Genova, percorsa da molti rivi, ha sempre avuto uno speciale rapporto con l'acqua: oltre al mare, la strada che portò i mercanti genovesi in giro per il mondo, la città è disseminata fin dai tempi antichi di barchili, bronzini, cannoni, truogoli, grotte, cascate e ninfei.
In questa pagina vi racconterò dello speciale rapporto dei genovesi con l'acqua e di come la stessa sia diventata essenziale per lo sviluppo sociale e culturale della Superba.
Salita della Rondinella (sotto questa strada scorreva un ramo dell'acquedotto storico) (foto di Antonio Figari) |
INDICE
1. I rivi
2. I bronzini e i cannoni
3. Le "bugaixe" e le "camalle d'aegua"
3. Le "bugaixe" e le "camalle d'aegua"
4. Le fontane
4.1 Le fontane Marose
4.2 La fontana di Piazza Vacchero
4.3 Le fontane di Via delle Fontane
4.4 La fontana in Piazza Inferiore del Roso
4.5 La fontana dei Cannoni del Molo
4.6 La fontana del Bordigotto
4.7 La fontana spiritata di Via Carcassi
4.8 "A faccia ch'a butta aegua" in Via Luccoli
4.9 Gli abbeveratoi di Piazza Caricamento
4.10 La fontana dedicata a Nicolò Bacigalupo
4.11 La fontana di Piazza De Ferrari
5. I barchili
5.1 Il barchile di Soziglia
5.2 Il barchile di Ponte Reale
5.3 Il barchile di Ponticello
5.4 Il barchile di Piazza Nuova e quello di Sant'Agostino
5.5 Il barchile di Piazza delle Erbe
5.6 Il barchile di Piazza Fossatello
5.7 Il barchile di Piazza Pescheria
6. I truogoli ed i lavatoi
6.1 I truogoli di Santa Brigida
6.2 I lavatoi pubblici di Piazza dello Scalo
6.3 I lavatoi di Piazza Lavagna
6.4 I lavatoi dei Servi
6.5 I lavatoi della Montagnola dei Servi
6.6 I truogoli in Piazza dei Truogoli del Colle
6.7 I truogoli in Via Madre di Dio - La Villetta
6.7 I truogoli in Via Madre di Dio - La Villetta
6.8 I lavatoi di Salita di Coccagna
6.9 I lavatoi di Piazza delle Lavandaie
6.10 I lavatoi di Piazza Leccavela
6.11 Il lavatoio di Vico al Trogoletto
6.12 I lavatoi di Salita di Carbonara
6.13 I lavatoi di Salita della Tosse
6.13 I lavatoi di Salita della Tosse
6.14 I lavatoi in Via della Chiappella
7. I pozzi
7.1 Il pozzo di Giano in Sarzano
7.2 Il pozzo pubblico di Vico dell'Arancio
7.1 Il pozzo di Giano in Sarzano
7.2 Il pozzo pubblico di Vico dell'Arancio
8. L'acquedotto storico
8.1 I cannoni di Porta Soprana
8.2 Le tubazioni in terracotta
8.3 Il tubo incastonato tra gli archi di Sottoripa
8.4 L'arco dell'Acquedotto in Salita Santa Caterina
8.5 Gli archi del braccio dell'Acquedotto detto "di Castelletto"
8.6 I chiusini in pietra di Corso Paganini
8.7 Il castello d'acqua in Salita della Rondinella
8.8 Il castello d'acqua in Via Ravecca
9. I mulini di Salita dei Molini
8.8 Il castello d'acqua in Via Ravecca
9. I mulini di Salita dei Molini
10. L'acquedotto marino
1. I rivi
L'acqua pubblica per eccellenza è quella che scorre, o in questo caso che vi racconterò, scorreva, davanti ai nostri occhi: l'acqua dei fiumi e, nel caso di Genova, l'acqua dei tanti rivi che solcavano il centro storico e oggi, in gran parte tombinati, giacciono quasi dimenticati.
Prima che il sistema strutturato di un acquedotto, oggi diventato capillare, portasse in tutte le nostre case l'acqua potabile, l'oro blu veniva convogliato nelle case che sorgevano lungo fiumi e ruscelli.
Ancora oggi, se alzassimo molti tombini nei vicoli, potremmo osservare la forza dell'acqua che scende dai monti e raggiunge il mare.
In questo breve paragrafo troverete i principali rivi che ancora oggi scorrono silenziosi sotto i nostri piedi mentre inconsapevoli passeggiamo nei vicoli.
(...continua)
2. I bronzini e i cannoni
Si sente spesso parlare di acqua del bronzino: con questo termine si indicano le fontanelle in giro per la città munite di rubinetti, i bronzini appunto, cioè di una chiave per la chiusura.
Nell'antichità erano diffusi per il centro storico anche i "cannoni" ossia tubi che versavano l'acqua nelle fontane e vasche pubbliche senza alcuna chiave di chiusura. Una volta decadutone l’uso, i vari cannoni in giro per la città vennero purtroppo turati con tappi di piombo e successivamente eliminati.
3. Le "camalle d'aegua" e le "bugaixe"
Nei vicoli vi erano due figure femminili legate all'acqua pubblica: le "camalle d'aguae" e le "bugaixe" ossia le portatrici d'acqua e le lavandaie (il termine "bugaixe" era spesso utilizzato anche per indicare donne che parlavano in modo volgare, questo perchè le lavandaie erano piuttosto rozze e scurrili nel parlare).
Si sente spesso parlare di acqua del bronzino: con questo termine si indicano le fontanelle in giro per la città munite di rubinetti, i bronzini appunto, cioè di una chiave per la chiusura.
Nell'antichità erano diffusi per il centro storico anche i "cannoni" ossia tubi che versavano l'acqua nelle fontane e vasche pubbliche senza alcuna chiave di chiusura. Una volta decadutone l’uso, i vari cannoni in giro per la città vennero purtroppo turati con tappi di piombo e successivamente eliminati.
3. Le "camalle d'aegua" e le "bugaixe"
Nei vicoli vi erano due figure femminili legate all'acqua pubblica: le "camalle d'aguae" e le "bugaixe" ossia le portatrici d'acqua e le lavandaie (il termine "bugaixe" era spesso utilizzato anche per indicare donne che parlavano in modo volgare, questo perchè le lavandaie erano piuttosto rozze e scurrili nel parlare).
Le prime, che la tradizione racconta che fossero donne robuste e per la maggior parte provenienti della zona di
Montoggio (paese nell'entroterra genovese), attingevano l'acqua dai barchili sparsi per il centro storico che, a pagamento,
veniva consegnata a domicilio a tutte le case che non possedevano
cisterne o pozzi.
Le seconde si riunivano intorno ai barchili o presso i lavatoi, dove spesso trovavano già pronti sacchi di tela di roba sporca da lavare che venivano qui portati dalle case delle famiglie benestanti.
I panni venivano lavati con il sapone di marsiglia per poi essere battuti sulle piane dei trogoli e strizzati (tutti abbiamo nella mente le lavandaie che provvedono a torcere i panni).
Alle lenzuola era invece riservato un trattamento particolare: dopo l'ultima sciacquata, esse venivano messe in una conca di alluminio con il famoso turchinetto, un colorante azzurro, a base di blu di Prussia o di indaco, ridotto in polvere e sciolto in acqua per dare alle lenzuola un colore bianco azzurro ed impedire che nel tempo perdessero il loro bianco per diventare grigie.
Un
curiosità: una volta si diceva "è andato a sentir cantare le lavandaie"
per indicare una persona passata a miglior vita seppellita a
Staglieno, a due passi quindi dal Bisagno dove le lavandaie svolgevano
il loro lavoro.
4. Le fontane
4.1 Le fontane Marose
La storia di questa fontana ha un origine che si perde nei secoli. Certo è che uno dei tanti rivi che corrono ancora oggi sotto la nostra città scendeva sotto l'odierna Via Caffaro, una volta valle coltivata ad ulivi fuori dalle mura della città, e passando per l'attuale Piazza Fontane Marose, scorreva fino al mare dopo aver bagnato Soziglia: incanalando le acque di questo rivo si diede vita a questa fonte.
Antonio Giolfi "Veduta della Piazza Amorosa", Genova, 1769 |
La storia di questa fontana ha un origine che si perde nei secoli. Certo è che uno dei tanti rivi che corrono ancora oggi sotto la nostra città scendeva sotto l'odierna Via Caffaro, una volta valle coltivata ad ulivi fuori dalle mura della città, e passando per l'attuale Piazza Fontane Marose, scorreva fino al mare dopo aver bagnato Soziglia: incanalando le acque di questo rivo si diede vita a questa fonte.
Oggi questo rivo, il Rio Sant'Anna scorre ancora sotto Via Interiano, a pochi metri dal piano di calpestio.
Tre lapidi marmoree sono sopravvissute ai secoli e sono ancora oggi visibili all'angolo tra la Piazza e Via Interiano:
Ecco, una per una, cosa raccontano:
E' leggendo la più alta che possiamo attingere alle prime notizie certe su questa fontana: siamo nel 1206 ed è stata portata a termine un'opera di restauro e rifacimento di una fonte preesistente detta, come leggiamo nel marmo, "FONTIS MAROSAE".
La lapide centrale, anno 1427, racconta invece della pulizia dalla melma della cisterna sotto la fontana (di cui avete video e foto qui sotto), rivelandoci che la cisterna ha una profondità di 65,2 palmi genovesi (circa 17 metri). Come vi dicevo sopra, la lapide parla di 652 palmi ma manca in realtà una virgola dopo il 5.
Nella lapide più bassa infine, anno 1559, si dice che si è provveduto a dar nuova forma a questa splendida fontana, forma ad arcate che potete vedere nell'acquaforte del Giolfi sopra pubblicata: se la osservate attentamente noterete infatti degli archi a destra di Palazzo Interiano Pallavicino, sotto i quali vi era la fontana rinnovata.
Giovanni Lurago fu l'artigiano scalpellino che lavorò le pietre di Finale di queste arcate; il progetto, si pensa, fu opera di Galeazzo Alessi.
Una curiosità: mentre sulle prime due lapidi, quando viene indicata la data, si parla di "ANNO DOMINICAE NATIVITATIS", nell'ultima si fa invece riferimento all' "ANNO A PARTU VIRGINIS".
La storia delle Fontane Marose termina nel 1849 quando viene decisa la loro demolizione insieme a quella della vicina Porta cittadina detta "Portello" e l'apertura di Via Interiano.
Nel video qui di seguito potete "immergervi" nella cisterna (anche se in realtà è meglio parlare di pozzo poiché vi è un falda che lo alimenta e fa sì che l'acqua mantenga sempre un determinato livello) che ancora oggi si trova sotto Piazza delle Fontane Marose, che si raggiunge attraverso un tombino che si trova davanti alle tre lapidi:
Le tre lapidi sopravvissute ai secoli (foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
+ ANNO DOMINICAE NATIVITATIS MCCVI. INDI
CTIONE OCTAVA. INCAEPTUM FUIT HOC OP
US FONTIS MAROSAE ANTIQUITUS APPELLATAE
II MENSIS MADI TEMPORE POTESTACIAE DOMINICI JOANNIS STR
UXII CREMONENSIS AMICO TURCIO CLAV
IGERS INCIPIENTE ET FELICITER PERFICIENTE.
(NELL'ANNO DELLA NATIVITA' DEL SIGNORE 1206 DOPO L'OTTAVA INDIZIONE FU INIZIATA QUESTA OPERA DELLA FONTE MAROSA DALL'ANTICHITA' COSI' CHIAMATA IL II° DEL MESE DEL I° MAGNIFICO ANNO DEL SIGNORE NEL TEMPO DELLA PODESTA' DEL SIGNORE CREMONESE GIOVANNI STROZZI DALL'AMICO TURCO AVENDOLA IL CLAVIGERO INIZIATA E FELICEMENTE CONDOTTA A TERMINE.)
(foto di Antonio Figari) |
ANNO DOMINICAE NATIVITATIS
MCCCCXXVII LEONARDUS
DE CAMPIONIBUS ARGONUS
IUSTINIANNS IOHANES DE MARINIS
ET IOHANES SCALIA VENERANDI
PATRES CHOMUNIS ET SALVATORES
PORTUS ET MODULI AEVAQUARE
ET AEMONDARE FECERUNT
PRESENTEM FONTEM MAROSIAE
OLIM PLENUM OENO DE MENSE DECEMBRIS CUIUS PROFONDITAS
SUNT PARMI DLIVPO VAGINTA DUO.
(NELL'ANNO DELLA NATIVITA' DEL SIGNORE 1427 LEONARDO DEI CAMPIONI, ARAGONE GIUSTINIANO, GIOVANNI DE MARINI E GIOVANNI SCAGLIA, VENERANDI PADRI DEL COMUNE E CONSERVATORI DEL PORTO E DEL MOLO, UN TEMPO, PIENA DAL MESE DI DICEMBRE, FECERO EVACUARE E PULIRE DALLA MELMA QUESTA PRESENTE FONTE MAROSA DI CUI LA PROFONDITA' E' DI 652 PALMI GENOVESI.)
(in realtà la profondità è di 65,2 palmi genovesi: nella lapide manca la virgola)
SEN(ATUS) CON(SULTO) DEC(RETAVIT)
AEDILES REPARATORES QM ECCLESIE
DIVI LAURENTIJ - FONTES HOS A
MAIORIBUS CONSTRUCTOS INHANC
AMPLAM ATQM ORNATAM FORMAM:
REDAGI FECERUNT IPSOQM CURAVE
RUNT AB IMMUNDITIJS QUE INERA
NT EXPURGARI ANNO A PARTU
VIRGINIS - M D LVIIII
(IL SENATO CONSULTO DECRETO' - GLI EDILI RESTAURATORI DELLA CHIESA DI SAN LORENZO QUESTA FONTE COSTRUITA DAGLI ANTENATI IN QUESTA GRANDE ED ELEGANTE FORMA FECERO RESTAURARE. ESSI STESSI PROCURARONO CHE DALLA SPORCIZIA CHE VI ERA DENTRO FOSSE RIPULITA NELL' ANNO 1559 DAL PARTO DELLA VERGINE)
E' leggendo la più alta che possiamo attingere alle prime notizie certe su questa fontana: siamo nel 1206 ed è stata portata a termine un'opera di restauro e rifacimento di una fonte preesistente detta, come leggiamo nel marmo, "FONTIS MAROSAE".
La lapide centrale, anno 1427, racconta invece della pulizia dalla melma della cisterna sotto la fontana (di cui avete video e foto qui sotto), rivelandoci che la cisterna ha una profondità di 65,2 palmi genovesi (circa 17 metri). Come vi dicevo sopra, la lapide parla di 652 palmi ma manca in realtà una virgola dopo il 5.
Nella lapide più bassa infine, anno 1559, si dice che si è provveduto a dar nuova forma a questa splendida fontana, forma ad arcate che potete vedere nell'acquaforte del Giolfi sopra pubblicata: se la osservate attentamente noterete infatti degli archi a destra di Palazzo Interiano Pallavicino, sotto i quali vi era la fontana rinnovata.
Giovanni Lurago fu l'artigiano scalpellino che lavorò le pietre di Finale di queste arcate; il progetto, si pensa, fu opera di Galeazzo Alessi.
Una curiosità: mentre sulle prime due lapidi, quando viene indicata la data, si parla di "ANNO DOMINICAE NATIVITATIS", nell'ultima si fa invece riferimento all' "ANNO A PARTU VIRGINIS".
La storia delle Fontane Marose termina nel 1849 quando viene decisa la loro demolizione insieme a quella della vicina Porta cittadina detta "Portello" e l'apertura di Via Interiano.
Nel video qui di seguito potete "immergervi" nella cisterna (anche se in realtà è meglio parlare di pozzo poiché vi è un falda che lo alimenta e fa sì che l'acqua mantenga sempre un determinato livello) che ancora oggi si trova sotto Piazza delle Fontane Marose, che si raggiunge attraverso un tombino che si trova davanti alle tre lapidi:
Di seguito trovate invece le foto scattate il 1° febbraio 2023, giorno in cui sono potuto scendere a vedere questo antico manufatto medievale, un'emozione difficilmente descrivibile.
Come si giunge alla cisterna? Dopo essersi infilati in un tombino, proprio sotto le tre lapidi marmoree sopra descritte, e raggiunta la profondità di circa due metri e mezzo sotto il piano di calpestio, ci si ritrova su una scalinata di antiche pietre che conduce ad una sorta di balcone dove ci si può affacciare per godersi la visuale che avete con l'immagine qui di seguito. Il tutto rimane a destra della scala proprio sotto Palazzo Interiano Pallavicino.
Se si prosegue invece sulla sinistra, con qualche altro gradino in mattoni, si giunge all'alveo del Rio Sant'Anna che scorre impetuoso a pochi metri dalla cisterna e proprio sotto la parte carrabile di Via Interiano.
la cisterna sotto Piazza Fontane Marose (foto di Antonio Figari) |
la cisterna sotto Piazza Fontane Marose (foto di Antonio Figari) |
La discesa che porta al Rio Sant'Anna (foto di Antonio Figari) |
4.2 La fontana di Piazza Vacchero
La fontana di Piazza Vacchero, detta anche "Peschiera del Raggio", si trova nell'omonima piazza, nei pressi di Via del Campo poco distante dalla Porta dei Vacca.
Essa fu costruita nel 1644 dai discendenti di Giulio Cesare Vacchero, personaggio noto per esser stato il protagonista di una congiura contro il governo genovese (vedi la sua storia nella Pagina de i FANTASMI di GENOVA), congiura appoggiata dal duca di Savoia Carlo Emanuele I.
Con la fontana, i discendenti del Vacchero vollero nascondere la cosiddetta "Colonna Infame", eretta dal governo della città a perenne ricordo dello scelleratissimo gesto del Vacchero.
La fontana di Piazza Vacchero, detta anche "Peschiera del Raggio", si trova nell'omonima piazza, nei pressi di Via del Campo poco distante dalla Porta dei Vacca.
Essa fu costruita nel 1644 dai discendenti di Giulio Cesare Vacchero, personaggio noto per esser stato il protagonista di una congiura contro il governo genovese (vedi la sua storia nella Pagina de i FANTASMI di GENOVA), congiura appoggiata dal duca di Savoia Carlo Emanuele I.
Con la fontana, i discendenti del Vacchero vollero nascondere la cosiddetta "Colonna Infame", eretta dal governo della città a perenne ricordo dello scelleratissimo gesto del Vacchero.
Nel secondo dopoguerra, per far posto ad un parcheggio, l'antica colonna infame venne buttata giù e ricostruita, in cemento, a fianco della fontana: oggi dunque il barchile non copre più la colonna che rimane ben visibile passeggiando in Via del Campo.
La Fontana di Piazza Vacchero (foto di Antonio Figari) |
Il leone dalla cui bocca sgorga l'acqua della fontana di Piazza Vacchero (foto di Antonio Figari) |
Uno dei putti dalla cui bocca sgorga l'acqua della fontana di Piazza Vacchero (foto di Antonio Figari) |
Il retro della fontana conserva a metà altezza una conchiglia ora ridotta a ricettacolo per i rifiuti (foto di Antonio Figari) |
4.3 Le fontane di Via delle Fontane
La strada che collega Piazza delle Nunziata a Via Gramsci prende il nome da fontane pubbliche che qui erano ubicate.
4.4 La fontana in Piazza Inferiore del Roso
Tra Via Balbi e Via Prè, nascosta tra stretti vicoli e recentemente restaurata dopo i gravi danni della seconda guerra mondiale, c'è Piazza Inferiore del Roso.
Sul muro verso nord potrete notare una lapide marmorea che ricorda che qui sorgeva una fonte pubblica, anch'essa, come i truogoli di Santa Brigida, di cui trovate la storia nei paragrafi seguenti, costruita grazie alla generosità della famiglia Balbi: come ricorda la lapide fu Francesco Balbi a voler questa fonte alle idi di Gennaio, ovvero il 15 del mese, del 1648.
4.5 La fontana dei Cannoni del Molo
La fontana dei Cannoni del Molo si trova all'imbocco di Via del Molo poco distante dalla Chiesa di San Marco.
Detta anche Castello d'acqua (il termine "castellum" in età romana indicava l'edificio per la raccolta dell'acqua), qui arrivavano le acque del ramo di Castelletto dell'acquedotto cittadino e dal 1632 anche le acque eccedenti la vicina cisterna di Santa Maria delle Grazie.
Se alzate gli occhi potrete notare due sottili e lunghe lastre di marmo con dei numeri segnati: erano i numeri dei tanti bronzini qui presenti.
Tra Via Balbi e Via Prè, nascosta tra stretti vicoli e recentemente restaurata dopo i gravi danni della seconda guerra mondiale, c'è Piazza Inferiore del Roso.
Sul muro verso nord potrete notare una lapide marmorea che ricorda che qui sorgeva una fonte pubblica, anch'essa, come i truogoli di Santa Brigida, di cui trovate la storia nei paragrafi seguenti, costruita grazie alla generosità della famiglia Balbi: come ricorda la lapide fu Francesco Balbi a voler questa fonte alle idi di Gennaio, ovvero il 15 del mese, del 1648.
La lapide marmorea in Piazza Inferiore del Roso (foto di Antonio Figari) |
4.5 La fontana dei Cannoni del Molo
La Fontana dei Cannoni del Molo (foto di Antonio Figari) |
La fontana dei Cannoni del Molo si trova all'imbocco di Via del Molo poco distante dalla Chiesa di San Marco.
Detta anche Castello d'acqua (il termine "castellum" in età romana indicava l'edificio per la raccolta dell'acqua), qui arrivavano le acque del ramo di Castelletto dell'acquedotto cittadino e dal 1632 anche le acque eccedenti la vicina cisterna di Santa Maria delle Grazie.
Se alzate gli occhi potrete notare due sottili e lunghe lastre di marmo con dei numeri segnati: erano i numeri dei tanti bronzini qui presenti.
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
4.6 La fontana del Bordigotto
Nella zona tra l'antico mercato del pesce, l'odierna piazza Raibetta, e quella che oggi è Piazza Cavour, lungo la strada che collegava Vico dell'Olio con Via del Molo, vi era una fontana detta "del Bordigotto".
Jacopo da Varagine ci racconta che nel 935 d.C. una mattina all'improvviso dalla fontana iniziò a zampillare sangue.
L'evento fu subito visto dai genovesi come presagio di una sventura imminente e così puntualmente accadde.
Da lì a poche ore la città sarà messa a ferro e a fuoco dai saraceni che, dopo aver devastato la città e ucciso gli uomini, se ne andarono con donne e bambini che sarebbero poi stati rivenduti come schiavi.
Era il 26 agosto del 936 d.C. e i saraceni riescono nell'impresa già tentata due anni prima ma fallita a causa delle condizioni del mare: i racconti dell'epoca ci parlano della flotta dei nemici, che dopo aver bloccato il porto e la città, sbarca nei pressi della chiesa di San Siro e per alcune ore saccheggia al città.
La flotta genovese, tornata in città e resasi conto della tragedia, riprende subito il mare e, come ci racconta l'annalista Giustiniani (vissuto nel XVI Secolo), raggiunge i pirati in Sardegna sconfiggendoli dopo una lunga battaglia (si racconta che non furono fatti prigionieri e tutti i nemici furono passati per le armi: da questo avvenimento così cruento una vicina isola sarà nominata "mortorio" o "isola dei morti").
Il tragico avvenimento che sconvolse la città diede impulso alla costruzione della cinta murario del IX Secolo, cinta muraria che sarà poi rafforzata per proteggere la città dal Barbarossa nel 1155.
La fontana, che con il suo gocciolare sangue, segno premonitore da alcuni visto come salvifico, aveva infatti aiutato alcuni genovesi, si dice un terzo della popolazione, a mettersi in salvo sulle alture, verrà consacrata. Accanto ad essa sarà eretta un'edicola votiva alla quale nel XVI secolo verrà aggiunta una statua di San Giovanni Battista. Qui sostavano le ceneri del Santo prima di essere portate sul molo in occasione dei tempeste per chiedere l'intercessione dello stesso affinché le navi genovesi potessero rientrare in porto e non affondare tra i marosi.
Tutto quanto sopra riportato purtroppo non impedirà il suo lento declino e così, mentre la città si ammodernava dotandosi di nuove strade e nuovi quartieri, la fontana del Bordigotto, considerata oramai inutile e con evidenti segni del tempo, verrà demolita nel 1863.
4.7 La fontana spiritata di Via Carcassi
Se percorrete Via Carcassi, la strada che corre lungo le mura dell'Acquasola, poco prima di giungere alla Porta dell'Olivella, Vi imbatterete in un antica fontana.
Un'antica credenza popolare vuole che l'acqua di questa fontana sia carica di energie negative sia perché vicina ad un cimitero senza croci (quello degli appestati ammassati sotto l'Acquasola), sia perché a fianco al Bosco del Diavolo, sede di antichi riti pagani, che sorgeva dove ora vi è la Chiesa della SS. Annunziata di Portoria (dove sono custodite le spoglie di Santa Caterina Fieschi Adorno).
Oggi purtroppo questo antico monumento è abbandonato a se stesso anche se da qualche tempo vi scorre di nuovo l'acqua: un piccolo segnale, spero, perché presto questo tesoro così carico di storia sia restaurato e riportato all'antica bellezza.
Il mascherone della fontana di Via Carcassi (foto di Antonio Figari) |
Se percorrete Via Carcassi, la strada che corre lungo le mura dell'Acquasola, poco prima di giungere alla Porta dell'Olivella, Vi imbatterete in un antica fontana.
Un'antica credenza popolare vuole che l'acqua di questa fontana sia carica di energie negative sia perché vicina ad un cimitero senza croci (quello degli appestati ammassati sotto l'Acquasola), sia perché a fianco al Bosco del Diavolo, sede di antichi riti pagani, che sorgeva dove ora vi è la Chiesa della SS. Annunziata di Portoria (dove sono custodite le spoglie di Santa Caterina Fieschi Adorno).
Oggi purtroppo questo antico monumento è abbandonato a se stesso anche se da qualche tempo vi scorre di nuovo l'acqua: un piccolo segnale, spero, perché presto questo tesoro così carico di storia sia restaurato e riportato all'antica bellezza.
La fontana di Via Carcassi (foto di Antonio Figari) |
4.8 "A faccia ch'a butta aegua" in Via Luccoli
Prima del 1825, anno in cui venne aperta Via Carlo Felice (l’odierna Via XXV Aprile), Via Luccoli proseguiva in Salita Santa Caterina essendo ad essa collegata.
A seguito di questo intervento urbanistico, che di fatto tagliava l’ultimo tratta di Via Luccoli creando una curva a novanta gradi, in cima a questo tratto di strada venne collocata una fontana con un bel mascherone che gettava acqua, "a faccia ch'a bûtta aegua" per dirla in dialetto genovese.
A seguito di questo intervento urbanistico, che di fatto tagliava l’ultimo tratta di Via Luccoli creando una curva a novanta gradi, in cima a questo tratto di strada venne collocata una fontana con un bel mascherone che gettava acqua, "a faccia ch'a bûtta aegua" per dirla in dialetto genovese.
4.9 Gli abbeveratoi di Piazza Caricamento
In Piazza Caricamento, a servizio dei tanti cavalli che ogni giorno di lì partivano carichi di merce da consegnare in tutta la città, vennero eretti, nel diciannovesimo secolo, due abbeveratoi di marmo.
Come potete vedere nell’immagine qui di seguito, essi erano formati da una colonna centrale e da quattro vaschette (già in questa immagine manca la “pila” centrale che spiccava al centro e dalla quale quattro rubinetti “sputavano” acqua nelle vaschette).
Quando persero la loro funzione di servizio per i cavalli in Caricamento, venne deciso di trasferirli: uno venne collocato in Piazza Manzoni e uno all’interno della stazione di Terralba.
Quest’ultimo è oggi conservato al Museo di Sant'Agostino, mentre quello in Piazza Manzoni è ancora al suo posto anche se mancante di una delle vaschette, la “pila” centrale, e senza che vi sia l’acqua che scorre.
4.10 La fontana dedicata a Nicolò Bacigalupo
Nel 1920, finanziata con una sottoscrizione indetta dal giornale umoristico "Successo", fu eretta in Piazza Principe, a pochi passi dalla Statua dedicata al Duca di Galliera, una fontana in marmo dedicata al poeta dialettale Nicolò Bacigalupo (Genova, 1837 - 1904).
La fontana, come la vicina statua dedicata al Duca, fu trasferita a seguito dei lavori per la metropolitana. Oggi essa è collocata in Viale IV Novembre sotto i vecchi lecci del parco dell'Acquasola.
Le parole incise alla base della fontana ci raccontano la ragione per cui era stato deciso di dedicare proprio una fontana a Bacigalupo:
NICOLO' BACIGALUPO
FLUENTE ERA IL SUO VERSO
COM'ACQUA DI PURA FONTE
Sul retro sono incise invece le seguenti parole:
CON L'OBOLO
DEI CITTADINI
1920
Purtroppo la vaschetta di marmo laterale che si vede nella foto qui di seguito è oggi distrutta e non vi è più il rubinetto da dove scaturiva l'acqua. Intatti invece sono il busto del Bacigalupo che troneggia con le braccia conserte e le sottostanti bellissime figure, una maschile e una femminile con un vaso dal quale scaturisce acqua, il tutto scolpito nel bianco marmo.
Quello che vedete accanto alla fontana è Gilberto Govi (Genova 1885 - 1966). Quest'ultimo era molto legato a Bacigalupo il quale aveva scritto la commedia teatrale in diletto genovese dal titolo "I manezzi pe maja na figlia" (I maneggi per maritare una figlia) portata al successo dallo stesso Govi.
4.11 La fontana di Piazza De Ferrari
La piazza per antonomasia a Genova, Piazza De Ferrari, dedicata ad un grande genovese che contribuì con generose donazioni alla crescita della sua città ed in particolare del suo porto, nasce agli inizi del XX secolo come naturale punto di arrivo delle tre moderne grandi arterie cittadine ottocentesche ossia Via XX Settembre, Via Dante e Via Roma.
Fatta la piazza, sorse il quesito di come dare alla stessa una sistemazione definitiva. Dapprima venne pensata un'aiuola centrale per poi optare infine per la costruzione di una fontana.
Il grande bacino in bronzo che corona l'intera struttura fu donato alla città da Carlo Piaggio, figlio dell'armatore e banchiere Erasmo Piaggio, per dar seguito alla volontà del padre di lasciare un dono alla sua amata città.
L'idea di posizionare una fontana nella piazza era in realtà già stata suggerita agli inizi del XX secolo con un progetto a firma di Giuseppe Moretti ma trovò concretezza solo grazie alla generosità di Carlo Piaggio e con un progetto firmato dall'architetto Giuseppe Crosa di Vergagni.
La monumentale fontana fu realizzata nel 1936: si tratta di un grande bacino in bronzo di 11 metri di diametro e del peso di 25 tonnellate, fusa nello stabilimento dei cantieri del "Tirreno". Trasportata con un pontone fino al bacino delle Grazie, da lì con un auto-trattore venne portata fino in piazza. Il tragitto comprendeva la circonvallazione a mare, l'attuale Corso Aurelio Saffi: si racconta che furono tagliati alcuni alberi per facilitare il passaggio di questo gigante di bronzo.
Il Secolo XIX così racconta: "Nella freschissima aria della sera, il trasporto è venuto avanti lentamente tra un gran lusso di agenti municipali e di carabinieri in un nereggiare di folla. Tanta gente desiderosa di poter dire ai figli e ai nipoti che loro c'erano, la sera che quella grande vasca venne messa al suo posto".
L'inaugurazione ufficiale avvenne il 24 maggio 1936.
I cittadini presenti all'inaugurazione lanciarono monetine nella grande fontana. Questa usanza andò avanti anche per i giorni a venire. A un mese dall'inaugurazione furono raccolte dagli addetti alla pulizia della fontana monete per un valore complessivo di 5.500 lire, una cifra considerevole che il podestà Carlo Bombrini decise di destinare al Comitato Comunale dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia.
Negli ultimi anni alla fontana è stata aggiunta un'ulteriore vasca alla quale l'acqua arriva poichè alla vasca più esterna della fontana è stato seghettato il bordo. Il getto, che un tempo partiva dal centro della coppa di bronzo, per cadere in quelle inferiori creando un particolare gioco d'acqua, è oggi sostituito da tanti getti posizionati sulla vasca esterna che direzionano l'acqua verso il centro della fontana.
La nuova sistemazione non permette più di leggere, o meglio nn così bene come prima, le parole di dedica:
TENACE AFFETTO DI LIGURE
SUPERANDO IL DESTINO
ALLA SUA CITTA' DONAVA
XXI V MCMXXXVI
5. I barchili
Quando si parla delle fontane genovesi si usa il termine barchile, "barchî" in genovese.
Giovanni Casaccia, nel suo vocabolario genovese-italiano, ci spiega l'origine del nome: "Barchî: fontana. Voce Turca. Quell’ornato di marmo con cui si adornano le fontane artifiziali collocate a comodo dei cittadini in varie piazze della città".
Quando si parla delle fontane genovesi si usa il termine barchile, "barchî" in genovese.
Giovanni Casaccia, nel suo vocabolario genovese-italiano, ci spiega l'origine del nome: "Barchî: fontana. Voce Turca. Quell’ornato di marmo con cui si adornano le fontane artifiziali collocate a comodo dei cittadini in varie piazze della città".
Possiamo quindi considerare i barchili come fontane ornate da un monumento.
Di seguito troverete i barchili ancora oggi presenti nei vicoli e quelli che non lo sono più ma di cui conserviamo la memoria.
5.1 Il barchile di Soziglia
Al centro della piazza di Soziglia sorgeva un bellissimo barchile: oltre ad esser una sorgente d'acqua per gli abitanti e gli animali della zona, intorno vi si posavano i sacchi di tela con la biancheria sporca delle famiglie benestanti, che veniva raccolta e lavata dalle "bugaixe" (termine genovese per indicare le lavandaie). Esso era inoltre luogo di ritrovo per i genovesi che lì si riunivano per discutere di politica e di tutto ciò che accadeva in città.
Nel 1578 il barchile venne arricchito da una sirena, opera di Taddeo Carlone. In seguito la sirena venne spostata in Piazza Lavagna e di lì scomparve misteriosamente.
Nel 1726 il carrarese Francesco Baratta scolpì per il barchile il gruppo marmoreo di Enea in fuga da Troia con il padre Anchise e il figlio Ascanio.
Oggi purtroppo poco rimane dell'antico splendore di questo barchile: esso fu dapprima spostato in piazza Lavagna, dove, come già detto, scomparve la sirena del Carlone, poi in Piazza Fossatello (per dare acqua al mercato delle verdure che lì si svolgeva) ed oggi lo troviamo in Piazza Bandiera, abbandonato al suo triste destino in mezzo alle auto in sosta. Il suo lungo peregrinare in giro per la Superba, degno di esser equiparato ai viaggi di Enea che sul Barchile è scolpito (a volte il destino sembra proprio beffardo), fu causato dal suo ingombro sulla strada che non lasciava abbastanza spazio alle carrozze in transito in Soziglia. Forse oggi, che la piazza non ha più problemi di traffico veicolare, sarebbe il caso di riportare l'antico barchile nella sua originaria posizione, così da valorizzarlo come meriterebbe.
Al centro della piazza di Soziglia sorgeva un bellissimo barchile: oltre ad esser una sorgente d'acqua per gli abitanti e gli animali della zona, intorno vi si posavano i sacchi di tela con la biancheria sporca delle famiglie benestanti, che veniva raccolta e lavata dalle "bugaixe" (termine genovese per indicare le lavandaie). Esso era inoltre luogo di ritrovo per i genovesi che lì si riunivano per discutere di politica e di tutto ciò che accadeva in città.
Nel 1578 il barchile venne arricchito da una sirena, opera di Taddeo Carlone. In seguito la sirena venne spostata in Piazza Lavagna e di lì scomparve misteriosamente.
Nel 1726 il carrarese Francesco Baratta scolpì per il barchile il gruppo marmoreo di Enea in fuga da Troia con il padre Anchise e il figlio Ascanio.
Oggi purtroppo poco rimane dell'antico splendore di questo barchile: esso fu dapprima spostato in piazza Lavagna, dove, come già detto, scomparve la sirena del Carlone, poi in Piazza Fossatello (per dare acqua al mercato delle verdure che lì si svolgeva) ed oggi lo troviamo in Piazza Bandiera, abbandonato al suo triste destino in mezzo alle auto in sosta. Il suo lungo peregrinare in giro per la Superba, degno di esser equiparato ai viaggi di Enea che sul Barchile è scolpito (a volte il destino sembra proprio beffardo), fu causato dal suo ingombro sulla strada che non lasciava abbastanza spazio alle carrozze in transito in Soziglia. Forse oggi, che la piazza non ha più problemi di traffico veicolare, sarebbe il caso di riportare l'antico barchile nella sua originaria posizione, così da valorizzarlo come meriterebbe.
A proposito dei tanti cambi di postazione di questo barchile, la rivista "Il Raccoglitore ligure" nel maggio del 1932 così scriveva: "Enea non vagabondò tanto da vivo, quanto i genovesi lo fecero vagabondare da morto!".
Il Barchile di Soziglia oggi in Piazza Bandiera (foto di Antonio Figari) |
Particolare del gruppo scultoreo del Barchile di Soziglia (foto di Antonio Figari) |
Particolare del calzare di Enea (foto di Antonio Figari) |
5.2 Il barchile di Ponte Reale
Il barchile di Ponte Reale fu costruito nel 1646 su incarico dei "Protettori dell'Ufficio" (ossia i vertici di Palazzo San Giorgio).
L'acqua che lo alimentava arrivava direttamente dalla condotta idrica che da Piazza Fontane Marose scendeva per Via Luccoli e attraversava Piazza Banchi.
Il Barchile fu progettato da Pietro Antonio e Ottavio Corradi e poi costruito da G. B. Orsolino su incarico dei Protettori dell'Ufficio, i quali decisero di collocare un monumento simbolico sul Ponte Reale. La fontana fu inaugurata nel 1646 ed era consì fatta: una grande vasca con abbeveratoi ai lati e al centro quattro delfini che sorreggevano altrettante cariatidi le quali a loro volta tenevano su una grande coppa di marmo al centro della quale successivamente venne collocata una "fama alata che suona un nicchio marino", opera dello scultore Jacopo Garvo.
Nel 1647, per dare al barchile un getto d'acqua più potente e più scenografico, i Protettori dell'Ufficio decisero di captare le acque provenienti dall'Acquasola: venne costruito una condotta con tubi di marmo che, scorrendo sottoterra, arrivava fino al barchile di Ponte Reale.
Nel 1673 la fontana venne spostata in cima a Ponte Reale.
Nel 1861, e più precisamente tra il 18 febbraio e l'8 marzo, il barchile venne trasferito, a seguito di una delibera municipale, in piazza Colombo dove tuttora si trova.
In questo particolare di un'incisione di A. Giolfi, si può notare la Porta di Ponte Reale e sul ponte il Barchile di Ponte Reale, oggi al centro di Piazza Colombo |
Il barchile di Ponte Reale fu costruito nel 1646 su incarico dei "Protettori dell'Ufficio" (ossia i vertici di Palazzo San Giorgio).
L'acqua che lo alimentava arrivava direttamente dalla condotta idrica che da Piazza Fontane Marose scendeva per Via Luccoli e attraversava Piazza Banchi.
Il Barchile fu progettato da Pietro Antonio e Ottavio Corradi e poi costruito da G. B. Orsolino su incarico dei Protettori dell'Ufficio, i quali decisero di collocare un monumento simbolico sul Ponte Reale. La fontana fu inaugurata nel 1646 ed era consì fatta: una grande vasca con abbeveratoi ai lati e al centro quattro delfini che sorreggevano altrettante cariatidi le quali a loro volta tenevano su una grande coppa di marmo al centro della quale successivamente venne collocata una "fama alata che suona un nicchio marino", opera dello scultore Jacopo Garvo.
Nel 1647, per dare al barchile un getto d'acqua più potente e più scenografico, i Protettori dell'Ufficio decisero di captare le acque provenienti dall'Acquasola: venne costruito una condotta con tubi di marmo che, scorrendo sottoterra, arrivava fino al barchile di Ponte Reale.
Nel 1673 la fontana venne spostata in cima a Ponte Reale.
Nel 1861, e più precisamente tra il 18 febbraio e l'8 marzo, il barchile venne trasferito, a seguito di una delibera municipale, in piazza Colombo dove tuttora si trova.
Il Barchile di Ponte Reale oggi in Piazza Colombo (foto di Antonio Figari) |
5.3 Il barchile di Ponticello
Il Barchile di Ponticello (foto di Antonio Figari) |
Il barchile di "Ponticello", che prende il nome dalla zona in cui era collocato, zona che potremmo oggi identificare tra Piazza Dante e Via Fieschi, fu eretto nel 1642-43.
La storia ci racconta che nel 1642, anno in cui l'acquedotto civico cittadino fu prolungato fino a Cavassolo alla Presa, dove si trovava un gran serbatoio di acqua e un bellissimo ponte, il più grande dell'acquedotto, gli abitanti di Ponticello chiesero con un'istanza ai Padri del Comune che fosse costruita nella loro piazza una fontana considerata indispensabile per tutti coloro che frequentavano il luogo, dicendosi disposti anche a contribuire alle spese, e l'istanza venne accolta il 4 luglio di quell'anno.
Il Barchile di Ponticello nella sua originaria collocazione |
La storia ci racconta che nel 1642, anno in cui l'acquedotto civico cittadino fu prolungato fino a Cavassolo alla Presa, dove si trovava un gran serbatoio di acqua e un bellissimo ponte, il più grande dell'acquedotto, gli abitanti di Ponticello chiesero con un'istanza ai Padri del Comune che fosse costruita nella loro piazza una fontana considerata indispensabile per tutti coloro che frequentavano il luogo, dicendosi disposti anche a contribuire alle spese, e l'istanza venne accolta il 4 luglio di quell'anno.
Il 14 dello stesso mese il reverendo Cavazza effettuò il versamento con i soldi raccolti tra gli abitanti di Ponticello, somma che ammontava a trecentocinquanta lire genovesi (alla faccia di chi dice che i genovesi siano avari!), con il risultato che la pratica fu in breve tempo sbrigata e nel mese di agosto dello stesso anno venne dato il primo acconto di cento lire per la fornitura dei marmi e la loro lavorazione ad opera dello scultore Giovanni Mazzetti, come ci racconta l'Alizeri.
E sempre quest'ultimo ci racconta che la fontana venne terminata nel 1643 e collaudata dall'architetto Francesco Da Nove. Essa aveva una base a forma di cubo su cui era scolpito lo stemma della città. In alto zampillavano quattro fili d'acqua e sulla base appoggiava una colonna arabescata che reggeva la vasca a forma ottagonale, da cui usciva altra acqua, a forma di testa d'ariete, mentre un putto, in alto al centro, soffiava l'acqua da una conchiglia. Per la sua bellezza ed eleganza, il Barchile di Ponticello venne paragonato a quelli delle Peschiere e di piazza delle Erbe.
Al Barchile di Ponticello, così come alle altre fontane della città, attingevano l'acqua le cosiddette "camalle d'aegua", le portatrici d'acqua, donne robuste e per la maggior parte provenienti della zona di Montoggio (paese nell'entroterra genovese) che, a pagamento, consegnavano l'acqua a domicilio a tutte le case che non possedevano cisterne o pozzi.
Nel 1876 si iniziò a pensare alla possibilità di rimuovere il Barchile dalla sua posizione originaria in conseguenza del trasferimento delle erbivendole da Piazza Ponticello a Via Fieschi, allora appena aperta.
Inoltre, come già successo per il Barchile di Piazza Soziglia, l'ingombro della fontana iniziava ad esser considerato pericoloso per i veicoli che transitavano in Piazza Ponticello diretti verso la Basilica dell'Assunta di Carignano. Nel 1935 il Barchile fu trasferito nel cortile di levante di Palazzo Ducale dove fu sistemato ad opera degli architetti Orlando Grosso e Giuseppe Crosa.
Nel 1998 un altro spostamento portò il barchile in Campetto dove tuttora si trova.
Il Barchile di Ponticello oggi in Campetto (foto di Antonio Figari) |
5.4 Il barchile di Piazza Nuova e quello di Sant'Agostino
La fontana di Piazza Marsala (foto di Antonio Figari) |
Particolare della Fontana di Piazza Marsala (foto di Antonio Figari) |
La fontana in mezzo all'ottocentesca piazza Marsala venne collocata dove oggi la vediamo nel 1878.
La sua storia ha inizio il 6 marzo 1536: tre scultori comaschi, Gian Giacomo e Guglielmo della Porta (padre e figlio) e Nicolò da Corte ricevono 120 scudi aurei dai padri del Comune per eseguire una fontana pubblica da collocare in Piazza Nuova (l'attuale Piazza Matteotti) davanti alla Chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea, quella che tutti conoscono come il Gesù.
Fu Santo Varni, eccellente scultore ma anche appassionato collezionista e conoscitore della storia della scultura, nell'ottocento, a scoprire un atto notarile che ci svela la storia del barchile e lo descrive: ottagono di dieci palmi di diametro esterno, sormontato da una pila e da un basamento "con la figura sopra essa pilla de Jano" (il busto di Giano, il mitico fondatore di Genova, descritto da Santo Varni, è oggi posizionato in cima al cupolino sul pozzo di Sarzano).
La fontana di Piazza Nuova rimase al suo posto per meno di un secolo: nel 1628 fu smontata e Giano ed il resto del barchile presero strade diverse: il busto fu dapprima collocato nella fontana di Piazza Vacchero per poi giungere in Sarzano, mentre il resto della fontana fu collocato davanti al complesso di San Domenico (nell'attuale Piazza De Ferrari) e, dopo esser stato smontato a seguito della demolizione di detto convento, fu dapprima collocato nel Parco dell'Acquasola (nella parte centrale del parco oggi occupata da Piazza Corvetto) ed infine rimontato nel 1878 dove oggi lo vediamo.
La sua storia ha inizio il 6 marzo 1536: tre scultori comaschi, Gian Giacomo e Guglielmo della Porta (padre e figlio) e Nicolò da Corte ricevono 120 scudi aurei dai padri del Comune per eseguire una fontana pubblica da collocare in Piazza Nuova (l'attuale Piazza Matteotti) davanti alla Chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea, quella che tutti conoscono come il Gesù.
Fu Santo Varni, eccellente scultore ma anche appassionato collezionista e conoscitore della storia della scultura, nell'ottocento, a scoprire un atto notarile che ci svela la storia del barchile e lo descrive: ottagono di dieci palmi di diametro esterno, sormontato da una pila e da un basamento "con la figura sopra essa pilla de Jano" (il busto di Giano, il mitico fondatore di Genova, descritto da Santo Varni, è oggi posizionato in cima al cupolino sul pozzo di Sarzano).
La fontana di Piazza Nuova rimase al suo posto per meno di un secolo: nel 1628 fu smontata e Giano ed il resto del barchile presero strade diverse: il busto fu dapprima collocato nella fontana di Piazza Vacchero per poi giungere in Sarzano, mentre il resto della fontana fu collocato davanti al complesso di San Domenico (nell'attuale Piazza De Ferrari) e, dopo esser stato smontato a seguito della demolizione di detto convento, fu dapprima collocato nel Parco dell'Acquasola (nella parte centrale del parco oggi occupata da Piazza Corvetto) ed infine rimontato nel 1878 dove oggi lo vediamo.
Tutto ciò che avete letto poco sopra, tratto da vari libri sulla Genova antica, viene per così dire stravolto da un interessante articolo del 2017 sulla rivista della "A Compagna" a firma del compianto studioso Armando Di Raimondo.
Da attento osservatore egli notò la diversità tra il barchile ritratto nell'incisione di Wermer e nella tela di Lawrence (nelle immagini qui di seguito) e quello oggi in Piazza Marsala (il quale invece corrisponde con quello della stampa dell'Acquasola che vedete poco sotto). In realtà già Giuseppe Banchero e metà ottocento aveva notato che il barchile posto nel 1840 all'Acquasola si discostava da quello di Piazza San Domenico ma non vi erano prove a sostenere la sua teoria.
Incisione di F. B. Werner raffigurante il Convento di San Domenico (in primo piano si nota il barchile di Piazza Nuova) |
Thomas Lawrence, "Demolizione di San Domenico", Galleria d'Arte Moderna, Genova Nervi (si nota in primo piano il barchile) |
In una ricerca archivistica sul Convento di Sant'Agostino, per caso Di Raimondo si imbattè in un contratto stipulato tra i padri agostiniani e lo scultore Rocco Pellone per la realizzazione di un barchile. Il progetto presentato da quest'ultimo prevedeva una fontana con quattro delfini del tutto simili a quelli oggi facenti parte della fontana di Piazza Marsala.
La fontana, una volta completata, fu posta al centro del chiostro quadrangolare di Sant'Agostino nel quale rimase fino al 1840 quando venne spostata dapprima all'Acquasola (come vedete nell'immagine qui di seguito) ed infine in Piazza Marsala.
Che fine ha fatto allora il barchile di Piazza Nuova dopo esser stato spostato dalla sua posizione davanti alla chiesa di San Domenico? Di questo Di Raimondo non ci parla.
E' un interrogativo che mi pongo da un pò di tempo. Come ogni barchile anche questo deve aver viaggiato in giro per Genova, ma oggi dove sarà? Una vecchia foto, che vedete qui di seguito, trovata per caso mentre studiavo la storia di Villetta di Negro, mi ha fatto tornare alla mente questo manufatto a me familiare. "Mi sono fatto persuaso" (come direbbe il Montalbano di Camilleri) di aver finalmente trovato la soluzione a questo enigma.
Eccolo qui sopra in foto, inserito nel parco di Villetta di Negro. Sarà lui il barchile nato in Piazza Nuova, l'odierna Piazza Matteotti e poi trasferito davanti alla chiesa di San Domenico?
Osservandolo nell'immagine qui di seguito, la sua grande somiglianza con il barchile dell'incisione di F. B. Werner e nel dipinto di Thomas Lawrence (che vedete nelle precedenti immagini) sembra più che una semplice suggestione.
Ecco che le parole dell'atto notarile trovato da Santo Varni che descrivevano il barchile "ottagono di dieci palmi di diametro esterno, sormontato da una pila e da un basamento" acquistano significato. L'idea poi che spesso si parli del barchile di Piazza Nuova collocato all'Acquasola può derivare dal fatto che anticamente la passeggiata si estendeva fino a Villetta di Negro e dunque erano stati confusi due luoghi adiacenti.
Come sarà arrivato qui? Come saprete, se conoscete la storia di Villetta di Negro (vi rimando alla pagina de i SEGRETi die VICOLI della GRANDE GENOVA per approfondire la sua storia), essa nasce per volontà del marchese Gian Carlo di Negro che acquisisce il terreno nel 1802. La villa passa poi in proprietà al Comune di Genova dopo la morte del marchese avvenuta nel 1857.
Probabilmente è proprio in questo momento storico che il barchile trova la sua nuova collocazione.
Purtroppo i bombardamenti del settembre del 1942 colpirono il colle ove era ubicata villetta di Negro e anche il barchile subì gravi danni (come documenta la foto di seguito). Da quel momento se ne sono perse le tracce.
Se da una parte mi rende triste vedere questo antico barchile così ridotto, forse perso per sempre, dall'altra mi fa sperare il fatto che i resti dello stesso possano essere ancora conservati in qualche deposito lapideo comunale e che prima o poi salti fuori questo antico manufatto o ciò che ne rimane.
Mi fa poi sorridere il fatto che ho sempre avuto sotto gli occhi questo barchile in una foto "ghiacciata" del mio archivio, eccola di seguito:
Mai avrei pensato che sotto quella coltre di ghiaccio si nascondesse questo antico barchile.
Un altro interrogativo da sciogliere è il seguente: Santo Varni ci racconta che il busto di Giano, che inizialmente coronava il barchile di Piazza Nuova, prese altre direzioni. Nelle immagini che vi ho mostrato sopra il barchile infatti viene rappresentato in Piazza San Domenico senza alcun manufatto sulla cima. A Villetta di Negro invece appare un piccolo putto che regge tra le mani un qualcosa (forse una conchiglia?) dal quale sgorga acqua. Da dove proveniva questa piccola scultura (anch'essa partecipante a quel lavoro di "taglio e cuci" dei barchili genovesi) e che fine avrà fatto? La ricerca continua. Nel mentre vi lascio con un'altra immagine, proveniente dal Centro DOCSAI, dove si vede la piccola scultura di profilo quasi ad ammirare la residenza del marchese Di Negro, progettata da Carlo Barabino, distrutta nel 1942.
Il barchile di Piazza delle Erbe fu eretto nel 1694.
Esso non nacque per dare alla piazza un semplice abbellimento ma con una precisa funzione sociale: furono infatti i venditori di ortaggi che lì avevano i loro banchetti (da cui il nome "Piazza delle Erbe") a cui si aggiunsero i venditori di carne di capretto e i venditori di "frisceu" e "panisse", a chiedere a gran voce l'installazione di una pubblica fontana.
E' uno dei pochi barchili genovesi che ancora oggi si trova dove inizialmente fu pensato e collocato.
La fontana di Piazza delle Erbe (foto di Antonio Figari) |
5.6 Il barchile di Piazza Fossatello
In Piazza Fossatello, per fornire di acqua corrente il mercato delle verdure che lì quotidianamente si svolgeva, nel 1508 fu costruito un piccolo barchile ad opera di Carlo da Carona, rifatto nel 1687 da Tommaso Orsolino con un putto sulla sua sommità.
L'incisione di Giolfi che vedete qui sopra mostra il barchile dell'Orsolino e i banchetti della verdura.
Quando il barchile sparì improvvisamente, qui venne posizionato quello di Soziglia, che nel mentre era già stato portato in Piazza Lavagna, e che, come sapete, oggi si trova in Piazza Bandiera mentre in Fossatello nulla rimane.
5.7 Il barchile di Piazza di Pescheria
Nel 1729 in Piazza di Pescheria (dove un tempo si svolgeva il mercato del pesce, luogo che oggi corrisponde all'attuale Piazza Raibetta; per approfondire questo argomento vi rimando alla pagina de gli EDIFICI pubblici) fu realizzato un barchile a pianta quadrata con quattro bocche da cui zampillava acqua, il tutto sormontato da un putto raffigurante l'inverno, opera dello scultore Francesco Maria Schiaffino, realizzato dallo stesso sculture su richiesta di Giovan Francesco Brignole (sempre in quell'anno lo Schiaffino veniva incaricato dalla Repubblica di Genova di realizzare la scultura marmorea della Madonna Regina di Genova per la Cappella di Palazzo Ducale).
Quando il barchile fu smontato, il putto trovò nuova collocazione al centro di una fontana di Villa Gropallo nel parchi di Nervi prima di essere portato nel Museo di Sant'Agostino dove è tuttora.
Nell'acquarello sottostante, opera di William Callow, si nota il barchile ancora al centro di Piazza di Pescheria (fa da sfondo al dipinto la parete nord di Palazzo San Giorgio con la maestosa edicola votiva ancora oggi presente).
6.1 I Truogoli di Santa Brigida
Tra Via Balbi e Via Pré si apre una tipica piazza genovese con palazzi, l'uno addossato all'altro, dalle facciate alte e strette. In mezzo alla stessa troviamo uno dei simboli dell'acqua pubblica genovese: i famosi truogoli di Santa Brigida.
I truogoli di Santa Brigida in una famosa foto ottocentesca di Alfred Noack |
Tra Via Balbi e Via Pré si apre una tipica piazza genovese con palazzi, l'uno addossato all'altro, dalle facciate alte e strette. In mezzo alla stessa troviamo uno dei simboli dell'acqua pubblica genovese: i famosi truogoli di Santa Brigida.
Con il termine "trogolo" o "truogolo" ("treuggiu" in genovese) si indica una vasca di forma quadrata o rettangolare, completata da un lastra, posta in obliquo quale piano di lavoro, utilizzata per lavare i panni. Questo in realtà è solo uno degli utilizzi dei trogoli che potevano contenere ad esempio cibo o acqua per animali (in tale fattispecie si parla rispettivamente di mangiatoia o abbeveratoio): non è tuttavia il nostro caso. In Santa Brigida, come vedremo tra poco, sono più d'uno, l'uno accanto all'altro, ed è per questo che parliamo al plurale di truogoli ("treuggi" in genovese).
Essi furono costruiti nel 1656, durante la pestilenza che colpì Genova, per volontà e grazie al finanziamento della nobile famiglia Balbi che volle dare alla popolazione la possibilità di avere sempre a disposizione una fonte di acqua pubblica (è questa la più famosa ma non l'unica opera relativa all'acqua pubblica costruita dai Balbi in questa che è la zona dei loro palazzi: vi era infatti anche un'altra fontana pubblica in Piazza Inferiore del Roso, di cui trovate storia ed immagini al precedente paragrafo 4.3).
Fare in modo che la popolazione avesse sempre a disposizione acqua fresca da utilizzare per lavare i panni e per l'igiene personale era precisa volontà degli stessi Balbi che avevano tutto l'interesse a mantenere questa zona pulita e preservarla, attraverso la fondamentale funzione igienica che i trogoli esercitavano, dalla diffusione delle malattie (ed in quel periodo in particolare della peste).
E' tuttavia ragionevole immaginare che già antecedentemente ai nostri truogoli vi fosse in questa zona un piccolo lavatoio.
All'inizio l'acqua che giungeva ai truogoli di Santa Brigida proveniva solo da una sorgente detta "Bocca di Bove". In seguito i tubi che portavano l'acqua a questa struttura furono allacciati all'acquedotto cittadino.
Il lavatoio si presentava anticamente con una grande vasca divisa in venti truogoli (ognuno di quali con un piano di lavoro in arenaria), sopra i quali vi era il recipiente di riserva dell'acqua. Quest'ultimo, in metallo, poggiava sul muro che correva centralmente lungo tutta la struttura.
Ogni truogolo era rivestito da lastre di marmo e sempre di candido marmo erano i divisori tra gli stessi.
Il tutto era coperto da una lunga tettoia in lamiera ondulata sorretta da quattordici colonnine in ghisa.
Con l'arrivo dell'acqua corrente nelle case, i truogoli caddero in disuso venendo, per così dire, dimenticati.
Il recente restauro del 2006 ha restituito loro un pò dell'antica bellezza: delle venti vasche, o meglio truogoli, esistenti in origine, oggi ne rimangono solo sei, mentre il resto della struttura coperta è occupato dai tavoli delle attività della piazza.
Una curiosità: la piazza dei Truogoli di Santa Brigida è protagonista di alcune scene del film del 1949 "Le Mura di Malapaga" con protagonista l'attore francese Jean Gabin.
La piazza dei Truogoli di Santa Brigida oggi (foto di Antonio Figari) |
I truogoli di Santa Brigida (foto di Antonio Figari) |
Particolare dei Truogoli di Santa Brigida (foto di Antonio Figari) |
I Truogoli di Santa Brigida in una scena del film "Le Mura di Malapaga" |
6.2 I lavatoi pubblici di Piazza dello Scalo
Non lontano dai Truogoli di Santa Brigida, in Piazza dello Scalo, per interderci in Via Gramsci all'altezza del cosiddetto Mercatino di Shangai, sopra i chioschetti, se alzate lo sguardo potrete notare su un muro una scritta sopravvissuta al tempo che recita così:
Di lavatoi come questo ve ne erano molti in giro per Genova ma quasi nessuno è sopravvissuto al tempo ed alla scelleratezza degli uomini, un piccolo patrimonio che è andato perduto.
E questo non fa eccezione: per fortuna vecchie fotografie e cartoline d'epoca a volte conservano ciò che l'uomo ha distrutto. Ed ecco dalla collezione Finauri (visibile sul bellissimo sito Genovacards) una cartolina del 1904 che ritrae le "bugaixe", le lavandaie, che lavano i panni nel lavatoio di cui oggi rimane solo l'insegna.
Due curiosità: la cartolina parla di Via Carlo Alberto perché così si chiamava prima l'odierna Via Gramsci; altra particolarità, se guardate bene sullo sfondo potrete notare il Ponte Reale che scavalcava la strada carrabile, distrutto nel 1964 a causa della costruzione della Sopraelevata.
Non lontano dai Truogoli di Santa Brigida, in Piazza dello Scalo, per interderci in Via Gramsci all'altezza del cosiddetto Mercatino di Shangai, sopra i chioschetti, se alzate lo sguardo potrete notare su un muro una scritta sopravvissuta al tempo che recita così:
(foto di Antonio Figari) |
E questo non fa eccezione: per fortuna vecchie fotografie e cartoline d'epoca a volte conservano ciò che l'uomo ha distrutto. Ed ecco dalla collezione Finauri (visibile sul bellissimo sito Genovacards) una cartolina del 1904 che ritrae le "bugaixe", le lavandaie, che lavano i panni nel lavatoio di cui oggi rimane solo l'insegna.
Due curiosità: la cartolina parla di Via Carlo Alberto perché così si chiamava prima l'odierna Via Gramsci; altra particolarità, se guardate bene sullo sfondo potrete notare il Ponte Reale che scavalcava la strada carrabile, distrutto nel 1964 a causa della costruzione della Sopraelevata.
Lavandaie in Via Carlo Alberto (antica cartolina proveniente dalla Collezione Stefano Finauri) |
6.3 I Lavatoi di Piazza Lavagna
Dopo che il barchile, nato in Soziglia e arrivato successivamente in Piazza Lavagna, venne di nuovo spostato direzione Fossatello, in Piazza Lavagna vennero costruiti a metà del XIX Secolo dei lavatoi che rimasero in piazza fino alla metà del XX Secolo quando dovettero lasciare il posto al mercatino delle pulci (oggi anch'esso vive solo nei ricordi di coloro che frequentavano questa piazza nella seconda metà del Novecento).
6.4 I lavatoi dei Servi
I lavatoi dei Servi (conosciuti dai più come "del Barabino", dal nome dell'architetto che li progettò), originariamente erano collocati in Via dei Servi presso la Chiesa di Santa Maria dei Servi.
Risparmiati dalla scellerata distruzione del quartiere di Madre di Dio, nel 1979 furono smontati e ricomposti sotto Via del Colle, ossia dall'altra parte della vallata rispetto a dove un tempo sorgevano, ad opera dell'architetto Ignazio Gardella, progettista del parco che oggi chiamiamo "Giardini Baltimora".
Essi furono costruiti nel 1797 su progetto del sopracitato architetto Carlo Barabino al quale il primo Governo della Repubblica Ligure Democratica ne affidò l'esecuzione: si tratta dell'unica opera pubblica realizzata durante la Repubblica Democratica. La sua collocazione lungo l'asse viario che da Piazza Ponticello attraverso Borgo Lanaiuoli e Via dei Servi, dove questi erano collocati, giungeva in Via della Madre di Dio rispondeva ad un reale bisogno di dotare di acqua pubblica ed in particolare di un lavatoio questa zona densamente popolata dove, come immaginerete, non vi era acqua corrente nelle case. La grande vasca in muratura, il cui piano di lavoro è in arenaria, con la bocca di erogazione dell'acqua in marmo, è collocata all'interno di una aula voltata a crociera. Dall'esterno si possono notare i cinque archi a tutto sesto sovrastati da un timpano ornato da un fregio a triglifi in malta e cornici modanate in marmo bianco. Entro il timpano triangolare è scolpita nel marmo la dedica al "popolo sovrano":
Risparmiati dalla scellerata distruzione del quartiere di Madre di Dio, nel 1979 furono smontati e ricomposti sotto Via del Colle, ossia dall'altra parte della vallata rispetto a dove un tempo sorgevano, ad opera dell'architetto Ignazio Gardella, progettista del parco che oggi chiamiamo "Giardini Baltimora".
Essi furono costruiti nel 1797 su progetto del sopracitato architetto Carlo Barabino al quale il primo Governo della Repubblica Ligure Democratica ne affidò l'esecuzione: si tratta dell'unica opera pubblica realizzata durante la Repubblica Democratica. La sua collocazione lungo l'asse viario che da Piazza Ponticello attraverso Borgo Lanaiuoli e Via dei Servi, dove questi erano collocati, giungeva in Via della Madre di Dio rispondeva ad un reale bisogno di dotare di acqua pubblica ed in particolare di un lavatoio questa zona densamente popolata dove, come immaginerete, non vi era acqua corrente nelle case. La grande vasca in muratura, il cui piano di lavoro è in arenaria, con la bocca di erogazione dell'acqua in marmo, è collocata all'interno di una aula voltata a crociera. Dall'esterno si possono notare i cinque archi a tutto sesto sovrastati da un timpano ornato da un fregio a triglifi in malta e cornici modanate in marmo bianco. Entro il timpano triangolare è scolpita nel marmo la dedica al "popolo sovrano":
AL POPOLO SOVRANO
GLI EDILI
LIBERTA' EGUAGLIANZA
L'ANNO PRIMO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA
MDCCXCVII
Questo appena descritto è il progetto che vide la luce. In realtà vi era anche un progetto alternativo, o meglio due: il primo molto simile a quello realizzato ma con tre fornici al posto dei cinque realizzati, mentre il secondo, simile per dimensioni a quello realizzato ma più elaborato, con pilastri bugnati arricchiti da teste leonine. Dietro il disegno del progetto vi è una curiosa nota autobiografica che così recita: "Lavaderi delli Servi, fatti da me Carlo Barabino 4 n. 1797 fatto in tempo delli Birboni. Lavoro che mi è costato la perdita della quiete d'animo per la persecuzione fattami da Giuseppe Gnecco".
Purtroppo oggi i lavatoi dei Servi hanno perso la loro antica funzione e non sono più neanche collegati con l'acquedotto cittadino. Inferriate impediscono l'accesso al raro, quanto avventuroso, turista che per caso si avventura alla ricerca di questo trascurato monumento cittadino.
Purtroppo oggi i lavatoi dei Servi hanno perso la loro antica funzione e non sono più neanche collegati con l'acquedotto cittadino. Inferriate impediscono l'accesso al raro, quanto avventuroso, turista che per caso si avventura alla ricerca di questo trascurato monumento cittadino.
Particolare del timpano con la dedica e la data di costruzione (foto di Antonio Figari) |
La vasca con il piano di lavoro in arenaria (foto di Antonio Figari) |
Nella cartina qui sotto potete notare la posizione originaria dei Lavatoi dei Servi, accanto alla Chiesa di Santa Maria dei Servi.
Se guardate con attenzione vedrete che, per uno strano gioco del destino, i lavatoi del Barabino sono oggi collocati all'incirca dove un tempo vi erano i lavatoi di Piazza dei Truogoli del Colle, di cui trovate qui di seguito la storia e le immagini.
6.5 I lavatoi della Montagnola dei Servi
In alcuni libri antichi è riportata la foto che vedete di seguito. Non ho certezza dell'ubicazione di questi lavatoi. Quando riuscirò ad identificare con precisione il luogo ve ne farò partecipi.
6.6 I truogoli in Piazza dei Truogoli del Colle
Questi bei truogoli che vedete nelle immagini qui sopra si trovavano in Piazza dei Truogoli del Colle, uno dei tanti luoghi della Genova antica spazzati nel Novecento quando venne deciso di privare la Superba di uno dei suoi quartieri più antichi e caratteristici per dare spazio a moderni edifici senza anima.
Nella cartina qui sotto potete scoprire dove gli stessi si trovassero: provenendo dal Ponte di Carignano e imboccando Via del Colle, avreste trovato questi truogoli subito sulla destra; proseguendo dopo i truogoli, saresti arrivati in Piazza San Bonifazio (la piazza che vedete sul fondo dell'immagine qui sopra) e camminando ancora sareste arrivati in pochi minuti in Passo Gattamora, davanti alla Casa di Paganini (a cui ho dedicato un paragrafo nella pagina de i PALAZZI privati (prima parte)).
6.7 I truogoli in Via Madre di Dio - La Villetta
Nella zona detta de "La Villetta", tra Via Madre di Dio e Piazza Carignano (nella cartina qui soprana vedete adiacente alla Cappella Ravasco), così chiamata perchè lì vi era anticamente appunto una villetta, vi era una piazza (Piazza della Villetta) con un grande lavatoio.
Questi bei truogoli che vedete nelle immagini qui sopra si trovavano in Piazza dei Truogoli del Colle, uno dei tanti luoghi della Genova antica spazzati nel Novecento quando venne deciso di privare la Superba di uno dei suoi quartieri più antichi e caratteristici per dare spazio a moderni edifici senza anima.
Nella cartina qui sotto potete scoprire dove gli stessi si trovassero: provenendo dal Ponte di Carignano e imboccando Via del Colle, avreste trovato questi truogoli subito sulla destra; proseguendo dopo i truogoli, saresti arrivati in Piazza San Bonifazio (la piazza che vedete sul fondo dell'immagine qui sopra) e camminando ancora sareste arrivati in pochi minuti in Passo Gattamora, davanti alla Casa di Paganini (a cui ho dedicato un paragrafo nella pagina de i PALAZZI privati (prima parte)).
6.7 I truogoli in Via Madre di Dio - La Villetta
Nella zona detta de "La Villetta", tra Via Madre di Dio e Piazza Carignano (nella cartina qui soprana vedete adiacente alla Cappella Ravasco), così chiamata perchè lì vi era anticamente appunto una villetta, vi era una piazza (Piazza della Villetta) con un grande lavatoio.
Di tutto questo non abbiamo più nulla se non il ricordo e questa rara immagine degli stessi, addobbati a festa, con gli abitanti in posa pronti ad essere immortalati.
6.8 I lavatoi di Salita di Coccagna
Lungo le Mura del Barbarossa correva l'antico acquedotto cittadino.
Sotto queste mura, in cima a Salita della Coccagna, una piccola traversa di Via Ravecca, vi sono ancora gli antichi lavatoi che ricevevano acqua dalle tubazioni di terracotta che correvano lungo queste mura.
Se Vi capita di passar di lì alzate gli occhi e noterete piccoli tesori sopravvissuti al tempo e alle generazioni: lungo il muro, sopra i lavatoi e alla loro destra vi sono infatti piccole targhe di marmo con un numero inciso, il numero dei bronzini (Vi ricordate, ve ne ho parlato anche nel paragrafo 3.4 di questa pagina riguardo alla Fontana dei Cannoni del Molo), e derivazioni per i bronzini in terracotta e in metallo.
Lungo le Mura del Barbarossa correva l'antico acquedotto cittadino.
Sotto queste mura, in cima a Salita della Coccagna, una piccola traversa di Via Ravecca, vi sono ancora gli antichi lavatoi che ricevevano acqua dalle tubazioni di terracotta che correvano lungo queste mura.
I lavatoi di Salita di Coccagna (foto di Antonio Figari) |
Se Vi capita di passar di lì alzate gli occhi e noterete piccoli tesori sopravvissuti al tempo e alle generazioni: lungo il muro, sopra i lavatoi e alla loro destra vi sono infatti piccole targhe di marmo con un numero inciso, il numero dei bronzini (Vi ricordate, ve ne ho parlato anche nel paragrafo 3.4 di questa pagina riguardo alla Fontana dei Cannoni del Molo), e derivazioni per i bronzini in terracotta e in metallo.
Targa in marmo con numerazione del bronzino (foto di Antonio Figari) |
Un altra targa in marmo con numero del bronzino (foto di Antonio Figari) |
6.9 I lavatoi di Piazza delle Lavandaie
Entrati in Porta Soprana, imboccate Via Ravecca e infilatevi sotto l'Archivolto di Sant'Andrea: Vi ritroverete in Piazza delle Lavandaie.
Fino a pochi decenni fa, come potete intuir dal nome della piazza, qui sorgeva un lavatoio, collegato all'acquedotto cittadino che correva lungo le vicine Mura del Barbarossa.
Oggi è un desolato piazzale vuoto ma antiche immagini, come questa qui sotto tratta dal bellissimo sito di Luciano Rosselli sull'Acquedotto Storico di Genova, restituiscono almeno ai nostri occhi la bellezza perduta di questa piazza.
Entrati in Porta Soprana, imboccate Via Ravecca e infilatevi sotto l'Archivolto di Sant'Andrea: Vi ritroverete in Piazza delle Lavandaie.
(foto di Antonio Figari) |
Fino a pochi decenni fa, come potete intuir dal nome della piazza, qui sorgeva un lavatoio, collegato all'acquedotto cittadino che correva lungo le vicine Mura del Barbarossa.
Un'immagine dell'antico lavatoio in Piazza delle Lavandaie (foto di Antonio Figari) |
Piazza delle Lavandaie come si presenta oggi (foto di Antonio Figari) |
Oggi è un desolato piazzale vuoto ma antiche immagini, come questa qui sotto tratta dal bellissimo sito di Luciano Rosselli sull'Acquedotto Storico di Genova, restituiscono almeno ai nostri occhi la bellezza perduta di questa piazza.
Antica foto dei lavotoi (foto dal sito dell'Aquedotto Storico di Genova) |
6.10 I Lavatoi di Piazza Leccavela
In Piazza Leccavela furono costruiti intorno al 1850 i pubblici lavatoi che rimasero al loro posto fino al dopoguerra come testimonia questa immagine.
Oggi purtroppo il loro spazio è desolatamente vuoto.
Una curiosità: i lavatoi vennero costruiti su un'area anticamente occupata da un Oratorio, dedicato a San Gregorio e Sant'Orsola, demolito nel 1810. Nulla rimane di questo antico oratorio se non il suo ricordo in un vicolo a pochi passi da Piazza Leccavela che porta il nome di Sant'Orsola.
In Piazza Leccavela furono costruiti intorno al 1850 i pubblici lavatoi che rimasero al loro posto fino al dopoguerra come testimonia questa immagine.
Oggi purtroppo il loro spazio è desolatamente vuoto.
Una curiosità: i lavatoi vennero costruiti su un'area anticamente occupata da un Oratorio, dedicato a San Gregorio e Sant'Orsola, demolito nel 1810. Nulla rimane di questo antico oratorio se non il suo ricordo in un vicolo a pochi passi da Piazza Leccavela che porta il nome di Sant'Orsola.
6.11 Il lavatoio di Vico al Trogoletto
Vico del Trogoletto, vicolo parallelo a Via Garibaldi che unisce Vico Salvaghi, Vico del Duca e Vico Angeli, prende il nome da un piccolo lavatoio di cui purtroppo non ci rimane alcune traccia se non appunto il ricordo nel nome di questo caruggio.
Vico del Trogoletto, vicolo parallelo a Via Garibaldi che unisce Vico Salvaghi, Vico del Duca e Vico Angeli, prende il nome da un piccolo lavatoio di cui purtroppo non ci rimane alcune traccia se non appunto il ricordo nel nome di questo caruggio.
6.12 I lavatoi di Salita di Carbonara
In Salita di Carbonara furono costruiti nel 1911 pubblici lavatoi di cui oggi rimane solo una lapide e parte della muratura degli stessi in quello che è diventato un magazzino comunale.
6.13 I lavatoi di Salita della Tosse
In salita della Tosse, quello che oggi è un anonimo edificio, nasceva in realtà come un lavatoio.
Presto ve ne racconterò la storia e Ve ne mostrerò le immagini.
In Salita di Carbonara furono costruiti nel 1911 pubblici lavatoi di cui oggi rimane solo una lapide e parte della muratura degli stessi in quello che è diventato un magazzino comunale.
6.13 I lavatoi di Salita della Tosse
In salita della Tosse, quello che oggi è un anonimo edificio, nasceva in realtà come un lavatoio.
Presto ve ne racconterò la storia e Ve ne mostrerò le immagini.
6.14 I lavatoi in Via della Chiappella
Nella zona della cava della Chiappella vi erano dei lavatoi, costruito nel 1866 e, come si vede in questa antica immagine, simili per forma e dimensione ai più famosi truogoli di Piazza di Santa Brigida (di cui trovate storia e immagini al precedente paragrafo 6.1).
Questo manufatto fu demolito negli anni '30 del XX Secolo insieme a quasi tutto il colle di Promontorio con lo sbancamento che porterà alla nascita delle grandi vie che congiungeranno la Genova antica a Sampierdarena, che nel mentre era diventata parte della "Grande Genova". Sempre in questi anni anche la parte più a monte di questo colle sarà sbancata per dare spazio al piazzale e alla elicoidale della Camionale, l'odierna autostrada A7.
I lavatoi di Via della Chiappella, foto tratta dal sito http://www.lavatoigenovesi.altervista.org/index.html |
7. I pozzi
7.1 Il pozzo di Giano in Sarzano
7.1 Il pozzo di Giano in Sarzano
Il pozzo di Giano a Sarzano (foto di Antonio Figari) |
La cisterna che vi è oggi è stata costruita nel 1583 svuotando le due cisterne preesistenti per farne una. Si narra che, durante lo svuotamento delle stesse, dal fondo emersero ossa umane, teschi e molte armi, testimoni delle lotte e delle faide che nei secoli resero la piazza famosa per la sua pericolosità. Qualche anno più tardi fu eretto il tempietto sopra il pozzo su disegno di Bartolomeo Bianco.
Per quanto riguarda il busto del Giano Bifronte posto sulla cima della cupola, come già raccontato nel paragrafo 13 dedicato alla fontana di Piazza Nuova, esso, opera dei Della Porta, nacque sulla fontana di Piazza Nuova e, dopo esser diventato ornamento del Barchile dei Vacchero, fu portato in questo luogo dall'architetto Giovanni Battista Resasco.
Lo stesso, noto ai più per aver progettato il cimitero monumentale di Staglieno, durante la risistemazione ottocentesca della piazza, decise di spostare l'intero tempietto qualche decina di metri più a nord dello spazio antistante la Chiesa di San Salvatore dove originariamente sorgeva.
Il busto che vediamo è in realtà una copia, l'originale è conservato nel vicino Museo di Sant'Agostino.
Gli ingranaggi del pozzo a trazione manuale sono ancora funzionanti.
Gli Ingranaggi del pozzo di Giano a Sarzano (foto di Antonio Figari) |
DALLA CISTERNA ULTIMAM[ENTE] FABRICATA VERSO RAVECCA NON SI PUO' FILAR CANEPA NE FAR CORD[E] DI QUALSIVOGLIA SORTE SOTTO PENA DE LIRE CENTO PER OGNI CONTRAVENTIONE, APPLICATE ALLA CAMERA DE SS-PADRI DEL COMM[UNE] COME PER LO DECRETO PUBLICATO A 27 AGOSTO 1629 ET A LORO BENEPLACITO
RENOVATU 1711
La lapide marmorea difronte al pozzo di Giano a Sarzano (foto di Antonio Figari) |
7.2 Il pozzo pubblico di Vico dell'Arancio
In cima a Vico dell'Arancio, dove questa strada si congiunge con Vico Migliorini, una targa in marmo sopra un cancello così recita:
ACCESSO AL POZZO PUBBLICO
A GIUDIZIO DEGLI EDILI
COME DA ATTO 17 XBRE 1827
NOTARO ANTONIO GAETANO GAZZO
Vi era qui infatti, lungo la salita, un pozzo pubblico.
La costruzione di Via Carlo Felice (l'attuale Via XXV Aprile) nel XIX Secolo si inserì come una ferita profonda nel tessuto di questa antica zona tagliando trasversalmente alcune strade come questa che quindi divenne una strada senza sbocco.
Fu così deciso di mettere un cancello in cima alla salita o meglio, a quello che ne rimaneva, e l'accesso al pozzo fu limitato soltanto a coloro che erano provvisti di un permesso rilasciato dalla pubblica autorità.
La data posta sopra il cancello, 17 dicembre 1827, è da collegare ai lavori per la costruzione di Via Carlo Felice: mentre nasceva quest'ultima via, moriva, per così dire, una parte di Salita dell'Arancio.
7.3 Il pozzo di di Vico del Cioccolatte
In vico del Cioccolatte, una piccola strada dal "dolce" nome nella zona del Carmine, vi è uno dei tanti pozzi privati che un tempo venivano utilizzati per avere acqua fresca prima che un moderno acquedotto portasse l'acqua in tutte le case.
Questo pozzo, ancora oggi funzionante, ha la particolarità di essere raggiungibile da ogni piano dell'edificio semplicemente calando con una corda in un apposito pertugio.
8. L'acquedotto storico
8. L'acquedotto storico
Nei paragrafi seguenti raccoglierò tutte le testimonianze che ancora oggi rimangono dell'acquedotto storico nell centro storico genovese.
Per approfondire questo argomento e per farvi due passi virtuali lungo il percorso dell'acquedotto fuori dai vicoli Vi rimando al bellissimo sito dell'Acquedotto Storico di Genova, opera del mio amico Luciano Rosselli.
8.1 I cannoni di Porta Soprana
Varcata la soglia di Porta Soprana, voltate a sinistra in Via Ravecca: lungo le mura, vicino all'arco di ingresso per visitare l'interno delle mura e della porta stessa, ad altezza uomo, potrete notare due quadrati di marmo emergere tra le pietre: sono due tubi di marmo dell'antico Acquedotto genovese.
Essi sono un esempio di quei cannoni di cui vi ho parlato al paragrafo 1: tubi di marmo che versavano l'acqua nelle fontane e vasche pubbliche senza alcuna chiave di chiusura.
Questi di Porta Soprana, turati con tappi di piombo, sono resistiti ai secoli e possono ancora esser osservati, basta conoscerli!
Le tubazioni in terracotta rappresentano la forma più antica e diffusa di condotta idrica: ne troviamo esempi nel Palazzo di Cnosso nell'isola di Creta e nelle città della Grecia antica.
Altri resti di antiche tubazioni in terracotta sono presenti in giro nei vicoli di Genova, man mano che li fotograferò Ve li posterò in questo paragrafo.
8.5 Gli archi del braccio dell'Acquedotto detto "di Castelletto"
Quando percorrete i Corsi di Circonvallazione a Monte tra Piazza Manin e Piazza Goffredo Villa, senza saperlo, camminate su quello che fu un tempo il percorso del braccio dell'Acquedotto detto di Castelletto.
Gli archi di questo braccio sono tuttora visibili in molti punti come in Corso Solferino poco prima della scalinata che porta in Via Palestro o in Corso Magenta dopo la curva dove vi è la Terrazza Andrea Corrado.
Un traversa di Corso Solferino inoltre dal nome "Passo dell'Aquidotto" nasconde il tracciato dello stesso.
Nel punto in cui Corso Magenta incontra Corso Paganini questo braccio dell'Aquedotto deviava a sinistra su Salita Inferiore Sant'Anna.
Lì era ancora visibile fino al gennaio 2009 un ponte canale, di cui avete qui di seguito due immagini, prima e dopo la demolizione (ringrazio l'amico Luciano Rosselli per avermele concesse): a questo antico manufatto ero molto legato poichè più volte lo avevo percorso fin da piccolino essendo poco lontano da dove abitavo e grazie alla benevolenza delle suore del Convento nel cui giardino questo arco era "ospitato". Quando il convento passò di proprietà un progetto prevedeva la costruzione di alcuni box quasi sotto l'arco senza però "interessare" lo stesso.
Un giorno tuttavia con una ruspa l'arco fu demolito in poche ore: nulla servì il mio intervento, nè la successiva richiesta di intervento delle Forze dell'Ordine; dovetti assistere impotente alla sua demolizione, una cosa che ancora oggi mi rattrista molto.
Quell'arco non è tuttavia l'unico che correva su Salita Inferiore Sant'Anna ancora oggi esistente: tra Corso Paganini e lo spazio dove insisteva l'arco demolito sorge la secentesca Villa Gnecco il cui giardino è costruito e sorretto da altri archi dell'Aquedotto sotto le cui arcate c'è la cantina della Villa.
Ho avuto la fortuna di poterli vedere, eccoli:
Proseguendo i Corsi e arrivando in Piazza Villa, se scendete in Salita San Gerolamo, potrete osservare un altro ponte canale.
8.7 Il castello d'acqua in Salita della Rondinella
In Salita della Rondinella, in un piccolo spiazzo chiuso da una cancellata, vi è uno splendido manufatto dell'acquedotto storico: si tratta di un "castello d'acqua", una struttura in ferro suddivisa in cassette di derivazione per distribuire l'acqua nei vari bronzini.
Su ogni cassetta ancora oggi si può leggere il numero del bronzino saldato sullo sportello di ispezione della stessa.
Questa antica struttura purtroppo oggi si presenta in uno stato di grave abbandono, arrugginita e coperta da rovi.
Salita della Rondinella è chiusa da cancelli sia a valle su Via Cairoli che a monte su Piazza dietro i Forni e dunque questo antico castello d'acqua è pressochè sconosciuto e difficilmente visitabile.
8.8 Il castello d'acqua in Via Ravecca
All'inizio di Via Ravecca, tra la torre di sinistra di Porta Soprana e il primo edificio costruito addossato alle Mura del Barbarossa, un tempo vi era, come potete osservare nell'immagine qui di seguito, un "castello d'acqua".
Anch'esso, come quello in Salita della Rondinella, era formato da una struttura in ferro suddivisa in cassette di derivazione (che nell'immagine vedete aperte) per distribuire l'acqua nei vari bronzini e quindi alle varie abitazioni.
Oggi di questa antica struttura, che insisteva sul camminamento delle Mura del Barbarossa, nulla rimane.
8.1 I cannoni di Porta Soprana
Varcata la soglia di Porta Soprana, voltate a sinistra in Via Ravecca: lungo le mura, vicino all'arco di ingresso per visitare l'interno delle mura e della porta stessa, ad altezza uomo, potrete notare due quadrati di marmo emergere tra le pietre: sono due tubi di marmo dell'antico Acquedotto genovese.
Essi sono un esempio di quei cannoni di cui vi ho parlato al paragrafo 1: tubi di marmo che versavano l'acqua nelle fontane e vasche pubbliche senza alcuna chiave di chiusura.
Questi di Porta Soprana, turati con tappi di piombo, sono resistiti ai secoli e possono ancora esser osservati, basta conoscerli!
I cannoni di Porta Soprana (foto di Antonio Figari) |
8.2 Le tubazioni in terracotta
Le tubazioni in terracotta rappresentano la forma più antica e diffusa di condotta idrica: ne troviamo esempi nel Palazzo di Cnosso nell'isola di Creta e nelle città della Grecia antica.
Questi tubi avevano forma cilindrica con le due estremità di diverse misure per far sì che le varie sezioni delle condutture si incastrassero tra loro: "collo" era detta l'estremità più stretta, mentre "colletto" quella più larga nella quale il collo entrava.
Rispetto ai tubi in pietra di cui troviamo alcuni resti in altri punti di Genova, come in Val Bisagno, le tubazioni in terracotta sono meno ermetiche poiché si incastrano tra loro con meno esattezza.
Resti delle antiche tubature in terracotta dell'Acquedotto storico di Genova sono ancora presenti nei vicoli di Genova, basta avere un pò di occhio, ecco alcuni esempi:
Resti di un'antica tubazione di terracotta in Vico chiuso di San Salvatore, poco sopra Piazza Sarzano, prima di imboccare il Ponte di Carignano (foto di Antonio Figari) |
Resti di tubazioni in terracotta in Vico sotto le Murette, appena sotto Piazza Sarzano (foto di Antonio Figari) |
Resti di tubazioni in terracotta lungo le Mura del Barbarossa in Vico Noli (foto di Antonio Figari) |
Resti di tubazioni in terracotta lungo le Mura del Barbarossa in Salita di Negro, dietro il Palazzo della Provincia (foto di Antonio Figari) |
Resti di tubazioni in terracotta lungo il muro perimetrale di Villa Cambiaso a Granarolo (foto di Antonio Figari) |
Particolare delle tubazioni di Villa Cambiaso a Granarolo (foto di Antonio Figari) |
Altri resti di antiche tubazioni in terracotta sono presenti in giro nei vicoli di Genova, man mano che li fotograferò Ve li posterò in questo paragrafo.
8.3 Il tubo incastonato tra gli archi di Sottoripa
Se guardate attentamente i robusti pilastri che sorreggono le arcate di Sottoripa, nel tratto compreso tra Via Ponte Reale e Piazza della Raibetta, potrete notare, incastonato tra i grandi blocchi di pietra di Promontorio un antico tubo facente parte dell'acquedotto storico che portava l'acqua a tutto il centro città. Questo "tocco" di pietra, persa la sua funzione, venne recuperato per diventare parte di Sottoripa (per la serie, non si butta via niente).
8.4 L'arco dell'Acquedotto in Salita Santa Caterina
Vi sarà capitato, come a me, guardando le immagini della Genova che fu, di imbatterVi nella foto che vedete qui sopra: una Salita Santa Caterina di metà ottocento sovrastata da un altissimo arco facente parte dell'antico acquedotto cittadino.
Esso fu, insieme ad altri monumenti del passato come la Chiesa di San Sebastiano o un salone d'angolo del Palazzo Doria Spinola (oggi sede della Prefettura), demoliti nel 1873 con la nascita della moderna Via Roma.
L'acqua che scavalcava Salita Santa Caterina grazie a questo antico manufatto proveniva da Villetta di Negro: dopo una breve "corsa" lungo le Mura del Barbarossa proprio dietro al Palazzo della Provincia (ancora oggi lungo questo tratto di mura sono evidenti alcune tracce dell'acquedotto) essa passava sopra il nostro arco per poi prendere il condotto principale che l'avrebbe portata alla zona di Piccapietra passando sopra la Porta Aurea, Salita San Francesco (dove sorgeva un oratorio: trovate la sua storia nella pagina de gli ORATORI e le CASACCE) per poi dirigersi in Via Giulia (l'attuale Via XX Settembre) e poi giungere a Porta Soprana.
Una deviazione portava invece l'acqua in Piazza Fontane Marose, poi in zona Banchi dopo aver attraversato Soziglia e Via Orefici, per poi terminare la sua corsa al Barchile di Ponte Reale (trovate la storia di quest'ultimo al paragrafo 4.2 di questa pagina).
Vi sarà capitato, come a me, guardando le immagini della Genova che fu, di imbatterVi nella foto che vedete qui sopra: una Salita Santa Caterina di metà ottocento sovrastata da un altissimo arco facente parte dell'antico acquedotto cittadino.
Esso fu, insieme ad altri monumenti del passato come la Chiesa di San Sebastiano o un salone d'angolo del Palazzo Doria Spinola (oggi sede della Prefettura), demoliti nel 1873 con la nascita della moderna Via Roma.
L'acqua che scavalcava Salita Santa Caterina grazie a questo antico manufatto proveniva da Villetta di Negro: dopo una breve "corsa" lungo le Mura del Barbarossa proprio dietro al Palazzo della Provincia (ancora oggi lungo questo tratto di mura sono evidenti alcune tracce dell'acquedotto) essa passava sopra il nostro arco per poi prendere il condotto principale che l'avrebbe portata alla zona di Piccapietra passando sopra la Porta Aurea, Salita San Francesco (dove sorgeva un oratorio: trovate la sua storia nella pagina de gli ORATORI e le CASACCE) per poi dirigersi in Via Giulia (l'attuale Via XX Settembre) e poi giungere a Porta Soprana.
Resti di tubazioni in terracotta lungo le Mura del Barbarossa in Salita di Negro, dietro il Palazzo della Provincia (foto di Antonio Figari) |
Particolare della Porta Aurea in cui si notano bene l'arco dell'acquedotto e tre bocchette |
Una deviazione portava invece l'acqua in Piazza Fontane Marose, poi in zona Banchi dopo aver attraversato Soziglia e Via Orefici, per poi terminare la sua corsa al Barchile di Ponte Reale (trovate la storia di quest'ultimo al paragrafo 4.2 di questa pagina).
8.5 Gli archi del braccio dell'Acquedotto detto "di Castelletto"
Quando percorrete i Corsi di Circonvallazione a Monte tra Piazza Manin e Piazza Goffredo Villa, senza saperlo, camminate su quello che fu un tempo il percorso del braccio dell'Acquedotto detto di Castelletto.
Gli archi di questo braccio sono tuttora visibili in molti punti come in Corso Solferino poco prima della scalinata che porta in Via Palestro o in Corso Magenta dopo la curva dove vi è la Terrazza Andrea Corrado.
Un traversa di Corso Solferino inoltre dal nome "Passo dell'Aquidotto" nasconde il tracciato dello stesso.
Nel punto in cui Corso Magenta incontra Corso Paganini questo braccio dell'Aquedotto deviava a sinistra su Salita Inferiore Sant'Anna.
Lì era ancora visibile fino al gennaio 2009 un ponte canale, di cui avete qui di seguito due immagini, prima e dopo la demolizione (ringrazio l'amico Luciano Rosselli per avermele concesse): a questo antico manufatto ero molto legato poichè più volte lo avevo percorso fin da piccolino essendo poco lontano da dove abitavo e grazie alla benevolenza delle suore del Convento nel cui giardino questo arco era "ospitato". Quando il convento passò di proprietà un progetto prevedeva la costruzione di alcuni box quasi sotto l'arco senza però "interessare" lo stesso.
Un giorno tuttavia con una ruspa l'arco fu demolito in poche ore: nulla servì il mio intervento, nè la successiva richiesta di intervento delle Forze dell'Ordine; dovetti assistere impotente alla sua demolizione, una cosa che ancora oggi mi rattrista molto.
Il ponte canale prima della demolizione (foto di Luciano Rosselli) |
Il ponte canale dopo la demolizione (foto di Luciano Rosselli) |
Quell'arco non è tuttavia l'unico che correva su Salita Inferiore Sant'Anna ancora oggi esistente: tra Corso Paganini e lo spazio dove insisteva l'arco demolito sorge la secentesca Villa Gnecco il cui giardino è costruito e sorretto da altri archi dell'Aquedotto sotto le cui arcate c'è la cantina della Villa.
Ho avuto la fortuna di poterli vedere, eccoli:
Uno degli archi sotto Villa Gnecco (foto di Antonio Figari) |
Particolare di un altro arco sotto Villa Gnecco (foto di Antonio Figari) |
Proseguendo i Corsi e arrivando in Piazza Villa, se scendete in Salita San Gerolamo, potrete osservare un altro ponte canale.
8.6 I chiusini in pietra di Corso Paganini
Nel tratto di Corso Paganini tra Ponte Caffaro e Piazza Goffredo Villa, nella pavimentazione del marciapiede lato Via Caffaro, sono ancora presenti numerosi chiusini in pietra: ognuno di essi era identificato da un numero, ancora oggi visibile, inciso nelle pietre. Se osservate i chiusini da vicino noterete le tre pietre di bordo, sopra ognuna delle quali è inciso il numero del chiusino, legate tra loro con placche metalliche (alcune ancora presenti come potete notare in foto). Le due pietre centrali invece fungevano da “coperchi”: sollevate le stesse infatti era possibile scendere nel sottostante condotto per effettuare manutenzioni, riparazioni o semplicemente ispezioni di questo tratto dell’acquedotto.
8.7 Il castello d'acqua in Salita della Rondinella
In Salita della Rondinella, in un piccolo spiazzo chiuso da una cancellata, vi è uno splendido manufatto dell'acquedotto storico: si tratta di un "castello d'acqua", una struttura in ferro suddivisa in cassette di derivazione per distribuire l'acqua nei vari bronzini.
Su ogni cassetta ancora oggi si può leggere il numero del bronzino saldato sullo sportello di ispezione della stessa.
Questa antica struttura purtroppo oggi si presenta in uno stato di grave abbandono, arrugginita e coperta da rovi.
Salita della Rondinella è chiusa da cancelli sia a valle su Via Cairoli che a monte su Piazza dietro i Forni e dunque questo antico castello d'acqua è pressochè sconosciuto e difficilmente visitabile.
8.8 Il castello d'acqua in Via Ravecca
All'inizio di Via Ravecca, tra la torre di sinistra di Porta Soprana e il primo edificio costruito addossato alle Mura del Barbarossa, un tempo vi era, come potete osservare nell'immagine qui di seguito, un "castello d'acqua".
Anch'esso, come quello in Salita della Rondinella, era formato da una struttura in ferro suddivisa in cassette di derivazione (che nell'immagine vedete aperte) per distribuire l'acqua nei vari bronzini e quindi alle varie abitazioni.
Oggi di questa antica struttura, che insisteva sul camminamento delle Mura del Barbarossa, nulla rimane.
9. I mulini di Salita dei Molini
Salita dei Molini è una piccola crosa che scende parallela a Salita della Rondinella verso Via Cairoli: questo nome deriva dal fatto che qui anticamente vi erano mulini che lavoravano sfruttando l'acqua dell'acquedotto civico che qui scorreva veloce data al pendenza del luogo.
Salita dei Molini è una piccola crosa che scende parallela a Salita della Rondinella verso Via Cairoli: questo nome deriva dal fatto che qui anticamente vi erano mulini che lavoravano sfruttando l'acqua dell'acquedotto civico che qui scorreva veloce data al pendenza del luogo.
Questi mulini macinavano il grano e fornivano la farina ai vicini forni (sopra all'attuale Largo della Zecca anticamente infatti vi erano i forni pubblici: in zona rimane il loro ricordo nel nome di una piazza non distante da qui, Piazza dietro i Forni).
Salita dei Molini (foto di Antonio Figari) |
10. L'acquedotto marino
A Genova vi era anche un acquedotto che utilizzava l'acqua di mare.
Il progetto fu approvato dall'Amministrazione Comunale nel 1922 e la costruzione iniziò nel 1924.
Esso veniva utilizzato soprattutto per il lavaggio delle principali strade cittadine ma il suo utilizzo era esteso anche ad alcune fontane pubbliche (quelle di Piazza Tommaseo per esempio) o per i bagni pubblici (anche all'interno degli ospedali come al Padiglione Sommariva del San Martino) e privati.
Durante la guerra l'acqua salata fu fornita alla Caritas per usi alimentari.
L'acquedotto marino sarà definitivamente dismesso nel 1970. Le cause della sua fine furono molteplici: da una parte la maggior facilità di avere acqua dolce con i nuovi invasi che davano acqua potabile alla città, dall'altra il fatto che le tubature dell'acquedotto marino richiedessero molta e costosa manutenzione.
Non tutto è andato perduto, anzi, se osservate con attenzione potrete trovare segni dell'acquedotto marino in giro perl a città, ecco dove:
- alcuni coperchi di tombini in strade come Via XX Settembre o Via Pisa potrete notare la scritta "acquedotto marino" ad indicare che anticamente qui passavano le tubazioni di acqua salata;
- l'alloggiamento di un idrante dell'acquedotto marino in Via Pisa;
- in Piazza Martinez, fino a pochi anni fa, prima che venisse ridipinta la facciata, vi era una "I" cerchiata con una piccola "m": stava a significare che qui vi era un idrante che utilizzava l'acqua dell'acquedotto marino (vi rimando alla pagina de le PIETRE parlanti per approfondire il significato di queste lettere cerchiate, simboli salvifici durante la seconda guerra mondiale).
Una "I" con a fianco la "m" per indicare che l'acqua di questo idrante era acqua di mare in Piazza Martinez 10r (foto di Antonio Figari) |
Vi rimando al sito www.acquedottomarino.altervista.org, opera dell'amico Luciano Rosselli, per approfondire ulteriormente questo argomento.
Il viaggio alla scoperta dell' "acqua pubblica" nel centro storico di Genova non è finito...
(continua...)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
complimenti hai un blog molto ricco di info ed interessante... anche se abito a genova tante cose non le sapevo... tornerò a leggerti e ti seguirò.... x ora posso condividere il post su fb?
RispondiEliminaGrazie e benvenuto sul mio sito! Se condividi il link del mio sito su fb mi fai un favore! Mi aiuti a far conoscere il mio sito in rete! Se ti va metti anche il tuo MI PIACE sulla pagina fb de I SEGRETI DEI VICOLI DI GENOVA! Antonio
Eliminafantastico..tutto molto bello! : )
Eliminaciao, anche io sono di genova e tante cose non le sapevo!! il sito è in aggiornamento vero? la mia curiosità non si soddisfa.. :) bravo continua così!! Cris
RispondiEliminaCiao Cris! Benvenuto! Non preoccuparti... la tua curiosità sarà soddisfatta: il sito è in continuo aggiornamento! Antonio
RispondiEliminaciao, scusa per il "Cris" un pò anonimo. Sono una femminuccia... :) scusa, non si capiva proprio.. bene sono proprio contenta che sia in continuo aggiornamento! Proprio stamattina mi sono fatta un bel giro da sant'agostino, ravecca, san lorenzo, campetto, vigne e maddalena, macelli e banchi!! Tu lo sai sicuramente, il portale in via di posta vecchia è il trionfo degi Spinola?? Mi sapresti indicare un bel libro sulla storia di genova e magari uno su sampierdarena? mi piacerebbe scoprire cose antiche e di cui rimangono poche tracce. :) un bacio ciao ciao Cristina
RispondiEliminaCiao Cristina! Benvenuta femminuccia!!! :-)
EliminaEh sì, Il portale del Palazzo di Jacopo Spinola che hai visto in Via della Posta Vecchia raffigura il Trionfo degli Spinola ed è opera del Gaggini; presto ne parlerò nella pagina de "i PALAZZI PRIVATI". Che bel giretto hai fatto stamattina!
I libri che consulto per scrivere sul mio sito son vecchi volumi che ho in casa spesso non più in commercio. Non ho un libro specifico da raccomandarti ma un consiglio da darti: vai nelle piccole librerie di libri usati o nei mercatini e cerca volumetti e guide antiche dei vicoli. Troverai in ognuno di essi storie, racconti e spaccati di vita che le moderne guide o libri su Genova non possono offrirti.
Antonio
è un delitto che non siano curate e valorizzate nel senso che dovrebbe essere.....
RispondiEliminaEh sì, un vero peccato.
EliminaPurtroppo Genova non riesce a valorizzare i suoi tesori che spesso sono sconosciuti agli stessi genovesi.
Al paragrafo n. 5, il barchile di Ponticello, durante il restaturo di Palazzo Ducale per le "Colombiadi" 1992, l'Arch. Spalla pregettista del restauro, non lo volle, nel cortile di palazzo Ducale, perchè era stata inappropriata e non storica, la collocazione del barchile, che serviva un tempo, ad aprovigionare i cittadini di acqua.
RispondiEliminaIl Doge, in caso di sommosse o tumulti polpolari, chiudeva il portone di Piazza Matteotti, impedendo l'ingresso a tutti,
rendendo così inutile la presena del barchile all'interno.
13 La fontana di Piazza Nuova. si potrebbe ricollocare detta fiontana dove era un tempo, cioè davanti alla Chiesa del Gesù in Piazza Matteotti, zona pedonale, di gran passaggio di turisti tutti i giorni dell'anno, di molta visibilità.
RispondiEliminaDove è attualmente non la vede nessuno, è anonima, i turisti non transitano per piazza Marsala, non sanno neppure dove si trovi. Interessante la storia che hai fatto delle fontane "barchili", la loro ubicazione originaria.
ciao! complimenti davvero per il blog molto interessante davvero!
RispondiEliminami sapresti rispondere ad un domanda? sai dove sono pozzi ancora aperti a genova??
Grazie per il lavoro di divulgazione e finalmente qualcuno che ama questa città meravigliosa e incompresa dai più.
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