La creazione della "Grande Genova" avviene in due fasi. Il 1° gennaio 1874 vengono assorbiti sei comuni del Levante (Marassi, San Francesco d'Albaro, San Fruttuoso, Staglieno, Foce e San Martino d'Albaro). Il 14 gennaio 1926 viene decretata la nascita ufficiale della "Grande Genova" con l'accorpamento di altri 19 comuni del "Genovesato" (Apparizione, Bavari, Bolzaneto, Borzoli, Cornigliano Ligure, Molassana, Nervi, Pegli, Pontedecimo, Prà, Quarto dei Mille, Quinto dei Mille e Quinto al Mare, Rivarolo, Sampierdarena, San Quirico, Sant'Ilario Ligure, Sestri Ponente, Struppa e Voltri) e i confini della città di Genova si ampliano fino a ricomprendere un territorio che si estende a levante fino a Sant'Ilario ed a ponente fino a Voltri e una popolazione di oltre mezzo milione di abitanti.
Ho deciso di chiamare così questa pagina proprio per il fatto che qui Vi racconterò "i segreti dei vicoli" dei vari quartieri della Grande Genova; insomma, due passi fuori dal centro storico ma sempre nel territorio cittadino.
Non è qui mia intenzione creare una guida completa della città di Genova nella sua interezza ma piuttosto, come nel resto del sito, troverete in questa pagina ciò che più mi ha colpito passeggiando fuori dal centro storico propriamente definito in un territorio che, tuttavia, con i vicoli ha uno stretto rapporto poichè sua naturale appendice.
INDICE
1. Centro 1.1 Villa Gropallo "dello Zerbino"
1.2 Villa di Tobia Pallavicino detta "delle Peschiere"
1.3 Villetta di Negro
1.4 Villetta Serra
1.5 Villa Grimaldi in Bisagno
1.6 Villa del Principe
1.6.1 La villa
1.6.2 La grotta
1.6.3 Il gigante
1.6.4 Il Gran Roldano
1.7 Villa di Negro-Rosazza detta "dello Scoglietto"
2. Granarolo
2.1 Villa Airolo Lomellini
2.2 Villa Colonna Cambiaso
2.3 Casa natale di Aldo Gastaldi
2.4 La pietra di Taviani
2.5 La Cremagliera di Granarolo
3. Sampierdarena
3.a Le Ville di Sampierdarena
3.a.1 Villa Pallavicino (Gardino)
3.a.2 Villa Negrone (Moro)
3.a.3 Villa Pallavicino (Moro)
3.a.4 Villa Pallavicino
3.a.5 Villa Spinola di San Pietro
3.a.6 Villa Grimaldi detta "La Fortezza"
3.a.7 Villa Imperiale Scassi detta "La Bellezza"
3.a.8 Villa Lercari detta "La Semplicità"
3.a.9 Villa Doria della Madri Franzoniane
3.a.10 Villla Crosa Diana
3.a.11 Villa Serra Doria Monticelli
3.a.12 Villa Cambiaso
3.a.13 Villa Pallavicino Credito Italiano
3.a.14 villa Centurione detta "del Monastero"
3.a.15 Villa Serra Doria Masnata
3.a.16 Villa Centurione Carpaneto
3.a.17 Villa Doria De Mari, Istituro Don D'Aste
3.a.18 Villa De Ferrari
3.b I palazzi di Sampierdarena
3.b.1 Palazzina del club "Fratellanza e Progresso fra Carbonai"
3.b.2 Palazzina Bertorello (già sede della Lega Navale)
3.b.3 Edificio sede del Club Nautico Sampierdarenese
3.b.4 Ex Magazzini del Sale
3.b.5 Palazzo dei Pagliacci
3.c Le chiese di Sampierdarena
3.c.1 Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino
3.c.2 Chiesa di San Martino
3.c.3 Chiesa della Natività di Maria Santissima
(conosciuta anche come Santuario di Nostra Signora di Belvedere)
3.d Le Torri di Sampierdarena
3.d.1 Torre del Labirinto
3.d.2 Torre dei Frati
3.d.3 Torre del Canto
3.e Il Campasso
3.e.1 La strada del doge Cambiaso
3.e.2 La Piazza d'armi
3.e.3 Il Parco Ferroviario del Campasso
3.e.4 Il "Villaggio dei Ferrovieri"
3.e.5 Il Macello Civico (poi Mercato Ovoavicolo)
3.e.6 Antica Trattoria "Gina del Campasso"
3.e.7 Le edicole votive del Campasso
3.e.8 Il rifugio antiaereo del Campasso
3.e.9 Le pietre parlanti del Campasso
3.e.9.a La pietra di Via Giordano Bruno
3.e.9.b Le pietre della Resistenza
3.e.9.c Le pietre delle fabbriche di turaccioli
3.e.9.d La pietra degli "aleati"
3.e.9.e La pietra socialista
4. Cornigliano
4.1 Villa Durazzo Bombrini
4.2 Villa Domenico Serra a Cornigliano
4.3 Palazzo Spinola Canepa
4.4 Palazzo Gentile Bickley
4.5 Palazzo Spinola Narisano
4.6 Palazzo Spinola Muratori
4.7 Villa Pallavicini Raggi
4.8 Villa Adorno Carbone
4.9 Villa Doria Cevasco e Villa Doria Dufour
4.10 Villa Marchese
4.11 Villa Serra Richini
4.12 Villa Spinola Dufour di Levante
4.13 Villa Spinola Dufour di Ponente
4.14 Villa Pavese Dufour
4.15 Castello Raggio
4.16 Chiesa di San Giacomo
5. Sestri Ponente
5.1 Villa Sciallero Carbone
5.2 Villa De Mari Spinola detta Villa Maria
6. San Giovanni Battista
7. Multedo
7.1 Villa Lomellini, Rostan
7.2 Villa Lomellini, Bixio
7.3 Villa Gavotti, Persico
7.4 Villa Pignone - Chiesa
7.5 Oratorio dei SS. Nazario e Celso
8. Pegli
8.1 Villa Durazzo Pallavicini
8.2 Villa Doria Centurione
8.3 Castello Chiozza
8.4 Oratorio di San Martino
9. Prà
9.1 Il Castelluccio
9.2 Torre Cambiaso Villa Negrone
9.3 Villa Negrone detta "di San Pietro"
9.4 Villa Negrone
9.5 Villa Cav. Felice Ratto
10. Voltri
10.1 Villa Duchessa di Galliera
11. Val Polcevera
11.1 Villa Imperiale, Casanova
11.2 Abbazia di San Nicolò del Boschetto (la "Badia del Boschetto")
11.3 Villa Cattaneo dell'Olmo
11.4 Chiesa di San Bartolomeo della Certosa (la "Certosa di Rivarolo")
11.5 Chiesa di Santa Maria del Garbo
11.6 Museo civico di storia e cultura contadina genovese e ligure
11.7 Villa Durazzo Pallavicini (rivarolo)
11.8 Villa Spinola Parodi
11.9 Castello Foltzer (già Casino Cavaleri)
11.10 Villa Serra di Comago
12. Val Bisagno
12.1 Le Ville della Val Bisagno
12.1.1 Villla Imperiale di Terralba
12.1.2 Villa Migone
12.1.3 Villa Saredo, Parodi
12.1.4 Villa Centurione, Musso Piantelli
12.2 Le chiese della Val Bisagno
12.2.1 Sant'Agata
12.2.2 Sata Maria degli Incrociati
12.2.3 Nostra Signora della Consolazione
12.2.4 Santuario di Nostra Signora del Monte
12.3 Ponte di Sant'Agata
12.4 La fiera di Sant'Agata
12.5 La Ferrovia delle Gavette
13. Foce
13.1 Il Lazzaretto della Foce
13.2 I cantieri navali
13.3 Il Villaggio Balneare
13.4 Oratorio delle Anime Purganti
13.5 Casa dei Pescatori
13.6 Ristorante San Pietro
13.7 La pietra dei Mille alla Foce
13.8 La pietra della "Strega"
13.9 La Casa del Mutilato
14. Albaro
14.a Le Ville di Albaro
14.a.1 Villa Donghi
14.a.2 Villa Saluzzo Bombrini
14.a.3 Villa Saluzzo Mongiardino
14.a.4 Villa Carrega Cataldi
14.a.5 Villa Brignole Sale
14.a.6 Villa Bagnarello
14.a.7 Villa Sauli Bombrini Doria
14.a.8 Villa Cambiaso
14.a.9 Villa Bonino
14.a.10 Villa Franzone
14.a.11 Villa Sopranis
14.a.12 Villa Raggio
14.b Le chiese di Albaro
14.b.1 Chiesa di San Francesco d'Albaro
14.b.2 Monastero di Santa Chiara in San Martino d'Albaro
15. Sturla
15.1 Villa Gentile
15.2 Oratorio dei SS. Nazario e Celso
15.3 Le arcate dell'antica ferrovia
16. Quarto
16.1 Villa Spinola, Carrara
16.2 Villa De Albertis
16.3 Chiesa di Santa Maria della Castagna
16.4 Chiesa di San giovanni Battista
16.5 Ospedale di San Giacomo
16.6 "Pontevecchio"
16.7 I lavatori di Via Romana di Quarto
16.8 Osteria del Bai
17. Quinto
17.1 Villa Pallavini, ora Istituto Suore dell'Immacolata
17.2 Oratorio di Sant'Erasmo
18. Nervi
18.1 Il ponte romano di Nervi
18.2 Villa Gnecco
18.3 Villa Gropallo
18.4 Villa Saluzzo Serra
18.5 Villa Grimaldi Fassio
18.6 Villa Luxoro
18.7 Il Giardino Zoologico di Nervi
1. Centro
1.1 Villa Gropallo "dello Zerbino"
Edificata tra il 1599 ed il 1603 come residenza estiva per i nobili Stefano e Giovanni Battista Balbi, è detta anche "dello Zerbino" perchè all'epoca della sua costruzione sorgeva in una zona incolta ("zerbo" in genovese) fuori dalle mura. La proprietà passa ai Durazzo nel Settecento, quindi alla famiglia Gropallo e per vie ereditarie ai Castelbarco Albani che ancora oggi ne sono i proprietari.
L'architettura del palazzo riprende nei suoi volume l'usuale tipologia delle ville alessiane sia esternamente nella tripartizione delle facciate che nella distribuzione interna degli spazi.
Gli interni conservano al primo piano nobile affreschi di Gregorio de Ferrari nel salone centrale ("Il Tempo e le allegorie delle Stagioni") e di Domenico Piola nella contigua sala detta "delle rovine" (tema, quest'ultimo, quanto mai attuale in quegli anni di guerra), che qui lavorarone intorno al 1684. Il Ratti racconta che il bombardamento della flotta francese che avvenne proprio in quell'anno, fu occasione per i Balbi per chiamare a sé i migliori frescanti del tempo.
Il piano terreno è invece di gusto neoclassico: Marcello Durazzo, divenuto proprietario della villa, chiama a decorare questi spazi Andrea Tagliafichi, coadiuvato in quest'operazione di rinnovamento da Giovanni Barabino e Michele Canzio.
Sempre in quest'epoca, agli inizi del XIX secolo, trova definitiva sistemazione il giardino, ad opera del sopracitato Tagliafichi, con una grande ninfeo, fontane e giardini a che degradano verso valle con piante ed essenze mediteranee e non che ancora oggi fanno di questo parco uno dei belli del centro città, oltre che uno dei più estesi.
Da una scala laterale si accede ad una grotta artificiale (vi rimando alla pagina de la GENOVA sotterranea per approfondire la storia di questa e delle altre grotte artificiali ancora presenti a Genova).
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Un'immagine della grotta dello Zerbino (foto di Antonio Figari) |
1.2 Villa di Tobia Pallavicino detta "delle Peschiere"
Costruita intorno al 1560 per volere di Tobia Pallavicino, essa sorge
sulla collina di San Bartolomeo degli Armeni.
Il progetto fu affidato a Galeazzo Alessi, famoso architetto perugino,
che in quegli anni progettava le più belle dimore genovesi, coadiuvato nel suo lavoro da Giovanni
Battista Castello detto "il Bergamasco".
Gli interni conservano ancora splendidi affreschi opera dei fratelli Semino, del Cambiaso, del già citato Bergamasco, mentre gli stucchi nelle logge un tempo aperte sono opera di Marcello Sparzo.
Particolare e unico rimasto in tutta Genova è il famoso
bagno esagonale del piano terreno, progettato dall'Alessi e eseguito
materialmente dallo Sparzo, una meraviglia che ci fa
capire come dovevano essere i bagni delle dimore cinquecenteche della Superba.
Il giardino conserva una grande peschiera con al centro un satiro opera di Giovanni Paracca e
al piano sottostante una grotta artificiale (di cui trovate descrizione e immagini nella pagina dedicata a la GENOVA sotterranea).
Alizeri così descrive questa Villa: "(...) e con su gli occhi si
splendide viste godean distrarsi gli antichi signori, non so se da faticosi
negozi, ma certo dagli svaghi cittadini. I costumi del secolo avean sostituito
ai gentili e modesti ornamenti ed agli emblemi della pietà le bizzarre favole
che trastullan lo spirito e le lascivie che snervan l'ingegno. Ma in quelli
errori non può negarsi magnificenza; e il Palazzo delle Peschiere i cui dipinti
corsevan la primitiva freschezza, vorrà contarsi tra gli esempi più
illustri".
Il luogo sopraelevato ove sorge questa villetta, a pochi passi da Piazza Corvetto, aveva originariamente una funzione difensiva e faceva parte delle mura cinquecentesche. Venuta meno la sua funzione militare, il terreno nel 1780 fu ceduto in concessione ad Ippolito Durazzo che ne fece il primo orto botanico a Genova. Durazzo fonderà poi nel 1802 un secondo orto botanico sulle Mura dello Zerbino (l'anno seguente poi nascerà l'Orto Botanico che ancora oggi si estende alle spalle di via Balbi).
Ed è proprio nel 1802 che il terreno viene ceduto al marchese Gian Carlo di Negro che si impegna a fondare qui la scuola di botanica che sarebbe stata diretta da Domenico Viviani (la scuola tuttavia sarà trasferita già l'anno successivo accanto a dove Viviani fonderà l'orto botanico sopra via Balbi).
Di Negro chiama l'architetto Carlo Barabino per la progettazione della sua residenza. L'edificio, che viene costruito in stile neoclassico, diviene da una parte luogo di conservazione della collezione di reperti dell'antichità classica di Di Negro e dall'altro salotto letterario, dove il mecenate e letterato marchese accoglie scrittori ed artisti che tale rimarrà fino alla sua morte avvenuta nel 1857. Tra i tanti ospiti anche Stendhal che così racconta il suo incontro con il marchese "mi ha ricevuto con estrema gentilezza e mi ha fatto assaggiare dell'uva della Villetta!".
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La residenza del Marchese di Negro progettata da Carlo Barabino (foto Centro DOCSAI) |
Tutto intorno viene creato un giardino all'inglese ornato da busti dei genovesi illustri, quasi tutti purtroppo oggi scomparsi (le cronache dei primi decenni del Noveceento ci raccontano di ragazzini che con le loro fionde giocavano a colpire i nasi di questi busti, non certo un gioco educativo!). Successivamente alla morte del marchese il Comune acquista il sito e lo destina a parco pubblico. Tra il 1863 ed il 1892 vengono realizzate le grotte, la cascata artificiale e la casa del giardiniere a questa adiacente. Tra le tantissime specie arboree qui presenti, da segnalare in particolare due platani monumentali (platanus x hispanica) risalenti alla nascita del parco e tre esemplari di sequoia sempervirens, questi ultimi messi a dimora invece intorno a 1870.
La villa diviene dapprima sede del Museo di Storia Naturale con sezione zoologica dal 1873 al 1912 (anno in cui le collezioni saranno trasferite nel nuovo museo costruito sulla spianata del Bisagno e ancora oggi esistente), poi sede del Museo Geologico tra il 1912 ed il 1928 e dal 1929 Museo Archeologico, al quale si aggiungono poi le collezioni di etnografia e del costume.
I pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale distruggono completamente la villa. Nel 1948 il Comune, per far sì che questo luogo conservasse la sua funzione di luogo di cultura, dispone la costruzione di un nuovo edificio che sorge sulle rovine dell'antica villa e che diviene la nuova sede del Museo Chiossone che precedentemente alla Seconda Guerra Mondiale aveva sede all'Accademia Ligustica alla quale Chiossone aveva legato tutta la sua collezione. L'edificio, sede del museo che vine rinominato "Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone", progettato da Mario Labò e costruito tra il 1953 ed il 1967, viene inaugurato nel 1971: straordinario esempio di architettura razionalista, è formato da un avancorpo dove trovano spazio l'atrio e la biglietteria, sovrastati da una terrazza, ed il corpo principale, di pianta rettangolare, con un salone a piano terreno e cinque gallerie a sbalzo sulle due lunghe pareti, collegate tra loro da rampe di scale in ferro e legno formanti un percorso continuo (una sorta di moderno pozzo di San Patrizio).
Il parco è ancora oggi uno dei polmoni verdi più importanti e suggestivi del centro cittadino e conserva molte specie vegetali tra le quali non posso non citare il monumentale platano e una sequoia sempervirens. La cascata monumentale e i viali dai quali si gode da una parte una bella vista su Piazza Corvetto e dall'altra sul centro storico ne fanno uno dei luoghi dove mi piace di più ritirarmi per leggere o pensare.
A proposito di acqua, vi rimando al paragrafo 5.4 della pagina di questo sito dedicata a l'ACQUA pubblica per approfondire la curiosa storia della fontana che vedete in primo piano nell'antica immagine sopra mostrata e che andò quasi del tutto distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Sotto la villa si trova uno dei luoghi più misteriosi e poco conosciuti di Genova: si tratta di un rifugio in galleria costruito prima dello scoppio della seconda guerra mondiale (vi rimando alla pagina de la GENOVA sotterranea per approfondire la sua storia e vedere qualche immagine).
1.4 Villetta Serra
Sita a pochi passi dall'Acquasola, questa villa apparteneva nel XV Secolo a Bartolomeo Bosco che la donò all'Ospedale di Pammatone unitamente al Bosco Sacro dell'Acquasola che svolgeva funzione sepolcrale.
L'attuale aspetto è dovuto all'intervento ottocentesco dell'architetto Michele Canzio.
Divenuto proprietà Balbi e poi Serra, viene acquistato dal Comune di Genova nel 1888.
Tra le sua tante funzioni, lo ricordiamo quale sede del Genoa, del Club Alpini Italiani e infine del Museo dell'Attore fino a pochi anni fa.
Oggi l'edificio è vuoto e in attesa di nuova destinazione.
1.5 Villa Grimaldi in Bisagno
Progettata da Galeazzo Alessi tra il 1552 e il 1554 e tra gli esempi
meglio riusciti di villa suburbana genovese, essa si trovava fuori dalla cinta
muraria cittadina e i suoi giardini si estendevano tra le attuali Via Carcassi
e Piazza Verdi.
Un vasto cortile loggiato di due ali conduceva l'ospite al palazzo
vero e proprio, che conservava al piano nobile splendidi affreschi di Luca
Cambiaso e Andrea Semino.
Nel palazzo era presente uno splendido bagno lodato dal Vasari, che
doveva essere del tutto simile agli altri bagni progettati nelle ville
cinquecentesche genovesi dall'Alessi e di cui oggi il solo esempio
perfettamente conservato si trova nelle Villa delle Peschiere di cui vi parlo
in questa pagina al paragrafo precedente.
Nell'Ottocento, dopo esser passata di mano prima dai Grimaldi ai Cybo
ed infine ai Sauli, essa fu dapprima trasformata in fabbrica di veli e
successivamente divisa in appartamenti, il tutto mentre intorno ad essa
l'architetto ed urbanista Bararabino progettava la nuova Genova ottocentesca
strappando ad essa il suo giardino.
Nel 1897 la Villa, dopo aver rischiato di essere abbattuta per far
posto ad otto caseggiati, fu acquistata dal Comune di Genova.
Oggi, dopo un recente restauro, essa è divenuto un condominio;
dell'antica bellezza conserva però ben poco dopo le trasformazioni
ottocentesche: senza più lo spendido cortile loggiato che dava verso Via San
Vincenzo, con la loggia al piano nobile tamponata e sopraelevata di alcuni
piani, essa rimane solo un triste palazzo che pochi riconoscerebbero in quello
splendore raccontato da chi la visitò nella sua epoca d'oro.
Gli affreschi del Cambiaso che ornavano il piano nobile del Palazzo,
staccati dalla Villa nell'epoca del suo massimo declino, sono oggi conservati
nel Museo di Sant'Agostino, splendida testimonianza dell'antica maestosità di
questa tipica villa suburbana genovese.
L'Alessi progettò anche una splendida grotta che si trovava in mezzo
ai giardini, gli "Orti" (da qui il nome della vicina strada, Via le
Orti Sauli"), una meraviglia per gli ospiti che avevano la fortuna di
poterla visitare. Essa è ancora esistente, sebbene nascosta e non visibile al
pubblico (trovate la sua storia e alcune immagini al paragrafo 8 della pagina
de la GENOVA sotterranea).
1.6 Villa del Principe
1.6.3 Il Gigante
Nel 1586 Giovanni Andrea Doria fa erigere nei giardini a monte del palazzo una statua raffigurante Giove. Il compito viene affidato a Marcello Sparzo, plasticatore urbinate che tanto lavorò a Genova sia a Palazzo del Principe che in altri edifici civili e religiosi (ricordiamo ad esempio la splendida facciata di Palazzo Imperiale a Campetto o la Chiesa di San Rocco, quest'ultima sul colle che dominava i giardini settentrionali di Villa del Principe).
In stucco, alta più di otto metri e collocata entro una nicchia, questa imponente statua (da tutti ribattezzata "Il Gigante"), con ai piedi un'aquila, simbolo della casata dei Doria, si inseriva nel filone dei cosiddetti "colossi" che tanto andavano di moda in quel periodo storico caratterizzato da campagne di scavo e ritrovamenti di molti pezzi appartenenti al periodo classico.
Una possibile fonte di ispirazione per questo colosso che, come Vi dicevo, si rifaceva a modelli classici, è il Commodo a mo' di Ercole ritrovato in Campo de' Fiori a Roma nel 1507.
Nel 1939, oramai in stato di forte degrado, la statua, che nel frattempo aveva perso il contesto nel quale si inseriva (non esistevano più i giardini a monte di Palazzo del Principe e davanti al Gigante era stato eretto, una trentina di anni prima, l'Hotel Miramare) venne abbattuta.
Leggende metropolitane vogliono che la testa ed i piedi del Gigante non siano andati perduti ma questa circostanze, almeno per ora, non è conformata da alcuna prova.
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Il Gigante in una fotografia dei primi decenni del '900 |
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Il retro dell'edicola monumentale in cui era collocata la statua del Gigante |
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Il Gigante visto da Piazza del Principe |
1.6.4 Il Gran Roldano
Nel 1605, ai piedi del "Gigante", fu sepolto "il Gran
Roldano", uno splendido cane bianco molosso donato da Re Filippo II di
Spagna a Giovanni Andrea Doria, nipote del grande ammiraglio Andrea che aveva
ospitato a palazzo il padre di Filippo II, Carlo V.
Filippo II con questo prezioso dono volle ringraziare il Doria per il suo costante sostegno alla Corona di Spagna.
Giovanni Andrea si legò molto a Roldano tanto da volerlo anche raffigurato in due tele che ancora oggi si possono osservare a Palazzo del Principe: nella prima, opera di Aurelio Lomi, il Gran Roldano posa con un paggio che si prende cura di lui, mentre nella seconda è ritratto insieme a Giovanni Andrea.
Come vi raccontavo poco sopra, quando il Gran Roldano morì, il Doria volle che fosse sepolto ai piedi del "Gigante". Mentre quest'ultimo fu abbattuto nel 1939, la lapide che chiudeva il sepolcro del fedele Roldano è ancora oggi
presente in Via Pagano Doria, sebbene erbacce e incuria la nascondano alla vista del passante.
Le parole incise nel marmo della lapide sono le seguenti:
QUI GIACE IL GRAN ROLDANO CANE DEL
PRINCIPE GIO. ANDREA DORIA IL QUALE
PER LA SUA MOLTA FEDE E BENEVOLENTIA
FU MERITEVOLE DI QUESTA MEMORIA ET
PERCHE' SERVO IN VITA SI' GRANDEMENTE
D'AMBIDUA LE LEGGI FU ANCO GIUDICATO
IN MORTE DOVERSI COLLOCARE IL SUO CENERE
APPRESSO DEL SOMMO GIOVE COME VERAMENTE
DEGNO DE LA REAL CUSTODIA
VISSE XI ANNI ET X MESI MORSE IN SETTEMBRE DI 1605
GIORNO 8 HORA 8 DE
LA NOTTE
Il mio auspicio è che si riesca a valorizzare un giorno questo piccolo tassello di storia genovese.
Un curiosità: si dice che durante il XIX secolo la tomba del Gran Roldano fu aperta e vennero trafugati alcuni denti (per la precisione i canini) del molosso che divennero parte di una collana di una nobildonna genovese la quale lanciò, per così dire, la moda e fu copiata da altre che iniziarono a sfoggiare collane con incastonati denti canini.
1.7 Villa di Negro-Rosazza detta "dello Scoglietto"
"Andavo errando nel verde rifugio dello Scoglietto, su ogni ramo le arance ardevano come lampade lucenti di oro a vergogna del giorno" (Oscar Wilde)
Essa è una villa suburbana costruita nel 1565 per volere del Doge Ambrogio Di Negro (che in città possedeva il palazzo sito in Via San Luca al civico 2).
All'epoca si trovava in una zona fuori dalle mura, oggi invece è soffocata dal quartiere di San Teodoro e affaccia su Piazza Dinegro e dalla linea ferroviaria che oggi passa quasi sotto le finestre della villa lato mare.
Passata in proprietà ai Durazzo, a fine del Settecento viene rimaneggiata in stile neoclassico ad opera dell'architetto Tagliafichi.
Il soprannome "Scoglietto" è dovuto al fatto che la villa venne eretta su uno scoglio in una zona extraurbana.
Gli interni conservano begli affreschi nell'altro e nel piano nobile dove sono affescati, nella volta del salone principale, le imprese del Doge Ambrogio di Negro contro i Corsi.
La cosa che più amo di questa villa è lo splendido ninfeo, retrostante la villa, risalente al XVI secolo: una meraviglia fatta di conchiglie, piccole pietre colorate e
addirittura stalattiti naturali trasportate qui da grotte
nell'entroterra di Lavagna, come potete notare dalle foto qui di seguito.
La villa conserva ancora il giardino verso monte, progettato dal Tagliafichi, mentre è andato perduto il lato mare.
Villa Rosazza ospitò nell'Ottocento, tra gli altri, Oscar Wilde, Honoré de Balzac e la regina Carolina di Brunswick, moglie di Giorgio IV d'Inghilterra.
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Il ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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Particolare dell'esterno del ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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Le stalattiti del ninfeo di Villa Rosazza
(foto di Antonio Figari) |
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Interno del ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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Il soffitto del ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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Conchiglie nel ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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Altre conchiglie nel ninfeo di Villa Rosazza (foto di Antonio Figari) |
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2. Granarolo
La collina di Granarolo è da sempre descritta come una zona di boschi, zone coltivate, giardini e ville patrizie dove poter trascorrere nella bella stagione un periodo di villeggiatura fuori dalle mura cittadine.
Non si conosce con certezza l'origine del toponimo "granarolo": alcuni lo farebbero derivare dalla parola "granaio". Documenti antichi indicano con il nome di "Airolo" la zona sopra la chiesa di San Rocco. Il termine parrebbe derivare dalla parola greca "aieu" che significa "ciò che si eleva". La zona sopra Airolo avrebbe poi assunto il nome di "Gran Airolo" da cui sarebbe infine derivato "Granarolo".
La ripida salita che un tempo conduceva dalla chiesa di San Rocco alla chiesa di Santa Maria a Granarolo faceva sì che questa località fosse raggiungibile solo a piedi o a cavallo.
Verso la fine del XIX secolo, quando si inizia a dare alla città vie di comunicazioni più rapide si pensa ad un impianto che colleghi questa zona al centro città: nasce così la cremagliera che verrà costruita nel 1901 (vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia di questo particolare mezzo di trasporto genovese). Oggi Granarolo è un quartiere della grande Genova, collegato con moderne strade al resto della città.
2.1 Villa Airolo Lomellini
Sita in Salita Granarolo al civico 24, questa villa fu edificata nel XVI secolo dagli Airolo, per passare poi in proprietà ai Lomellini nel 1665 ed infine al Comune di Genova nel 1895 che la adibisce a sede scolastica. Oggi è sede della scuola media Nino Bixio
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Il portale di villa Airolo Lomellini (foto di Antonio Figari) |
2.2 Villa Colonna Cambiaso
Sita in Salita Granarolo al civico 15, questa villa, la più maestosa della zona per dimensione e fattezze, edificata per volontà della famiglia Colonna nel XVI secolo, passa poi in proprietà ai Cambiaso che la utilizzano come residenza suburbana (come sapete, con il termine "villa" non si intendeva il solo edificio padronale ma anche tutti i terreni agricoli e i fabbricati rurali di servizio che facevano parte della proprietà).
Diventa in seguito ospizio per le fanciulle povere gestito dalle suore Bonariensi prima di essere abbandonata e poi quasi completamente distrutta dai bombardamenti dell'ultima guerra.
Nonostante i danni subiti che l'hanno ridotta a rudere, conserva ancora il monumentale portale che insiste su Salita Granarolo, un ninfeo con retrostante cisterna per la racconta d'acqua in quello che fu il giardino, e lungo il muro di cinta l'antica tubazione in terracotta.
2.3 Casa natale di Aldo Gastaldi
In Salita Granarolo al civico 110 nasce il 17 settembre 1921 Aldo Gastaldi "Bisagno", il "primo partigiano d'Italia".
Il 19 settembre 2021, nell'abito delle celebrazioni per il centenario della sua nascita, è stata posta una lapide in facciata della sua casa natale alla presenza di Mons. Marco Tasca, arcivescovo di Genova, e del sindaco di Genova Marco Bucci. Ecco le parole incise al centro della lapide marmorea:
Questa è la casa ove nacque il
Servo di Dio Aldo Galstaldi - Bisagno
Comandante divisione Cichero
17 settembre 1921 - 21 maggio 1945
2.4 La pietra di
Taviani
Se Vi capita
di passare sulle alture di Genova, a Granarolo, in Via Bartolomeo Bianco al
civico 46, su un muro di pietra alla sinistra di un anonimo cancello, vedrete una
lapide marmorea sulla quale sono incise le seguenti parole:
"Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta.
Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e
ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il
popolo genovese, viva l’Italia."
Sono le parole, come specificato sulla lapide, che pronunciò Paolo Emilio Taviani, nome di battaglia "Pittaluga" (futuro membro dell'Assemblea Costituente, parlamentare tra le file della Democrazia Cristina e più volte ministro della Repubblica), il 26 aprile 1945 da qui, ove
sorgeva la stazione radio di Granarolo.
La lapide vennè inaugurata il 6 novembre (giorno di nascita di Taviani) del 2013.
2.5 La Cremagliera di Granarolo
Lunga 1.136 metri, con un dislivello di 194 metri e una pendenza media del 16%, questa cremagliera in 11 minuti circa collega Principe a Granarolo.Costruita nel 1901 da una società privata, essa è una linea ferroviaria a cremagliera e questo la rende unica nel panorama genovese. Vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfonfdire la storia del trasporto pubblico genovese.
3. Sampierdarena
3.a Le Ville di Sampierdarena
La passeggiata alla scoperta delle Ville di Sampierdarena inizierà da Villa Pallavicino (ora Gardino), la prima Villa in cui ci si imbatte superata la Lanterna, per poi proseguire su un ipotetico asse lungo il quale si affacciano la maggior parte delle Ville ed infine sulla collina verso i forti che sovrastano Sampierdarena.
3.a.1 Villa Pallavicino (Gardino)
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Villa Pallavicino (Gardino) (foto di Antonio Figari)
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Sita nell'odierna Via Pietro Chiesa, questa villa, edificata nella seconda metà XVI Secolo, in origine si affacciava sul mare.
Il volume cubico è di chiara derivazione alessiana.
Verso monte si apre una triplice loggia che anticamente affacciava sui giardini.
Gli interni, ordinati secondo l'asse visuale mare-palazzo-giardino, si mantengono inalterati al piano terreno, mentre soppalcature e tramezzi del piano nobile nascondono l'antico splendore.
Attualmente la villa è in fase di restauro dopo un lungo abbandono come evidenziato nella foto che vedete.
3.a.2 Villa Negrone (Moro)
Sita in Via Luigi Dottesio all'angolo con Via G.B. Carpaneto, essa è la prima villa che incontriamo lungo quell'antico asse su cui affacciano la maggior parte delle Ville di Sampierdarena.
Il periodo di edificazione non si discosta da quello di Villa Pallavicino (Gardino) con la quale condivide evidenti caratteristiche stilistiche sia esterne che interne con i due ingressi, uno lato mare e l'altro verso il giardino a monte.
Conserva all'interno una bella loggia angolare al piano nobile.
In quelli che furono gli antichi giardini, oggi lottizzati, è ancora presente l'antica torre di questa villa, oggi inglobata in un edificio ottocentesco: interessante la sua forma, ottagonale, un "unicum" nel panorama genovese, e le scale realizzate con il legno di antichi alberi di navi (questi legni, temprati dal mare, avevano una seconda vita nei palazzi genovesi ed in particolare venivano utilizzaati come travi nei tetti: ancora oggi non è difficile trovare queste possenti travi, ex alberi di navi, in tanti palazzi dei vicoli e non solo).
3.a.3 Villa Pallavino (Moro)
Edificata lungo l'attuale Via Dottesio, a poca distanza da Villa Negroni (Moro), è stata demolita nel XX Secolo e al suo posto sorge oggi, leggermente arretrato rispetto all'antico edificio, un anonimo palazzo di edilizia popolare.
Rimane, a testimonianza dell'antico splendore, miracolosamente sopravvissuta alle demolizioni, la parte bassa della facciata ed il portale.
3.a.4 Villa Pallavicino
Sita in Via Sampierdarena al civico 71, questa villa era una delle tante costruite lungo il litorale di Sampierdarena e circondate da splendidi giardini.
Edificata con tutta probabilità tra il XVI e il XVII secolo per volere di un ramo della famiglia Pallavicino, essa si presenta con una pianta quadrata sormontata da un tetto a quattro falde.
Gli ingressi erano due: il principale verso sud e quello che dava sui giardini a nord.
L'interno, dopo un attento restauro, ha riacquistato l'originaria conformazione dello scalone che si conclude nella loggia del piano nobile che si apre sul grande salone.
Dell'originaria decorazione pittorica rimane traccia solo nella scala di servizio che dalla loggia conduce al sottotetto: motivi a grottesche con medaglioni che racchiudono figure allegoriche di qualità esecutiva elevata, piccola traccia superstite di quella meraviglia che dovevano essere gli altri affreschi che adornavano questa villa.
3.a.5 Villa Spinola di San Pietro
Sita tra le attuali Via Luigi Dottesio e Via Antonio Cantore, Villa Spinola di San Pietro è una delle prime ville costruite a Sampierdarena nella seconda metà del XVI secolo. Le forme originarie sono documentate dal Rubens nel suo palazzo "C" (fu Mario Labò a riconoscere in esso il nostro palazzo).
Originariamente appartenuta agli Spinola, duchi di San Pietro, passerà poi ai Negrotto per divenire infine oggi sede di una scuola pubblica, il Liceo Statale Pietro Gobetti.
Il volume cubico della villa era alleggerito da due logge angolari, come possiamo notare nel Rubens, e un alto tetto piramidale. Sarà Battista Spinola nel 1625, data posta sull'arco del portale, a dare alla villa la forma attuale tamponando, tra le altre cose, le due logge verso mare. Gli interni conservano, contemporanei al rifacimento del 1625, soffitti affrescati da Bernardo Castello, Giovanni Carlone e Gio Andrea Ansaldo. Da segnalare in particolare il grande salone del primo piano nobile con la volta affrescata di Giovanni Carlone con le "Imprese di Megollo Lercari" ed il fregio sotto il cornicione con il "Matrimonio di Pellina e Luca Spinola", opera di Gio Andrea Ansaldo con la partecipazione dello stesso Giovanni Carlone. Nella sala a fianco o troviamo invece le "Imprese di Ambrogio Spinola", opera di Gio Andrea Ansaldo. Lungo il fregio si possono vedere schiavi in catene che si sporgono da una finta modanatura dando l'idea allo spettatore di "uscire", per così dire, dall'affresco. Nelle sale laterali troviamo affreschi con le "Gesta di Perseo" ("Perseo e le Forcidi", "Perseo in volo sull'Oceano", dove si vedono paesaggio che possiamo identificare come i dintorni di questa villa, "Perseo decapita Medusa", "Perseo con il trofeo della testa decapitata", "Perseo libera Andromeda", "Perseo sposa Andromeda", "Atena e Mercurio consegnano le armi a Perseo che le prova"), opera anch'esse di Gio Andrea Ansaldo, storie tratte dalle Metamorfosi di Ovidio nelle quali possiamo vedere un voluto accostamento con il proprietario della villa, il condottiero Ambrogio Spinola.
Al piano terreno vi era un bagno ottagonale (unico elemento risalente, come lo scalone, all'impianto cinquecentesco), che oggi ha perso la sua originaria funzione divenendo una stanza di passaggio, ma che conserva ancora il perimetro con le nicchie. Esso doveva presentarsi del tutto simile agli altri bagni progettati nelle ville cinquecentesche genovesi e di cui oggi il solo esempio perfettamente conservato si trova nelle Villa delle Peschiere (un altro splendido esempio di bagno ottagonale era presente in Villa Grimaldi in Bisagno, come ci ricorda il Vasari). Ve ne era poi uno nella vicina Villa Grimaldi detta "La Fortezza", di cui trovate la storia al successivo paragrafo.
La villa era preceduta verso mare da una corte d'onore e affacciava a nord su un vasto giardino all'italiana (di cui conserviamo il rilievo eseguito dal Gauthier) distrutto dalla lottizzazione dell'ultimo secolo. Non tutto è perduto. Se infatti uscite dall'ingresso nord, attraversate Via Cantore e seguite una linea immaginaria vi ritroverete in una moderna scalinata dove potrete notare un ninfeo con un mascherone, l'unica piccola porzione del giardino sopravvissuta alla selvaggia lottizzazione della zona.
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Particolare della volta del salone al piano nobile con le "Imprese di Megollo Lercari" (foto di Antonio Figari) |
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Schiavi in catene nel salone con le "Imprese di Ambrogio Spinola" (foto di Antonio figari) |
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"Perseo e le Forcidi", opera di Gio Andrea Ansaldo (foto di Antonio Figari) |
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"Atena e Mercurio consegnano le armi a Perseo che le prova", opera di Gio Andrea Ansaldo (foto di Antonio Figari) |
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"Perseo decapita Medusa", opera di Gio Andrea Gio Andrea Ansaldo (foto di Antonio Figari) |
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Il ninfeo nascosto tra i palazzi (foto di Antonio Figari) |
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Il mascherone del ninfeo (foto di Antonio Figari) |
3.a.6 Villa Grimaldi detta "La Fortezza"
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Il volume di Villa Grimaldi vista da Villa Imperiale Scassi
(foto di Antonio Figari) |
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Questa villa venne edificata negli anni sessanta del XVI Secolo per volere di Giovanni Battista Grimaldi, ricco banchiere, il quale affidò il progetto a Bernardo Spazio, attivo a Genova in quegli anni e già stretto collaboratore di Galeazzo Alessi. I lavori vennero poi affidati a G.B. Castello ed infine terminati da Giovanni Ponzello (che in quegli stessi anni stava occupandosi anche della splendida Villa Imperiale, descritta al paragrafo successivo).
Di forma cubica, all'origine aveva una facciata ornata da un affresco in chiaroscuro opera di Battista Perolli, oggi andato perduto ed un giardino che correva fino al mare.
Superata il loggiato al piano terra che immette all'ampio vestibolo, si giunge allo scalone che sale alla magnifica loggia del piano nobile, la cosa che più mi affascina di questa villa, decorata da Battista da Carona con cassettoni in stucco nella volta e ai lati altorilievi raffiguranti divinità marine, questi ultimi realizzati su disegni di Luca Cambiaso.
La loggia immette nell'ampio salone dal quale si ripartono sei sale collegate allo stesso da bei portali in pietra nera di Promontorio, tre delle quali presentano ancora i soffitti affrescati con scene tratte dall'Iliade e dall'Eneide e con personaggi dell'antica Roma, opera di G.B. Castello e del Perolli.
Al piano terreno, sotto lo scalone, era presente uno splendido bagno di forma ottagonale, che
doveva essere del tutto simile agli altri bagni progettati nelle ville
cinquecentesche genovesi e di cui oggi il solo esempio
perfettamente conservato si trova nelle Villa delle Peschiere (un altro splendido esempio di bagno ottagonale era presente in Villa Grimaldi in Bisagno, come ci ricorda il Vasari). Ve ne era poi uno nella vicina Villa Spinola di San Pietro, di cui trovate la storia al precedente paragrafo.
Alla morte di Giovanni Battista Grimaldi la villa passò al secondogenito Pasquale (al primogenito andò in eredità il palazzo della Meridiana, di cui vi parlo nella pagina de i PALAZZI privati (seconda parte). Nel XIX secolo la villa passò ad Agostino Scassi, figlio di Onofrio Scassi il quale aveva acquistato la vicina Villa Imperiale, ed infine allo Stato che la destinò a scuola. Attualmente è in stato di abbandono.
Una curiosità: nel 1607 qui fu ospitato da Pasquale Grimaldi il Duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga che era accompagnato da Pieter Paul Rubens, il quale, affascinato dai palazzi di Genova, approfittò di questo soggiorno in città per disegnare le facciate dei più bei palazzi della superba ai quali dedicherà il volume "Palazzi di Genova" che sarà pubblicato ad Anversa nel 1622.
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La splendida loggia al piano nobile di Villa Grimaldi
(foto di Antonio Figari) |
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Particolare della loggia al piano nobile di Villa Grimaldi
(foto di Antonio Figari) |
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Il soffitto della loggia al piano nobile di Villa Grimaldi
(foto di Antonio Figari) |
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Particolare di uno degli affreschi del piano nobile di Villa Grimaldi (foto di Antonio Figari)
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Affreschi del piano nobile di Villa Grimaldi (foto di Antonio Figari) |
3.a.7 Villa Imperiale Scassi detta "La Bellezza"
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Villa Imperiale Scassi vista da Villa Grimaldi (foto di Antonio Figari) |
Questa villa fu edificata tra il 1560 ed il 1563 per volere di Vincenzo Imperiale il quale affidò il progetto ai fratelli Domenico e Giovanni Ponzello che si ispirarono alle ville genovesi progettate da Galeazzo Alessi, come si nota già nella facciata, molto simile a Villa Cambiaso di Albaro progettata dall'Alessi (e di cui vi parlo in questa pagina nella sezione dedicata ad Albaro).
L'atrio è affrescato nella volta da Giovanni Carlone con scene mitologiche e decorato con statue nelle nicchie opera di Marcello Sparzo, stuccatore urbinate che tanto lavorò a Genova, del quale sono anche le statue che si trovano lungo lo scalone.
Bernardo Castello è l'autore degli affreschi della loggia del piano nobile con episodi della Gerusalemme Liberata.
Nel 1821 Onofrio Scassi decise di ridare alla villa l'antico splendore affidando il progetto all'architetto Nicolò Barabino. A questo periodo risalgono anche gli interventi decorativi in stile neoclassico ad opera di Michele Canzio e Gaetano Centenaro.
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La volta della loggia del primo piano (foto di Antonio Figari) |
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Particolare della loggia del primo piano (foto di Antonio Figari) |
Accanto alla loggia vi era una piccola cappella, oggi spogliata dei suoi arredi, che conserva ancora gli originali stucchi.
A
monte della villa vi era uno splendido giardino a terrazze dove vi
erano ninfei, fontane e un lago artificiale con una grande voliera
(oggi, dove sorgeva il lago, vi è l'ospedale).
Il giardino, ancora oggi in parte conservato, venne privato del collegamento con la villa prima con la costruzione di uno stadio dove giocava la Sampierdarenese, in seguito sostituito da Via Cantore che ancora oggi divide il parco dalla villa.
3.a.8 Villa Lercari detta "La Semplicità"
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Villa Lercari detta "La Semplicità" (foto di Antonio Figari) |
Edificata tra il 1558 e il 1563 per volere della famiglia Lercari su progetto di Bernardino Cantone in collaborazione con Bernardo Spazio, essa è nota con l'appellativo de "La Semplicità" per la linearità delle sue forme che danno armonia a tutto l'edificio.
Di forma cubica, aveva un portale di ingresso rivolto verso ponente, speculare e simmetrico rispetto alla Fortezza, e uno scalone che conduceva al piano nobile dove due logge sui prospetti laterali davano luce al grande salone.
La villa subì gravi danni durante la Seconda Guerra Mondiale. Negli anni sessanta radicali interventi e la suddivisione in appartamenti ne hanno alterato le forme originarie.
La struttura è quella di una tipica villa prealessiana con struttura ad "L", scalone posto ad un lato dell'edificio e torre quadrata rivolta sul lato nord.
Il lato sud della villa si affacciava sul giardino che correva verso mare.
Il primo piano dell'edificio conserva tre sale decorate da Bernardo Strozzi con episodi di storia romana che potete vedere nelle immagine qui di seguito.
Lo Strozzi fu chiamato da Luigi Centurione a decorare la sua villa nel 1623: si tratta degli affreschi meglio conservati del Cappuccino che ancora possiamo ammirare a Genova.
Nella seconda metà dell'Ottocento diviene proprietà dapprima dei Tubino e poi dei Carpaneto.
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Bernardo Strozzi, "Orazio Coclite sul ponte" (foto di Antonio Figari) |
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Bernardo Strozzi, "Didone con Enea nell'antro" (foto di Antonio Figari) |
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Bernardo Strozzi, "Curzio che precipita nella voragine" (foto di Antonio Figari)
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3.a.17 Villa Doria De Mari, Istituto Don D'Aste
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Villa Doria De Mari (foto di Antonio Figari) |
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Particolare della volta affrescata di una delle sale al piano terreno di Villa Doria De Mari (foto di Antonio Figari) |
3.a.18 Villa De Ferrari
Sita in Via Bersezio con ingresso al civico 43, non distante dalla strada che porta al Forte Crocetta, essa mantiene ancora intatte le caratteristiche di villa di inizio cinquecento nel volume e nella grande loggia angolare a due fornici per lato, originariamente aperta, oggi chiusa da vetrate.
3.b. I palazzi di Sampierdarena
In questo paragrafo Vi descriverò alcuni palazzi di Sampierdarena che hanno attirato la mia attenzione.
3.b.1 Palazzina del club "Fratellanza e Progresso fra Carbonai"
Sita
in Via Pietro Chiesa al civico 14, questa palazzina fu progettata, in
stile liberty, nel 1911 dall'Ing. Ettore Geri per divenire sede dei
carbonai che all'epoca erano più di 3.000: il carbone, fonte di energia
primaria all'epoca, rappresentava il 70% del volume del traffico
portuale.
Nel
novantesimo anniversario dalla sua costruzione, il pittore
sampierdarenese Carlo Clerici affescò il salone principale con scene
della vita degli scaricatori di carbone.
3.b.2 Palazzina Bertorello (già sede della Lega Navale)
Posta tra Lungomare Canepa e Via Sampierdarena, quasi all'incrocio di quest'ultima con Via Chiesa, sopravvive una singolare palazzina detta "Bertorello" dal nome di uno dei suoi antichi proprietari.
Costruita negli anni subito antecedenti la Prima Guerra Mondiale, in stile liberty, fu destinata a sede della Lega Navale (quando il mare ancora era a pochi passi da Via Sampierdarena, nonostante, con l'arrivo della ferrovia, si fosse già dato inizio all'irrecuperabile allontanamento graduale del borgo dal mare).
Non a caso il tema "navale" viene ripreso nelle decorazioni esterne, con ancore e gomene sulla facciata al primo piano, ed interne, con rappresentazioni di cantieri navali e piroscafi sulla volta dello scalone e tanti piccoli particolari "navali" sulle balaustre interne e perfino nelle maniglie delle porte.
Perduta la vicinanza al mare e la sua funzione di sede della Lega Navale, divenne, nel secondo dopoguerra, prima sede della Cassa Mutua Portuali, poi sede della USL.
Oggi, in parte coperta da impalcature e con i piani superiori non agibili a causa del cedimento di alcuni solai, è in attesa di una nuova rinascita.
3.b.3 Edificio sede del Club Nautico Sampierdarenese
In Via Sampierdarena al civico 16, esiste ancora uno degli edifici che insistevano sull'antico "Lungomare Sampierdarenese": si tratta della sede di quello che fu il Club Nautico Sampierdarenese.
Dagli ultimi anni dell'ottocento e per il primi vent'anni del Novecento infatti Sampierdarena era un rinomato centro balneare. Tra i vari edifici sul mare vi era questo circolo che svolgeva attività sportive e dove vi era anche un rimessaggio per le barche.
L'immobile in oggetto, realizzato presumibilmente nel primo decennio del XX secolo, rappresenta un pregevole esempio di architettura liberty, muto testimone di una Sampierdarena dalla vocazione turistica prima che negli anni '20 del XX secolo si iniziasse a distruggere questi luoghi a favore di uno sviluppo portuale ed industriale che comprometterà per sempre questa parte della costa genovese.
3.b.4 Ex Magazzini del Sale
L'edificio viene costruito nel XIX secolo in una zona compresa tra l'abitato e il porto merci che nel mentre iniziava a svilupparsi.
I magazzini del sale, lunghi 110 metri e alti circa 10, si presentano come un "bastione" con contrafforti molto robusti per sostenere le poderose spinte laterali causate dal progressivo asciugamento del sale e allo stesso tempo areato per conservare all'asciutto il sale che, qui immagazzinato, veniva poi commercializzato nel nord Italia. Curioso il fatto che Genova non abbia mai avuto una propria produzione di sale che, già dal Medioevo, veniva importato da Spagna e Francia.
Questi magazzini non sono i primi magazzini del sale genovesi: i più antichi si trovano nel quartiere del Molo (vi rimando alla pagina de gli EDIFICI pubblici per conoscere la storia di questi edifici). La struttura ha subito, in questi due secoli di storia, numerose modifiche come abbattimenti di volumi, chiusure di varchi e finestre o diverse suddivisione degli spazi interni. Nonostante ciò, essi conservano ancora molto dell'antico fascino.
I magazzini del sale continuarono la loro attività fino all'inzio del secondo conflitto mondiale.
Oggi, dopo un lungo restauro, i magazzini del sale sono divenuti spazi affidati a varie realtà sociali cittadine.
3.b.5 Palazzo dei Pagliacci
Sito in Corso Martinetti al civico 55, questo edificio fu edificato nei primi anni del Novecento.
Particolarmente interessante la facciata e il corpo scale realizzati secondo i dettami dell'architettura "liberty" e caratterizzati da eleganti linee architettoniche e motivi ornamentali.
E' detto "dei pagliacci" perchè un tempo vi era affrescata in facciata la figura di un clown, oggi purtroppo scomparsa.
Negli anni '60 del XX Secolo ha rischiato di essere demolito per lasciare spazio ad un autosilo ma per fortuna, grazie all'impegno dei cittadini e delle istituzioni, venne salvato e sottoposto a vincolo con la motivazione che esso rappresenta a Genova l'unico palazzo nel quale si vede chiaramente la transizione dallo stile liberty floreale a quello invece caratterizzato da disegni geometrici.
3.c Le chiese di Sampierdarena
3.c.1 Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino
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Ingresso laterale della Chiesa di Santa Maria della Cella e San Martino (foto di Antonio Figari) |
3.c.2 Chiesa di San Martino
A Sampierdarena ancora oggi una strada è chiamata "Vico Pieve di San Martino". Il suo nome richiama alla nostra memoria un'antica chiesa ed il vicino oratorio un tempo qui presenti.
Ecco come Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", descrive la chiesa: "CHIESA Parrocchiale di S. Martino, sopra la cui principale porta è il Santo titolare in atto di far elemosina con parte del suo mantello, a fresco effigiato da Domenico Paola, e dentro vi ha una superba tavola con S. Bernardo avanti il Crocifisso, opera singolare del nostro Giovambenedetto Castiglione, da noi quasi sempre mentovato con soprannome di Grechetto, morto in Mantova l'anno 1670, e dell'età sua cinquanta quattresimo. In questa chiesa si conserva un braccio di S. Martino donatole da Filippo Scotto l'anno 1384, come da una lapide si ricava.".
La chiesa, a tre navate e con nove altari, fu fondata dai benedettini. Le prime notizie risalgono al XI secolo. Già in stato di rovina a fine settecento, verrà definitivamente distrutta nel 1899. Il civico 1 di Via Antonio Cavari occupa parte dello spazio dove un tempo sorgeva la chiesa.
La
parrocchialità verrà trasferita nel 1799 a Santa Maria della Cella. Qui
sono oggi conservate, nella terza cappella a destra, la "Visione
mistica di San Bernardo di Chiaravella", dipinto ad olio del Grechetto
citato dal Ratti, e un'immagine dipinta su roccia raffigurante "Il
Salvatore che porta la croce" dipinta, secondo la tradizione, da un
soldato fiammingo di guardia alla Lanterna su un masso del cole di San
Benigno. Il masso, per decisone delle autorità, fu staccato nel 1722 e
portato nella Pieve di San Martino. Nella cupoletta della cappella della
chiesa di Santa Maria della Cella ove oggi è conservata, ci sono due
affreschi, entrambi opera di Giovanni Bottai, l'uno raffigurante il
dipinto sulla roccia nei pressi della Lanterna, e l'altro il trasporto
del masso alla Pieve di San Martino su un carro trainato da buoi.
Per tutto l'ottocento, fino alla demolizione, l'edificio viene utilizzato quale parcheggio per carri e veicoli tanto che il Remondini nel 1897 così scrive "sotto i piedi dei cavalli e degli asini stanno intatte le sepolture".
Dietro alla chiesa vi era l'oratorio che il Ratti così descrive: "ORATORIO, anch'esso intitolato di S. Martino, tutto dipinto nella volta a fresco da Francesco Campora, che fece anche la tavola all'Altare. Vi son anche tele dipinte da altri pittori, come dal Parodi, che effigiò Valentiniano II., cui arde la sedia, per non essersi da quella voluto alzare per inchinare S. Martino; del Resoaggi, che espresse Cristo in atto di additare esso Santo a' suoi Angioli, dicendoli, come essendo Martino ancor Catecumeno, era stato da lui vestito. Una ve n'ha Giuseppe Galeotti, e mostra il medesimo S. Prelato in atto di liberare un'Ossessa, ed altre ve ne hanno non dispregevoli."
Le prime notizie di questo luogo risalgono al 1582 quando viene citata come"Casacia Sancti Martini" anche se la sua fondazione potrebbe risalire al XV secolo. Eretto in rettoria, succursale della chiesa di San Gaetano, nel 1920, venne distrutto da un bombardamento nel 1942.
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Danni a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale all'oratorio di San Martino |
3.c.3 Chiesa della Natività di Maria Santissima (conosciuta anche come Santuario di Nostra Signora di Belvedere)
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Il Chiostro del Santuario di Belvedere (foto di Antonio Figari) |
3.d Le Torri di Sampierdarena
Le torri di Sampierdarena si possono dividere in due categorie: le torri che potremmo definire "pubbliche", erette lungo il litorale per proteggere l'antico borgo, e le torri "private", costruite adiacenti alle ville a protezione delle stesse (e di cui troverete le foto nel precedente paragafo dedicato alle ville di Sampierdarena).
La tradizione popolare parla di sette torri "pubbliche", ubicate lungo la costa, poste a protezione del piccolo borgo: oggi ne rimangono ancora in piedi tre: la Torre del Labirinto, la Torre dei Frati e la Torre del Canto.
3.d.1 Torre del Labirinto
Sita nel quartiere della Coscia, all'interno di un cortile, essa mantiene ancora la sua struttura originaria e l'antica bellezza, nonostante il degrado e l'abbandono a cui è sottoposta.
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La torre del Labirinto nella zona della "Coscia" a Sampierdarena (foto di Antonio Figari) |
3.d.2 Torre dei Frati
Sita nei pressi dell'attuale Vico Raffetto, vi è la Torre dei Frati, così chiamata perchè posta nei possedimenti dei monaci del romitorio della Chiesa di Sant'Antonio (oggi scomparsa).
Nonostante sia parziamente inglobata in un palazzo, essa mantiene ancora la sua forma originaria e l'antico fascino.
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La torre dei Frati "sbuca" tra i palazzi di Sampierdarena (foto di Antonio Figari) |
3.d.3 Torre del Canto
Sita nell'attuale Via Bombrini a Sampierdarena, essa prende il nome dal quartiere ove è ubicata, il Canto appunto, detto così perchè probabilmente la sua forma ricordava un angolo.
Completamente svuotata al suo interno perchè trasformata nel secolo scorso in un montacarichi di uno stabilimento industriale (una raffineria di zucchero di proietà Dufour), rimangono di originale solo alcune mensole di sostegno della parte terminale.
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La torre del Camto tra i palazzi di Sampierdarena (foto di Antonio Figari) |
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Particolare della torre del Canto (foto di Antonio Figari) |
3.e Il Campasso
Il "Campasso" è la parte più a nord del quartiere di Sampierdarena. Fino al XIX secolo era una piana pressoché senza abitazioni.
Secondo la tradizione il nome rievocherebbe la sua vocazione agricola: l'origine del termine rimanda al "Campaccio" (anche in località nei pressi di Sestri Ponente e Borzoli vi erano "Campacci" come ci racconta il Miscosi), usato dispregiativamente per indicare una zona di campi coltivabili non di ottima qualità. Il luogo infatti viene descritto come aquitrinoso e spesso soggetto alle esondazioni del torrente Polcevera da un lato e dei torrenti che scendevano giù dalla collina del Belvedere dall'altro (ciò era anche causa della diffusione in zona di malattie come la malaria). Non è il caso di domandarci quindi il perchè, viste le caratteristiche della zona, qui non vi siano mai state edificate ville nobiliari che invece troviamo in molti altri luoghi di questa valle.
In realtà, osservando le mappe antiche della zona prima del XVIII secolo, questa piana senza alcuna costruzione risulta non avere alcun nome. Dopo molte ricerche ho finalmente letto il toponimo in quello che, ad oggi, è il documento più antico che ho trovato in cui si nomina il Campasso: si tratta di una tavola tratta da una raccolta di disegni di progetto realizzati a inchiostro e acquerello da Giacomo Brusco, ingegnere della Serenissima Repubblica, relativi alla nuova strada voluta dal doge Giovanni Battista Cambiaso.
Quel che è certo è che questa parte alta del Comune di Sampierdarena, facente parte del territorio della Parrocchia di San Martino (vi rimando al precedente paragrafo 3.c.2 per conoscere la
storia di questa chiesa e dell'attiguo oratorio), rimane pressochè disabitata fino alla metà del diciannovesimo secolo. Tra il 1849 ed il 1853 vengono costruiti gli argini lungo il torrente Polcevera. Poco dopo lungo gli stessi argini sarà costruita la strada ferrata che collegherà Genova a Torino, capitale del Regno (l'inaugurazione della linea avviene nel febbraio del 1854).
Inizierà, sempre in questo periodo, una prima fase di industrializzazione della zona che si svilupperà nei decenni a venire.
3.e.1 La strada del doge Cambiaso
Date le frequenti inondazioni e la difficoltà di passare al Campasso con carri o carrozze, se si voleva andare da Sampierdarena a Rivarolo, si preferiva salire al Belvedere e ridiscendere o, se si proveniva da Genova centro, passare dalle alture di Granarolo. Fu il doge Giovanni Battista Cambiaso, anche al fine di raggiungere più comodamente i suoi possedimenti a Cremeno, a volere costruire una strada in questa zona: il 3 gennaio 1772 lo stesso dichiarò la sua intenzione di costruire la strada che correva sì lungo la zona del Campasso ma rimanendo lato monte ossia lontano dal Polcevera e più al riparo da eventuali esondazioni e allagamenti. I lavori, interamente finanziati dallo stesso (per una spesa, si dice, intorno ai cinque milioni di lire), durarone tre anni (1773-1776). Destino vollè che il Cambiaso non vedesse mai la fine dei lavori della strada da lui pensata e pagata poichè lo stesso morì il 23 dicembre 1772.
Ecco come descrive questa nuova arteria stradale l'Anonimo del 1818: "Prima del 1770 questa bella strada della Polcevera non esisteva e doveasi entrar nel letto del fiume per trasferirsi da Genova a Campomorone. Fu intrapresa dalla nobil famiglia Cambiaso e colla spesa di 5 milioni in breve tempo eseguita.".
3.e.2 La Piazza d'armi
Nell'ottocento la presenza di acqua abbondante ed i grandi spazi pianeggianti vengono sfruttati dagli imprenditori scozzesi John Wilson e Alexander McLaren che qui costruiscono la loro fonderia. Sui terreni accanto alla fabbrica, già utilizzati dall'esercito per le sue esercitazioni e perciò detti "Piazza d'armi", e ceduti nel 1873 dal Demanio alla "Società della Ferrovia dell'Alta Italia", si viene a creare un campo da pallone utilizzato dal Genoa (dal 1893 al 1897, prima di cambiare valle e andare a giocare lungo il Bisagno), e in seguito dal Liguria Foot Ball Club, squadra di Sampierdarena fondata nel 1897, e dalla Sampierdarenese, fondata nel 1899, che qui giocò fino al momento in cui verrà inaugurato nel 1920 lo stadio di Villa Scassi, soprannominato "A scatoa de piloe" (scatola di pillole) poichè poteva contenere fino a 5.000 spettatori che però rimanevano molto stipati sugli spalti. Potremmo dire che in Piazza d'armi si siano giocati i primi derby cittadini tra Genoa e Sampierdarenese, antenata della Sampdoria, anche se, per essere precisi, Sampierdarena diventa parte del Comune di Genova solo nel 1926 e quindi quando già gioca nello stadio di Villa Scassi, ed il Genoa aveva già affrontato l'Andrea Doria, altra antenata della Sampdoria, fondata nel 1900, in una partita di campionato nel 1902 (è questo dunque da considerare il primo derby della Lanterna?).
Prima delle partite di football, nel 1892, in occasione del quarto centenario della scoperta dell'America, questa piana fu destinata a gare ippiche. Mario Bottaro nel libro "Milleottocentonovantadue, una festa di fine secolo" così descrive la manifestazione: "L'iniziativa parte a Sampierdarena da un comitato che assegna la presidenza al deputato mazziniano Valentino Armirotti. L'ippodromo, fornito di totalizzatore per le scommesse, viene ricavato sulla piazza d'armi a fianco del Polcevera (più o meno nell'area oggi occupata da Via Fillak): una pista di mezzo miglio inglese con, ai lati, palchi e tribune. Le prime gare - con scarso successo, a causa dei prezzi alti e della concomitanza delle regate del Rowing - si tengono il 14 e 15 agosto: si tratta di tre corse di trotto con calesse e di una corsa di galoppo. Il 21 e il 28 agosto, con prezzi d'ingresso ribassati (vanno da 50 centesimi a 3 lire), si svolgono altre corse di trotto e di galoppo con salto di siepi."
Quello che non racconta il libro ma le cronache locali è che in l'autunno un violento temporale e lo straripamento del Polcevera fecero crollare tutte le strutture e posero fine alla parentesi ippica della Piazza d'armi.
La Piazza d'armi, che si estendeva tra la linea ferroviaria che correva lungo torrente Polcevera e la strada che portava a Rivarolo oggi "Via Fillak", fu teatro anche di partite di tamburello, sport molto popolare a fine ottocento. Sampierdarena aveva a quell'epoca bel due squadre: la "Sampierdarenese" e la "Nicolò Barabino". Quest'ultima nacque nel 1897 e decise di prende quel nome in onore del famoso pittore sampierdarenese venuto a mancare nel 1891. Nel 1898 vince il suo primo scudetto grazie al suo giocatore Attilio Bagnasco, varazzino di nascita classe 1881, grande campione di questo sport. A Genova anche la società di ginnastica Rubattino aveva la sua squadra di tamburello.
La piazza d'armi fu, con ogni probabilità, utilizzata anche dai giocatori di rugby. Tony Collins nel suo libro "The oval world - A global history of rugby" sostiene che il rugby sia stato giocato per la prima volta in Italia a Genova nel 1893. Così come per le partite di calcio, è verosimile che questa partita sia stata disputata al Campasso nella Piazza d'armi. Giocatori di questa partita furono marinai inglesi della Royal Navy sbarcati in città che, lontani da casa, non vollero rinunciare al loro sport preferito.
Qualunque fosse lo sport praticato, a fine partita tutti andavano a pranzo dalla "Gina" (vi rimando al paragrafo 3.e.6 per conoscere la sua storia).
I terreni della Piazza d'armi, vista la loro vastità e la posizione strategica, fanno gola alle Ferrovie che li acquistano dagli scozzesi Wilson e McLaren. Inizia così un nuovo capitolo nella storia del Campasso.
3.e.3 Il Parco Ferroviario del Campasso
Il Parco Ferroviario del Campasso, detto anche "Parco Vagoni" si estendeva tra l'attuale Via Fillak, che lo divideva dalla Piazza d'armi, e Via del Campasso.
Iniziato a costruire agli inizi del XX secolo ed entrato in servizio nel 1906, il "Parco Vagoni" diventa importante pedina per l'implemento del trasporto ferroviario, fondamentale per lo sviluppo dell'intera area portuale. Attraverso un ponte che ancora oggi passa sopra Via del Campasso, i treni provenienti da tre zone del porto giungevano in questa area sopraelevata lungo 1200 m e larga 180, capace di ospitare oltre 200 vagoni. Con la costruzione di questo parco il traffico merci viene qui smistato e le merci verso il nord prendono una via diversa rispetto alla circolazione dei passeggeri. Fino ad allora il traffico era invece smistato nella stazione di San Bovo a Novi Ligure.
Oggi questo grande spazio rimane fondamentale per il trasporto su rotaia. Attualmente è interessato da lavori che lo porteranno a diventare parte del progetto del Tezo Valico: oltre a collegare la linea dei Giovi al Porto di Genova in futuro quindi il Campasso collegherà a Genova anche i treni provenienti dal terzo valico attualmente in costruzione.
3.e.4 Il "Villaggio dei Ferrovieri"
Negli anni '30 del XX secolo la vasta area della Piazza d'armi torna in proprietà alle Ferrovie dello Stato. E' questo il momento storico in cui si iniziano a costruire le prime palazzine destinate ad ospitare i dipendenti delle ferrovie stesse e le loro famiglie.
L'idea di costruire alloggi per i dipendenti delle ferrovie nei pressi delle stazioni o degli scali merci si sviluppa in questo periodo in tutta Italia. Merita in particolare un accenno il Villaggio dei Ferrovieri di Via della Campagna a Bologna: costruito in un'area delimitata sui tre alti da alte scarpate ferroviarie, e denominato "triangolo San Donato" per la sua particolare forma, esso fu edificato intorno al 1940 per dare alloggio agli operai del limitrofo Scalo Merci San Donato. Dotato di un acquedotto che permetteva agli alloggi di avere acquea corrente, godeva anche di servizi pubblici come due lavanderie e una scuola per i figli dei ferrovieri. Una navetta ferroviaria portava gli operai alla scalo merci o alla stazione centrale di Bologna, mentre una linea di tram collegava questa zona con il centro città. Gli edifici avevano spazi verdi comuni ed intorno ad essi si sviluppò un bosco urbano che ancora oggi ospita lepri, fagiani e diversi esemplari di volatili che qui nidificano.
Tornando al Campasso, la vocazione abitativa del luogo in realtà non nasce negli anni trenta ma ben prima: erano infatti già presenti in questa zona baraccamenti costruiti negli anni della Prima Guerra Mondiale per ospitare gli operai libici che qui venivano a prestare la propria opera lavorativa nella "Società Giò Ansaldo & C." sostituendo gli operai che erano invece impegnati sul fronte. Finita l'emergenza bellica, le baracche vengono liberate dagli operai libici ma non demolite. L'Ansaldo cede le stesse ad un Comitato locale che era stato istituito con lo scopo di trasformare questo luogo in un quartiere giardino per ovviare alla crescente "fame" di alloggi di questa zona circondata da tante industrie la cui grande esigenza di manodopera aveva creato una vera e propria emergenza abitativa. I tempi della burocrazia, come sempre, si allungano, e nel mentre le baracche vengono occupate da famiglie operaie. Accanto a questa occupazione, il Comune di Sampierdarena, in attesa della costruzione di nuove case popolari, permette l'erezione di nuove baracche provvisorie. Si arriva così agli anni '30. Le famiglie che abitavano le baracche trovano finalmente alloggio nelle nuove case popolari e la zona, ora libera, torna in proprietà delle Ferrovie dello Stato che possono iniziare a pensare alla costruzione di nuove palazzine per ospitare, come dicevamo sopra, i suoi dipendenti e le loro famiglie. Bisogna sottolineare il fatto che i ferrovieri erano in gran parte provenienti da fuori Genova (Friuli, Toscana e sud Italia le zone di provenienza dei primi che si insedieranno nelle palazzine in Via Porro): era dunque una reale necessità costruire nuovi alloggi e in fretta.
Le nuove palazzine vengono edificate lungo l'attuale Via Fillak, allora chiamata "Via Umberto I", di fronte al muraglione del Parco Ferroviario del Campasso. Le varie palazzine hanno tutte la stessa struttura. Da un lato, verso Via Umberto I, un piccolo giardino cintato separa la facciata degli stessi dalla strada, dove nel mentre vengono piantati i platani, che ancora oggi danno alla via l'aspetto di un bel viale alberato e contribuiscono a nascondere, almeno in parte, la grande mole del muraglione di contenimento del Parco Ferroviario.
Sul lato opposto invece le palazzine hanno la forma di una "E". Questa particolare forma faceva sì che ogni palazzina avesse sul lato di Via Porro un piccolo cortile recintato da un basso muro in laterizio sormontato da inferriate che si ripetevano uguali per tutti gli edifici dando alla strada, che all'inizio della sua storia era privata e non asfaltata, un'armoniosa fisionomia. Nel cortile di ogni palazzo vi era un pozzo. Ogni palazzina aveva tre scale: a destra la "A", al centro la "B" e a sinistra la "C". Ancora oggi sopra ogni ingresso è indicata la lettera. Gli alloggi erano formati da un vano cucina con angolo "ronfò", un allaccio alla canna fumaria (essenziale poichè il riscaldamento era dato da una stufa a legna o carbone), servizi igienici e camere da letto.
Curioso il fatto che non si conosca il progettista di queste palazzine. La via che corre parallela all'odierna Via Fillak, e sulla quale affacciano i cortili della palazzine, è intitolata all'Ing. Enrico Porro, di cui invece conosciamo, per così dire, vita ed opere: capo dipartimento di Genova delle Ferrovie dello Stato, collaborò alla creazione del Villaggio dei Ferrovieri. Accanto a lui in questo lavoro ci fu un altro ingegnere, Vincenzo Capello, al quale è stata intitolata la via limitrofa.
Le case dei ferrovieri con il passare degli anni saranno riscattate dai figli o nipoti di coloro che per primi le abitarono diventando quindi di proprietà di queste famiglie.
Con il crollo del Ponte Morandi, si è aperta una nuova fase della storia di Via Porro che si sta scrivendo proprio mentre leggete questa pagina e di cui, chissà, un giorno, vi darò conto.
3.e.5 Il Macello Civico (poi Mercato Ovoavicolo)
Lungo Via del Campasso una grande scritta incisa nel marmo, sovrastata dallo stemma di Genova retto da grifoni, ancora recita "MERCATO UOVA POLLAME".
Questo edificio di due piani con due ali laterali, ora in attesa di recupero, viene costruito agli inizi del '900 e destinato a Macello Civico. L'attività veniva svolta al piano terra mentre il piano sovrastante era destinato ad abitazione.
Nel dopoguerra la struttura viene restaurata e riconvertita a diverso uso commerciale: qui nasce il "nuovo mercato all'ingrosso delle uova e pollame" inaugurato il 20 febbraio 1955 alla presenza del sindaco Vittorio Pertusio. Il grande complesso prevedeva una sala contrattazioni uso borsa merci, locali per il mangime e veterinario, oltre ed una filiale di banca. Il tutto rimase in attività fino agli inizi degli anni '80 quando una petizione del "Comitato ambiente del Campasso" (che insisteva sulle carenze di igiene e sul rumore dato dalle attività di carico e scarico) arrivò in Consiglio Comunale e fu così votata la chiusura del mercato e la sua trasformazione ad uso sociale, trasformazione che ancora oggi non è avvenuta.
Una curiosità: se imboccate Via Antonio Pellegrini, proprio a fianco del Mercato, due insegne indicano "MACELLERIA" e "SPACCIO MUNICIPALE". Oggi i locali hanno cambiato destinazione d'uso ma rimangono i bei pavimenti a quadri bianchi e blu a ricordarci la loro antica "vocazione".
3.e.6 Antica Trattoria "Gina del Campasso"
Al civico 14 rosso di Via del Campasso vi era un tempo l'ingresso della trattoria della Gina del Campasso ("Ginn-a do Campasso").
Gina, al secolo Caterina Marchese, aveva aperto una osteria nei pressi della Piazza d'Armi e, dopo esser stata sfrattata dalle Ferrovie, prima si trasferisce in "Via Vittorio Emanuele, loc. San Martino", come ci ricorda un'antica pubblicità del locale, per poi giungere qui in Via del Campasso ai civici 14 e 16 rossi.
Il ristorante, da iniziale osteria con cucina casalinga, divenne piano piano un rinomato ristorante (si dice facesse a gara con "La Grotta", "mitico" ristorante di Sestri Ponente di cui presto vi parlerò) dove i genovesi da tutta la città venivano ad assaggiare ravioli, lasagne o trenette al pesto, fritto misto, stoccafisso e tutte le specialità della cucina genovesi.
Non mancavano i buoni vini di cui si occupava il sommelier Luigi, nipote della Gina. La cantina dei vini era sempre pulita con scaffali pieni di bottiglie (così la descrivano i pochi che avevano il permesso di visitarla).
Quando il locale aveva sede presso la Piazza d'Armi, di cui sopra vi ho parlato, dalla Gina mangiavano i giocatori, i "footballers", finite le partite che qui si svolgevano.
Gina, piccola di statura e tracagnotta (e, dicono i pettegolezzi dell'epoca, accanita e fortunata giocatrice al lotto) passerà la vita in trattoria facendo fortuna tanto da meritarsi una malvagia filastrocca "la Gina del Campasso, con le sue raviolate, fa i soldi a cappellate".
Mascotte del locale era un pappagallo ammaestrato che stazionava vicino all'ingresso: quando entrava qualcuno diceva "gh'é gente", mentre quando qualcuno si avvicinava all'uscita domandava "han pagou?".
La trattoria e la casa dove abitavano i proprietari del locale furono distrutte dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Questi ultimi morirono in quell'occasione e la "Ginn-a do Campasso" non riaprì più.
Due curiosità: pare che Gina non volesse aiutanti di nome Maria, probabilmente perché alcune ragazze da questo nome le avevano dato poco soddisfazione lavorativa. Soleva dire: "Maria me dà ae zenoggie".
Altra curiosità: nella storica foto in cui Gina ed i suoi collaboratori sorridono in posa davanti all'ingresso del locale, il fotografo aveva fatto sedere le ragazze in prima fila perché non sembrassero più alte della padrona che temeva "de pa un cavagnin appeiso a-i aerbui" (un cestino appeso agli alberi).
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Gina e i suoi collaboratori in posa davanti all'ingresso del locale |
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Gina del Campasso, al secolo Caterina Marchese |
Consultando l'elenco telefonico di Genova del 1931 in mio possesso (a proposito, vi rimando alla pagina ad esso dedicata la VITA nei VICOLI nel 1931 per altre curiosità), si trova anche la "Gina del Campasso con il relativo numero telefonico. Che dite, prenotiamo per questa domenica a pranzo?
3.e.7 Le edicole votive del Campasso
In via del Campasso sono presenti tre edicole votive.
La
prima è posta in Via Fillak all'angolo con Via del Campasso: una
semplice cornice racchiude un dipinto raffigurante San Martino che dona
il suo mantello al povero. La presenza di un'edicola votiva dedicata a questo santo è tutt'altro che casuale. Poco distante da qui vi era un tempo una Pieve e un Oratorio dedicati al Santo (vi rimando al precedente paragrafo 3.c.2 per conoscere la loro storia).
Proseguendo
lungo la via, prima del ponte ferroviario, dove la strada si allarga,
c'è una piccola cappelletta addossata al muro eretta, come si legge sulla
lapide marmorea affissa sulla stessa, nell'anno mariano 1954 dai fedeli
del Campasso. La statua ivi contenuta proveniva dalla diruta chiesa di
San Martino (vi rimando a paragrafo di questa pagina ad essa dedicato per approfondire la sua storia). Sottratta da ignoti nel 2000, è oggi sostituita da una
moderna statua che è sempre adornata di fiori e vasi di piante, segno di
una devozione ancora presente.
Una
terza edicola è posta alla fine della via, all'angolo con Salita
Vittorio Bersezio e guarda Via della Pietra: una cornice di stucco, oggi
desolatamente vuota, conteneva un tempo una statua. Rimane la base marmorea sulla quale sono incise le seguenti parole: "MATER MISERICORDIE SALVA NOS". Ciò ci può far supporre che fosse qui posta una statua della Madonna della Misericordia.
Vi rimando alla pagina dedicata a le EDICOLE votive per approfondire questo argomento.
3.e.8 Il rifugio antiaereo del Campasso
Dietro il campetto da calcio a fianco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, nel punto in cui Via del Campasso incontra Via Antonio Pellegrini, c'è una galleria da utilizzare durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugio antiereo. Scavata per soli 200 metri, non fu quasi mai utilizzata.
Per approfondire questo argomento vi rimando al capitolo dedicato ai rifugi antiaerei alla pagina de la GENOVA sotterranea.
3.e.9 Le pietre parlanti del Campasso
3.e.9.a La pietra di Via Giordano Bruno
L'antica "strada del Campasso" divenne nel 1906 Via Giordano Bruno e così rimase fino al 1935 quando con una decreto del podestà del 19 agosto fu ripristinata l'antica denominazione anche se "strada" venne sostituita da "via". E' così che oggi abbiamo "Via del Campasso".
Nell'anno 1900 il governo centrale di Roma infatti impartisce ai Comuni una nuova direttiva per obbligarli ad intitolare le strade a con un nome proprio (dando indicazioni anche sulla preferenza per eroi del Risorgimento e "nobili personaggi italiani degni di stima"). Con l'accorpamento del Comune di Sampierdarena nella "Grande Genova", avvenuto nel 1926, si decide di razionalizzare l'intitolazione delle strade togliendo i doppioni. I tempi della burocrazia, si sa, sono però lunghi e sarà solo una delibera del podestà nel 1935 a dare seguito al tutto. Via Giordano Bruno rimane solo nel quartiere di Albaro.
Come capirete, questo non è un caso isolato. A Sampierdarena per esempio dal 1900 al 1926 quella che oggi è Via Sampierdarena fu intitolata a Cristoforo Colombo. Anche in questo caso ufficialmente cambierà nome solo a seguito del decreto del 1935.
3.e.9.b Le pietre della Resistenza
In Via Fillak angolo Via del Campasso, di fronte all'edicola votiva sopra descritta, una lapide ricorda che
QUI
IL 18 APRILE 1945
COMBATTENDO CONTRO I NAZIFASCISTI
CADDE
IL PARTIGIANO DICIOTTENNE
EDOARDO MALACCHINA
MEDAGLIA DI BRONZO AL V.M.
Edoardo Malacchina, appena diciottenne, era al comando di un distaccamento partigiano a Sampierdarena. A pochi giorni dal 25 aprile, entrando in un'osteria (che qui sorgeva) e vedendo due soldati tedeschi, intimò loro la resa. I due però reagirono. Ad Edoardo si inceppò l'arma e uscì dallo scontro ferito. Morirà poco più tardi in ospedale. Fu insignito della medaglia di bronzo al valor militare alla memoria. Il tutto accadeva il 18 aprile, a sette giorni dalla Liberazione, e forse questo rende ancora più triste l'avvenimento.
A Malacchina è dedicata anche una piazza nel quartiere di Pegli (qui però il suo cognome è scritto con una sola "c").
Proseguendo lungo la via, sotto il ponte costruito per far passare i treni che provenendo dal porto giungono al Parco del Campasso, una lapide ricorda due partigiani uccisi qui il 15 gennaio 1945. Essa recita:
LA CORDA CHE STROZZA IL PENSATOR
NON UCCIDE IL PENSIERO
PER L'AVVENIRE LUMINOSO DELLA PATRIA
PER LA GRANDEZZA DI UN IDEALE
PERIRONO TRUCIDATI DAI NAZIFASCISTI
IL 15 GENNAIO 1945
SPATARO GIUSEPPE
IURSE' ERNESTO
Ernesto Jursè, nato a Pola il 2 maggio 1903, e Giuseppe Spataro, nato a Roccella Jonica (RC) il 18 marzo 1925, entrambi appartenenti alle Squadre di Azione Patriottica (SAP), gruppi di combattimento partigiano formati su iniziativa delle Brigate Garibaldi, nati spessi all'interno dei luoghi di lavoro come le fabbriche, vennero uccisi nel sottopasso ferroviario di Via del Campasso il 15 gennaio 1945. A fianco della lapide c'è un bandiera italiana a guisa di stella con con al centro un cerchio rosso (la bandiera italiana con al centro una stella rossa è la bandiera delle Brigate Garibaldi). Entrambi operai dell'Ansaldo, dopo esser stati catturati e tenuti prigionieri per alcuni giorni, furono fucilati sotto questo ponte la notte del 15 gennaio 1945.
3.e.9.c Le pietre delle fabbriche di turaccioli
Ai civici 91 e 93 rossi, se osservate con attenzione la facciata, essa racconta ancora che qui vi era una fabbrica. Sopra le ampie vetrate del piano terreno, anch'esse mute testimoni du un passato produttivo, si legge ancora parte dell'antica insegna che così recitava "FABBRICA TURACCIOLI ROSSI FRANCESCO & FIGLIO".
Consultando l'elenco telefonico di Genova del 1931 in mio possesso (a proposito, vi rimando alla pagina ad esso dedicata la VITA nei VICOLI nel 1931 per altre curiosità), si legge che una ditta così denominata aveva sede in "v. di Coronata, 14, Cornigliano L.". Immagino sia stata la stessa e che avesse qui al Campasso avesse lo stabilimento produttivo.
La "Rossi" non era l'unica fabbrica di turaccioli in zona: dallo stesso elenco telefonico sopra citato veniamo a sapere che poco distante da qui, e precisamente in Via della Pietra n. 16, aveva sede un'altra ditta di turaccioli, questa di proprietà di Jacquillon Giuseppe. Una vecchia carta intestata risalente al 1910 ci racconta che la ditta aveva la seguente ragione sociale: "De Caria & Jaquillon, Ditta Cooperativa Turaccioli". Qui il civico indicato è il 14 e non il 16 dell'elenco telefonico.
3.e.9.d La pietra degli "aleati"
In facciata del civico del palazzo dove vi era la fabbrica di turaccioli "Rossi", se osservate con attenzione, si può ancora leggere una scritta, risalente con ogni probabilità agli anni 40 del XX secolo, eseguita con un pennello che così recita:
W
GLI ALEATI
Questo tipo di scritte erano impresse su tantissimi muri nell'immediato secondo dopoguerra. Oggi è difficile vederle ancora sui nostri muri.
3.a.9.e La pietra socialista
Sempre in facciata del civico del palazzo dove vi era la fabbrica di turaccioli "Rossi", se osservate con attenzione, si può ancora leggere un manifesto elettorale impresso sul muro con la tecnica dello stencil. La scritta recita:
VOTATE
P.S.I.U.P.
Il P.S.I.U.P. era il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
Non è un caso che queata esortazione al voto fosse impressa sul muro di una fabbrica.
Il PSIUP ha una storia che merita di essere in breve raccontata. Siamo nell'agosto del 1943 (e precisamente tra il 22 ed il 24) a Roma, in Viale Parioli al civico 44, in casa di Oreste Lizzadri. E' qui che si decide di dar vita al PSIUP nel quale confluiscono i militanti del Partito Socialista Italiano clandestino dell'Alta Italia, il PSI clandestino del Centro-Sud Italia e gli esponenti del PSI rientrati dall'esilio in Francia. Tra gli esponenti di questo nuovo soggetto politico, anche i futuri presidenti della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat e Sandro Pertini. Il PSIUP durante la Resistenza organizza proprie formazioni partigiane denominate "Brigate Matteotti" ed ha un ruolo attivo nel Comitato di Loiberazione Nazionale.
Si arriva così al dopoguerra e alle guerre intestine al partito che porteranno nel 1947 l'ala guidata da Saragat, il quale rimproverava alcuni esponenti di volersi avvicinare troppo al PCI e di mantenere forti legami con l'Unione Sovietica, a dare vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), poi Partito Socialista Democratico Italiano (nome, quest'ultimo, che riprende quello deciso al Congresso di Reggio Emilia nel 1893 e adottato da Turati, Treves e Saragat durante il loro esilio parigino).
Nel mentre il 10 gennaio di quell'anno, su proposta di Olindo Vernocchi, il PSIUP torna a chiamarsi PSI, per timore che gli scissionisti potessero usare quella denominazione.
La scritta che vediamo quindi impressa in Via del Campasso risale con ogni probabilità agli anni intorno al 1945.
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4. Cornigliano
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Gustavo Dufour, Cornigliano nel 1870 |
La passeggiata "virtuale" a Cornigliano ha inizio da Villa Durazzo Bombrini e si conclude a Castello Raggio.
Per il momento troverete le immagini dei palazzi e delle ville di Cornigliano e alcune descrizioni degli stessi.
4.1 Villa Durazzo Bombrini
Questa è la prima villa che si incontra superato il Ponte di Cornigliano.
Edificata per volere di Giacomo Filippo II Durazzo su progetto del francese Pierre Paul de Cotte, essa si presenta come una tipica dimora aristocratica d'oltralpe, unica nel suo genere nel panorama genovese, caratterizzata da un grande corpo di fabbrica con due ali laterali simmetriche che chiudono una grande "cour d'honneur", una corte d'onore dove venivano accolti gli ospiti. Chiude ancora oggi questo spazio una lunga cancellata, realizzata nel 1756 dal "Ferraro Gasparo Bruno di sopranome Bagetta" per il compenso di 311 lire e 12 soldi, con pilastri sormontati da canestri di fiori in stucco.
Entrando si nota subito il grande scalone marmoreo, primo esempio di scalone a sbalzo a Genova, che conduce al primo piano.
Nel salone del piano terreno che si apre sui giardini, detto "Sala al Mare" e affrescato a motivi architettonici da Andrea Leoncini, sono conservate due grandi tele a soggetto biblico, opera di Francesco Solimena raffiguranti "Giuditta che mostra la testa di Oloferne" e "Debora e Barach" realizzati intorno al 1717.
A ponente del grande scalone vi è la cappella intitolata all'Assunta come alla Stessa è intitolata anche la cappella dei Durazzo nella chiesa del Gesù.
Sul ballatoio d'arrivo del grande scalone a sbalzo vi sono due lunette in stucco raffiguranti il Polcevera (una figura femminile con cornucopia) e il Mare (il dio Nettuno). Il grande salone del primo piano (Sala Grande) che occupa gli spazi che al piano terreno corrispondono al vestibolo e alla Sala al Mare, conserva volte e pareti con stucchi policromi a rocailles, attribuibili agli "Stuccatori Cantoni" che operarono in tutto il palazzo.
La villa viene ristrutturata ad opera dell'architetto Andrea Tagliafichi nel 1778: tra le aggiunte apportate da ricordare una splendida "coffe-house" che troneggiava nei giardini che oggi possiamo solo immaginare vedendo i rilievi eseguiti dal Gauthier e qualche fotografia nella quale la stessa appariva già fagocitata da nuove strutture.
I giardini, come potete vedere nella planimetria del Vinzoni, si estendevano fino a mare: oggi purtroppo ne è rimasta solo una piccolissima porzione adornata da alcune statue di marmo. Nel grande spazio verso mare, oltre l'attuale giardino cintato, ora liberato dai gasometri e dalle altre strutture industriali, sarebbe auspicabile ripristinare, per quanto possibile, l'antico parco che diverrebbe un polmone verde a disposzione dei cittadini di Cornigliano, oltre a contribuire a restituire, almeno in parte, gli spazi monumentali che questa villa aveva prima degli sconvolgimenti ottocenteschi.
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Planimetria del Vinzoni con Villa Durazzo Bombrini ed i suoi giardini |
Come potete notare nella planimetria, la villa affacciava sulla strada principale che attraversava Cornigliano e continuava sul ponte del Polcevera. Oggi invece la strada è spostata più a monte e lontana dalla villa.
La proprietà nell'ottocento passa ai Savoia e diviene residenza estiva dello sfortunato Principe Oddone, che qui soggiornava nella speranza che il clima e la vicinanza al mare gli fossero di giovamento per le sue malattie.
La villa passa successivamente in mano ai Bombrini, all'Ansaldo (di cui Carlo Bombrini è uno dei fondatori), ed infine alla Società per Cornigliano Spa, i cui azionisti sono enti pubblici, che ancora oggi ne è proprietaria.
4.2 Villa Domenico Serra a Cornigliano
Sito lungo Via Cornigliano, questa villa fu edificata nel 1787 per volere di Domenico Serra, che affidò il progetto all'architetto Emanuele Andrea Tagliafichi: essa si presenta come un edificio neoclassico abbellito sulla facciata principale da due scalinate simmetriche ai lati e un ninfeo e una fontana centrali.
La villa viene comprata dal Comune di Cornigliano nel 1916 e diviene sede del Municipio; ancora oggi è di proprietà comunale e conserva intorno a sè parte dell'antico parco e all'interno i saloni con decorazioni neoclassiche.
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Una delle logge di Villa Domenico Serra a Cornigliano (foto di Antonio Figari) |
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Altra immagine di Villa Domenico Serra a Cornigliano (foto di Antonio Figari) |
4.3 Palazzo Spinola Canepa
Sito in Via Cornigliano al civico 17a, isolato nel verde e raggiungibile con una breve salita, questo edificio conserva ancora molti elementi originari: all'ingresso troviamo un grande atrio con una bella volta ad ombrello terminante su peducci in pietra nera di Promontorio, presumibilmente del quindicesimo secolo; al piano superiore due vani conservano affreschi cinquecenteschi a grottesche e scene mitologiche e una serie di lunette con paesaggi e ville genovesi.
La torre del palazzo, situata a monte dell'edificio, a seguito di eventi bellici, è solo in parte conservata.
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La volta ad ombrello nell'atrio di Palazzo Spinola Canepa (foto di Antonio Figari) |
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La volta di uno dei vani affrescati al primo piano di Palazzo Spinola Canepa (foto di Antonio Figari) |
4.4 Palazzo Gentile Bickley
Sita in Via Cervetto al civico 35, questa villa, nonostante gli intenventi ottocenteschi che ne hanno variato il volume e le proporzioni, conserva l'antica torre di avvistamento, edificata, insieme all'edificio oggi inglobato nelle più moderne strutture, per volere di Ambrogio Gentile 1549.
All'interno troviamo splendidi affreschi di Andrea Alsaldo, databili 1625/30 con soggetto Orazio Coclite, la cui figura di eroe romano che respinge gli etruschi ha un chiaro significato celebrativo della famiglia Gentile.
Al settecento risalgono molte decorazioni nelle sale.
L'esterno, come si presenta oggi, è frutto di un intervento ottocentesco.
La villa rimane di proprietà dei Gentile fino al XX Secolo, passa quindi ad Olga Delfina Bickley e alla sua morte al Comune di Genova.
Oggi è sede della Biblioteca Civica Francesco Domenico Guerrazzi.
Una curiosità: al mezzanino è ancora conservata la splendida cucina ottocentesca, che insieme a quella di Palazzo Spinola di Pellicceria e quella di Palazzo Montanaro, è uno dei pochi esempi rimasti di tipica cucina genovese.
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Palazzo Gentile Bickley (foto di Antonio Figari) |
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La cucina di Palazzo Gentile Bickley (foto di Antonio Figari) |
4.5 Palazzo Spinola Narisano
Sito in Viale Narisano al civico 4, questo edificio presenta ancora i tipici tratti di villa rinascimentale genovese con l'originario volume cubico e il grande tetto piramidale.
Il grande giardino che circondava il palazzo è oggi assai ridotto.
Superato il bel portale marmoreo cinquecentesco, l'atrio e lo scalone, si giunge al piano nobile dove due sale sono affrescate al centro con scene mitologiche raffiguranti "Il ratto di Europa" e "Apollo e Dafne" e ornate con motivi a grottesche.
Ancora presente è altresì la grande torre che svetta sopra il palazzo.
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La torre di Palazzo Spinola Narisano (foto di Antonio Figari) |
4.6 Palazzo Spinola Muratori
Sito tra Via Rizzolio, Via Cervetto e Via Grillone, questo palazzo fu edificato per volere di Paolo Spinola tra il 1559 e il 1563.
Lo Spinola affidò il progetto a Giovanni Ponzello, architetto che a Genova in quegli anni seguiva i progetti di Palazzo Baldassare Lomellini, sito in Via Garibaldi n.12 e di Palazzo Nicolò Grimaldi (Palazzo Tursi), di cui vi parlo nella pagina de i PALAZZI privati.
Non più presente purtroppo è lo scalone monumentale affescato da Andrea Ansaldo con storie di Alessandro Magno che portava al piano nobile e alla loggia che invece, anche se murata, è ancora leggibile nel lato nord del palazzo.
In facciata sono ancora presenti tracce di affreschi attribuiti ad Ottavio Semino.
Ancora esistente è la torre del palazzo che a questo era collegata tramite un lungo muro oggi non più presente.
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La torre di Palazzo Spinola Muratori (foto di Antonio Figari) |
4.7 Villa Pallavicini Raggi
Sito in Via dei Domenicani, questo palazzo di villa conserva tratti cinquecenteschi nell'atrio con la scala loggiata, ora tamponata, con una bella colonna a bulbo, e all'esterno nei due pilastri che immmettevano nel grande giardino ora andato perduto.
A ponente dell'edificio vi erano le scuderie e il deposito delle carrozze oggi trasformati in appartamenti.
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Scalone di Palazzo Pallavicini Riaggi (fotodi Antonio Figari) |
4.8 Villa Adorno Carbone
In Via Nino Cervetto al civico 14 un arco chiuso da un cancello delimita la proprietà di quella che un tempo era la villa degli Adorno, a cui subentrarono i Carbone. La villa, che dall'alto domina Cornigliano, è oggi suddivisa in appartamenti.
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L'ingresso di Villa Carbone (foto di Antonio Figari) |
4.9 Villa Doria Cevasco e Villa Doria Dufour
Questi due palazzi di villa, siti rispettivamente ai civici 1 e 3 di Via San San Giacomo, l'antica "creuza" che dal mare portava a Coronata, furono entrambi edificati tra la fine del XV e la prima del XVI secolo per i Doria.
Il palazzo inferiore, di volume cubico, presentava una loggia angolare aggettante, crollata insieme al salone a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Il Palazzo superiore è invece a pianta rettangolare, tipico esempio di villa rinascimentale pre-alessiana, e rivolto a valle al culmine di quello che un tempo era un viale scenografico. Conserva tracce di affreschi in facciata e decorazioni a raffaellesche nell'atrio.
I terreni a valle dei due palazzi furono occuparti nell'ottocento dalle fabbriche Dufour.
Oggi entrambi i palazzi sono abbandonati ed in attesa di un urgente restauro.
4.10 Villa Marchese
Sita in Via San Giacomo al civico 4, questo edificio conserva ancora l'originaria struttura cinquecentesca con loggia sul lato di levante probabilmente aggiunta successivamente.
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Particolare della loggia al primo piano di Villa Marchese (foto di Antonio Figari) |
4.11 Villa Serra Richini
Edificata dalla famiglia Serra a fine Settecento, questa villa, sita in Via Nino Cervetto al civico 2, era circondata da uno splendido giardino all'italiana su più livelli con fontane e grottesche.
Passata in proprietà ad Alberto Richini nel XIX Secolo, il parco della villa viene ancora ampliato fin sulla sommità della collina.
Oggi, nonostante la lottizzazione che ha ridotto molto il giardino, la villa conserva ancora la struttura centrale del parco con scale scenografiche a rampe e al centro dello stesso una bel ninfeo decorato all'interno con materiali polimaterici.
La villa, in cima al giardino, è suddivisa in appartamenti che conservano sale affrescate.
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Il giardino di Villa Serra Richini (foto di Antonio Figari) |
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Il ninfeo nel giardino di Villa Serra Richini (foto di Antonio Figari) |
4.12 Villa Spinola Dufour di Levante
Sita in Via Tonale al civico 47, questa villa fu edificata nel Medioevo per gli Spinola e ad essi appartenne fino al 1853 quando fu acquistata dai Dufour: esempio di palazzo di villa genovese (edificio nobiliare di villeggiatura circondato da terreni coltivati) conserva interni monumentali tra i quali l'atrio e il grande salone al piano nobile.
Da segnalare al piano terreno una sala con una volta a stella molto ribassata e un'altra con affreschi di fine ottocento.
A fianco del palazzo ma da esso distaccata, vi è ancora la grande torre di difesa la cui imponenza suggerisce la sua funzione anche di rifugio in caso di pericolo.
Nella zona a valle della villa vi è ancora il giardino ottocentesco con grandi alberature.
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Particolare della facciata affrescata di Villa Spinola Dufour di levante (foto di Antonio Figari) |
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La bella volta a stella in una delle sale di Villa Spinola Dufour di Levante (foto di Antonio Figari) |
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Gli affreschi ottocenteschi in una sala del piano terra di Villa Spinola Dufour di Levante (foto di Antonio Figari) |
4.13 Villa Spinola Dufour di Ponente
Sita in Via Tonale a civici 43-45, accanto a Villa Spinola Dufour di Levante, questa villa risale al XVI secolo.
Gli interni conservano un vano affrescato molto interessante, chiamato "galleria": sottili colonne con capitelli protorinascimentali a foglie d'acanto sostengono volte a crociera con chiavi di volta in pietra nera di promontorio.
Dell'antico giardino all'italiana, che un tempo correva fino a mare, nel quale un tempo vi erano marmi, statue e una collezione di camelie, rimangono mute testimoni due grandi nicchie, desolatamente vuote, e una loggia a serliana detta "del gufo".
Svetta sulla villa l'antica torre che l'ha difesa nei secoli.
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La galleria di Villa Spinola Dufour di Ponente (foto di Antonio Figari) |
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Il piccolo ninfeo di Villa Spinola Dufour di Ponente (foto di Antonio Figari) |
5.1 Villa Sciallero Carbone
Sita in Via Pian del Forno al civico 18, questa villa cinquecentesca sulle alture di Sestri Ponente si presenta come un grande volume allungato affiancato da una bassa torre con un piano in aggetto a piombatoi e terminata con merli. Un tempo circondata da un grande parco e isolata, dominava Sestri dalla Madonna della Costa. Oggi è invece soffocata dalla abitazioni e alle sue spalle "corre" l'autostrada Genova-Savona.
Proprietari della vila furono i Pallavicino, i Serra, i Balestrino, i Chiozza e nell'ottocento gli Sciallero-Carbone.
Venduta al Comune nel 1974 e divenuta scuola, conserva negli interni soffitti cinquecenteschi decorati con grottesche, un San Giorgio, scene mitologiche e nel salone una "caccia" opera di un pittore della cerchia dei Calvi. Nello stesso salone troviamo gli stemmi Pallavicino e Serra e affreschi del XVII e XIX secolo.
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Interni di Villa Sciallero Carbone (foto di Paolo Monti, 1964) |
5.2 Villa De Mari Spinola detta Villa Maria
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6. San Giovanni Battista
(...continua)
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7. Multedo
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Multedo negli anni 50 del '900: in alto sulla collina fa ancora bella mostra di sè Villa Pignone - Chiesa che verrà demolita qualche anno dopo. |
7.1 Villa Lomellini, Rostan
La villa fu edificata per volere di Angelo Lomellini tra il 1564 ed il 1568 su un terreno già di proprietà della sua famiglia, acquistato tra il 1343 ed il 1346 da Ansaldo Lomellini.
La villa diviene in seguito proprietà dei Pallavicini per passare poi per vie ereditarie alla famiglia Rostan e in seguito, tramite la discendenza di Elisa Reggio Rostan, ai Reggio che ancora oggi ne sono i proprietari.
L'edificio, seguendo lo schema tipico delle ville genovesi, si presenta con due piani e un ammezzato e due logge lateriali al primo piano nobile, una delle quali, quella di levante, successivamente tamponata. Sul volume della villa svetta una torretta che nasce con funzioni difensive, anch'essa tipico elemento delle ville suburbane genovesi.
Il salone e le logge conservano affeschi di Bernardo Castello.
Sul lato orientale sorge la cappella, edificata, per volontà dei Rostan, nelle forme neoclassiche a metà del diciannovesimo secolo dall'architetto Carlo Sada da Bellagio: essa fu inizialmente dedicata all'Immacolata e in seguito a San Filippo Neri. La stessa si presenta a croce greca e con quattro grandi colonne di granito con capitelli ionici che sorreggono la cupola decorata da Costantino Serena. La bella balaustra dell'altare proviene dalla Cattedrale di San Lorenzo.
Risale al 1760-62 la realizzazione del giardino all'inglese per il quale Agostino Pallavicini affida il progetto all'architetto Emanuele Andrea Tagliafichi. Quello che nascerà sarà uno dei giardini più ammirati di tutta Europa e diventerà modello a cui ispirarsi per gli architetti che progetteranno il parco di Villa Pallavicini a Pegli. Tra le tante meraviglie di questo parco una grotta con il mito di Atteone e Diana, non più esistente, e un ninfeo che ancora oggi si staglia nel parco.
Il giardino subirà profonde modifiche tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento quando la proprietà è della famiglia Reggio.
Una lapide commemorativa, posta all'ingresso della villa, ci ricorda la visita dei duchi d'Aosta nel 1896. Non fu questa l'unica vista di personalità italiane e non solo che si susseguirono nella villa soprattutto nel diciannovesimo secolo: tra i tanti ricordiamo i Savoia, i duchi del Monferrato ed i regnanti di Portogallo.
La villa oggi ospita la sede del Genoa che si allena sul retro della stessa dove nel secolo scorso fu realizzato un campo da calcio intitolato a Pio XII, dal 2005 trasformato nel campo "Gianluca Signorini".
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L'antico viale, oggi non più esistente, che dal mare conduceva a Villa Lomellini Rostan |
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Un'antica immagine di Villa Lomellini Rostan |
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La loggia di Villa Lomellini Rostan (fotodi Antonio Figari) |
7.2 Villa Lomellini, Bixio
Era questa una antica villa sorta lungo la litoranea che assume nell'ottocento la fisionomia che possiamo vedere nelle foto che la ritraggono prima della demolizione avvenuta nel dopoguerra.
Oggi al suo posto sorge un anonimo caseggiato.
7.3 Villa Gavotti, Persico
Si trattava di una grandiosa villa edificata agli inizi del XIX Secolo e demolita dopo l'ultima conflitto mondiale per lasciare spazio ad impianti industriali e oggi ad una anonima via lungo la quale si ergono numerosi condomini. Dell'antica villa rimane solo il nome della strada e qualche antica immagine.
7.4 Villa Pignone - Chiesa
Edificata negli anni '80 del XIX Secolo per volontà di Tito Pignone, commerciante di cereali, la villa venne progettata dall'Architetto Luigi Rovelli, molto attivo in quegli anni a Genova e da tutti ricordato soprattutto per essere stato il progettista di Castello Raggio di Cornigliano (tutti conosciamo la triste storia del "suo" Castello Raggio, pochi quella di questa villa, anch'essa figlia del gusto eclettico di fine ottocento, seconda età dell'oro a Genova e anch'essa demolita per volontà della scelleratezza delle scelte del Secondo Dopoguerra).
Intorno agli anni '10 del '900 Pignone si gioca la villa a carte e la proprietà passa all'industriale milanese Chiesa il quale negli anni '40 la venderà all'Ansaldo che destinerà il complesso a Colonia Marina per i figli dei propri dipendenti.
Negli anni '60 la villa passa ad una nuova proprietà che decide di radere al suolo il tutto per costruirvi depositi petrolchimici che non verranno mai realizzati.
I successivi cambi di proprietà e progetti di ricostruzione rimangono finora lettera morta.
Se vi capita di passare di qui potrete ancora trovare il monumentale cancello con i leoni che vi introdurrà nel viale di accesso della villa e salendo lungo la collina ciò che resta delle strutture intono alla villa propriamente detta che, invece venne demolita negli anni '60: un desolato prato incolto e sterpaglie sostituiscono l'imponente bellezza di questo edificio di cui oggi possiamo ammirare la bellezza solo nelle antiche immagini.
7.5 Oratorio dei SS. Nazario e Celso
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Antica immagine del Monte Oliveto con al centro l'oratorio e alle sue spalle la chiesa |
L'oratorio viene edificato sul sito della primitiva chiesa parrocchiale che nella seconda metà del XVI secolo viene ricostruita dove ancora oggi la vediamo.
Vi rimando alla pagina dedicata a gliORATORI e le CASACCE per approfondire la sua storia.
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Interni dell'Oratorio dei SS. Nazario e Celso (foto di Antonio Figari) |
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8. Pegli
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Antico volantino dell'ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo) che reclamizzava le bellezze di Pegli, stazione climatica e balneare |
8.1 Villa Durazzo Pallavicini
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Foto del Parco di Villa Durazzo Pallavicini scattata da Giorgio Sommer (1834-1914) nel 1880 circa |
8.2 Villa Doria Centurione
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La volta affrescata del primo piano nobile di Villa Doria Centurione |
8.3 Castello Chiozza
Sito in Via Pegli al civico 2, questo villino neogotico, che riprende nelle forme l'aspetto di un castello con torre lato mare, venne edificato intorno al al 1880 per volere della famiglia Chiozza.
Esso sorge sui resti un antico fortilizio di proprietà dei Lomellini.
Oggi l'edificio, che si presenta pressoché inalterato nelle sue forme originali, ospita un hotel.
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Antica immagina della spiaggia di Pegli con il Castello Chiozza e l'antica strada litoranea |
8.4 Oratorio di San Martino
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Ingresso dell'Oratorio di San Martino (foto di Antonio Figari)
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La sua fondazione risale al XIII Secolo. Una prima struttura quattrocentesca fu sostituita dall'attuale del XVIII secolo.
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9. Prà
9.1 Il Castelluccio
(...continua)
9.2 Torre Cambiaso Villa Negrone
(...continua)
9.3 Villa Negrone detta "di San Pietro"
(...continua)
9.4 Villa Negrone
(...continua)
9.5 Villa Cav. Felice Ratto
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10. Voltri
10.1 Villa Duchessa di Galliera
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la facciata della villa |
Sita alle spalle di Voltri sui colli Castellaro e Givi, ed inserita in un parco che oggi si estende per 32 ettari, questa antica villa fu edificata sul finire del '600 dai marchesi Brignole Sale.
Al corpo centrale vennero aggiunti in un secondo momento i due corpi laterali.
Gli interni conservano affreschi settecenteschi e decorazioni in stile rococò. Spicca in particolare la sala da pranzo detta “Sala delle conchiglie” per via della sua decorazione con ciottoli di tufo, corallo, marmo, serpentino, conchiglie in porcellana e vetri tagliati. Completa il tutto un piccolo ninfeo al centro della parete nord della stanza (un tempo qui scorreva l’acqua creando un effetto molto particolare). Questa stanza, progettata da Gaetano Cantone, fu realizzata nel 1785 dall’abile artigiano Giuseppe Canepa. Il 21 novembre 1832 qui vi fu il pranzo di nozze di Federico II di Borbone, Re delle Due Sicilie, e la principessa Maria Cristina di Savoia (le nozze erano state celebrate al Santuario dell’Acquasanta).
Oggi la Sala delle Conchiglie è utilizzata, come il resto del palazzo, da una scuola di infanzia che in questo palazzo ha sede.
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la Sala delle Conchiglie |
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particolare delle decorazioni della Sala delle Conchiglie |
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particolare delle decorazioni della Sala delle Conchiglie in cui si notano le conchiglie in porcellana |
Altro luogo all’interno del palazzo che merita di essere ricordato, anch’esso aperto al pubblico come la Sala delle Conchiglie per particolari occasioni, è il teatro: progettato nel 1786 da Gaetano Cantone, e realizzato da Giuseppe Canepa, con l’aiuto nella realizzazione delle decorazioni dal pittore e scenografo Carlo Alberto Baratta, questa sala fu voluta da Anna Pieri, moglie di Anton Giulio III Brignole Sale, che ebbe l’idea ispirandosi ad un modellino acquistato da Tommasina Balbi.
Nei peducci della volta centrale sono rappresentate quattro figure allegoriche rappresentanti le arti liberi: Musica, Poesia, Pittura e Architettura (quest’ultima mostra la piantina del teatro). Il lanternino nel mezzo della volta con rosoni in legno traforati era stato così pensato per migliorare l’acustica del teatro. Sempre nella volta sono dipinte piante di prugne o meglio di “brigne” chiamandole con il loro nome ligure (come avrete capito, il motivo della loro presenza è proprio l’assonanza con il cognome dei proprietari del palazzo).
Opera di G.B. Tagliafichi, capo-macchinista del Teatro di Sant’Agostino, sono i meccanismi di scena, alcuni dei quali ancora conservati.
Una curiosità: alzando lo sguardo nella parte terminale della volta opposta al palcoscenico, decorata con un affresco a mò di balcone, potrete notare due piccole aperture. Al di sopra di queste aperture vi era un tempo un soppalco dove sostava l’orchestra: il suono dei loro strumenti entrava nel teatro attraverso queste piccole aperture e grazie alla perfetta acustica si diffondeva la musica in tutta la sala.
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L'interno del teatro (foto di Antonio Figari) |
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Le pareti e la volta del teatro interamente affrescati (foto di Antonio Figari) |
Nel parco, in mezzo al bosco romantico, vi è un castello neoromanico con grotte e cascate artificiali.
Salendo ancora, dopo esser usciti dal bosco, vi ritroverete in mezzo agli ulivi e di lì a poco alla vista dei daini e delle caprette tibetane che qui abitano, attrazione per i bimbi che visitano il parco.
Sulla sommità dei terreni di pertinenza di Villa Duchessa di Galliera, vi è il Santuario delle Grazie. Qui nel 1886 fu realizzata una cripta funebre voluta dalla Duchessa Maria Brignole Sale De Ferrari: vi sono sepolti la Duchessa, il marito Raffaele De Ferrari, il loro figlio Andrea, il padre della Duchessa Antonio e altri parenti. Merita una citazione il presepe storico di scuola del Maragliano qui conservato (frutto di un lascito della Duchessa Maria).
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Villa fu occupata dalle truppe tedesche (qui aveva sede il Comando di Ponente). Nel 1943 nel parco fu realizzato dalla Wermacht un vero e proprio reticolo di fortificazioni (se ne contano 32): si tratta di postazioni antiaeree, bunker interrati, garitte e camminamenti. Questo complesso sistema è per la maggior parte sviluppato nelle viscere della collina, lontano quindi dagli occhi del distratto passante (tuttavia, se fate attenzione, nel bosco potete notare alcune di queste fortificazioni ben mimetizzate).
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Bunker tedesco mimetizzato nel parco di Villa Duchessa di Galliera (foto di Antonio Figari) |
11. Val Polcevera
La Val Polcevera, nonostante gli sconvolgimenti che l'hanno trasformata da zona di ville, giardini e piccoli borghi ad area a prevalentemente a vocazione industriale, conserva l'antica bellezza in molti luoghi che meritano di essere conosciuti e che Vi descriverò in questa passeggiata che, partendo da Cornigliano, ci porterà lungo tutta la valle.
11.1 Villa Imperiale, Casanova
Sita in Corso Perrone 15, questa villa fu edificata tra gli anni '60 e '80 del XVI Secolo.
Anticamente era circondata da un giardino che la villa dominava dall'alto. Prima di giungere all'ingresso ci si trovava davanti ad una grande peschiera conclusa da un vasto ninfeo, oggi scomparsi come del resto anche il secondo ninfeo, che si trovava dietro la villa e che era visibile già dopo aver superato il bel portale d'ingresso.
L'originaria scala conduceva alla loggia del piano nobile dove, con un ponte sospeso, si usciva e si raggiungeva un terzo ninfeo.
Primo proprietario fu, con tutta probabilità, Giovanni Spinola. La villa passò poi agli Imperiale e poco prima del 1830 ad un ricco mercante, il Casanova, il quale decise di tagliare tutti gli alberi del parco per sostituirli con una vigna.
Qui, nell'ottobre del 1799, ad una festa per lo sbarco di Napoleone al Frejus, Ugo Foscolo incontra Luigia Pallavicino, che, già sfigurata da un incidente a cavallo, diverrà la protagonista di una sua famosissima ode.
Oggi la villa, scomparsi gli affreschi e perso il parco che la circondava, conserva ancora tracce dell'antica bellezza nel suo originario volume dove ancora si leggono le logge del piano nobile, benché tamponate, negli ampi spazi interni e nei portali in pietra nera.
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Villa Imperiale, Casanova (foto di Antonio Figari) |
11.2. Abbazia di San Nicolò del Boschetto (la "Badia del Boschetto")
In fronte all'antico borgo di Rivarolo ed ai piedi della collina di Coronata, immerso nel verde di un antico bosco, sorge la splendida Abbazia del Boschetto.
Un epigrafe conservata in chiesa ricorda che la fondazione del complesso risale al 1311 quando Magnone Grimaldi fece edificare una piccola cappella dedicata a San Nicolò, in onore di suo padre che portava proprio quel nome.
Nel 1410 qui si insediarono i benedettini ai quali i Grimaldi avevano donato la piccola cappella.
Furono loro a dare impulso all'edificazione del complesso monastico come oggi lo conosciamo.
Superato il cancello si entra in un piccolo cortile con il caratteristico risseu bianco e blu, entrati nel portone si giunge nel primo chiostro, il chiostro piccolo, edificato tra il 1468 e il 1483 sul quale si affacciavano l'infermeria e i dormitori riservati ai pellegrini qui di passaggio.
Si passa quindi nel chiostro grande, edificato successivamente rispetto al primo chiostro (tra il 1492 e il 1519): quadrato, con al centro un piccolo pozzo (alimentato da una sorgente sotterranea), ha i lati che misurano ventidue metri ciascuno; su questo chiostro affacciavano le celle dei monaci, l'appartamento dell'Abate, la sala capitolare e la Chiesa.
Quest'ultima è il vero gioiello dell'intero complesso.
In essa troviamo meravigliose tombe del quattrocento e cinquecento di vari esponenti delle famiglie Grimaldi, Doria e Lercari: tra di esse da ricordare alcune splendide sculture sepolcrali come quella di Pellegrina Doria che vedete nella foto qui di seguito.
In testa alla navata destra troviamo la cappella mausoleo del Doge Giovanni Battista Lercari detta anche cappella della Madonna poichè la volta è affrescata con storie della vita della Vergine.
In testa alla navata sinistra, quella che fu la primaria cappella dedicata a San Nicolò che diede vita all'intero complesso, è divenuta nei secoli luogo di sepoltura della famiglia Doria come testimonia la tomba di Paolo Doria attribuita alla bottega di Giovanni Gaggini e data 1474.
Quello che pochi sanno è che provengono da questa abbazia gli splendidi "Blu di Genova", oggi esposti al Museo Diocesano: uno splendido "apparato effimero" in tessuto blu, antenato del nostro jeans, composto da più teli che veniva esposto in occasione del rito pasquale delle Quarant'ore.
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Chiostro piccolo dell'Abbazia di San Nicolò del Boschetto (foto di Antonio Figari) |
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Chiostro grande dell'Abbazia di San Nicolò del Boschetto (foto di Antonio Figari) |
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L'interno della Chiesa dell'Abbazia di San Nicolò del Boschetto (foto di Antonio Figari) |
11.3 Villa Cattaneo dell'Olmo
Edificata nel XV Secolo dalla famiglia Grimaldi nel pressi dell'Abbazia del Boschetto, questa villa, dopo alcuni passaggi di proprietà, divenne di proprietà della famiglia Cattaneo che nel XVIII secolo la fece riedificare eliminando quasi completamente ciò che era sopravvisuto nei secoli.
La struttura dell'edificio richiama lo stile compositivo dell'Alessi, tipico delle ville genovesi.
Gli affreschi dell'atrio sono opera di Jacopo boni e della sua bottega e rappresentano figure araldiche e mitologiche.
Il bello scalone conduce la piano nobile dove gli affreschi del salone e della cappella risalgono alla fine del XVIII Secolo.
Oggi l'edificio è sede della Fondazione Ansaldo ed è visitabile su appuntamento.
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lo scalone di Villa Cattaneo dell'Olmo (foto di Antonio Figari) |
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Uno dei saloni del primo piano (foto di Antonio Figari) |
11.4 Chiesa
di San Bartolomeo della Certosa (la "Certosa di Rivarolo")
Al 1297, su
terreni donati da Bartolomeo di Negro, risalirebbe la prima edificazione di questa chiesa la cui attuale struttura è invece frutto delle modifiche apportate
nel XVI Secolo.
Oltre ad essa, la struttura è formata da due chiostri e una piccola chiesetta preesistente alla grande
chiamata Cappella di San Bartolomeo o "Cappella delle Donne".
Il primo
chiostro, che si trova dietro l'abside, è il più antico e fu adibito a
cimitero: a pianta quadrata con arcate poggianti su pilastri, fu oggetto di un intervento successivo,
nel XVI secolo, che portò all'aggiunta di una seconda loggia superiore con
sedici colonne di marmo con cornici in pietra di promontorio.
Il secondo
chiostro, posizionato invece davanti all'ingresso della chiesa, risale invece al XVI secolo: a pianta rettangolare, con influssi di
derivazione toscana, esso è famoso per lo splendido "risseu" che corre lungo tutto il suo perimetro. Costruito tra il 1546 ed il 1671 (da quest'ultima, disegnata in uno dei riquadri), con la sua superficie di 760 metri quadrati è il più grande della Liguria (vi rimando alla pagina dedicata a le ARTI MINORI a GENOVA per approfondire la storia di questa antica arte e per vedere le immagini di questo e degli altri risseu ancora presenti a Genova).
La chiesa
conserva affreschi di Giovanni Carlone nella cupola con al
centro Dio Padre e negli spicchi del Tiburio gli angeli che recano gli
strumenti della Passione. In controfacciata lo scultore Taddeo
Carlone, padre di Giovanni, eseguì due splendide acquasantiere.
Alle
pareti dell'altare maggiore vi sono le meravigliose arche sepolcrali di
Orazio e Ambrogio di Negro.
Da
segnalare, infine, nella Cappella di San Bartolomeo detta anche "Cappella
delle Donne" (la cui struttura bassa e massiccia risale al periodo
gotico), gli affreschi della volta dell'altare raffiguranti scene della
vita di San Bartolomeo, opera di Giovanni Carlone.
11.5 Chiesa di Santa Maria del Garbo
Sita su una collina nel quartiere di Rivarolo, in una piccola frazione denominata Garbo, questa antica chiesa è con tutta probabilità il più antico santuario della Val Polcevera.
La tradizione racconta che nel XIV secolo un bambino trovò nella cavita ("garbu" in dialetto genovese) di un castagno una piccola immagine della Madonna. Portata a casa, l'immagine scomparve per comparire di nuovo nell'incavo dell'albero ove era stata trovata.
L'evento venne interpretato come miracoloso dalle autorità religiose e fu allora deciso di collocare l'immagine nella piccola cappella di San Matteo che si trovava in zona. Secondo un'altra versione della storia, fu invece costruita un'apposita cappella per la sacra immagine.
Grazie ad un lascito testamentario del 1614, nel 1631 venne costruita la chiesa, ad un'unica navata, che inglobava al suo interno la cappella sopramenzionata.
La sacra icona, recante la scritta "Sancta Maria de lo Garbo AMEN", le cui dimensioni sono di appena 7,5 x 4,4 cm, è una tavoletta in steatite, un minerale di colore bianco (per questo all'inizio si pensava fosse di avorio), risalente al XII secolo, entro una cornice gotica di argento del XIV secolo sormontata da un frontone triangolare con due pinnacoli gemelli ai lati. Si tratta di un raro esempio di arte devozionale medievale ligure che si rifà ai canoni dell'arte bizantina. In essa è rappresentata la Madonna con in braccio Gesù con la mano destra benedicente.
L'icona, insieme ai resti del vecchio castagno, fu collocata in un altare laterale entro un tabernacolo cinquecentesco in marmo con ai lati scolpiti figure di santi e sopra la Madonna con il Bambino in braccio, il tutto sormontato dalla figura di Dio benedicente sopra il quale vi è una corona di teste di angeli. Si notano anche due piccoli stemmi nobiliari sopra le paraste abrasi probabilmente durante i moti giacobini.
Sull'altare maggiore è collocata una statua della Madonna opera di Francesco Maria Ravaschio scolpita nel 1791. Le statue lignee dei dodici apostoli, poste nel presbiterio entro nicchie, sono opera dello scultore tedesco G.B. Pitscheider e risalgono al XIX secolo.
Il campanile fu eretto una prima volta nel 1774 e poi rifatto nel 1881, anno a cui risale la risistemazione delle due sagrestie che vengono affrescate da Giovani Battista Traverso.
La Madonna del Garbo è pregata per ottenere protezione contro la peste (e contro il colera nel XIX secolo) e per scongiurare le violenze in caso di invasioni straniere, tutt'altro che caso raro nella valle che vide passare tanti eserciti pronti ad assediare la Superba.
Quando arriva il giorno della festa, la piccola immagine della Madonna viene collocata nel tronco di un castagno e portata in processione su un carro trainato da cavalli bardati a festa.
Un curiosità: la chiesa del Garbo non ha facciata e per entrare in chiesa si passa da un porticato laterale che affaccia sulla piazza antistante la chiesa.
Negli anni '80 del XX secolo la sacra icona fu rubata ed è notizia del 15 gennaio 2023 del suo fortuito ritrovamento e soprattutto del suo riconoscimento: la stessa icona infatti, dopo esser stata acquistata, fu mostrata allo storico dell'arte Vittorio Sgarbi che la riconobbe quale icona del Garbo. Speriamo che la stessa possa essere presto ricollocata nel santuario dove i fedeli da tanti secoli la venerano.
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Altare dove è conservata l'icona della Madonna del Garbo |
11.6 Museo civico di storia e cultura contadina genovese e ligure
In salita del Garbo al civico 43, non distante dalla chiesa di Santa Maria del Garbo, era ospitato questo particolare museo: nelle sue sale era raccontata la storia della vita contadina della Val Polcevera dagli anni 30 del '900 ad oggi. Un territorio duro da coltivare come quello ligure richiede abili mani che attraverso semplici strumenti, esposti nel museo, riuscissero a "domare", per così dire, l'aspro territorio con la creazione, tre le tante, dei terrazzamenti e dei muri a secco ancora oggi presenti nel territorio ligure. Ricordo con stupore quando lo visitai e attraverso le parole delle guida del museo di allora potei comprendere come si viveva in valle una volta.
Tra le tante cose era spiegato anche il "rito" della semina e le varie coltivazioni e vi era una ricostruzione di una cucina contadina, per potersi immergere appieno nella vita di queste persone che, con il duro lavoro delle proprie mani e pochi strumenti (come vi dicevo, espoti nel museo), riuscivano a sfamare la propria famiglia.
Il museo, chiuso da anni, ha oggi una nuova sede nel chiostro della Chiesa di San Bartolomeo della Certosa dove nel 2024 è nato il MUCE (Museo Certosa di Genova) dove, tra il tanto materiale esposto, vi sono anche attrezzi ed oggetti un tempo qui conservati.
11.7 Villa Durazzo Pallavicini (Rivarolo)
Sita a Rivarolo, in Via Rossini al civico 27, questa villa è databile alla prima metà del XVIII Secolo. Dai Durazzo passò ai Pallavicino che ancora oggi ne sono proprietari.
Il Complesso si sviluppa in tre bassi volumi che vanno a formare una corte interna su pianta a "C". I due corpi laterali erano originariamente adibiti a scuderie e locali di servizio.
Il corpo principale presenta un ampio frontone al primo piano dal quale scende il magnifico scalone che sembra abbracciare il visitatore.
Gli interni conservano affreschi e stucchi settecenteschi.
Il bel parco nel quale era inserita la villa oggi è solo un lontano ricordo.
Attualmente, dopo essere stata sede del municipio e del corpo dei vigili urbani, la villa è in stato di completo abbandono.
E' notizia recente l'acquisizione della stessa da parte del Comune di Genova che, si spera, provvederà presto al restauro dei questa antica villa.
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Villa Durazzo Pallavicini di Rivarolo in uno scatto di Paolo Monti del 1963 |
11.8 Villa Spinola Parodi
Costruita a mezza costa sulla collina di Fegino e circondata da un grande parco, questa villa, costruita nel settecento, costituiva, insieme alla diruta Villa Durazzo Cataldi, uno degli esempi meglio riusciti di architettura rococò genovese nonchè di residenza nobiliare di villeggiatura. Vittima dello sviluppo industriale della valle, nel secondo dopoguerra vide il suo parco sparire per lasciare spazio ad un deposito petrolifero che accompagnerà la sua storia per alcuni decenni. Oggi, dismesso l'impinato, la villa è in cattive condizioni (una foto aerea mostra il tetto con alcune rotture) ma nonostante questo conserva ancora il suo apparato costruttivo originario con la facciata decorata e gli interni con il grande scalone ed alcuni ambienti affrescati.
Sopravvive ancora sul retro del palazzo il grande ninfeo.
11.9 Castello Foltzer (già Casino Cavaleri)
Questo particolare edificio, di origini settecentesche, sito in Via Germano Jori civico 60, in assume le attuali forme quando viene acquistato a metà ottocento dall'allora sindaco di Rivarolo G.B. Cavaleri, che lo fa ristrutturare radicalmente facendogli assumere le forme di un castello a pianta circolare con torrione centrale che ancora oggi lo contraddistinguono. Circondato da un ampio giardino che correva fino al torrente Polcevera, "Casino Cavaleri" era in nome con cui era conosciuto. Dopo pochi anni, per problemi finaziari, Cavaleri deve vendere il suo castello ai Foltzer, famiglia di origine alsaziana, proprietaria di un'azienda di oli minerali. Il castello diviene abitazione del direttore dello stabilimento ed il giardino adibito a magazzino per la merce. La terza vita del castello inizia nel 1932 quando diviene una "Casa del Fascio", riconvertita nel dopoguerra, per una non scritta legge del contrappasso, in locale sezione del Partico Comunista Italiano (di questi anni è il soprannome ironico che gli viene affibbiato al castello ossia "Cremlino", viste le sue particolari forme ed il legame politico con Mosca). Nel 1995 il castello viene acquistato dal Comune di Genova e dopo un restauro durato qualche anno diventa sede della biblioteca civica Cervetto che ancora oggi ha sede in questo luogo.
Gli interni conservano ancora alcune decorazioni ottocentesche.
11.10 Villa Serra di Comago
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12. Val Bisagno
12.1 Le Ville della Val Bisagno
12.1.1 Villa Imperiale di Terralba
Edificata per volere di Lorenzo Cattaneo nei primi anni del
Cinquecento, è un tipico esempio di villa genovese prealessiana.
Il primo illustre ospite fu il Re di Francia Luigi XII che qui
soggiornò nel 1502.
Nel 1560 il corpo dell'edificio fu ampliato e furono inserite due
logge laterali dandole l'aspetto che ancora oggi conserva.
Gli interni conservano lo spendido affresco di Luca Cambiaso "Il
ratto delle Sabine" (che da solo vale la visita a questa villa) e altri affreschi opera dei
Calvi e di altri pittori genovesi.
Il Parco, tuttora conservato, suddiviso in terrazzamenti e con una disposizione ottocentesca all'inglese con prati e boschi, conserva uno splendido ninfeo.
La proprietà passò dapprima ai Salvago nel XVII Secolo, poi agli Imperiale (dai quali prende il nome la villa), ed infine al Comune di Genova negli anni venti del Novecento. Oggi è sede di una biblioteca e di un asilo e dunque facimente visitabile. Il parco pubblico, tuttora conservato, costituisce il polmone verde del quartiere di San Fruttuoso.
Infine, una
curiosità: se accedete a Villa Imperiale da Piazza Terralba, vi capiterà di passare da
Via dell’Albero d’Oro.
Il nome di questa strada deriverebbe, secondo una
popolare leggenda locale, da un albero, un alloro, che qui aveva piantato, è
proprio il caso di dirlo, le sue radici. Un abitante del luogo, in una
sfortunata giornata, aveva perso ai dadi tutti i suoi terreni. Gli rimaneva solo
un albero, il “nostro” alloro. Decise allora di giocarsi l’unica cosa che gli
rimaneva e la fortuna gli arrise permettendogli di riguadagnare tutto ciò che
aveva perso nelle precedenti puntate al gioco.
Da quel giorno,
l’alloro divenne per tutti “l’albero d’oro” (da notare anche l’assonanza tra il nome
dell’albero e il metallo prezioso).
Il vecchio
alloro è stato abbattuto, ormai vecchio e malato, negli anni 80 del XX Secolo e
sostituito da un giovane esemplare.
12.1.2 Villa Migone
Sita in Via San Fruttuoso, a poca distanza da Villa Imperiale, questa villa sorge probabilmente su una preesistente casa torre costruita per volere della famiglia Spinola tra il XIII ed il XIV Secolo.
Assume l'aspetto attuale nel XV Secolo quando diviene proprietà dei Sauli. Dopo ulteriori passaggi di proprietà la villa viene acquistata da Agostino Migone nel 1792 il quale decide di apportare alcune modifiche alla struttura dell'edificio come la costruzione dello scalone, la chiusura della loggia e la sopraelevazione di un piano.
La villa è famosa perchè qui, il 25 aprile 1945, venne firmato il tratto di pace tra i lCNL Ligure e le truppe tedesche. Il fatto avvenne qui perchè nella villa all'epoca era ospitato il Cardinale Boetto, intermediario tra le parti.
12.1.3 Villa Saredo, Parodi
Sita in Via Marassi al civico 6 ed edificata nel XVI Secolo, questa villa conserva al suo interno affreschi con scene allegoriche nel salone d'ingresso e lungo lo scalone che conduce al piano nobile e alla loggia. Nella cappella sono corvarti splendidi affreschi di Valerio Castello con episodi della vita della Madonna.
Oggi, privata del suo giardino, si trova inserita tra moderni palazzi che sembrano soffocarla.
12.1.4 Villa Centurione, Musso Piantelli
Sita in Corso De Stefanis al civico 8, questo edificio, splendido esempio di villa cinquecentesca genovese, fu edificata nella seconda metà del XVI Secolo per volere della famiglia Centurione in una zona agricola della Val Bisagno e ancora oggi, nonostante la perdita di gran parte parco che la circondava, conserva la struttura architettonica originale con un corpo allungato che termina in due logge angolari.
Il parco della villa si estendeva fino al torrente Bisagno e ciò ancora nel fino 1875 come rivelano documenti d'archivio, e le siepi del giardino all'italiana si intervallavano con fontane e viali a pergolato.
Davanti all'entrata principale, ancora presenti sono splendidi bassorilievi raffiguranti tritoni e due draghi che sembrano posti a custodia dell’ingresso.
Lo scalone dal piano terreno conduce alla loggia del piano nobile che si apre sul salone splendidamente affrescato da Bernardo Castello con affreschi con episodi del primo libro dell'Eneide, salone che a sua volta è collegato con l'altra loggia e le sale laterali decorate con affreschi dei Calvi e dei Semino a temi biblici o tratti dalle Metamorfosi di Ovidio.
Al piano terreno la cappella conserva affreschi di Giovanni Andrea Ansaldo.
Oggi purtroppo la villa risulta soffocata tra corso De Stefanis e la mole dello stadio Luigi Ferraris.
Nonostante questo, la sua bellezza è ancora intatta negli interni e merita di esser visitata.
La villa passerà alla Famiglia dei Musso Piantelli a metà del XVIII Secolo e rimarrà della stessa fino al 1990.
Nell'atrio è esposto un calesse, di proprietà di Giuseppe Musso Piantelli, a ricordo di quando il prato antistante la villa, oggi occupato dallo stadio, era un maneggio dove si organizzavano concorsi ippici.
Una curiosità: si racconta di fantasmi che abiterebbero la villa.
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Un'antica immagine di Villa Centurione, Musso Piantelli prima di essere "soffocata dalle strutture dello stadio |
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Il salone al primo piano affrescato da Bernardo Castello (foto di Antonio Figari) |
12.2 Le chiese della Val Bisagno
12.2.1 Sant'Agata
Sito in Via Giuseppe de Paoli nell’odierno quartiere di San Fruttuoso, questo complesso conventuale sorge a pochi passi dall’imboccatura del Ponte intitolato proprio a Sant’Agata. Oggi che il torrente Bisagno è lontano e le prime arcate del ponte sono nascoste in un cortile privato, il convento si trova quasi nascosto, fagocitato dalla crescita edilizia del quartiere.
Le prime notizie di questo antico complesso conventuale risalgono ad un documento del 1191 dove esso viene chiamato “S. Agata de capite pontis Bisannis”. Ed è proprio quest’ultimo, il Bisagno a danneggiare gravemente il complesso il 30 settembre 1452.
Il convento, inizialmente abitato dalle Monache Cistercensi, passa alle Canonichesse Lateranensi nel 1514 e ai Frati Agostiniani nel 1531. Chiuso nel 1797 a seguito delle leggi di soppressione degli ordini religiosi, il convento viene acquistato nel 1825 dal sacerdote Don Angelo Cervetto che lo mette a disposizione di Suor Vittoria Gironi, fondatrice dell’Istituto delle Maestre Pie di Sant’Agata, che vi si trasferisce insieme alle consorelle dell’ordine nel 1827. Ancora oggi le stesse gestiscono qui una scuola dell’infanzia (primavera e materna) e una scuola elementare.
L’ingresso in Sant’Agata di Suor Vittoria Gironi, già direttrice del Conservatorio di San Rocco, e il conseguente adattamento del convento a scuola porta ad una profonda ristrutturazione del complesso monastico, a cura dell’Architetto Cremona, che, a seguito di ciò, perderà esternamente tutti quegli elementi architettonici che risalivano alla sua edificazione nel XII Secolo.
Si accede al complesso da uno stretto archivolto posto all’imboccatura dell’antico ponte. Sopra l’archivolto, quasi ad accogliere coloro che vogliano entrare nel convento, vi è un affresco con Sant’Agata al centro e due santi ai lati identificati con Sant’Antonio e San Fruttuoso di Tarragona (colui che da il nome al quartiere e le cui spoglie, secondo la tradizione, sarebbero conservate nell’Abbazia di San Fruttuoso qui portate da San Prospero, anch’egli di Tarragona e anch’egli vescovo della città come Fruttuoso, che era giunto in Liguria dopo esser fuggito dalla Spagna nel 409 a seguito dell’arrivo dei Vandali).
La chiesa all’interno del complesso conserva la statua della santa, opera di Filippo Parodi eseguita tra il 1680 ed il 1690.
A Sant'Agata è intitolato il ponte medievale che collegava anticamente Borgo incrociati a questo convento e la famosa fiera che si svolge ogni anno la prima domenica di febbraio. Vi rimando ai paragrafi successivi di questo capitolo dedicato alla Val Bisagno per approfondire la loro storia.
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L'archivolto che conduce al convento di Sant'Agata (foto di Antonio Figari) |
12.2.2 Santa Maria degli Incrociati
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Antica immagine di Borgo Incrociati con al centro quella che fu la Chiesa di santa Maria degli Incrociati, oggi non più esistente. |
12.2.3 Nostra Signora della Consolazione
Nel 1473 il beato Gian Battista Poggi, patrizio genovese, insieme ad altri eremitani che seguivano la regola di Sant'Agostino, fonda un convento in località Artoria, una piccola altura sita tra lo Zerbino e Borgo Incrociati che oggi possiamo identificare come Salita Superiore ai Terrapieni, una "creuza" sita nel punto in cui Corso Montegrappa incontra Via Asiago. E proprio su questa salita insiste ancora oggi un portale sovrastato da un'edicola votiva vuota sotto la quale una piccola lapide marmorea recita "in te Domine speravi non confundar in eternum", parole di un salmo del Te Deum composte da Sant'Agostino e Sant'Ambrogio. E' questa l'unica testimonianza fisica ancora presente in loco di questo antico monastero.
La vita del convento prosegue fino alla costruzione delle nuove mura nel diciassettesimo secolo (vi rimando alla pagina dedicata al le PORTE e le MURA di GENOVA per approfondire). Trovandosi in prossimità delle stesse ed al fine di non avere edifici che limitassero la difesa della città lasciando quindi libero lo spazio antistante le mura, si decise di demolirlo, nonostante le accese proteste dei frati, che ottennero di poterlo ricostrire in zona San Vincenzo, dove ancora oggi vi è la Chiesa della Consolazione (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire). Prima di essere demolito, il convento viene utilizzato come lazzaretto durante la peste che inizia a dilagare in città negli anni '30 del 600.
Oggi lungo Via Canevari una piccola piazza dal nome "Artoria", che segna il confine tra il quartiere di San Fruttuoso e quello di Marassi, ci rimanda con la memoria a questa antica località.
Un'ultima curiosità: il nome "artoria" deriverebbe da "arto-ria" (sopra il rivo, identificato, in questo caso, con il Bisagno).
12.2.4 Santuario di Nostra Signora del Monte
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Il sagrato tipicamente ligure in ciottoli bianco e blu |
Situato sulla cima di un colle, il "Monte", che domina la piana del Bisagno, questo antico complesso monastico affonda le sue radici all'anno mille: si ha notizia di una cappella qui esistente nel 958 mentre le prime notizie documentate risalgono al 1183 quando in questo luogo sono presenti i canonici mortariensi che accanto alla cappella hanno da poco finito di edificare una nuova chiesa (durante i lavori di restauro del 1970 furono rinvenute tracce di questo primo edificio ad unica navata che occupava lo spazio su cui oggi insiste il sedime della navata destra della chiesa). Il citato documento del 1183 è relativo ad una lite tra il canonico mortariense Giusto e l’arcivescovo di Genova Ugone che rifiuta di consacrare la chiesa appena costruita sul Monte.
Nel XV secolo, ormai in rovina ed affidata ad un canonico di San Lorenzo, arrivano qui i francescani minori osservanti che reputano questo luogo isolato ma non distante dalla città ideale per un loro insediamento. Fu così che, per intercessione del Doge Raffaele Adorno presso Papa Eugenio IV, i frati ottengono tutti i diritti sul priorato mortariense e sui beni ad esso connessi. E’ lo stesso Adorno a finanziare il restauro e ampliamento della chiesa e la costruzione del convento che è consegnato ai frati il 13 settembre 1444.
Tra la metà del XV e il XVI secolo inizia la costruzione delle cappelle laterali che verranno acquisite ed abbellite da varie nobili famiglie genovesi che qui porranno anche le loro sepolture.
Risalgono invece al XVII secolo i lavori, interamente finanziati da Giacomo Saluzzo (il cui busto, insieme a quelli dei fratelli, è posto ai lati del presbiterio), di costruzione del presbiterio, del coro e della cripta sotterranea, lo scurolo. Sempre ai Saluzzo si deve la costruzione del campanile e l'edificazione di undici cappelle nei luoghi dove fin dal 1623 i frati avevano innalzato delle croci per segnare le stazioni della Via Crucis. Altre tre cappelle verranno costruite per volere dei frati. Ancora oggi, salendo al monte, potrete vederle anche se spesso fagocitate dall'edilizia novecentesca che ha per così dire "inglobato" il Monte nella città. Nel secolo successivo, con finanziamento dei Saluzzo ed altri benefattori, sarà costruita la strada, detta "nuova", che collega tra loro le varie cappelle e allo stesso periodo risale l'edificazione della quindicesima cappella.
Ulteriori lavori di restauro della chiesa, che daranno alla stessa le forme barocche che ancora oggi possiamo vedere, sono finanziati, sempre nel '600, dal nobile G.B. Negrone.
Superato il bel sacrato in ciottoli bianco e blu che disegnano lo stemma della città di Genova, il simbolo del francescanesimo (le due mani incrociate su croce) e la “M” di Maria, si entra nella chiesa che nelle cappelle laterali conserva capolavori di scuola genovese come la pala di Domenico Fiasella con la “Sacra Famiglia e Sant’Anna” o la “Natività tra i pastori” di G.B. Carlone, il Polittico dell’Annunciazione, opera del “maestro dell’Annunziata del Monte”, due sculture del Maragliano raffiguranti San Francesco e Sant’Antonio (provenienti dalla diruta chiesa di Santa Maria della Pace, erano originariamente collocate sull’altare di quest’ultima insieme alla Madonna che oggi è collocata invece nella Chiesa di San Teodoro), e alcuni monumenti funebri (oltre a quelli già citati dei Saluzzo) come quello di Flaminia Salvago-Gentile, opera di Gio. Giacomo Parraca da Valsoldo.
Gli affreschi della volta della cripta, con storie della Vergine, sono opera di Andrea Ansaldo. La statua della Madonna qui conservata è attribuita a Francesco Valdambrino, allievo di Jacopo della Quercia.
Nel refettorio quattrocentesco è murato un pulpito in ardesia a formelle con la Vergine e figure di santi francescani e sulla parete di fondo una grandiosa opera di Orazio de Ferrari, l’“Ultima cena”, firmata e data 1641.
Nel periodo natalizio viene allestito, nel vicino oratorio dell’Immacolata Concezione, edificato nel 1603 su disegno di Bartolomeo Bianco, un presepe con figure attribuite al Maragliano e alla sua scuola (appartengono al Santuario dal 1926 a seguito del lascito del comm. Enrico Peirano). A questo proposito, vi rimando alla pagina dedicata a le ARTI MINORI a GENOVA per approfondire la storia del presepe genovese.
Il Santuario è circondato a levante, a sud e a nord dal cosiddetto “bosco dei frati” in mezzo al quale trovano spazio tre cappelle.
A questo luogo è legato anche un digestivo ottenuto dall'infuso di erbe, il famoso "Amaro di Santa Maria al Monte", nato nel 1858 per volontà di Vincenzo Castrovillari, cuciniere del Duca d'Aosta, il quale, così si racconta, ricevette dalle mani dei francescani del Santuario una pergamena, ancora oggi conservata in ditta, con la ricetta del "Lissere Miracoloso Santa Maria": così i frati descrivevano quello che, con qualche modifica apportata dal Castrovillari (come l'aggiunta di alcune prodotti aromatici alpini) diverrà l'amaro di Santa Maria, ancora oggi specialità genovese la cui notorietà travalica i confini della nostra città.
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La cripta sotterranea (foto di Antonio Figari) |
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Uno dei due monumenti funebri dei fratelli Saluzzo (foto di Antonio Figari) |
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Il presepe (foto di Antonio Figari) |
12.3 Il ponte di Sant'Agata
Il ponte di Sant'Agata viene edificato in età medievale, e non, come spesso è stato sostenuto, in epoca romana. Vero è che il suo tracciato ricalca quello dell'antica Via Aurelia romana che da San Vincenzo, passando per Borgo Incrociati, conduceva nel levante ligure. E' dunque lecito pensare che già in epoca romana vi fosse una struttura poi sostituita dal ponte medievale.
Originariamente il ponte aveva ventotto arcate che da Borgo Incrociati conducevano alla chiesa di Sant'Agata. Tra la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento l'espansione urbanistica che porterà alla nascita di Corso Sardegna ridurrà progressivamente il ponte che oggi conta solo cinque arcate che collegano Borgo Incrociati a Piazza Manzoni. Le altre arcate giacciono sotterrate o sono state demolite tranne le ultime due a ridosso del convento di Sant'Agata, orma lontanissime dall'alveo del Bisagno.
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L'inizio del ponte lato Convento di Sant'Agata (foto di Antonio Figari) |
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Le due arcate del ponte lato convento di Sant'Agata (foto di Antonio Figari) |
La piena del Bisagno del 7 novembre 1970 danneggiò il ponte facendo crollare due arcate sostituite poi da una passerella.
Gli eventi alluvionali degli anni novanta portarono al crollo dell'arcata di levante decretando la definitiva chiusura del ponte di cui oggi rimangono solo alcune arcate centrali con tiranti metallici che ne impediscono il crollo totale.
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Il ponte di Sant'Agata in un'immagine precedente agli eventi alluvionali del 1970 (Archivio Publifoto Genova) |
12.4 La fiera di Sant'Agata
Ogni anno, la prima domenica di febbraio, a ridosso del 5 del mese, giorno in cui si festeggia Sant'Agata, si svolge nelle vie del quartiere di San Fruttuoso la più grande fiera genovese: quella che da questa santa, o meglio dal convento a lei intitolato, prende il nome.
Come nasce questa fiera? Con ogni probabilità la sua origine è da ricercarsi nei riti pagani di fine inverno e la tradizionale presenza di molti venditori di piante, soprattutto da frutto (principale motivo per il quale, fin da piccolo, mio padre mi ci portava), sembra essere legata alla natura di questo luogo che un tempo, fuori dalle mura, ospitava orti e terreni coltivati.
Una curiosità: fino agli anni sessanta del secolo scorso la fiera aveva una durata di tre giorni e, oltre ai banchi di piante, facevano la parte del leone quelli dei rigattieri dove si potevano trovare oggetti per la casa o pezzi di ricambio come ci raccontano le tante foto dell'epoca.
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Rigattiere alla fiera di di Sant'Agata, 6 febbraio 1954 (Archivio Publifoto Genova) |
12.5 La Ferrovia delle Gavette
Esisteva in Val Bisagno il binario industriale della Val Bisagno, anche detto "Ferrovia delle Gavette", nato per servire i nuovi insediamenti industriali nati lungo la valle.
Costruito nel 1925 e costato 2 milioni di lire, rimase in servizio fino al 1965.
Vi rimando al paragrafo dedicato al trasporto pubblico alla pagina de gli EDIFICI pubblici per approfondire la sua storia.
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13. Foce
13.1 Il Lazzaretto alla Foce
A levante della foce del torrente Bisagno fu edificato nel XV secolo l'ospedale di Nostra Signora di Loreto detto il "Lazzaretto alla Foce": qui infatti venivano ricoverati i malati contagiosi (o coloro he provenivano da zone dove era presente il "morbo") giunti in nave in porto per trascorrere la loro quarantena.
L'edifico fu ampliato nel XVI secolo per iniziativa del notaio e gran benefattore genovese Ettore Vernazza che tanto fece per i malati della città facendo edificare nel centro città l'Ospedale degli Incurabili (vi rimando alla pagina de gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia di questa antica istituzione). Tra gli ospiti illustri che qui dimorarono, ricordiamo il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau che racconterà la sua drammatica esperienza in questo luogo, avvenuta nel 1743 nella sua opera autobiografica "Le confessioni" (vi rimando alla pagina dedicata ai poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI per approfondire i suoi giorni a Genova). Il lazzaretto lavorò fino alla metà del XIX secolo quando le sue funzioni vennero trasferite all'Ospedale di Pammatone. Il Lazzaretto venne demolito consentendo l'ampliamento dei vicini cantieri navali.
13.2 I cantieri navali
La spiaggia della Foce fu da sempre luogo di costruzione di imbarcazioni ma fu solo dopo l'annessione di Genova al Regno di Sardegna che iniziò uno sviluppo organico di questa attività.
Qui venivano costruite principalmente navi militari.
Con la distruzione del vicino lazzaretto furono creati nuovi spazi da destinare al cantiere.
Quest'ultimo, di proprietà municipale, fu dapprima dato in gestione ai fratelli Westermann, poi ai fratelli Orlando ai quali subentrò l'imprenditore Enrico Cravero e dopo il 1890 la società "Nicolò Odero & C.".
L'ultima nave costruita, prima della cessazione delle attività avvenuta nel 1930, fu l'incrociatore Almirante Brown, commissionato dalla marina argentina e varato il 28 settembre 1929.
Al posto dei canteri sorgerà il villaggio balneare che durerà pochi anni lasciando presto spazio al nuovo quartiere residenziale delle Foce.
13.3 Il Villaggio Balneare
Dopo la demolizione dei cantieri navali, per due estati (1933 e 1934), gli spazi, dove un tempo si costruivano imbarcazioni, vennero occupati dalle strutture del Villaggio Balneare: piscine, scivoli, giochi d'acqua, cabine e tutto il necessario per trovare ristoro dal caldo estivo.
Tutto questo rimane solo nella memoria dei nostri vecchi e nelle foto d'epoca.
Il villaggio Balneare sarà infatti a breve soppiantato dalla nascita del moderno quartiere della Foce con i suoi palazzi di Viale Brigate Partigiane e Piazza Rossetti.
13.4 Oratorio delle Anime Purganti
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Pasquale Domenico Cambiaso, Oratorio delle Anime Purganti, 1850 |
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Antonio Varni, Lavandaie alla foce del Bisagno, 1891 |
Questo oratorio fu edificato nel 1602 alla destra della foce del Bisagno, addossato alla parete rocciosa sotto le Mura nel punto detto Capo della Strega o di Carignano: intitolato alle "Stimmate di San Francesco", esso fu comunemente chiamato "delle Anime della Foce" o "delle Anime Purganti" perché sito accanto al Cimitero dei Poveri, qui trasferito dopo il 1536.
13.5 Casa dei Pescatori
La “Casa dei Pescatori”, opera dell’Architetto Luigi Vietti, nasce per dare nuove abitazioni ai pescatori le cui case erano state espropriate per dare spazio alla nascita di Via Casaregis.
Un tempo a due passi dal mare sulla spiaggia sulla riva destra alla foce del Bisagno, oggi rimane sacrificata e lontana dal mare dopo la costruzione della Sopraelevata e della zona fieristica.
13.6 Ristorante San Pietro
Progettato tra il 1935 ed il 1938 dall'architetto Mario Labò, questa palazzina ospitava inizialmente un ristornate.
Coa la costruzione della Sopraelevata una parte fu demolita. Venne in seguito trasformata in stazione di servizio.
Gli interni conservano ancora dettagli e materiali originari come i serramenti e le pavimentazioni.
13.7 La pietra dei Mille alla Foce
Queste parole sono incise su una lapide in marmo affissa in facciata della “Casa dei Pescatori”, poco sopra descritta.
La partenza dalla Foce è un avvenimento poco noto e non studiato sui libri di storia che narrano solo dello scoglio di Quarto.
Vi rimando alla pagina de le PIETRE parlanti per approfondire questa e le altre pietre risorgimentali in giro per Genova.
13.8 Le pietre della "Strega"
Sotto l'attuale Corso Aurelio Saffi esisteva un tempo una batteria, costruita a rinforzo di questo tratto di costa per proteggerlo da eventuali sbarchi, detta "Strega".
Essa venne disarmata nel 1883 e trasformata in faro.
Ancora oggi resiste questa costruzione sebbene fagocitata dal porto e dalla Fiera.
Qui un tempo si faceva il bagno e i Bagni, con annesso istituto elioterapico per bimbi affetti da rachitismo che potevano usufruire anche di una scuola all'aperto, la Nazario Sauro, che sorgeva affianco all'istituto, erano detti "della Strega".
Arrivò la Sopraelevata negli anni '60 del Ventesimo Secolo e tutto questo "piccolo mondo antico" scomparve.
In realtà, se vi capita di percorrere la Sopraelevata, potrete notare ancora oggi una parte dell'edificio che ospitava l'istituto elioterapico.
Il nome "Strega" è frutto di una antica tradizione che voleva che su questi scogli si riunissero, già nel Medioevo, donne per invocare il Maligno.
13.9 La Casa del Mutilato
Sito lungo Corso Aurelio Saffi, questo edificio fu progettato nel 1937 dall’architetto Eugenio Fuselli e costruito tra il giugno di quello stesso anno e la primavera dell’anno successivo. La sua inaugurazione avvenne, alla presenza di Mussolini e del Presidente dell’Associazione Nazionale dei Mutilati ed Invalidi di Guerra (ANMIG) Carlo Delcroix, eroe di guerra pluridecorato nonché abile oratore, il 15 maggio 1938, giorno della fondazione dell'Impero, in occasione della visita del Duce a Genova.
Il terreno sul quale venne edificata la Casa del Mutilato fu donato dal Comune di Genova mentre il denaro per erigere il palazzo fu raccolto tra i genovesi (un triste dato: all’epoca, i mutilati a Genova erano 3000).
Dovendo rispettare il vincolo municipale di tutela dell’area verde retrostante (una parte della quale era stata sacrificata per dare spazio a questo edificio) che imponeva un’altezza massima di dodici metri anche al fin di lasciare libera la vista a levante dalla cima delle Mura delle Cappuccine, Fuselli dovette trovare una soluzione innovativa e ideò un palazzo diviso in due separati volumi: quello di sinistra, a bande bianco e rosse scure, riprende una tipologia molto diffusa negli antichi e nobili edifici genovesi. La pietra nera di promontorio viene qui sostituita dal marmo rosso di Levanto, il cui colore richiama il sangue versato dagli eroi della patria a cui questo edificio è dedicato. In questa parte dell’edificio avevano sede gli uffici dell’ANMIG. Sulla cima di questa parte dell’edificio, il progetto prevedeva che fosse scolpito “Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra” ma in sede di realizzazione si optò per la seguente frase: “Il sacrificio è un privilegio di cui bisogna essere degni”, chiaro riferimento ai mutilati visti come eroi della Patria.
La porzione di edificio di destra è invece ricoperta dalla Pietra di Finale dal tipico colore grigio rosato (la stessa pietra utilizzata per esempio per la Porta del Molo, quella che comunemente ed erroneamente chiamiamo “Siberia”, quindi una tipologia già presente a Genova). Qui avevano sede il Salone delle Assemblee e il Museo della Guerra. In mezzo alla facciata, tra due teste di medusa, campeggia la frase “La guerra è la lezione della storia che i popoli non ricordano mai abbastanza”, parole pronunciate da Carlo Delcroix, Presidente dell’ANMIG che sulla sua pelle portava i segni della guerra (nel primo conflitto mondiale, dopo aver salvato un commilitone, calpestando una mina aveva perso braccia e vista) e spesso erroneamente attribuite a Mussolini.
Al sommo di una curvilinea scala troviamo il portale d’ingresso che, avendo l’altezza dell’edificio, incornicia la porta d’ingresso e la sovrastante vetrata, realizzata dalla ditta Luigi Fontana di Milano su disegno di Antonio G. Santagata (in basso a sinistra si può leggere “a. g. Santagata” e sotto “FONTANARTE”). La scena di guerra si svolge su diversi piani ed è godibile nella sua interezza salendo lo scalone. Santagata, genovese che visse da soldato sulla propria pelle gli orrori della Prima guerra Mondiale nonché amico di Delcroix, fu autore anche degli affreschi della Sala delle Assemblee a Genova e principale affrescante della Casa Madre dei Mutilati di Roma (una curiosità: l’idea di affrescare gli interni della Casa Madre romana fu inizialmente osteggiata da Piacentini che però venne poi convinto da Delcroix). Alla destra dell’ingresso “sorveglia” l’edificio una scultura marmorea, opera di Guido Galletti, raffigurante la Vittoria Vigilante.
A destra dell’edificio trova spazio il sacrario contenente la terra qui trasportata dal Montello e sullo sfondo il gruppo marmoreo “I Mutilati” opera di Eugenio Baroni (anch’egli soldato nel primo conflitto mondiale), inizialmente pensata dall’autore come bozzetto per il “Monumento al fante”, già esposto a Roma a Palazzo Venezia, che però non venne mai eseguito (la sofferenza che traspare dai personaggi del gruppo bronzeo, muti testimoni degli orrori della guerra, si scontrava con l’idea eroica del soldato della propaganda del Ventennio).
Gli interni conservano gli originali arredi, molti dei quali recano inciso il simbolo dell’ANMIG ossia tre baionette e una corona di spine.
14.a Le ville di Albaro
14.a.1 Villa Donghi
Essa è situata in Salita della Noce, tratta dell'antica Via romana che dal centro di Genova, dopo aver attraversato San Vincenzo e San Fruttuoso, conduceva a San Martino e ad Albaro.
Il corpo di fabbrica più antico della villa, risalente con tutta probabilità agli inizi del XVII Seoclo, segue i canoni dell'architettura degli edifici di villeggiatura del genovesato: l'esterno si presenta di forma parallelepipeda, sormontato da un'alta copertura a quattro falde; l'interno si presenta con un ampio atrio voltato su cui si affacciano gli altri ambienti e da cui diparte il monumentale scalone marmoreo che conduce ai piani superiori.
Posta sullo spigolo nord-est e antecedente alla villa, vi è l'antica torre: a pianta quadrata, è un esempio delle tante costruzioni difensive poste sulla costa e nelle vallate, realizzate a partire dal X secolo contro i possibili attacchi da lmare.
Nel XIX Secolo al corpo di fabbrica originario venne aggiunto un altro edificio.
Nel 1891 la villa venne venduta dal Marchese Donghi al Comune di Genova.
Lo sviluppo urbanistico novecentesco privarono la villa del suo giardino e snaturarono il contesto nel quale essa era inserita.
Attualmente la stessa è in stato di abbandono.
14.a.2 Villa Saluzzo Bombrini
(...continua)
14.a.3 Villa Saluzzo Mongiardino
(...continua)
14.a.4 Villa Carrega Cataldi
(...continua)
14.a.5 Villa Brignole Sale
(...continua)
14.a.6 Villa Bagnarello
Sita in Via San Nazaro al civico 38, questa villa fu edificata nel XVI secolo e successivamente rimaneggiata. Del primitivo nucleo rimane il corpo centrale dell'edificio con il piccolo cortile che si apre superato l'ingresso su Via San Nazaro, dove anticamente vi erano le scuderie, l'atrio che affaccia sul cortile e da cui diparte lo scalone con volte a crociera e colonne marmoree. Il salone del piano nobile conserva una volta a padiglione con affreschi manomessi da un intervento ottocentesco che ne ha compromesso l'originaria bellezza.
Questa villa fu la prima dimora di Charles Dickens nei suoi soggiorni a Genova e dallo stesso descritta come "pink jail" (prigione rosa). A questo proposito vi rimando alla pagina de poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI per approfondire i giorni di Dickens a Genova.
14.a.7 Villa Sauli Bombrini Doria
(...continua)
14.a.8 Villa Cambiaso
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La facciata a mare di Villa Cambiaso (foto di Antonio Figari) |
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La loggia al piano nobile di Villa Cambiaso (foto di Antonio Figari) |
14.a.9 Villa Bonino
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Villa Bonino (foto di Antonio Figari) |
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Particolare di un portale di Villa Bonino (foto di Antonio Figari) |
14.a.10 Villa Franzone
Sita in Via della Sirena, questa splendida villa fu costruita nel XVI Secolo per gli Airolo.
Divenne poi di proprietà dei Franzone.
Conserva ancora all'interno un bell'atrio, lo scalone affrescato e la loggia al primo piano.
Sono andati purtroppo perduti gli affreschi del soffitto del salone del primo piano, opera del Tavarone.
Anche gli affreschi in facciata, visibili nell'antica immagine qui sotto, oggi non sono più leggibili.
14.a.11 Villa Sopranis
(...continua)
14.a.12 Villa Raggio
(...continua)
14.b Le chiese di Albaro
14.b.1 Chiesa di San Francesco d’Albaro
Una prima chiesa, sorta in questo luogo ed intitolata a San Michele, fu edificata nel XIII secolo. Un documento notarile del 1304 ci racconta che in quell’epoca la proprietà dell’edificio era in capo ai frati minori conventuali che in precedenza avevano sede nell’abbazia di San Giuliano. Nel 1316 gli stessi iniziano l’edificazione del convento e tra il 1323 ed il 1324 viene edificata la chiesa grazie ai finanziamenti ricevuti dalla famiglia Cebà che tanto farà, insieme nei secoli a venire ai Giustiniani, per abbellire ed ampliare la chiesa.
L’intitolazione a San Francesco sarà di poco successiva e nel 1544 viene aggiunto il titolo parrocchiale dell’antica chiesa intitolata ai Santi Nazario e Celso, piccola chiesa in riva al mare che nel mentre era caduta in rovina a causa delle violente mareggiate che l’avevano colpita.
Aspetto gotico dell’edificio rimane evidente ancora oggi solo nel portale in facciata e nelle lapidi commemorative con stemmi araldici murate nella sala che si incontra entrando dall’ingresso laterale su Piazza Leopardi.
Gli interni subiscono un primo radicale intervento nel 1426 che interessa altare e coro, un secondo nel 1476 con il quale la chiesa assume l’aspetto attuale a tre navate con pianta a croce latina, mentre un centinaio di anni dopo, e precisamente nel 1593-1595, un ulteriore intervento ricostruttivo interessa il coro.
L’apparato decorativo interno comprende alcuni affreschi risalenti al XV secolo raffiguranti “Allegorie delle Virtù”, immediatamente successivi agli interventi di ampliamento della chiesa del 1476, affreschi seicenteschi di Giovanni Battista Carlone nella volta della navata centrale raffiguranti “San Francesco in gloria” (affresco poi ampliato da Giovanni Agostino Ratti), ed affreschi risalenti al 1754 opera di Giuseppe Galeotti nel transetto, abside e coro.
Sugli altari troviamo opere di Anton Maria Maragliano (gruppo ligneo del “Battesimo di Cristo”), Antonio Brilla (gruppo scultoreo della “Crocifissione”) e di Domenico Fiasella (dipinto dal titolo “ San Francesco che contempla Gesù e Maria”).
Nel refettorio del Convento è conservata un opera di Alessandro Magnasco “La cena in Emmaus”.
In un corridoio attiguo alla prima sala che si incontra entrando da Piazza Leopardi troviamo invece il monumento funebre del nobile Gio Battista Raggi, originariamente conservato in chiesa. Un curiosità: se osservate quanto scritto sotto il monumento vedrete delle parole mancati scalpellate via dai francesi alla fine del XVIII secolo e relative ai titoli nobiliari del Raggi.
14.b.2 Monastero di Santa Chiara in San Martino d'Albaro
In Via Lagustena, alla confluenza con Salita della Noce, si apre un bel portale che introduce il curioso nel Monastero di Santa Chiara.
Fu Monsignor Tedisio Camilla, alto prelato della Curia di Roma, cappellano di papa Innocenzo IV (di cui trovate una breve biografia nel paragrafo dedicato ai papi genovesi nella pagina dei poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI) a volere che fosse costruito un monastero nella sua villa di Albaro e che lo stesso fosse affidato possibilmente all'ordine dei Predicatori o dei Frati Minori.
Così era scritto nel suo testamento a rogito Notaio Vassalino di Agneto, redatto il 24 giugno 1295. I suoi discendenti Camilla, coadiuvati dagli esecutori testamentari e da Jacopo da Varagine, arcivescovo di Genova, eseguirono quanto voluto dal "de cuius": venne adattata a monastero la villa del Camilla e fu eretta una chiesa dedicata a San Nicolò de Hirchis. Il complesso monastico fu affidato alla monache cistercensi nel 1299. Le stesse, anche a causa delle pesanti ingerenze nella vita del monastero da parte dei Camilla, che sullo stesso avevano il giuspatronato, abbandonarono questo luogo nel 1498. Il 25 marzo di quello stesso anno il monastero fu affidato alla clarisse e la chiesa fu intitolata a Santa Chiara. Il complesso crebbe tanto da arrivare ad ospitare nel XVI secolo più di 150 monache. A questo periodo di fioritura spirituale corrisponde anche un impulso ad un nuovo abbellimento della chiesa grazie alle donazioni delle nobili famiglie dei Centurione e dei Pallavicino, che, in cambio delle ingenti offerte, ottennero il diritto di essere sepolti in questa chiesa.
Questo periodo di abbellimento prosegue fino alla metà del Settecento.
Seguirà un periodo di degrado fino alle definitiva chiusura per effetto dell'Editto Napoleonico del 1810. Le clarisse torneranno nel Monastero dopo qualche anno e vi rimarranno fino al 1999. Il 21 novembre di quell'anno, dopo 700 anni, le ultime monache lasciarono questo monastero che oggi è gestito e vive grazie all'opera della "Associazione Amici del Monastero di Santa Chiara APS".
La facciata dipinta sovrasta il sagrato di ciottoli bianchi e neri, un tipico risseu ligure eseguito nel 1654 su cartoni di Domenico Fiasella, autore anche di affreschi all'interno della chiesa. Il mosaico rappresenta episodi della Bibbia (la cacciata di Adamo ed Eva, Abramo ed Isacco e l'arca di Noe e agli angoli i quattro simboli degli evangelisti).
Gli interni conservano affreschi di Luca Cambiaso, G.B. Carlone, Domenico Fiasella, Giuseppe Palmieri, Francesco Costa e Gio Agostino Ratti, eseguiti tra il 1550 ed il il 1750.
Il secondo altare sulla sinistra conserva "Il battesimo di Gesù", opera di Luca Cambiaso, commissionato da Paride Centurione e Battista Pallavicino. Sull'altare maggiore vi è un'altra opera del Cambiaso, "La deposizione di Cristo" sovrastata da un "Dio Padre benedicente" con il globo nella mano sinistra. Il coro delle monache, posto in una posizione sopraelevata, conserva splendidi stalli lignei che corrono lungo il perimetro.
Una curiosità: sopra la volta di copertura vi è la presenza di vasi acustici disposti su tre file longitudinali di cui la centrale sull'asse della chiesa. Se guardate con attenzione vedrete quattordici fori a cui corrispondono altrettanti vasi acustici. Si tratta di comuni giare in terracotta da olio, alte 90 cm e larghe 70, con la bocca di apertura rivolta verso il basso. L'interno delle stesse è interamente ricoperto di smalto vetroso.
Grazie a questo particolare "escamotage", la chiesa ha un'acustica invidiabile che ne fa uno dei luoghi più belli di Genova dove ascoltare concerti.
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15. Sturla
15.1 Villa Gentile
Sita nell'omonima via e circondata da un vasto parco, la villa fu edificata nel XIX secolo per volere dei Gentile. Passata in proprietà del Comune, dopo esser stata trasformata in ospedale militare ed in seguito abbandonata, venne distrutta negli anni 60 del ventesimo secolo ed oggi al suo posto sorge un campo di atletica leggera inaugurato nel 1971.
Dalle poche immagini giunte fino a noi possiamo notare il suo aspetto ottocentesco con logge e motivi neoclassici.
Una curiosità: il gruppo scultoreo del "Ratto di Elena", opera di Pierre Puget, originariamente conservato in una nicchia sul terrazzo di Palazzo Pantaleo Spinola in Strada Nuova e oggi nel Museo di Sant'Agostino, per un certo periodo "abito" qui divenendo parte della ricca collezione d'arte conservata in questa villa.
15.2 Oratorio dei SS. Nazario e Celso
Sito in Vico del Pesce, una piccola creuza tra Via del Tritone e Via del Bragone, a poca distanza dal mare, questo antico oratorio, nascosto tra le case, fu con ogni probabilità la prima sede della parrocchia di Sturla. Le prime notizie risalgono al 1184. Cessata la funzione di parrocchia divenne oratorio dedicato a San Rocco e ai Santi Nazario e Celso. Qui erano conservate tre statue lignee raffiguranti l'Immacolata e i due Santi Nazario e Celso e una pala d'altare, opera di Bernardo Castello, raffigurante i Santi Rocco Nazario e Celso, Caterina da Siena e e Sebastiano, oggi custoditi nella chiesa della SS. Annunziata di Sturla.
Le pareti interne conservano un ciclo di affreschi databile dal XV al XVII secolo raffigurati scene della Passione come l'Orazione nell'orto, la Cattura e la Condanna di Cristo, la Flagellazione e la Coronazione di spine.
15.3 Le arcate dell'antica ferrovia
In Piazza Cadevilla sopravvivono, mute testimoni del tempo che fu, tre arcate sopra le quali un tempo correvano i binari della linea ferroviaria originaria oggi sostituita più a monte da una linea a doppio binario.
Poco lontano da questi archi, nel retro del negozio Tonet in Via Sclopis, c'è l'antica galleria della ferrovia oggi parzialmente utilizzata come magazzino del negozio stesso.
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16. Quarto
16.1 Villa Spinola, Carrara
Sita anticamente lungo Via Augusto Vecchi, un'antica creuza genovese, oggi ha il suo ingresso principale in Via Cinque Maggio.
Questa villa, voluta dagli Spinola come casa di villeggiatura, fu edificata nel 1480. La proprietà passerà successivamente ai Passano e poi ai Carrara.
L'originario volume rettangolare con torre quadrata viene stravolto da interventi settecenteschi che portano all'aggiunta di un'ala e all'abbassamento della torre.
La facciata conserva una decorazione tardo settecentesca con riquadri e lesene.
Il parco, ancora oggi vastissimo, con prati all'inglese e alberi centenari, corre dal mare fino a Corso Europa.
16.2 Villa De Albertis
Sita in Via Romana di Quarto al civico 103, questa villa fu edificata per volere degli Spinola nel 1543. All'epoca il parco che circondava la villa, esteso per 14.000 mq, saliva fino ad Apparizione e correva verso mare fino alla Castagna.
La proprietà passerà ai Doria nel 1737, poi ai Cristofanini e nel 1890 fu acquistata dal Conte Domenico De Albertis.
Dell'originaria costruzione cinquecentesca rimane la forma del palazzo a "L" con con loggia, oggi chiusa, e la torre, elevata di un piano da De Albertis, il quale volle anche aggiungere al palazzo un'intera ala e far dipingere la facciata a bande bianco e nere.
Gli interni conservano le decorazioni settecentesche negli affreschi alle pareti e sui soffitti.
16.3 Chiesa di Santa Maria della Castagna
Sita lungo l'antica Via Romana di Quarto, questa chiesa venne edificata in stile romanico nel XII Secolo. Appartenente al vicariato di Nervi, diventerà autonoma parrocchia nel 1771.
Al XVII secolo risalgono i lavori di trasformazione che renderanno gli interni barocchi.
Rimangono ancora visibili, dell'originario apparato romanico, tracce in facciata e una colonna all'interno.
Nella chiesa si conserva un'icona raffigurante la "Madonna delle Grazie" opera di Andrea d'Aste risalente al 1424, proveniente dal Convento del Chiappeto, soppresso con le leggi napoleoniche, ed una pala d'altare di Luca Cambiaso raffigurante "San Rocco tra i santi Sebastiano ed Erasmo", quest'ultimo proveniente dal demolito Oratorio di San Rocco di Priaruggia (poi ricostruito nell'ottocento accanto alla parrocchiale).
Dal 1968 questa chiesa è affidata ai monaci benedettini.
Una curiosità: qui soggiornò, nel 1809, prigioniero di Napoleone, papa Pio VII che nell'occasione concesse il privilegio dell'indulgenza plenaria quotidiana in perpetuo.
16.4 Chiesa di San Giovanni Battista
Nata come succursale della Chiesa Plebana di San Siro di Nervi, dal 1143 diviene parrocchiale di Quarto comprendendo nel suo territorio le località di Pontevecchio, Priaruggia e Castagna.
La facciata presenta la tipica struttura a capanna delle chiese romaniche con rosone centrale e di impronta medievale erano i fianchi esterni della chiesa con finestre e strombo e gli interni ad un'unica navata.
Il tutto venne stravolto dopo l'incendio del 1629, a seguito del quale, la chiesa venne ricostruita, anche grazie ai finanziamenti degli Spinola che sulla Chiesa avevano un giuspatronato, seguendo i canoni architettonici del tempo: la facciata venne innalzata ed il rosone venne sostituito da tre finestre, l'abside fu allungata e gli interni assunsero l'aspetto barocco che ancora oggi conservano.
Il sagrato della chiesa è ricoperto da un tipico risseu a pietrine bianco e blu.
In facciata troviamo un bel bassorilievo quattrocentesco raffigurante una Annunciazione e due epigrafi scolpite datate 1292 e 1365.
All'interno da segnalare un'opera cinque-seicentesca di Giovan Battista Castello raffigurante l'"Omaggio di potenti della terra a Gesù Bambino".
Una curiosità: pochi sanno che in questa chiesa si sposarono Fabrizio de André e Enrica "Puny" Rignon il 26 luglio 1962 e che qui furono battezzati entrambi i figli di colui che vi scrive.
16.5 Ospedale di San Giacomo
In Via Romana di Quarto al civico 91, si erge un edificio la cui storia si perde nei secoli.
Si tratta dell'antico ospedale di San Giacomo fondato nel XIV secolo in un luogo di passaggio a poca distanza dalla chiesa di San Giovanni Battista, poco sopra descritta, dalla quale dipendeva (per questa ragione in origine era detto "di San Giovanni Battista").
La sua funzione ospedaliera, nella sua accezione medievale di "hospitale", era quella di dare assistenza e protezione ai pellegrini di passaggio che si dirigevano verso Roma.
In facciata "sopravvivono" ancora oggi le bifore dell'antica torre, la merlatura nel cornicione sotto il tetto, l'affresco raffigurante San Giacomo a cavallo e tracce di decorazioni.
La cappella del complesso fu dotata nel '700 di un campanile ancora oggi visibile.
Dismessa la sua funzione a seguito delle leggi napoleoniche di soppressione degli ordini religiosi, divenne dapprima una stalla, poi un pastificio ed oggi è diviso in abitazioni ad uso civile.
16.6 "Pontevecchio"
A poca distanza dall'Ospedale di San Giacomo, alla confluenza del fiume Sturla e del torrente Penego (oggi ricoperto), c'è un antico ponte a due arcate detto "Pontevecchio" (da lui prende il nome questa località ed oggi anche una vicina via).
Nel XIX secolo, con la nuova strada mare e un nuovo ponte sullo Sturla, il traffico su questo antico manufatto diminuì considerevolmente relegandolo ad un ruolo marginale non degno della sua antica storia.
16.7 I lavatoi di Via Romana di Quarto
In via Romana di Quarto, tra i civici 115 e 117, sopravvivono, è proprio il caso di dirlo, nonostante l'età avanzata e la mancanza di decoro dovuta al tempo e all'incuria, gli antichi lavatoi pubblici che servivano le case della zona.
Una targa marmorea ancora ammonisce:
"E' SEVERAMENTE VIETATO
ATTINGERE ACQUA PER USI
NON DOMESTICI"
In realtà, nonostante la presenza di un rubinetto e delle vasche ancora intatte, l'acqua qui ha smesso di scorrere ormai da molto tempo purtroppo.
16.7 Osteria del Bai
Sita sul lungomare di Quarto, questa antica osteria occupa gli spazi di un antico fortilizio costiero costruito in funzione anti saracena.
Si racconta che il primo nome fosse Osteria dei Pini poiché dagli stessi alberi era circondata.
Qui pranzarono molti personaggi noti come Papa Pio VII e Giuseppe Garibaldi.
L'Osteria, dopo esser rimasta chiusa qualche tempo, è rinata con una nuova gestione e la sua storia continua.
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17. Quinto
17.1 Villa Pallavicini, ora Istituto Suore dell'Immacolata
Sita in Via Giannelli al civico 50 e trasformata in istituto scolastico, conserva purtroppo ben poco dell'antica bellezza di villa suburbana circondata da un grande parco oggi quasi del tutto inesistente, tagliato a monte dalla ferrovia e a valle dalla litoranea.
17.2 Oratorio di Sant'Erasmo
L'edificazione di questo oratorio risalirebbe al XV Secolo.
All'esterno si presenta con una semplice facciata a capanna.
Risale al 1528 il polittico, opera di Perin del Vaga, raffigurante Sant'Erasmo tra i Santi Pietro e Paolo (l'originale, conservato all'Accademia Ligustica delle Belle Arti, fu venduto per problemi economici e oggi nell'oratorio è conservata una copia).
Tra le opere qui conservate è da segnalare una scultura raffigurante Sant'Erasmo, opera di Anton Maria Maragliano acquistata dall'oratorio nel 1711.
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18. Nervi
18.1 Il ponte romano di Nervi
L'antico ponte, che scavalca il torrente che dal borgo prende il nome, ha con tutta probabilità fondamenta di epoca romana.
Alle sue spalle si erge la cinquecentesca Villa Gnecco, di cui trovate la storia al paragrafo seguente ed una foto che ritrae insieme questi due gioielli di Nervi.
Edificata alla fine del XVI Secolo, questa villa si presenta come un grande corpo quadrato con ai quattro lati altrettante torri con basamento a scarpata.
L'interno si presenta con un grande salone affrescato e uno scalone in pietra nera e colonne di marmo che conduce al piano nobile.
Il parco che anticamente la circondava si estendeva fino a mare e vi era inpiantato un magnifico aranceto voluto dal Conte Gerolamo Gnecco, famoso botanico del XVIII Secolo, aranceto che fu visitato da personaggi del calibro di Thomas Jefferson, "gentleman farmer" della Virginia e terzo presidente degli Stati Uniti d'America, il quale venne in Italia per studiare i metodi di coltivazione che avrebbe poi "esportato" nei suoi possedimenti in Virginia.
Il Conte Gnecco, oltre ai terreni di Nervi, il 13 febbraio 1741 acquistò dalla "Magnifica comunità di Camogli" anche alcuni terreni a Punta Chiappa dove, con grandi spese, riuscì a far terrazzare i terreni per inpiantarvi coltivazioni di castagni, olivi e fichi. A Punta Chiappa venne ospitato Lord George Gordon Byron che a quel luogo dedicò un componimento.
Nel Novecento villa Gnecco di Nervi divenne un albergo e il terreno circostante venne via via lottizzato e vennero edificato numerosi condomini.
I possedimenti di Punta Chiappa invece sono tuttora di proprietà dei discendenti del conte Gerolamo Gnecco, figli dell'ultima contessa Gnecco, mia nonna Maria Vittoria.
18.3 Villa Gropallo
Costruita nella seconda metà del Settecento per volere del Marchese Francesco Gropallo, venne ristrutturata nell'Ottocento da Gaetano Gropallo il quale volle dare nuova vita al parco sostituendo aranci e ulivi con piante esotiche quali palme e altre specie non presenti nel territorio genovese.
La villa passò al comune di Genova nel 1927 ed oggi è sede della biblioteca "V. Brocchi" e della locale stazione dei Carabinieri.
18.4 Villa Saluzzo Serra
Edificata nel XVII Secolo, questa villa fu di proprietà dei Saluzzo, dei Morando ed infine dei Serra che la cedettero all'armatore Carlo Barabino.
Acquistata dal Comune di Genova nel 1926, divenne sede della Galleria d'Arte Moderna.
Lo splendido parco, come per la vicina Villa Gropallo, fu progressivamente trasformato da aranceto e uliveto in uno splendido giardino all'inglese dove sono conservate tuttora molte specie non autoctone. Tra le tante, mi piace ricordare due maestose Jubaea Chilensis (palme cilene) alte una decina di metri che si notano anche passando in Via Capolungo.
A fianco della villa vi è una piccola cappella settecentesca.
18.5 Villa Grimaldi Fassio
Edificata nel XVI Secolo, nel Novecento passa in proprietà agli armatori Fassio Lomellini che la ristrutturano negli anni cinquanta del Novecento affindando il progetto all'architetto Luigi Carlo Daneri.
Acquistata dal Comune di Genova nel 1979, oggi ospita le Raccolte Frugone.
Nel parco della villa vi è il famoso roseto di Nervi, da poco ritornato al suo antico splendore.
Costruita a Capolungo tra il 1901 ed il 1903 per volontà dei fratelli Luxoro, questa villa, circondata da uno splendido parco a picco sul mare, si presenta come un edificio a blocco chiuso con la parte centrale sporgente e una loggia sostenuta da colonnine sul lato destro.
Donata al Comune di Genova, dal 1951 ospita il Museo Luxoro, attualmente chiuso al pubblico, tipico esempio di abitazione ammobigliata della ricca borghesia genovese di fine ottocento. Si segnala, tra i tanti oggetti conservati nella villa, alcune splendide statuine da presepe del XVII e del XVIII Secolo.
18.7 Il Giardino Zoologico di Nervi
Nel 1930 venne creato nei Parchi di Nervi un giardino zoologico di cui oggi nulla rimane se non qualche antica immagine che ne documenta l'esistenza. La sua fu una breve esistenza che terminò con la Seconda Guerra Mondiale.
(...continua)
Che bello vedere Sampierdarena e la bellezza delle sue ville!
RispondiEliminaComplimenti per il sito!
Marco
Caro Marco,
Eliminagrazie per le Tue parole.
grande ioda anni mi sono trasferito a savona per ragioni di cuore diciamo ma riscopro le sensazioni legate alla mia citta' con le vostre foto e la vs. narrativa complimenti (sena a le cumme a moe nu sa ascorda mai ciu)
RispondiEliminaFelice di farti rivivere belle sensazioni (e grazie per il "voi" ma sono solo uno!?!).
Eliminacomplimenti per l'esposizione del sito.
RispondiEliminaGrazie per le Tue parole.
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