 1944 nel campo di concentramento di Dachau-Kaufering.
Quello che invece possiamo solo immaginare è la sua sofferenza e quella dei suoi familiari, in particolare della moglie Armanda alla quale Bruno inviò 150 lettere per narrarle gli orrori della prigionia.

La pietra d'inciampo in ricordo di Bruno de Benedetti
(foto di Antonio Figari)


Mercoledì 10 gennaio 2024 sono state posate a Genova dall'artista tedesco che le ha inventate,  Gunter Demnig, tredici nuove "Stolpersteine" per ricordare altrettante vittime della Shoah.  
Tre sono state collocate davanti al civico 5 di Corso Magenta in memoria di Ida Foa, Arturo Valabrega e Luciano Valabrega (madre, padre e figlio): arrestati il primo dicembre 1943 prima di riuscire a fuggire in Svizzera, furono dapprima portati nel campo di concentramento e transito di Fossoli nei pressi di Carpi in Emilia Romagna e poi deportati ad Auschwitz il 22 febbraio 1944, insieme a Primo Levi, da dove non torneranno.
Sette pietre sono state collocate davanti al civico 21 di Via Padre Semeria in ricordo di Giorgina Milani, Ettore Sonnino, Bice Sonnino, Maria Luisa Sonnino, Giorgio Sonnino, Roberto Sonnino,  e Paolo Sonnino, arrestati il 12  ottobre 1944. Di tutta la famiglia Sonnino solo Piera riuscì a tornare a casa.
In Via Dufour 11 rosso a Cornigliano è stata posta una pietra  d'inciampo a ricordo di Francesco Moisello, arrestato perchè collaboratore dei partigiani e deportato nel campo di concentramento di Hersbruck.
In Via Casaregis  4A è stata posta una pietra a ricordo di Bellina Ortona arrestata il 7 febbraio 1944 e deportata ad Auschwitz il 22 febbraio di quell'anno.
L'ultima delle tredici pietre collocate il 10 gennaio 2024 è stata posta in Via Felice Cavallotti 11 a ricordo di Marco Rignani, uno degli ebrei rastrellati nella sinagoga di Genova durante la retata il 3 novembre 1943. Rignani morì durante la deportazione ad Auschwitz.


51. La pietra che ricorda il taglio della facciata di San Siro

Nel 1620, per ragioni di pubblica utilità, un angolo della facciata della Chiesa di San Siro venne tagliato così da permettere di allargare la strada che costeggia la Chiesa e che conduce in Via San Luca.
A futura memoria, i Padri Teatini posero una lapide sulla parte della facciata tagliata, ancora oggi visibile, nella quale sono descritte con dovizia di particolari (come vi mostra la foto qui sotto) le misure dell'angolo dell'edificio che dovette essere "sacrificato".


La lapide sulla facciata della Chiesa di San Siro
(foto di Antonio Figari)



Particolare della lapide dove sono indicate le misure del "taglio"
(foto di Antonio Figari)



52. La pietra con le parole di Leonardo da Vinci 

Se Vi capita di passare in Piazza Corvetto, fermatevi un attimo davanti alla vetrina di Jost, antica orologeria fondata nel 1902, e date un'occhiata alle parole incise sul marmo. Esse recitano:

L'ACQUA CHE TOCCHI DE' FIUMI
E' L'ULTIMA DI QUELLA CHE ANDO'
E LA PRIMA DI QUELLA CHE VIENE
COSI'L TEMPO PRESENTE

Queste parole sono tratte dagli "Scritti letterari" di Leonardo da Vinci, una splendida citazione per un negozio che vende oggetti per misurare il tempo presente.


53. La pietra della stazione meteo 

Nell'autunno del 1881, il signor Adolfo Fries, ottico, nato a Brünn nel 1829 e residente a Genova in Via Carlo Felice (l'attuale Via XXV Aprile), dona al Comune "un barometro metallico ed un termometro di grande formato".
L'anno seguente, Giacomo Doria, fondatore e direttore per oltre quarant'anni del Museo di Storia Naturale che oggi porta il suo nome, lamenta il fatto che non si sia ancora provveduto "non solo per riguardo al  donatore, ma eziando per non essere inferiori alle altre città, in cui vediamo, nei luoghi frequentati dal pubblico, tener alto conto di tutto ciò che può contribuire all’educazione del popolo".
Erano infatti molto diffusi, come si evince anche dalle parole del Doria, nelle principali città europee, piccoli monumenti come il nostro di Piazza Corvetto, ed altrettanto diffuso era, a quanto pare, il malcostume italiano di lasciar passare troppo tempo tra il dire e il fare, l'essere insomma intrappolati nella burocrazia.
Il 2 maggio 1882 il Regio Delegato Straordinario ringrazia ufficialmente il Signor Fries per il dono dei due strumenti, comunicandogli che sarebbero stati collocati come da sua richiesta “nell’ex Villetta Dinegro”.
Il 2 aprile 1883 la Giunta Municipale approva il disegno e la spesa (200 lire)  per la colonna di ghisa che dovrà contenere gli strumenti donati dal Fries.
La piccola  stazione meteo è oggi collocata in Piazza Corvetto, lato Prefettura, e ha recuperato il suo antico splendore grazie ad un genovese, Giancarlo Trucco, che, con il suo intervento da moderno mecenate, ha permesso che questo piccolo gioiello ottocentesco ritrovasse la sua funzionalità dopo che un furto lo aveva privato dell'antica strumentazione originale.


La stazione Meteo in Piazza Corvetto
(foto di Antonio Figari)



54. La pietra di Piazza San Sepolcro

In una piccola piazza tra le Vigne e San Luca, che prende il nome da un oratorio oggi scomparso (di cui Vi parlo nella pagina de gli ORATORI e le CASACCE), su un anonimo palazzo costruito nel secondo dopoguerra, è murata una  lapide marmorea.
Essa racconta che questa piccola piazza ("hec plateola") e il palazzo ("domus magna") furono venduti a Luca Spinola dagli eredi di Brancaleone e Antoniotto Grillo il 1° settembre 1496.
Il palazzo di  cui si parla è lo splendido Palazzo Brancaleone Grillo che insiste su questa piazza e che trovate descritto nella pagina de i PALAZZI privati (prima parte).


La piccola lapide in Piazza San Sepolcro
(foto di Antonio Figari)



55. La pietra del giuoco del pallone

Da piccino frequentavo l'asilo dalle suorine che avevano e hanno tuttora il loro istituto in Salita Superiore San Gerolamo. Qualche anno fa, mentre mi dirigevo a salutare le "mie" suorine, a poco distanza dall'istituto, in Via Accinelli, mi imbattei per caso in una curiosa targa che così recitava: "Via Accinelli già Largo del Giuoco del Pallone".
Consultando le mappe ottocentesche della zona si nota proprio un lungo spiazzo che era adibito a questo scopo.
Nella descrizione di Genova dell'anonimo viaggiatore del 1818 troviamo queste parole: "In faccia è il baluardo detto delle Turchine che offre pure un commodo per un altro gioco da pallone; e, per una strada più spaziosa e sempre bene impietrata, sotto le mura dell'antico recinto, discendesi alla Porta del Portello che a strada Nuova introduce".
Era dunque lungo le Mura che correvano parallele all'attuale Corso Firenze, poco distante dal Monastero delle Turchine, sul lato orientale di quella che oggi è Piazza Goffredo Villa, che si praticava questo sport, prima che l'urbanizzazione di fine Ottocento occupasse questi spazi.
Il luogo dove sorgerà il campo per il gioco del pallone, fuori dal "recinto", ospitavano nel XVIII secolo il cimitero degli Ebrei. 








A proposito di gioco del pallone, non si può non citare il luogo più famoso dove poterlo osservare nel XIX secolo e cioè presso le mura dell'Acquasola, come testimoniato da questa stampa acquarellata ottocentesca di Domenico del Pino, facente parte delle collezioni cartografica e topografica del Comune di Genova. Queasta veduta è anteriore alla sistemazione del parco ad opera del Barabino.







56. La pietra dei "faeri da posta"

Palazzo Spinola di Luccoli - Bavestrino, sito in Piazza Fontane Marose al civico 1, fu nell'Ottocento sede delle Regie Poste per le diligenze in arrivo dalla Francia e dalla Riviera di Ponente. 

La cancellata in ferro a fianco del palazzo che ancora oggi separa Piazza Fontane Marose da Via Luccoli è detta dei "faeri da posta" poichè a questi "ferri" venivano legati i cavalli delle diligenze postali.


57. La pietra del "quartiere dei maiali"

Ci sono nomi di vicoli che rimandano all'antica denominazione del luogo: vi siete mai chiesti perchè la Via dei Macelli e la Piazza poco distante si chiamino "di Soziglia"?
L'origine del nome derivererebbe da due termini: "sus" che significa maiale ed "eia" che sta per quartiere.
Venne scelto questo luogo per la macellazione delle carni per l'abbondanza d'acqua:  qui infatti scorreva un rio, che tuttora è presente sebbene tombinato e dunque non visibile, il Rio Bachernia.
Lungo Via dei Macelli venne edificato dal Comune nel XIV Secolo, in un isolato che ha per perimetro le odierne Via dei Macelli di Soziglia, Vico Lavagna, Via Luccoli e Vico Sottile, il cosiddetto "Macello Nuovo" di cui trovate la storia nella pagina de gli EDIFICI pubblici.


(foto di Antonio Figari)

 

58. La pietra della colonna romana in Piazza Dante

Nell'area compresa tra la Casa di Colombo, il chiostro di Sant'Andrea e Via Dante, se osservate bene potrete notare una bella colonna antica.
Si tratta di una colonna romana che si trovava originariamente nelle collezioni di Palazzo Bianco.
Su di essa è incisa una lunga iscrizione latina, ideata dal Professor Achille Beltrami (il cui nome è inciso in fondo alla colonna), che narra che qui vi è la casa di Colombo, il chiostro di Sant'Andrea e che questo era il luogo di sepoltura di Greci, Etruschi e Campani (qui sorgeva infatti, fuori dalle mura della città, un'antica necropoli i cui resti furono rinvenuti duranti i lavori di sitemazione della moderna Piazza Dante).




59. La pietra del Duca di Galliera
 
Raffaele De Ferrari, Duca di Galliera, fu uno dei più grandi benefattori della cittàò di Genova.
Tra le tante opere a favore della sua città natale, la più meritoria è senz'altro la donazione nel 1876 di  venti milioni di lire in oro (cifra stratoferica per l'epoca) per l'ampliamento del porto con la costruzione di una nuova diga foranea. Tale cifra permise che i lavori, rimandati da tempo, potessero finalmente iniziare.
Dopo la sua morte, avvenuta il 26 settembre 1876, il Comune di Genova incaricò Giulio Monteverde di realizzare un monumento in suo onore.
Si tratta di un complesso bronzeo, poggiante su una base in granito di otto metri per otto e alto in totale oltre 13 metri (6 metri solo la scultura), costituito da tre figure, allegoria della generosità: in mezzo campeggia la Munificenza con in mano un piatto pieno di monete, accanto alla sua destra il Genio Alato e alla sinistra il dio Mercurio, rappresentante il Commercio (tre caratteristiche che fecero grande il Duca).
Questo splendido monumento, dopo esser stato smontato dalla sua originaria collocazione (si trovava a pochi passi dalla Stazione Marittima e accanto al Palazzo del Principe) per far spazio ai lavori della Metropolitana e dimenticato per anni in un deposito comunale, è ora in fase di riedificazione in fondo a Via Corsica: finalmente la città di Genova rende onore ad un suo grande concittadino il cui monumento sarà di nuovo visibile da tutti coloro che arriveranno in porto.
Una curiosità: sulla rotonda di Carignano, a pochi passi da dove è stato collocato il monumento al Duca, troneggiava nel 1941 un grande monumento dedicato a Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, abbattuto alla fine del Ventennio.


Il monumento nella sua collocazione originaria

 
Il monumento nella sua collocazione attuale in fondo a Via Corsica



60. La pietra della Duchessa di Galliera

Il 9 dicembre 1888 moriva, nella suo palazzo parigino in Rue de Varennes, Maria Brignole Sale Duchessa di Galliera. 
Il giorno seguente il Consiglio di Amministrazione dell'Opera Pia De Ferrari Brignole Sale stabiliva "di erigere un monumento nell'Ospedale di S. Andrea degno di Colei che fu esempio insuperato di carità e di affidare l'opera allo scultore Monteverde".
Giulio Monteverde propose due progetti: il primo rappresentante "la Grande Benefattrice seduta sopra il trono Ducale in atto che, dopo avere esaminato il progetto dell'Ospedale, ne dà l'ordinazione per l'esecuzione" (prezzo per l'esecuzione e consegna alla stazione di Genova medesimo fissato in lire centomila) ed il secondo composto da "un gruppo di cinque statue non minori del vero, rappresenterebbe la Munificente Signora Duchessa seduta sopra il trono con due gradinate ai lati, da una parte una donna con un fanciullo tenuto al proprio seno, in atto di avere di già ricevuto il beneficio, bacia il lembo del manto Ducale. Dall'altra, la figura di un uomo giovane che sostiene un povero vecchio cadente per l'età e sofferente condicendolo all'Ospedale" (prezzo per l'esecuzione e consegna alla stazione di Genova del monumento medesimo fissato in lire duecentocinquantamila).
Una nota sottolineava che "le sottofondazioni sia del 1° che del 2° progetto saranno a carico come d'uso ai Sig. Committenti" mentre lo scultore "si obbligherebbe di assistere al collocamento in opera del monumento".
Il Consiglio di Amministrazione scelse "il progetto di maggiore valore" ovvero il secondo.
Il monumento alla Duchessa "simboleggiante la sublime missione della carità" (parole del Vice Presidente dell'Opera Pia) venne inaugurato il 19 giugno 1898.
Un curiosità: all'inaugurazione del monumento fu invitato anche il figlio della Duchessa, Filippo, che, per voce del suo avvocato, fece sapere di non riuscire ad intervenire.



61. Le pietre a mosaico di Piazza Invrea

Nel 1950, in Piazza Invrea, durante i lavori di ricostruzione di un edificio distrutto dai bombardamenti dell'ultimo conflitto mondiale, fu scoperto un pavimento a mosaico costituito da un tappeto di tessere bianche incorniciato da una balza di tessere nere. 
Questo pavimento, risalente al I secolo a.c., aveva una dimensione di 6 metri per 4 anche se in origine doveva essere certamente più vasto e faceva parte di una dimora signorile sulla quale, nel Medioevo, fu impostata una torre della famiglia Squaciafico (trovate storia e immagini della stessa al paragrafo 27 nella pagina dedicata a le TORRI di GENOVA).
Probabilmente a questo edificio appartenevano anche due trochi di colonne in marmo rinvenuti in questa piazza nel XVI Secolo.
Dopo i lavori di sbancamento che hanno portato alla costruzione di un garage, tutto ciò che rimane di questo antico pavimento è un ritaglio dello stesso incorniciato e visibile nell'atrio di Palazzo Lercari al civico 8 di Piazza Invrea.


(foto di Antonio Figari)

 

62. Le pietre parlanti sui portali marmorei 

62.1 La pietra del bene compiuto in Vico Lepre n. 5

Il bel portale del palazzo in Vico Lepre al civico 5 reca nel centro una iscrizione latina che recita:

"QUODCUMQUE BONI EGERIS AD DEUM REFERTO"
(Venga riferita a Dio qualunque cosa avrai fatto di bene")

Coloro che vollero nel '500 adornare il proprio palazzo con queste parole mai si sarebbero immaginati che qui nel XX Secolo sarebbe sorta una delle case di tolleranza più rinomate di Genova, il "Lepre", gestito dalla famosa Madama Rina.
Ed ecco che, come per uno scherzo del destino, le parole del portale sembrano essere state messe lì quasi a dispetto di tutti coloro che varcavano quella soglia per entrare nella casa di piacere e forse, oltre che del bene, a Dio sarebbe stato riferito anche il male ed il peccato compiuto. 





62.2 La pietra del risparmio in Via Luccoli n. 26

Sul portale di palazzo De Mari, sito in Via Luccoli al civico 26, di cui avete storia e immagini nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte), campeggia la seguente iscrizione latina:
 
"SUMPTUS CENSUM NON SUPERET"
(la spesa non superi la ricchezza)

Queste parole ricordano il detto "non fare il passo più lungo della gamba"  riassumono alla perfezione il pensiero del buon genovese, attento nello spendere il denaro, parsimonioso ma non avaro come dipingono le malelingue.


62.3 La pietra di Virgilio in Via del Campo n. 1

Sul portale di palazzo Gio Batta Centurione, sito in Via del Campo n. 1, di cui avete storia e immagini nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte), campeggia la seguente iscrizione latina:
 
“SIC NOS NON NOBIS”
(così noi, non per noi)
 
Questa frase ricalca, con una variazione del soggetto (“noi” al posto di “voi”), l’espressione latina "Sic vos non vobis", attribuita a Virgilio. Il poeta avrebbe scritto questo verso per rivendicare la paternità di altri suoi versi, di cui il poeta Batillo si era appropriato, ricevendone lodi dall’imperatore Augusto. Questa espressione è utilizzata sia per esprimere la delusione nel constatare che altri abbiano ricavato vantaggi dal nostro lavoro, sia, come nel nostro caso, per dire che ciò che si è fatto non è stato fatto per noi o a nostro vantaggio ma a favore del prossimo.
 
 
62.4 La pietra di Cicerone in Via al Ponte Calvi n. 6

Sul portale di palazzo Cambiaso, sito in Via al Ponte Calvi n. 6, campaeggia al segue iscrizione latina:
 
"NON DOMO DOMINUS
SED DOMINO DOMUS" 
(non è la casa che deve conferire decoro al padrone, 
ma il padrone alla casa)
 
La frase, scritta da Cicerone, deve essere completata con le parole "honestanda est". 


62.5 La pietra dei Serra in Via Garibaldi n. 12

Sul portale di palazzo Baldassarre Lomellini, sito in Via Garibaldi n. 12, di cui avete storia e immagini nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte), campeggia la seguente iscrizione latina:

"VENTURI NON IMMEROR AEVI"
(conoscere il passato per guardare al futuro)

Esso è il motto della nobile famiglia Serra che acquistò il palazzo nel 1781.


62.6 La pietra di Palazzo Spinola di Pellicceria

Sul portale di palazzo Francesco Grimaldi, meglio conosciuto come Palazzo Spinola di Pellicceria, sito nell'omonima piazza, di cui avete storia e immagini nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte), campeggia la seguente iscrizione latina:

"DECUS PRIMUM EXORNATAE DOMUS
(primo ornamento di una casa onorata)

Ai lati di questa iscrizione troviamo il trigramma di Cristo "IHS"sulla sinistra e la "M" di Maria sulla destra.


63. Le pietre dei trionfi sui portali marmorei

63.1 Il trionfo degli Spinola



In Via della Posta Vecchia al civico 16, il portale di Palazzo Jacopo Spinola, opera di Pace Gaggini, è sormontato da uno dei sovrapporta più belli dei vicoli di Genova, paragonabile a pochi altri per eleganza e magnificenza: risalente al XV secolo e detto "Il Trionfo degli Spinola", esso rappresenta un carro guidato con due figure di guerrieri trainato da due centauri cavalcati da due putti (vi rimando alla pagina  de i PALAZZI privati (prima parte) per approfondire la storia di questo palazzo).
Al centro del carro vi era lo stemma Spinola, purtroppo eliminato con un colpo di scalpello durante i moti giacobini di fine settecento.


63.2 Il trionfo dei Doria

In Via David Chiossone vi è un altro splendido portale, simile per fattura e soggetto rappresentato a quello di Via Posta Vecchia e sempre opera del Gaggini: anche questo è sovrastato da un bassorilievo raffigurante un trionfo, in questo caso "Il Trionfo dei Doria". Al centro della scena è raffigurato lo stemma Doria.
Una curiosità: ci sono due copie del Trionfo dei Doria in giro per la città. La prima è inserita in facciata del civico 4 di Via Casoni. La seconda è in facciata di una villa di Nervi, in Via Ghirardelli Pescetto al civico 5.



64. Le pietre risorgimentali

64.1 La pietra dell'Albergo dei Mille

In Piazza Caricamento, in mezzo alla facciata del palazzo che fa angolo con Vico San Raffaele, all'altezza del secondo piano, una lapide ricorda i Mille.
Qui, nell’Albergo Felicità, nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1860, dormì, tra gli altri, anche Giulio Cesare Abba, che nel suo “Da Quarto al Volturno”, racconta di quando giunse a tarda sera in questo albergo dove trovò il salone pieno di giovani che il giorno dopo si sarebbero, come lui, imbarcati alla volta di Marsala.
L’albergo Felicità era sito in Vico San Raffaele al civico 2 e aveva le sue finestre che affacciavano su Piazza Caricamento, proprio dove oggi è posta la lapide marmorea che ricorda i Mille che vedete qui in foto.


(foto di Antonio Figari)




64.2 La pietra dei Mille alla Foce
 
 

OR FANNO CINQUANTA ANNI

IN UNA NOTTE DI STELLE

TREPIDA PER MILLE PALPITI

DI UMILI EROI

I BURCHIELLI DEI NOSTRI AVI ACCOGLIEVANO

SOLDATI GARIBALDINI

VOGANDO VERSO LE LEGGENDARIE NAVI

SACRE NEI SECOLI.

5 MAGGIO 1910

LA SOCIETA DEI PESCATORI DELLA FOCE

MEMORE FIDENTE

NEI DESTINI D’ITALIA

POSE

Queste parole sono incise su una lapide in marmo affissa in facciata della “Casa dei Pescatori”, opera dell’Architetto Luigi Vietti (nata per dare nuove abitazioni ai pescatori le cui case erano state espropriate per dare spazio alla nascita di Via Casaregis), un tempo a due passi dal mare sulla spiaggia sulla riva destra alla foce del Bisagno, oggi sacrificata e lontana dal mare dopo la costruzione della Sopraelevata e della zona fieristica.

La partenza dalla Foce un avvenimento poco noto e non studiato sui libri di storia che narrano solo dello scoglio di Quarto.

In realtà gli storici ci raccontano che dalla Foce partì il primo gruppo di volontari che con l’aiuto dei pescatori, abitanti in quella zona, raggiunsero le navi “Piemonte” e “Lombardo” appena fuori dal porto. Solo dopo il resto dei volontari raggiungerà le navi partendo da Quarto.

Lasciamo la descrizione dei fatti agli storici.

L’emiliano Francesco Bertolini, nella sua opera “Storia del Risorgimento Italiano”, così racconta: “Allo spuntare dell’alba del 6 maggio, la legione garibaldina, composta di 1085 volontari, s'imbarcò su due piroscafi mercantili, parte alla Foce, e parte alla spiaggia di Quarto”.

Lo storico veronese Osvaldo Perini nella sua opera “La spedizione dei Mille. Storia documentata della liberazione della Bassa Italia” ancora più minuziosamente scrive: “il mattino del 5 una colonna di volontari sparpagliata in piccoli drappelli e senza ordine usciva da Porta Pila rivolgendo i passi al villaggio di Quarto a tre miglia circa da Genova, dove aspettare doveva che i vapori venissero a levarla. (…) Un'altra squadra doveva imbarcarsi alla Foce e prendendo il largo girare il molo e penetrare nell'interno del porto ove i vapori, stavano attendendola. (…) Una terza colonna e la men numerosa composta dei capi della spedizione doveva penetrare dal lato della dogana nel porto e salir quindi a bordo dei vapori ancorati ed apparecchiarli a salpare. (…) Quasi al tempo medesimo la squadra partita dalla Foce, dopo avere con lungo circuito girato la spiaggia, a bordo essa pure giungeva. (…) Alle ore 2 del mattino la flottiglia uscì chetamente dal porto e s’inoltrò in alto mare protetta dalle tenebre e dal generale silenzio. I due vapori si diressero lentamente verso la spiaggia di Quarto, ove la terza colonna stava da quattr'ore attendendoli.”

Uno dei capi spedizione, Nino Bixio, nei suoi appunti annota che era prevista la partenza dalla Foce del cosiddetto “grosso”, composto di 800 volontari, mentre dalla Villa (intesa come Villa Spinola a Quarto) si prevedeva la partenza del generale e di 100 volontari: si tratta solo di appunti che precedevano il fatto, e quindi le cose nella realtà potevano subire cambiamenti.

Federico Donaver, nella sua “Garibaldi e la Spedizione dei Mille” ci racconta che “dalla Foce in su trovarono molte barcaccie nelle quali erano i volontari, il carbone, le provviste, delle armi e delle munizioni” (dalla sua descrizione sembra che dalla foce non fossero partite solo piccole imbarcazioni, mentre tutte le altri fonti storiche ci parlano di barche di dimensioni ridotte).

Comunque sia andata, la Foce e i suoi abitanti ebbero un ruolo molto importante nel giorno della partenza delle spedizione dei Mille.

Un’ultima curiosità: la lapide reca la data 5 maggio 1910 , mentre la casa su cui è affissa risale agli anni 30: nonostante quindi i mutamenti urbanistici della zona si decise di mantenere la lapide nel luogo in cui era stata posta vent’anni prima dandole una nuova collocazione in facciata del nuovo edificio.

 
 

64.3 La pietra della dimora di Mameli


A metà di Via San Lorenzo, in Largo G. A. Sanguineti al civico 11, c'è una lapide, inaugurata nel 1876, che ricorda che qui "ebbe dimora" Goffredo Mameli.

Se la si guarda con attenzione, tra le parole "ebbe" e "dimora" si può notare la mancanza di una parola cancellata con alcuni colpi di scalpello ancora ben visibili sul marmo della lapide: inizialmente infatti la lapide erroneamente recitava "ebbe culla e dimora". 

Mameli infatti, come tutti sappiamo, nacque in Piazza San Bernardo al civico 30 (dove una lapide marmorea ricorda l'accaduto) e solo da fanciullo venne a vivere in questo palazzo di proprietà della nobile famiglia Zoagli, a cui apparteneva sua mamma Adelaide. In questo edificio nacquero invece gli altri cinque fratelli di Goffredo.




64.4 La pietra della prima stesura dell'Inno di Mameli

Pochi sanno che la prima stesura autografa dell'Inno di Mameli è conservata la Museo del Risorgimento, contenuta all'interno di un quaderno personale di Goffredo.
Osservando le parole appuntate possiamo notare un primo verso "E' sorta dal  feretro", verso che evintemente non piacque a Mameli che poco sotto ricomincia con "Evviva l'Italia / l'Italia s'è desta" (come sapete anche l'evviva l'Italia sarà modificato con "Fratelli d'Italia").
Se continuiamo a leggere possiamo poi notare alcuni errori di ortografia come dimenticanze di accenti o doppie  dove non andrebbero ("Ballilla"), frutto della velocità nello scrivere tipica di un momento creativo che bada solo all'essenziale.
Un secondo manoscritto dell'inno è conservato al Museo del Risorgimento di Torino: si tratta della copia dell'inno che Mameli inviò a Michele Novaro perchè quest'ultimo lo musicasse.
L'inno verrà stampato per la prima volta a Genova dalla tipografia Casamara per essere distribuito ai partecipanti al corteo  del 10 dicembre 1747: sarà questa la prima occasione in cui l'inno verrà intonato in pubblico in una giornata molto particolare per i genovesi, ad un anno esatto dalla cacciata degli austriaci (vi rimando alla pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA per conoscere la storia del Santuario di Nostra Signora di Loreto davanti al quale fu intonato per la prima volta l'inno).


64.5 La pietra che ricorda la "prima"  dell'inno di Garibaldi

In Passo dello Zerbino, se alzate lo sguardo, potrete notare (non con poca difficoltà  visto l'altezza in cui è posta) un'antica lapide marmorea, originariamente posizionata in facciata di un edificio più antico poi sostituito dall'attuale, che recita le seguenti parole:


QUI 

IN CASA DI GABRIELE CAMOZZI

CAPO DELLA RIVOLUZIONE DELLE VALLI BERGAMASCHE

NEL 1848-49

SOCCORRITORE DI BRESCIA EROICA AGONIZZANTE

LUIGI MERCANTINI

COMPAGNO D'ESILIO A DANIELE MANIN

CANTORE DI TITO SPERI DI CARLO PISACANE

NEL DICEMBRE 1858

PROVAVA L'INNO DA LUI COMPOSTO

PER INCARICO DEL DUCE

E MUSICATO DAL GENOVESE ALESSIO OLIVIERI

PERCHE' INFIAMMASSE LE ROSSI COORTI NELLA PUGNA

CONTRO I SECOLARI OPPRESSORI D'ITALIA

E NE FOSSE IL PEANA

NEL RITORNO DALLA VITTORIA

_____


A RICORDO A EDUCAZIONE DEL POPOLO

A GLORIA DELL'INGEGNO CONSACRATO ALLA PATRIA

IL MUNICIPIO DI GENOVA

NEL CINQUANTESIMO DALLA PARTENZA DEI MILLE

_____


LA LAPIDE PROVIENE DALLA VECCHIA CASA 

GIA' ESISTENTE NELLO STESSO SITO


Qui, come ci ricordano le parole incise nel marmo, aveva casa Gabriele Camozzi, bergamasco, protagonista del nostro Risorgimento, che visse a Genova dal 1850 al 1859.

Il 31 dicembre del 1858 qui per la prima volta viene eseguito un canto popolare, dedicato a Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Inizialmente intitolato “Canzone Italiana”, dopo la sbarco a Marsala, prenderà il nome di Inno di Garibaldi. La musica è composta dal genovese Alessio Olivieri mentre le parole sono dettate da Luigi Mercantini, famoso per esser stato anche l’autore della poesia intitolata “Spigolatrice di Sapri” di cui tutti ricordiamo almeno i primi versi che recitano “eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti”.

Questa poesia, insieme all’Inno di Garibaldi, faranno di Mercantini uno dei “cantori” più importanti del nostro Risorgimento.

Sarà sempre Mercantini, nel 1860, ad aggiungere i versi finali dell’inno.

Ecco il testo integrale in una stampa dell'epoca:



Un curiosità: a Gabriele Camozzi è dedicata a Genova, nel quartiere Certosa, anche una strada, il Passo Gabriele Camozzi divenuto ultimamente famoso poiché qui c’è uno dei murales del Progetto "On the Wall", progetto di rigenerazione artistica del Comune di Genova in collaborazione con l'Associazione Linkinart.




65. La pietra della Farmacia di Piazza Senarega 

Se vi capita di entrare nella farmacia di Piazza Senarega, alzate lo sguardo e "riceverete" un ottimo consiglio:


(foto di Antonio Figari)


 Le parole che non si leggono più ma che sembrano, per così dire, sbucare da sotto l'intonaco erano le seguenti "Scia Lalla e Sciu Luigin" (ossia coloro a cui la frase era attibuita).


66. La pietra del drago di Piazza Cinque Lampadi

C'è un drago che sorveglia la piazza e il vico denominati "cinque lampadi".
Se alzate lo sguardo proprio all'angolo del medievale palazzo Cicala, a circa cinque metri dal suolo, noterete una figura alata, un drago incatenato alla facciata.
Secondo la tradizione, esso sorreggeva una delle cinque lampade che illuminavano l'edicola votiva poco distante (ed è proprio la presenza di queste cinque lampade a dare il nome alla piazza ed al vicolo).
Se Vi capita di entrare al civico 17 di Piazza Cinque Lampadi, affacciatevi dalla loggia del primo piano e potrete vedere il drago che sembrerà come volare sotto di voi e potrete osservare i suoi occhi e le sue fauci che dal piano strada non si notano.
Vi rimando infine alla pagina dedicata a le EDICOLE votive per approfondire la storia della sopramenzionata edicola di Vico delle Cinque Lampadi.  


(foto di Antonio Figari)



67. La pietra di autorizzazione incisa sulla ghisa

In Piazza delle Scuole Pie, sulla sinistra della Chiesa, sopra un cancello c'è una barra in ghisa: se la osservate attentamente vedrete che su di essa sono incise le seguenti parole:

"AD BENEPLACITUM PATRUM COMMUNIS"

Anche se non possiamo averne la certezza, forse questa era l'autorizazione a chiudere il vicolo con un cancello.
E' curioso il fatto che sia incisa su una barra di ghisa mentre generalmente queste autorizzazioni erano scritte su piccole lapidi di marmo (se ne trovano molte in giro nei vicoli incastonate nei muri).

(foto di Antonio Figari)
 

 

68. La pietra di Piazza della Stampa

In Piazza della Stampa, incastonata nella loggia medievale, c'è una lapide marmorea che così recita:
"Questa piazza sia soggetta  alla servitù perpetua a favore delle case che vi si affacciano e a discrezione dei loro proprietari secondo quanto stabilito nell'atto conservato presso il Notaio Giovanni Stefano Ansaldo in data 9 aprile 1699".









69. La pietra del cuore sotto il campanile di San Giorgio

In Piazza San Giorgio, al centro della facciata del palazzo che "ospita" il campanile dell'omonima chiesa, vi è un cartiglio entro cornice sormontatato da un angioletto che regge un cuore. 
Un tempo entro il cartiglio vi era scritto:

DOM / IN DIVUM CAIETANUM / ALEXANDRI IO. BAPTAE ET IO. FRANCISCI FILIORUM / IO, AMBROSII DE DECE JAM ANTE / PROFUSA PIETAS ET MUNIFICENTIA CLERICIS / REGOLARIBUS A FUNDAMENTIS DOMUM / EREXIT ANNO 1688.

L'angioletto sopra il cartiglio regge un cuore entro il quale vi era disegnato lo stemma della famiglia di Padre Alessandro De Dece (o Da Dieci). Fu grazie a lui che i teatini, che si erano insediati nella vicina chiesa di San Giorgio intorno al 1630, poterono acquistare nel 1687 l'edificio che diventerà il loro convento e che sarà collegato alla chiesa con un passaggio aereo ancora oggi esistente. Risale a quest'epoca la trasformazione della torre medievale in campanile (vi rimando alla pagina de le TORRI di GENOVA per approfondire la storia di questo particolare campanile, un tempo torre).
Il cartiglio riportava l'anno 1688. La struttura in stucco fu quindi realizzata l'anno seguente all'acquisto dell'edificio.
Oggi purtroppo il gruppo in stucco è "orfano" sia di ciò che un tempo era scritto entro la cornice sia dello stemma di cui vi ho parlato poco fa.
In ultimo, vi rimando alla pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA per approfondire la storia della chiesa di San Giorgio.


70. Le pietre dei grifoni della passeggiata dell'Acquasola 

Domenico Cambiaso, le arcate sotto la passeggiata dell'Acquasola, acquarello a seppia

Questi grifoni, rappresentati da Domenico Cambiaso in questo splendido acquarello a seppia, un tempo adornavano gli archi della passeggiata dell'Acquasola che correva sopraelevata dall'odierna spianata dell'Acquasola fino a Villetta di Negro.
Diciamo, per semplificare un pochino, che gli archi che vedete nell'acquarello occupavano all'incirca il centro dell'odierna Piazza Corvetto che aveva un piano strada sottostante gli archi e una sopraelevata passeggiata, collegate da due scalinate posizionate tra i due archi disegnati dal Cambiaso.
Distrutta questa parte della passeggiata, i due grifoni non vennero abbandonati in qualche deposito comunale ma trovarono in breve tempo nuova vita sull'arco del Ponte Caffaro, dove ancora oggi potete ammirarli.
 
 
71. La pietra ovale di Via Banderali
 
Percorrendo Via Banderali in discesa, appena superata la Porta di Santo Stefano, alzate lo sguardo e noterete in mezzo al muraglione una sorta di grande occhio.
Questa grande apertura ovale aveva la funzione di far "respirare" il Galliera: il progettista dell'ospedale, l'Ing. Cesare Parodi, aveva pensato di dotare l'edificio di un sistema di condotti in cui l'aria potesse circolare velocemente ed il foro di Via Banderali era lo sfiatatoio dell'intero sistema.
Il tutto era dotato anche di un motore, costituito da una grande macchina a vapore. Si pensava che il far circolare l'aria fosse utile ai fini di una più veloce guarigione dei ricoverati.
Oltre a questo, l'Ing. Parodi aveva pensato di dare al Galliera una struttura curva e con stanza con soffitti molto alti: tanta aria in ogni stanza e con grande facilità nel circolare.
Il sistema si rivelò ben presto inutile e il grande motore a vapore fu dismesso e poi smontato. 
Il grande occhio però è ancora lì, testimone dei tempi che furono.

 
72. Le pietre di Cristoforo Colombo nel monumento in Piazza Acquaverde


 
Il 27 settembre 1846 viene posta la prima pietra del monumento a Cristoforo Colombo in Piazza Acquaverde che, ben 15 anni dopo, sarà completato.
La prima pietra di questo monumento fu posata in occasione della Ottava Riunione degli Scienziati Italiani che si svolgeva proprio in quei giorni a Genova e che ricordava un avvenimento accaduto cent'anni prima: la rivolta guidata da Balilla nel 1746.
Il progetto di questa grandiosa opera è di Michele Canzio, pittore, scultore, architetto e scenografo per il Marchese Ignazio Pallavicini nella realizzazione della sistemazione del giardino di Villa Durazzo Pallavicini a Pegli, progetto realizzato tra il 1840 e il 1846.
Alla realizzazione del monumento a Colombo contribuirono molti scultori, come ci racconta l'Alizeri nella  sua "Guida illustrativa di Genova e sue adiacenze": una piccola epopea costellata da fatti tragici.
La statua di Cristoforo fu iniziata da Lorenzo Bartolini che morì però nel 1850 senza aver completato la scultura. Prese il suo posto Pietro Freccia il quale a sua volta dovette interrompere il lavoro dopo una rovinosa caduta durante il suo lavoro a seguito della quale il poveretto perse il senno e anche lui morì poco tempo dopo.
La statua finalmente venne portata  a termine dagli scultori Franzone e Scanascini.
Veniamo alla descrizione dell'opera: Cristoforo è in piedi  in cima ad una colonna con ai suoi piedi l'America raffigurata come una ragazza dai tratti esotici e con le piume in testa. Scendendo troviamo quatto figure: la Scienza (opera di Giuseppe Gaggini) che regge in mano il globo terrestre, la Pietà (opera di Santo Varni) che tiene le Sacre Scritture con la mano destra e un turibolo con la sinistra, la Prudenza (opera di Aristodemo Costoli) con in mano un serpente ed infine la Forza (opera di Emilio Santarelli).
Queste quattro figure poggiano su piedistalli intervallati da quattro bassorilievi che descrivono altrettanti momenti della vita di Colombo: sul fronte Cristoforo davanti a Dotti di Salamanca (opera del Gaggini), sul lato ecco Colombo che pianta la Croce nel Nuovo Mondo (opera di Aristodemo Costoli), sul retro il ritorno di Colombo (opera di G. B. Cevasco) ed infine Colombo in catene (opera di Revelli). 
Infine sulla base del monumento troviamo la dedica "A Cristoforo Colombo la patria" e la data 1862.






73. Le pietre di Cristoforo Colombo in Palazzo Faraggiana in Piazza Acquaverde



Giuseppe Faraggiana ed il fratello Alessandro, ereditato un cospicuo patrimonio dalla zio materno Giovanni De Albertis, acquistarono due prestigiose proprietà da due cugini Durazzo, entrambi di nome Marcello: la villa Durazzo di Albissola Marina nel 1821 e un palazzo con giardino in Piazza Acquaverde a Genova nel 1828. Entrambi vennero dai nuovi proprietari adeguato al gusto tardoneoclassico.
Federigo Alizeri nella sua Guida Artistica per la città di Genova, ci racconta che il palazzo in Genova sotto la direzione di Pelagio Palagi divenne "un monumento al nome di Colombo". Lavorarono alle decorazioni del palazzo Giuseppe Gaggini e Santo Varni (suoi bozzetti per le decorazioni della facciata del palazzo sono conservati alla GAM di Nervi). A proposito di quest'ultimo, Alizeri ci dracconta che "Cinque bassorilievi in istucco, modellati quivi in giro da Santo Varni, ci narrano quant'ebbe di più tenero e di più grande la vita di Colombo". 
Tanto era l'amore di Giuseppe Faraggiana per Colombo che lo stesso fu uno dei promotori del monumento che sarebbe sorto di lì a poco in Piazza Acaquaverde per la cui realizzazione lo stesso elargì anche una somma di denaro.
I cinque bassorilievi adornavano il salone la cui volta era stata affrescata da Scaramuzza con "il Genio di Colombo". In giardino vi erano due statue raffiguranti la Nautica e la Geografia, opere di Gaggini.
I mobili di Palazzo Faraggiana erano stati commissionati a Henry Thomas Peters che in quegli anni "vestiva" le case più eleganti di Genova e che aveva il suo laboratorio a pochi passi da qui. 
La villa verrà venduta nel 1920, demolita negli anni successivi e al suo posto sorgerà l'Hotel Colombia, oggi sede della Biblioteca universitaria: i bassorilievi di Santo Varni furono risparmiati dalla distruzione oggi fanno bella mostra di sè sullo scalone del palazzo. 
L'Hotel Colombia, dotato di ogni confort (duecento stanze, dodici suites, sei ascensori, sette montacarichi e dieci telefoni, solo per elencare alcuni lussi) vedrà passare molti personaggi famosi tra i quali mi piace ricordare i Beatles  il 25 e 26 giugno 1965 e David Bowie nell'aprile del 1976.




 
 
74. Le pietre di Andrea Doria e Cristoforo Colombo in Via Gramsci  
 
Due palazzi ottocenteschi che affacciano su Via Gramsci (il civico 9 e quello accanto verso ponente) conservano in facciata due statue e altrettanti bassorilievi che rendono omaggio a due grandi genovesi.
Al civico 9 (un tempo chiamato Palazzo Luxardo) c'è una nicchia entro al quale vi è una grande statua di Cristoforo Colombo in marmo, opera di Giovanni Battista Cevasco e risalente agli anni 1835-1840. Sotto la statua una lapide recita:
 
DISSI, VOLLI, IL CREAI
ECCO UN SECONDO
SORGER NUOVO DALL'ONDE
IGNOTO MONDO 
 
Sopra la nicchia vi è un lungo bassorilievo dove è narrato l'incontro del grande navigatore con le popolazioni del Nuovo Mondo.
Sulla facciata del palazzo a lato verso ponente, in posizione un pò più sopraelevata rispetto a Colombo, vi è invece la statua di Andrea Doria, anch'essa opera del Cevasco, sotto la quale una lapide recita:
 
TU M'OFFRI UN TRONO
IO A LIBERTA' TI RENDO
DA TE, MIA PATRIA
AD ESSER GRANDE APPRENDO 
 
Sopra la nicchia un lungo bassorilievo vede quale protagonista il Doria che rifiuta di sedersi sul trono offertogli dai genovesi all'indomani della vittoria contro i francesi.
Nell'antica immagine qui sotto potete osservare le due statue e sotto quella di Colombo un bar che da lui prendeva il nome.


 

75. Le Pietre della Pia Casa del Lavoro

In Via Malta ai civici 73, 75 e 77 rossi, sopra le vetrine, sono ancora incise le parole "Pia Casa del Lavoro".
Sapete di cosa si tratta?
Nel 1880 fu fondato questo ente, eretto a Ente morale nel 1884, con sede in Via Domenico Fiasella e stabilimento e negozio in Via Malta.
La Guida Genovese del 1933 descrive i  "lavori che esegue la casa: corone funebri, bronzi per cimiteri, statue, monumenti, fotoceramiche, fiori di tela, cinture e salvagenti circolari per salvataggio, parabordi, lavori di cucito, biancheria, divise, tende di canna giapponesi, scarpe da bagno, per ospedali ed opifici. 
Negli anni 50 del XX secolo i fiori finti di diversi materiali erano  confezionati dai carcerati.
Pie case del Lavoro  erano state istituite anche in altre città italiane. A Genova abbiamo un precedente "eccellente" nell'Albergo dei Poveri dove coloro che vi soggiornavano avevano impegni lavorativi che li occupavano durante le giornate.
Di seguito la Pia Casa di Lavoro come compariva nell'elenco telefonico di Genova del 1931:




76. Le pietre della Befana dei Cantuné

Conoscete la Befana dei cantuné? Ad ogni incrocio, ai piedi della «botte» (la pedana sulla quale i vigili dirigevano il traffico), era consuetudine lasciare qualche regalo.
La Befana dei cantuné ogni 6 gennaio non mancò di lasciare i suoi doni fino alla fine degli anni Sessanta quando, con l'arrivò dei semafori e la rimozione delle "botti", questa consuetudine scomparve.

Befana dei cantunè in Piazza De Ferrari (archivio Publifoto)


Befana dei cantunè in Piazza De Ferrari (archivio Publifoto)


Befana dei cantunè in Piazza De Ferrari (archivio Publifoto)



Befana dei cantuné in Piazza Corvetto


Befana dei cantuné in Piazza Portello


Befana dei cantuné in Via XX Settembre



Befana dei cantuné in Via XX Settembre



Befana dei cantunè, incrocio tra Via XX Settembre e Via Fiume (Gettyimages)




Befana dei cantuné in Via XX Settembre con Fausto Coppi 




77. La pietra del Lotto
 
 

Varcata la soglia di Porta dei Vacca, all'inizio di Via del Campo sulla destra, troverete un negozio che conserva ancora un'antica lapide marmorea: è il Banco del Lotto un tempo "autorizzato per tutte l'estrazioni del Regno" come recita ancora orgogliosa l'insegna sopravvissuta al tempo e all'oblio.

Se osservate con attenzione, noterete lo stemma sabaudo sbiadito in mezzo alla lastra marmorea e a destra della parola "LOTTO" un numero, 165, che probabilmente identificava la ricevitoria, come accade anche adesso.

Il termine “lotto” derivererebbe dal vocabolo francese “lot” (sorte) ed il verbo “lotir” (assegnare la sorte”). Per altri invece l’origine sarebbe nel termine tedesco “Hleut” (oggetto in pietra che veniva lanciato in aria per dirimere le controversie nelle tribù (un antesignano del nostro “testa o croce” con la moneta, e in effetti il gesto è lo stesso). Qualunque sia l’origine del nome, l’idea di una estrazione a sorte legata a numeri era già diffusa presso i Romani, che durante i Saturnali distribuivano tavolette numerate prima di procedere ad una estrazione a sorte, ma prima ancora anche in antico Egitto e in Mesopotamia la passione per il gioco e le scommesse era diffusa.

In Olanda, nel XVI Secolo, nella cittadina di Amersfoort (che nel XX Secolo diventerà tristemente famosa perché lì sarà costruito dai tedeschi uno dei tre campi di concentramento nazista in territorio olandese) era noto il cosiddetto “Lotto di Olanda”: si abbinavano delle proprietà indivisibili a dei numeri che venivano distribuiti tra i vari comproprietari. Il numero estratto faceva “vincere” la proprietà che così veniva assegnata con la sorte.

E in Italia quando nasce il Lotto?

La sua nascita è da collocarsi a Genova nel 1617 (anno in cui viene eletto doge Giovanni Giacomo Imperiale, promotore dell’allargamento di Via Scurreria e dell’edificazione di Villa Imperiale detta “La Bellezza” in quel di Sampierdarena), quando un gruppo di genovesi, si racconta capeggiati dal nobile Benedetto Gentile, si inventa il “Gioco del Seminario”, un vero e proprio banco del lotto gestito da privati, legalizzando e rendendo pubblica, per così dire, una diffusissima pratica che vedeva la gente scommettere sulla “qualunque”: dalla vita dei Papi o degli imperatori alla sorte di battaglie o eserciti, come si evince da uno “Statuto”, una legge, che tentava di vietare questo fenomeno oramai fuori controllo.

Andiamo con ordine: ogni sei mesi, 5 tra i 120 membri dei “Serenissimi Collegi” venivano rinnovati. Il tutto avveniva attraverso una lotteria: il nome di ogni candidato veniva scritto su un biglietto numerato e ogni biglietto poi veniva inserito in una urna detta “Seminario”, da qui l’origine del nome del gioco che, come immaginerete, consisteva nell’azzeccare i nomi che sarebbero usciti dall’urna.

Ben presto il gioco passò in mani pubbliche e fu aggiunta una piccola tassa di accompagnamento ad ogni “puntata” dei giocatori.

Le estrazioni seguivano le elezioni semestrali e dunque avvenivano solo due volte l’anno. Compreso l’enorme potenziale del gioco, si decise di aumentare le estrazioni, svincolandole quindi dalle elezioni semestrali, e di aumentare i numeri fino al 90 (è in questo momento che si arriva allo stesso numero del lotto moderno), associando ad essi i nomi delle fanciulle bisognose che, se estratte a sorte, vincevano una somma di denaro da destinare alla loro dote (è il cosiddetto “lotto della Zitella” che si diffonderà anche nella città di Napoli).

Con gli anni il gioco si diffonderà, con caratteristiche un po' diverse, anche negli altri stati italiana ed in particolare nel Regno delle due Sicilie.

Con l’unificazione, con la gestione del gioco che passa in mano al Regno d’Italia, nasceranno le ruote abbinate a otto città italiane (Bari, Firenze, Milano, Palermo, Roma, Torino e Venezia) a cui si aggiungeranno, nel 1939, Cagliari e Genova.

Tra i tanti scrittori che descrivono la passione degli italiani per il lotto, ricordiamo l’inglese Charles Dickens.

Egli, parlando di Napoli nel suo “Pictures from Italy", così descrive il gioco: “il gioco del lotto garantisce allo Stato introiti immensi e diffonde tra i poverissimi un gusto per l'azzardo che, mentre giova a riempire le casse dell'erario, rovina loro del tutto”. L’inglese, che definisce la smorfia "Divinatore Universale del Lotto", descrive la disillusione e lo sconforto che coglie i giocatori “povera gente” dopo aver assistito con trepidazione e grandi speranze all'estrazione e alla proclamazione dei numeri vincenti. Così scrive Dickens: “dove stanno i vincitori, nessuno sa. Certo non sono qui, dove si scorge soltanto una delusione generale che ispira pietà per questa povera gente”. Molto emblematica della situazione è la descrizione che fa l’autore inglese di un fatto che gli è stato raccontato: “Il popolino ignorante crede che ogni cosa ogni avvenimento sia una specie di visione tanto per chi vi assiste che per chi vi prende parte. Mi raccontano la storia di un cavallo imbizzarrito che aveva scaraventando giù un uomo lasciandolo moribondo. Un uomo si trovò sul posto della disgrazia immediatamente dopo si gettò in ginocchio presso lo sfortunato cavaliere e gli afferrò la mano chiedendogli se fosse ancora in vita, quindi esclamò: “se vi sta resta fiato per l’amor di Dio ditemi quanti anni avete affinché io possa giocarmi questo numero al lotto.”

 


78. La pietra della tragedia di San Benigno

 

"Il temporale scatenatosi nella notte tra il 9 e 10 ottobre raggiungeva la massima intensità all’alba e alle 6.45, un fulmine incendiava alcune condutture elettriche provocando lo scoppio delle mine poste nella galleria e di una grande quantità di munizioni ivi depositate. (…) La scossa tellurica, provocata dall’esplosione, sconvolgeva il terreno sovrastante la galleria saltata in aria, distruggendo completamente un agglomerato di case di abitazione, ove dimoravano una settantina di famiglie, tutte perite nell’immane sciagura. Un numero imprecisato di militari della G.N.R., della Marina, dell’Esercito, della Croce Rossa e dei camerati germanici, in servizio nella vicina zona portuale o nelle gallerie stesse, è stato travolto sul posto del dovere. (…) Non è stato ancora possibile accertare il numero dei morti che purtroppo è molto elevato."

(relazione della Guardia Nazionale Repubblicana riportata nel libro di Raffaele Francesca "San Benigno: silenzi, misteri e verità su una strage dimenticata")

 

E’ il 10 ottobre 1944 e alle 6:45 del mattino un boato scuote la zona di San Benigno facendosi sentire in tutta la città.

Sono giorni che Genova è martellata dai bombardamenti alleati e in più quel giorno un forte temporale si sta abbattendo sulla città.

Il primo pensiero dei genovesi non residenti in zona è che un forte fulmine abbia colpito un'abitazione nella zona.

Si tratta in realtà di una delle più grandi tragedie a Genova nel XX Secolo: più di mille persone, c’è chi sostiene addirittura duemila, muoiono a causa dell’esplosione di un deposito di munizioni dei tedeschi che fece saltare in aria la Galleria Assereto e la Galleria San Benigno oltre a provocare il crollo dei vicini palazzi e quindi la morte di coloro che lì abitavano, che si aggiungevano ai tanti genovesi rifugiati nella galleria di San benigno per salvarsi dai bombardamenti (alcuni lì vivevano poiché le loro case erano già andate distrutte).

I giornali nei giorni seguenti diedero poco risalto a questa notizia e ancora oggi, a distanza di tanti anni, non si sa quale sia stata la causa dello scoppio: c’è chi parla di tragica fatalità dovuta ad un fulmine e chi sostiene sia stata un’azione dei partigiani per sabotare la "Santa Barbara" dei tedeschi (il "Mercantile" scrisse che nelle tasche di un "bandito" catturato veniva trovata una copia de "Il ribelle" (giornale clandestino della resistenza) in cui si rivendicava l’attentato da parte dei partigiani).

Nel duemila il Comune pose una lapide nel luogo della tragedia.


 


79. La pietra che fu arco del teatro e del cinema a Parco Serra


All’inizio di Via Galata lato Via Serra, in uno spazio ormai fagocitato da auto e campi da tennis, dove un tempo sorgeva uno splendido giardino voluto dalla famiglia Serra nel XIX Secolo, c’è un particolare manufatto, un grande arco in cemento armato.

Quello che oggi appare come un curioso “monolite” fuori posto, nel secondo dopoguerra aveva una sua precisa funzione: era parte di un palcoscenico, costruito in cemento armato e sormontato, appunto, da tre archi parabolici uniti insieme. 

Una trama di fili faceva sì che l’arco potesse sorreggere le scene teatrali o all’occorrenza il grande telo sul quale venivano proiettati i film quando questo luogo era utilizzato come cinema all’aperto.

La costruzione di questo manufatto iniziò l’11 aprile 1946 e il teatro-cinema all’aperto fu aperto al pubblico il 13 luglio di quello stesso anno (poche furono le rappresentazioni teatrali mentre grande spazio fu dato al cinema all’aperto e con il nome di cinema all’aperto “del Parco” è noto a tutti coloro che frequentavano la zona in quegli anni).

Dopo la “parentesi” del cinema all’aperto, il grande spazio tra l’arco e Via Galata fu utilizzato per gli spettacoli circensi: i circhi che giungevano in città piazzavano qui il loro tendone: mio padre e i bambini nati negli anni immediatamente successivi al dopoguerra ricordano “come un sogno” (come dice mio padre) gli elefanti che andavano fino in Piazza Colombo ad abbeverarsi all’antico Barchile (detto di “Ponte Reale”  e qui giunto nella seconda metà dell’Ottocento; vi rimando alla pagina de  l'ACQUApubblica per approfondire la sua storia).

Oggi l’arco insiste su un terreno privato adibito a posteggio ed è stato da poco riportato all’antico splendore (se vi capita di vederlo da vicino noterete una leggera strombatura dovuta la fatto che le tre porzioni che formano l’arco hanno forma leggermente diversa). 
Nelle immagini che seguono, una foto di come era il cinema di un tempo e l'arco come si presenta oggi.


Antica immagine del Cinema all'aperto


L'arco come si presenta oggi 


80.  La pietra del "Confeugo"

Il "Confeugo" è il nome di una cerimonia che si svolge ogni anno il sabato del fine settimana che anticipa quello del Natale davanti all'ingresso di Palazzo Ducale.
Le fonti scritte fanno risalire questa tradizione ai primi anni del secolo XIV anche se, con ogni probabilità, essa è ancora più risalente.
La cerimonia del Confeugo già anticamente si svolgeva a fine anno prima del Natale (nel Medioevo l'anno nuovo iniziava con il Natale). Per questo motivo il Confeugo era visto come il saluto di Capodanno con il quale il popolo genovese omaggiava le più alte cariche della città (in primis il Podestà, capo del Comune, poi i Capitani del Popolo e dal 1339 i Dogi).
L'omaggio del popolo consisteva in un grande tronco d'alloro (il "confeugo") coperto da rami e adornato con nastri bianchi e rossi (i colori della bandiera di Genova). Erano gli Abati del Popolo (i rappresentanti delle Podesterie del Bisagno, della Polcevera e di Voltri) a provvedere alla consegna di questo omaggio alle massime cariche della città. Sarà poi solo l'abate del Bisagno ad avere, lui solo, il privilegio della consegna di questo speciale omaggio.
La cerimonia, che, come vi raccontavo, nasce nel  Medioevo, viene abolita nel 1499, durante la dominazione francese. Verrà poi ripristinata nel 1530 e si svolgerà regolarmente ogni anno fino al 24 dicembre 1796, quando l'Abate Antonio Bazzorao della Parrocchia di San Martino di Struppa porterà per l'ultima volta l'alloro fino a Palazzo Ducale.
La tradizione sarà ripresa nel 1923 grazie alla "A Compagna" che si fece promotrice di questa rinascita. Da quell'anno sarà il Presidente di questa storica associazione ad impersonare l'Abate del Popolo che porta l'omaggio, ancora oggi rappresentato da un alloro adornato con nastri rossi e bianchi, al sindaco della città.
Come si svolge questa cerimonia?
L'Abate del Popolo, preceduto da un corteo di figuranti in costume, incontra il Sindaco davanti all'ingresso di Palazzo Ducale.
L'Abate saluta il sindaco con la storica formula "Ben trovòu Mese  ro Duxe" (Ben ritrovato signor Doge), ricevendo come risposta  "Ben vegnou Mese l'Abou" (Benvenuto signor Abate). A questo punto l'Abate offre al sindaco il "Confeugo" che viene poco dopo da quest'ultimo incendiato mentre sulla torre Grimaldina rintocca il "Campanon do Paxo".
Secondo la tradizione, la circostanza che il fumo sia bianco e salga bello dritto è interpretata come di buon auspicio per Genova per l'anno a venire.
Una volta spenta la fiamma, ancora oggi moltissimi genovesi si accalcano intorno a ciò che rimane del tronco per prendere un tizzone ancora fumante da portare a casa come accadeva un tempo quando si riteneva che il tronco possedesse poteri magici.

Il Confeugo incendiato
(foto di Antonio Figari)



Le pietre parlanti in giro nei vicoli di Genova non sono finite...
 
(continua...)

 


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41 commenti:

  1. Bellissimo questo sito, Grazie!

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  2. veramente molto interessante...spero davvero continui!

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    1. Certo! Ho ancora tante "pietre parlanti" da raccontare! Grazie per i tuoi complimenti!

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  3. Il tuo blog mi piace moltissimo. Complimenti!

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  4. Complimenti per il sito, davvero molto molto bello

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  5. Ciao complimenti per il sito!!

    io sono genovese d'adozione (studio qui da qualche anno) e per un certo periodo ho dedicato alcune ore alla settimana appositamente col fine di "girovagare" per i vicoli..
    Era impensabile per uno che abita a Genova perdersi nei meandri del centro storico (che, a quanto mi risulta, è il complesso vicolistico piu grosso d'Europa.. dico giusto?)
    Comunque peccato non aver avuto prima questo blog come guida! :)

    Complimenti e grazie! :D

    a presto!

    Tommaso

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    1. Ciao Tommaso! Grazie per i complimenti e benvenuto nel mio sito! Anche a me piace girovagare nei vicoli e ti assicuro che perdersi nel centro storico più grande d'Europa è cosa facile anche per i genovesi!

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  6. Molto interessante,oggi sono riuscita a vedere certe cose descritte sul blog...mi piacerebbe sapere di più :)

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    1. Sono contento di ispirare da queste pagine i tuoi giri per i vicoli di Genova. Sono ancora tantissime le "pietre parlanti" di cui devo ancora parlare. Torna a visitare questo sito e scoprirai molto altro sui segreti dei vicoli di Genova!

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  7. Ciao Antonio, io ho pubblicato ieri un articolo sulle cassette delle elemosine c'è proprio quella di Vico Indoratori e anche una che qui non vedo, chissà se è la stessa che metterai anche tu!
    Poi ne ho trovate anche delle altre che devo ancora pubblicare, tra le quali quella di Via dei Giustiniani che vedo qui.
    Bellissimo girare per i caruggi e trovare queste cose, ormai sono una cacciatrice con l'occhio attento! Buona notte!

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    1. Ciao Miss! Come ti va? Come proseguono i tuoi giri per i nostri vicoli? Oltre a quella di Vico Indoratori l'altra è in un vicolo il cui nome è di quattro lettere, presto la pubblicherò. In realtà da quando ho pubblicato qualche tempo fa quel paragrafo su "le pietre della carità" ho trovato altre cassette, oramai ho un occhio clinico! Presto le aggiungerò.
      Hai proprio ragione: è bellissimo girar per i vicoli e vedere quanti piccoli tesori sono disseminati tra un caruggio e l'altro.
      Buonanotte!

      Ps: ricordo di aver trovato e fotografato la cassetta in Via delle Grazie una mattina durante una passeggiata insieme ad una famosa blogger genovese... sbaglio?!?!

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  8. Complimenti per la ricchezza di particolari sulla nostra cara Genova.....mi piacerebbe essere di aiuto nella tua opera di identificazione e catalogazione di cose interessanti, ma credo che tu sia imbattibile...Un saluto Pippo..

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    1. Ahaha grazie Pippo! Da quello che mi hai scritto via mail sono sicuro che puoi aiutarmi a mantenere la mia imbattibilità!
      Se ti va scrivimi qualche segreto che pensi potrebbe essere inserito in questa pagina!

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  9. Ciao Antonio
    complimenti per questo sito, molto molto interessante.
    Ti segnalo una "pietra Parlante" a mio avviso molto interessante ( anche se non molto antica), testimonianza dei rapporti bancari avvenuti a metà Ottocento tra Genova e Torino con il Banco sconto e sete, situata in palazzo Bendinelli Sauli in via san Lorenzo 12.
    Book

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    1. Ciao Book! Grazie per le tue parole e grazie per la tua segnalazione: inserirò sicuramente la "tua" pietra parlante in questa pagina.

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  10. Straordinario sito,straordinarie pietre a Genova.Il Carmine resta una delle mie passioni.Volevo dire inoltre che....ho trovato in Genova sotteranea le molte foto della Fonte Doria finalmente.
    A questo punto dovrei intrufolarmi nel Tennis Club per andare alla ricerca del ninfeo Grimaldi di cui ho le analisi dei materiali.Sono riuscita a vedere invece il bellissimo ninfeo di Villa Rosazza a Dinegro oggi Casa America.
    Comunque... mi complimento!
    Alessandra Varbella

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    1. Cara Alessandra, grazie per i Suoi complimenti.
      Anche a me il quartiere del Carmine piace molto per il suo carattere di paesino a sè: quando cammini nei suoi vicoli non sembra di essere in una grande città ma in un paese dell'entroterra ligure.
      Per quanto riguarda la Grotta Doria, essa è a parer mio una delle meraviglie di Genova, peccato solo sia quasi sconosciuta ai più: vederla è stato emozionante!
      Prossimamente visiterò la grotta del Tennis Club e appena riuscirò caricherò le foto nella pagine della "la GENOVA sotterranea".
      Non ho mai visto il ninfeo di Villa Rosazza ma conto di andarci un giorno, dalle foto sembra splendido!

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  11. Ciao Antonio,
    grazie per il bel sito, stracolmo di cose che già sapevo ma che ho dimenticato. Sono nato nei caruggi e li ho smpre considerati uno "specchio" della vita della nostra città: se soffrono i caruggi, soffre Zena tutta intera. Da qualche anno sono emigrato all'estero per lavoro, ma col grande desiderio di tornare, e non nascondo che a volte per sofrire meno ho cercato di dimenticare, ma sfogliando le pagine del tuo blog ho pensato che è meglio soffrire, ma ricordare. Ho da tempo un progetto di ricerca sulle vie o quartieri scomparsi di genova, a cominciare da via madre di dio (anche e soprattutto in chiave polemica con le scelte fatte negli anni dalle amministrazioni) e si potrebbero unire le forze se ti può interessare.
    Grazie ancora per il tuo prezioso lavoro e per farci ricordare.
    Un saluto
    Emanuele

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    1. Ciao Emanuele! Sono contento di aiutarti a ricordare Genova e la sua bellezza. Per quanto riguarda la zona di Madre di Dio, ho deciso dopo tanto pensare (ed è per questo che ti rispondo con così tanto ritardo, scusami) di dedicare in futuro ad essa ed a Piccapietra una piccola parte di questo blog dove raccoglierò antiche cartoline, immagini e storie legate a questi due quartieri uccisi dalla scelleratezza di alcuni!
      Sarà un lavoro difficile e lungo ma ritengo valga la pena ricordare e ricostruire la storia di questi quartieri della Genova che fu.
      Se mi vorrai aiutare ne sarò felice!

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  12. Ciao Antonio
    Seguendo il tuo bellissimo sito (per il quale ti faccio vivissimi complimenti) ho iniziato a girare per Genova guardandola con occhi diversi.
    Purtroppo non ho tantissimo tempo a disposizione (giusto un’oretta in pausa pranzo), ma seguendo le tue indicazioni e ottimizzando i tempi, armata di macchina fotografica e con una collega che conosce meglio le stradine, ho cominciato a girare per i vicoli che nascondono davvero tantissimi tesori..
    Ho trovato molti “San Giorgio” (bellissimi quelli in San Matteo) tra cui uno all’interno del civico 4 di via san Sebastiano che, tra quelli che ho visto, è l’unico girato verso destra.
    Mi sono piaciute molto anche le piccole targhe con raffigurati l’Agnello e la Croce, anche queste sparse un po’ dovunque.
    Sto cercando di entrare nei portoni dei palazzi che hai segnalato, per vedere i laggioni (non è cosa facile convincere qualcuno ad aprire!), ma l’unico che per ora ho visto (quello in via san Lorenzo 19) è veramente bellissimo.
    Non sono riuscita invece a trovare le teste che hai indicato: quella in via Reggio dal chiostro dei Canonici è all’interno del Chiostro?fuori nella via non sono riuscita a vederla.
    E quella dalla casa del Boia, dove devo posizionarmi per vederla?
    Ne ho trovato invece una in via Luccoli (verso piazza Soziglia) posizionata su una colonna di un portone!
    Mi sono stupita di quante edicole votive ci siano in giro, tante purtroppo ormai vuote, mi piacerebbe saperne di più, (magari sul tuo sito! È un argomento che non hai ancora sviluppato…)
    Bè sono stata un pochettino prolissa, ma sono ancora tante le cose di cui vorrei parlarti…
    Grazie di tutto!
    Olga

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    1. Ciao Olga, Ti ringrazio per le Tue parole: uno degli scopi del mio blog è proprio quello di invogliare le persone a girare Genova e a scoprire i suoi tesori come stai facendo te!
      Purtroppo molte delle meraviglie di Genova sono conservate al di là di portoni chiusi ma non demordere, sii perseverante come me: ogni tanto la "Fortuna" fa sì che nel momento in cui passi davanti a quel determinato palazzo esca qualcuno ed è così che riesci ad entrare!
      La testa di Via Reggio è in alto, incastonata in un palazzo: la si può vedere dal cortile interno del Chiostro dei Canonici, alzando lo sguardo verso est. Per quanto riguarda la testa in Piazza Cavour, essa è posta in cima al palazzo che fa angolo tra Piazza Cavour e Via del Molo: per osservarla ti conviene posizionarti in Piazza Cavour tra la Casa del Boia e i portici di Via Turati lato monte della strada. Vedrai, al di là della Sopraelevata, nell'angolo alto a destra del palazzo il volto beffardo. Ci sono poi altre teste in giro per i vicoli che un giorno posterò qui sul blog.
      Alle edicole votive, silenziose e splendide testimoni della Fede degli abitanti dei vicoli nei secoli, dedicherò un giorno una piccola parte di questo blog.
      Se hai altri dubbi, incertezze o vuoi segnalarmi qualche bellezza nascosta che hai trovato nel tuo peregrinare nei vicoli non esitare a scrivermi. Sarà un piacere per me leggere le Tue parole.

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  13. Vi sono altre pietre parlanti che qui non citi, a meno che non siano in altri capitoli, si tratta di targhe messe a memoria della chiusura di alcuni vicoli, chiusure praticate sia costruendo giunte di case, sia con semplici muri. Ne conosco solo due o tre e corrispondono a vicoli che appaiono nelle più vecchie mappe o piante. Per quanto riguarda gli off limits di uno scomparso ma sostanzialmente integro nell'immagine ne ho la foto scattata nei primi anni '80, un secondo l'ho scoperto da pochi giorni e ne ho la foto. Ci sono altre cose tra le mie foto conservate in computer ma dovrei faticare un poco per cercarle. Ci risentiremo sicuramente quanto prima, per ora sto esplorando il tuo sito che è interessante ma ancora troppo nuovo per conoscerlo a modo.

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    1. Caro Pietro, sarò felice se vorrai aiutarmi nelle mie ricerche. Se hai materiale da inviarmi scrivimi a info@isegretideivicolidigenova.com (e grazie per le foto che hai condiviso nel gruppo di facebook dedicato a questo sito).
      Sarà un piacere inserire in questo blog altri segreti della nostra Genova.

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  14. Le pietre parlanti è un libro del 1992 di Muller Profumo... su questo stesso identico argomento....

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    1. Cara Luisa,
      La ringrazio moltissimo per il Suo suggerimento letterario. Non ho mai letto il libro di cui parla ma sarà mia cura cercarlo e così ampliare le mie conoscenze sulle pietre parlanti dei vicoli di Genova.

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  15. Caro Antonio,
    il tuo sito è bellissimo, una vera miniera d'informazioni ed aneddoti raccontati con passione! Complimenti!
    L'avevo già visitato in passato. Talvolta nel ricordo di un particolare luogo cerco tracce nella memoria anche di altri. Prima potevo contare sul sapere dei miei famigliari e conoscenti, ma tanti di loro non ci sono più.


    Cerco traccia di un'antica bottega di cioccolata, purtroppo non ricordo l'insegna, che si trovava sul'angolo
    di un vicolo, limitrofo a V. delle Vigne e Vico Lepre. L'ultima volta che vi entrai doveva essere poco prima
    del 1970. Aveva i banchi di legno scuro e vetro. Vi si comprava una sorta di cioccolato "soffiato", che appariva come un foglio di carta increspata e stropicciata, leggero e fragilissimo. Con poco peso te ne portavi via un bel cabarettino. Ebbene quella specialità non l'ho mai più ritrovata né a Genova né altrove. Eppoi, i genovesi vi si recavano con le soprese, spesso preziose, da far inserire in ottime uova di Pasqua, decorate con quei bei ricami di zucchero colorato. Chissà se qualcuno, si ricorda di questa bottega di cioccolata e della loro mitica specialità...

    A presto.
    Gabriella

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  16. Caro Antonio,
    nel rinnovarle i mie complimenti le segnalo una leggenda genovese secondo la quale non tutte le catene pisane furono restituite in occasione dell'unità italica: l'ingegno (...e la malignità...) consigliarono ai genovesi di trattenere un unico anello, tuttora conservato in qualche chiesa del centro storico...se lo ritiene interessante, le suggerisco di condurre una ricerca in merito per capire quanto sia storia e quanto leggenda.

    Con stima

    Francesco M.

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  17. Bellissmo,ogni sera scopro sempre qualcosa di nuovo e che non sapevo oltre ai significati di molti luoghi e misteri..Genova ne è piena..Grazie e saluti a tutti!!

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  18. Sono nato e vissuto per trenta anni nei "caruggi" molte cose le conoscevo altre no, ora tutto mi è sembrato più bello ed interessante conoscendone la storia.
    Mi riprometto di rivedere il tutto, se il tempo mi darà l'opportunità, sotto questa nuova luce.
    Complimenti per i suoi scritti.
    Cordialmente
    E. Solari

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  19. buongiorno, nel farle i miei più sinceri complimenti per lo splendido sito, le vorrei chiedere una cortesia. ha qualche aneddoto curioso della vita dei nobili genovesi nel 1500/1600, in zona Palazzo Meridiana Via Garibaldi? la ringrazio anticipatamente.
    Paolo

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  20. Oggi, 13 novembre 2014, vista la bellissima giornata e mosso dalla curiosità suscitatami dal tuo blog, caro Antonio, ho raggiunto per la prima volta il quartiere del Carmine con l'intento di visitarlo. E' davvero un posto incantato! Ho percorso estasiato salita S. Bartolomeo dell'Olivella, poi salita di Carbonara, vico della Giuggiola fino all'omonima piazza (incantevole!). Dopodichè sono risalito da via Edilio Raggio e salita san Nicolosio fino all'omonima chiesa (che fortunosamente ho trovato aperta!) e, passando da Piazzetta dietro i forni sono sbucato in cima alla Salita di S. Francesco, dove ho ammirato i resti dell'omonima chiesa, per ritrovarmi in Piazza della Meridiana. Davvero una bellissima gita "dentro porta"... Grazie davvero per avermi fatto riscoprire questo meraviglioso angolo della nostra meravigliosa città!

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  21. queste pagine sono incredibilmente belle

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  22. Salve,
    una precisazione per la sez. 4. Le pietre "alleate" della Seconda Guerra Mondiale:
    le scritte in oggetto, sebbene probabilmente identiche alle originali della 2a guerra mondiale, sono in realtà molto più recenti: a mia memoria intorno agli anni '80. Nei primi anni delle infezioni da AIDS limitavano l'accesso alle zone più dedite alla prostituzione e quindi al possibile contagio. Queste scritte all'epoca avevano fatto scalpore e erano state oggetto di articoli della stampa locale.
    Saluti a tutti,
    Giorgio
    Giorgio

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  23. 23 Marzo 2015
    Complimenti per il sito pieno di storia,informazioni,curiosità,foto stupende,proverbi....
    Ho anche una domanda:In via del Molo sul portone N° 25,c'è una targa di marmo con 2 scudi (forse scalpellati) con a centro un agnello cosa rappresenta? quale è la storia? Sullo stesso palazzo,poco più avanti c'è un altra targa con 2 personaggi ed al centro (forse) uno scudo.Chi sono i due personaggi rappresentati?
    Grazie
    Saluti
    Aldo

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  24. Questo è bellissimo ,mi incanto a leggere, mia mamma è cresciuta nei vicoli quando ancora erano abitati dai genovesi e le storie che mi raccontava mi facevano sognare trovare questo sito mi ha fatto tornare bambina e tornare a sentire i profumi che. Si spandevano nei vicoli quando ancora c erano panetterie tripperie e negozi di stoccafisso. Grazie

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  25. Bello, bellissimo tutto il sito che sto pian piano esplorando, alcune i cerchiate sono ben visibili anche alla stazione di brignole, in prossimità dei lampioni, proprio sotto gli occhi di tutti i passanti distratti.

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  26. Grande lavoro per la memoria grazie davvero, mi sta aiutando molto per andare a veder cose altrimenti mai scoperte, ancora grazie , una domanda, la palla in Campetto dove si trova? ci sono stato tre volte ma non la trovo, Gianni

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  27. Grande è l'amore per il centro storico di Genova che si evince dalle descrizione di cose e luoghi. Ringrazio infinitamente l'autore che mi ha permesso di conoscere cose che il mio occhio disattento e la mia frequenza frettolosa dei luoghi non mi aveva permesso di conoscere. Esiste un libro?

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