gli ORATORI e le CASACCE


Il centro storico di Genova era disseminato di oratori, ognuno dei quali dedicato ad un santo, spesso sedi di confraternite le quali facevano a gara per dare al proprio oratorio uno splendore che lo facesse risaltare rispetto agli altri.
La passeggiata tra gli antichi oratori dei vicoli sarà purtroppo molto virtuale e poco reale poiché la maggior parte di essi sono stati cancellati dalle guerre e dalla scelleratezza di taluni genovesi, anche se per fortuna molte opere di essi non sono andate perdute ma solo trasferite in altri luoghi, basta sapere dove andarle a cercare! 
Inizia qui la passeggiata alla scoperta degli oratori di Genova.


INDICE

1. La nascita delle Confraternite e delle Casacce a Genova
2. Santa Caterina
3. San Carlo (a Santa Caterina)
4. San Bartolomeo (alle Fucine)
5. Sant'Andrea (alle Fucine)
6. San Giacomo delle Fucine
7. San Germano
8. San Giovambatista
9. Santo Stefano 
10. delle Anime e della Cintura (già "di San Vincenzo")
11. Anime Purganti
12. San Giorgio
13. SS. Antonio e Paolo
14. San Francesco 
15. San Pietro Martire
16. Madonna Santissima del Rosario 
17. Sant'Ambrogio
18. Santa Maria della Pietà
19. Suffragio
20. Santa Maria, San Bernardo e SS. Re Magi
21. San Donato o dell'Arciconfraternita della Morte
22. San Giuseppe 
23. San Giuseppe de' Falegnami
24. Sant'Antonio Abate alla Marina
25. San Giacomo della Marina
26. N.S. del Rosario a S.M. di Castello
27. Sant'Orsola
28. SS. Pietro e Paolo (a San Bernardo)
29. San Francesco da Paola
30. Santo Sepolcro
31. San Giovanni Battista 
32. Santa Maria degli Angeli
33. San Filippo
34. Sant'Antonio da Padova al Guastato
35. Morte ed Orazione 
36. San Tommaso
37. Cinque Piaghe
38. Madonna del Rosario 
39. V. Strata 
40. Sant'Ugo
41. San Giovanni 
42. Santa Brigida
43. Santa Consolata
44. SS. Giacomo e Leonardo
45. N.S. del Rosario e San Teodoro

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46. Gli oratori "del Suburbio"
   46.1 N.S. del Rosario (San Martino d'Albaro)
   46.2 N.S. del Rosario (Marassi)
   46.3 San Rocco (località delle Olivette, San Fruttuoso)
   46.4 SS. Nazario e Celso (Multedo)
   46.5 San Martino (Pegli)






1. La nascita delle Confraternite e delle Casacce a Genova

"Re Cazacce in sto paeize
piaxan sempre, a chi è zeneize"
(Steva De Franchi, poeta dialettale genovese nel settecento)

Prima di iniziare a parlare di oratori, mi permetto di darvi un inquadramento generale sul fenomeno che portò alla nascita e allo sviluppo delle confraternite, organizzazioni laiche profondamente radicate nella società cristiana.
Intorno al 1230 si svolgono in Italia le prime processioni di "battuti" (flagellanti) che percorrono le vie delle città implorando la misericordia divina e recando, quale loro insegna, un crocifisso, garanzia di salvezza e pegno di sofferenza redentrice. Saranno proprio i grandi Cristi, soprattutto nei secoli a venire, a diventare, insieme alle maestose "casse", il simbolo di queste processioni: scolpiti in legno policromo e con grandi cantonali o "canti" in argento a decorare le estremità della croce (questi ultimi, decorati come ramoscelli  di albero a simboleggiare la trasfigurazione della croce in albero e dunque da simbolo della morte a simbolo della vita: realizzati in metallo, durante  le processioni muovendovi emettevano un fruscio simile a quello degli alberi) erano il vanto di ogni confraternita e venivano mossi grazie all'abilità dei "portoéi" (i portatori dei Cristi) assistiti, per così dire, dagli"stramuéi" (gli stramuri ossia coloro che avevano il compito di "trasmutare" ovvero "mutare il portatore" della croce sollevando i Cristi in equilibrio a forza di braccia mentre i "portoéi" si davano il cambio). Ancora oggi le due figure sopradescritte continuano ad essere protagoniste di questi grandi eventi religiosi suscitando grande ammirazione tra i fedeli presenti e qualche sospiro tra il pubblico mentre i grandi Cristi passano da un portatore all'altro.
Torniamo al 1230: e' questo il momento storico in cui nascono le prime confraternite, come la "domus disciplinatorum" di Sant'Antonio a Genova presso la chiesa di San Domenico, documentata nel 1232.  
Nel 1260 una grande processione di flagellanti, partita dall'Umbria, giunge in Liguria. Padre Cassiano Carpaneto da Langasco ci racconta che questa "marcia della pace" arriva a Genova intorno al Natale del 1260 e trova ospitalità nel convento di San Francesco di Castelletto. I flagellanti, continua Padre Cassiano, erano guidati da Sinibaldo degli Opizzoni, facente parte "dei fratelli di penitenza" e rettore del popolo di Tortona (Sinibaldo, come si legge negli "Annali Tortonesi", fu uno dei primi istitutori della confraternita dei Disciplinanti: essendo io discendente della nobile famiglia tortonese dei Rati Opizzoni, parlo con emozione di questo mio illustre antenato). La "disciplina" penitenziale si diffonde a Genova e nelle zone sotto la sua influenza si sviluppano le compagnie dei disciplinanti. 
Una seconda ondata di devozione popolare, con la nascita di nuove confraternite a Genova e territori limitrofi, si ha nel 1399 con il movimento dei "Bianchi" che giunge nella nostra città dalla Provenza (ancora oggi l'oratorio di Santo Stefano e della SS. Trinità a Rapallo, per fare solo un esempio, è detto anche "dei bianchi").
I disciplinanti praticavano opere di misericordia, corporale e spirituale, e si davano statuti per organizzare la loro vita sociale.
Così racconta il canonico Domenico Cambiaso nel suo "Casacce e confraternite medievali in Genova e Liguria": "Le Miscellanee del Poch ci hanno conservata l'elenco più antico ed autentico delle antiche confraternite genovesi, in un documento dell'anno 1410, sottoscritto dai rappresentanti di tutte le diciannove confraternite allora esistenti in città, che vi sono notate in quest'ordine: S. Croce, Madonna del Castello; S. Michele dell'antica parrocchia omonima sopra l'odierna stazione Principe; S. Andrea, S.Giovanni di Pré, S. Giacomo di Pré, S. Bartolomeo delle Fucine, S. Tomaso, S. Stefano, S. Ambrogio, S. Leonardo di Pré, S. Siro col titolo di S. M. degli Angeli, S. Germano all'Acquasola, S. Francesco in Piccapietra, S. Nazaro al Molo, S. Antonio in S. Domenico, S. Caterina presso l'attuale Salita omonima, S. Consolata a Pré vico S. Consolata, S. Vittore nell'antichissima chiesa parrocchiale del Santo, vicina a San Sisto, demolita per l'apertura di via Carlo Alberto. Manca la confraternita di S. Giorgio perché eretta più tardi. 
Queste sono le celebri venti Confraternite o Casacce di Genova. Tra esse, dai documenti che riportiamo a suo luogo e dall'attestazione dei nostri annalisti, risulta che rimontano al primo periodo del 1260 le confraternite di S. Antonio, S. Caterina, S. Maria, S. Michele, S. Giovanni, S. Giacomo e S. Leonardo di Pré, S. Stefano, S. Ambrogio, S. Andrea, S. Siro, S. Tomaso.
Non meno antiche riteniamo le confraternite di S. Vittore e S. Nazaro, data la grande antichità ed importanza delle rispettive chiese parrocchiali. S. Germano, è ricordata nel 1351. Di S. Croce e S. Bartolomeo si trovano memorie del sec. XIV; S. Francesco e S. Consolata hanno documenti del 1402. S. Giacomo della Marina veniva fondato nel 1403, ed alla stessa epoca rimontano pure S. Antonio della Marina e S. Giacomo delle Fucine. 
Tutte le suddette confraternite continuarono ad uffiziare nelle rispettive chiese in cui erano state istituite, finché non si costrussero oratori propri indipendenti; il che avvenne generalmente nei secoli XV-XVI. Nel frattempo esse solevano prendere in affitto per sede della loro amministrazione qualche locale vicino alla chiesa. (...).
Un grande risveglio delle confraternite si ebbe nel secolo XV, che perciò è chiamato il secolo delle confraternite.".
Ed è proprio il XV secolo il momento storico in cui le confraternite iniziano a staccarsi dalle chiese per costruirsi proprie sedi: sono di questo periodo i primi oratori alle Fucine (Sant'Andrea, San Bartolomeo e San Giacomo) o alla Marina (San Giacomo; i confratelli di quest'ultimo provenivano, così come quelli dell'oratorio intitolato allo stesso santo alla Fucine, dall'oratorio di San Giacomo di Prè).
Gli oratori avevano una struttura architettonica molto semplice caratterizzata da un esterno disadorno e da un interno ad una sola navata nel quale vi era l'altare da un lato e gli stalli lignei, utilizzati per le riunioni dei confratelli, strutturati come un coro monastico ma posizionati in controfacciata e non nel presbiterio dietro l'altar maggiore. Spesso gli oratori (ne è un esempio quello di San Martino di Pegli) avevano entrate laterali che permettano di non spezzare la sequenza degli stalli lignei in controfacciata. Entrando quindi si aveva da un lato lo spazio sacro con l'altare e dall'altro lo spazio laico con gli stalli dove i confratelli tenevano le proprie riunioni (cosa che avviene ancora oggi).
Ben presto alle confraternite titolari vengono ad aggiungersi altri gruppi, in un processo di aggregazione che porterà alla costituzione delle casacce. 
Il termine "Casaccia" (che compare per la prima volta nel 1561 come "cazacia" nell'atto notarile per l'esecuzione della cassa processionale di Santa Zita, la "domus" dei lucchesi) deriverebbe dall'espressione "far casaccia", ovvero unire le confraternite. Per casaccia si intende quindi "un aggregato di più confraternite riunite in una sede comune, l'oratorio, in uno stesso itinerario processionale, e partecipanti quasi sempre su un piano di parità al governo e all'amministrazione della casaccia. Le casacce sono nettamente distinte dagli oratori delle arti, dalle Compagnie della Morte, dagli oratori aristocratici e dalle confraternite parrocchiali. A Genova sono venti ed hanno carattere prevalentemente popolare." (Fausta Franchini Guelfi, Le casacce nell'arte e nella storia ligure).
Per dovere di cronaca, vi riferisco anche di un'altra versione che farebbe invece derivare il termine dal fatto che i confratelli si radunassero in principio in grandi baracche di legno, dette "casasse" (grosse case).
Oltre alle casacce, così come sopra definite, vi erano confraternite alle quali appartenevano invece gruppi artigiani, i cosiddetti "oratori delle arti" (in questo senso,  esse assunsero l'aspetto di una sorta di consorteria in appoggio ad uno specifico gruppo sociale), altre nelle quali i confratelli erano tutti appartenenti alla nobiltà (gli oratori aristocratici). Caso a sè è l'oratorio della Compagnia dei Ciechi intitolato allo Spirito Santo e fondato nel 1299 presso la chiesa di sant'Ambrogio (i non vedenti erano riuniti in corporazione dal XIII secolo e avevano anche un ospedale intitolato alla Spirito Santo presso la chiesa della Maddalena; a questo proposito vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia degli ospedali nel Medioevo prima della costruzione di Pammatone).
Ogni confraternita genovese aveva un proprio statuto: il più antico giunto a noi risale al 1306 ed è lo statuto della confraternita di Sant'Antonio eretta nella chiesa di San Domenico (come vi dicevo ad inizio paragrafo, è questa la prima confraternita documentata: risale infatti al 1232 la documentazione più antica ad essa relativa). Nel 1587 l'arcivescovo Antonio Sauli dà uno statuto unico a tutte le confraternite della diocesi, sulla falsariga della Regola compilata nel 1573 da San Carlo Borromeo per le confraternite milanesi. E' la "Regula delle confraternità dei Disciplinati, per decreto del concilio Provincial Secondo di Milano. Riformata d'ordine di Monsignor Illustriss. et Reverend. il Cardinale Borromeo Arcivescovo. E di più introdotta in Genova e nella Sua Diocesi di commissione del Molto Illustre, e Reverendiss. Monsignor Antoinio Sauli Arcivescovo di Genova, con alcuni capitoli aggionti, Genova, 1587". Nelle prime pagine si legge una sorta di "manifesto" che merita di essere qui riportato: "(...) essere membri di Christo, come figlioli di luce, produrre frutti di luce, si che vedute le loro buone opere, sia glorificato il celeste Padre: si habbia gran riguardo, che non si apra la porta a i figlioli delle tenebre".
Momento pubblico per eccellenza per ogni casaccia era quello delle processioni che avvenivano, oltre che in occasione della festa del santo titolare, il Giovedì ed il Venerdì Santo, il Corpus Domini e in occasione della festa dell'Invenzione della Santa Croce che si svolgeva il 3 maggio. La città si trasformava in un grande "teatro sacro" dove ogni confraternita percorreva le vie cittadine con i propri Cristi, le casse processionali ed il lungo seguito dei confratelli che intonavano laude drammatiche. Una curiosità: l'immagine del crocifisso ancora oggi viene volta all'indietro seguendo la tradizione che sembra risalire ad un privilegio  concesso ai genovesi  dal Papa, nel XII secolo, per il valore dimostrato nella liberazione del Santo Sepolcro. Pare infatti che i genovesi portassero in battaglia il crocifisso volto all'indietro perché gli infedeli non potessero vedere la sacra immagine.
Delle tante casse processionali, ancora oggi vanto delle confraternite, parleremo nei vari capitoli dedicati ai singoli oratori: mi piace solo qui segnalare la più antica giunta fino a noi ossia quella raffigurante "Sant'Ambrogio sconfigge gli eretici" commissionata a Filippo Santacroce il 5 aprile 1594 dai confratelli dell'Oratorio di Sant'Ambrogio di Voltri, protagonista suo malgrado di una singolare vicenda: nel 1895, durante la processione al Santuario dell'Acquasanta, essa cadde nel fiume Leira. Oggi, dopo numerosi intervento di restauro, è ancora visibile a Voltri.
Un approfondimento meritano le vesti dei confratelli. Giuseppe Morazzoni, nel suo "Ricami Genovesi" del 1952, divide le cappe in tre distinte tipologie: le semplici "cappe" in tela bianca, richiamanti il "sacco" delle origini, per i confratelli; le "sergentine", cappe in raso e decorate da ricami principalmente lungo l'orlo della veste e sulle maniche per gli "uffiziali"; ed infine i "pastorali", ossia le vesti indossate dai priori, cappe con un lungo strascico e riccamente decorate da ricami a tutto campo e con accessori quali il cappuccio, il tabarrino, la cintura e gli scarpini. Erano detti "pastorali" perché i priori camminavano in processione portando in mano i pastorali, lunghi bastoni reggenti la statuetta del santo titolare, spesso realizzati in argento.
Per evitare discussioni o risse tra le diverse confraternite, era imposto ad ognuna un determinato percorso e specifici orari così da far arrivare ognuna di esse in Duomo in momenti diversi. Per evitare poi contatti fisici tra le confraternite più importanti e numerose, si faceva in modo che tra le une e le altre vi fossero le confraternite minori che facevano per così dire da cuscinetto ed evitavano situazioni spiacevoli che esulavano dallo spirito religioso dell'evento. Risale al 1602 il decreto che vieta ai partecipanti alle processioni di portare con sé armi: la preoccupazione che lo spirito religioso della manifestazione lasciasse spazio ad atti di forza era quindi giustificato.
La vita delle confraternite subisce un duro colpo nel 1798: dopo la caduta del governo oligarchico, il Direttorio legislativo della Repubblica Ligure ordina la requisizione dei preziosi di chiese, conventi ed oratori. A questa spoliazione dei beni segue nel 1811 la soppressione, ad opera del Governo francese, delle confraternite con la cessione dei loro beni alle chiese parrocchiali. Nel 1814, con la fine del dominio francese e l'annessione al Piemonte, molte confraternite si ricostituiscono riprendendo anche la tradizione delle processioni mentre altre purtroppo, dopo la soppressione francee, non rinasceranno più.
Ciò che non fecero le soppressioni napoleoniche, faranno le rivoluzioni urbanistiche ottocentesche che, con la nascita di nuove vie come Via XX Settembre o Via Roma, porteranno alla demolizione di molti oratori.
Nonostante gli stravolgimenti urbanistici ottocenteschi e le bombe della Seconda Guerra Mondiale che abbatterono alcuni di questi luoghi, ancora oggi, visitando gli oratori nel centro storico, possiamo immergerci nell'antica bellezza di questa istituzioni osservando gli interni di questi luoghi, le casse processionali in legno dipinto, i Cristi e le vesti in velluto liscio con ricami in filo d'oro e argento o i pastorali in argento. 
Prima di iniziare il nostro viaggio alla scoperta degli oratori genovesi, di seguito eccovi un breve filmato della "Mostra delle casacce e della scultura lignea sacra genovese del seicento e del settecento" organizzata nella chiesa di Sant'Agostino nel 1939: lungo la navata centrale venne ricostruita una tradizionale processione di Cristi, accompagnati dai confratelli e dall'apparato processionale tra cui le magnifiche "casse" di cui vi parlerò nei prossimi paragrafi.



2. Santa Caterina

Presso la chiesa di Santa Caterina (di cui trovate la storia alla pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA), sita lungo la salita che ne prende il nome, fu fondata intorno al 1260 una casaccia chiamata "Grande casaccia, Domus Magna S. Catharinae".
Questa casaccia si ritagliò da subito un ruolo di primo piano nella vita cittadina poiché posta sotto la protezione dell'Ordine Francescano, all'epoca al massimo del suo splendore.
Era conservata nell'oratorio di questa casaccia una tavola di Bernardo Castello raffigurante "Maria SS. e S. Giovanni Battista". Quest'ultimo era divenuto all'epoca titolare della casaccia, assieme a Caterina.
Chiuso al pubblico nel 1810, l'oratorio viene riaperto negli anni seguenti ma, dopo liti insorte tra i confratelli, viene chiuso definitivamente e venduto a privati. 


3. San Carlo (a Santa Caterina)

L'anonimo del 1818 ci racconta che, in un locale sito tra la chiesa di Santa Caterina ed "il gran palazzo del duca S. Pietro, ora del marchese Massimiliano Spinola" (il palazzo che oggi ospita la Prefettura), vi era il "piccolo Oratorio di S. Carlo, confraternita antica dell'Arte dei calderai". Nulla più è detto di questo oratorio di cui nulla oggi rimane. A proposito, chi sono i calderai? Sono artigiani che lavorano l'acciaio, il ferro o il rame all'interno dei contenitori destinati a contenere liquidi caldi o gas (come pentole o caldaie).


4. San Bartolomeo (alle Fucine)

Sito lungo Vico de' Tintori, strada posta accanto a Vico delle Fucine (entrambe collegavano Via San Sebastiano a Salita Santa Caterina) questo oratorio secondo la tradizione fu fondato nel chiostro di San Bartolomeo degli Armeni.
Antonio Tavella sostiene che si abbia memoria di questo oratorio nel 1308. Venne chiuso al culto nel 1811 e successivamente utilizzato per usi profano e poi distrutto quando verrà tracciata Via Roma.
L'oratorio conservava al suo interno sopra l'altar maggiore un dipinto di Giulio Cesare Procaccini raffigurante il Martiro di San Bartolomeo (trasferito, dopo l'abbattimento dell'Oratorio, nella Chiesa di Santo Stefano e successivamente portato in Santo Stefano la Nuova per tornare nel 1981 nella "vecchia" Santo Stefano dove ancora oggi potete ammirarla) e la cassa processionale del Santo, opera di Anton Maria Maragliano, oggi conservata nell'Oratorio di San Bartolomeo a Varazze.


5. Sant'Andrea (alle Fucine)

Questa casaccia nasce nella Chiesa di Sant'Andrea. Non avendo un oratorio proprio, i confratelli prendono in affitto un locale di proprietà del Capitolo della Cattedrale presso gli Orti di Sant'Andrea.
In seguito nel XVI secolo viene edificato un oratorio lungo Vico  de' Tintori, in faccia all'Oratorio di San Bartolomeo di cui vi parlavo nel precedente paragrafo. Anch'esso, come il vicino Oratorio di San Bartolomeo, verrà chiuso al pubblico nel 1811 e, dopo esser stato utilizzato per usi profani, verrà demolito con il tracciamento di Via Roma.
All'interno della Basilica di Santa Maria delle Vigne, in controfacciata, è conservato un dipinto proveniente da questo oratorio: si tratta di un "Cenacolo", opera del fiorentino Simone Balli e databile agli inizi del XVII Secolo.
Erano altresì conservati in questo oratorio un "Cristo che lava i piedi agli apostoli" di Gio. Andrea De Ferrari e un "Sant'Andrea che va la martirio e libera un'ossessa", opera di Gioacchino Assereto.


6. San Giacomo delle Fucine


Sito in Vico delle Fucine, una stretta strada che collegava Via San Sebastiano a Salita Santa Caterina, esso fu probabilmente fondato nel XVI secolo, come ci racconta L'Alizeri, da alcuni membri già appartenenti all'oratorio dei SS. Giacomo e Leonardo di Prè (di cui trovate la storia al paragrafo 44 di questa pagina).
Questo oratorio fu sede dell'arte dei Tintori.
Il Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", così descrive questo luogo: "ORATORIO DI S. GIACOMO detto delle Focine, avvi una gran tela con l'ultima Cena di Cristo con gli Apostoli di Bernardo Castello, il quale pur colorì l'Ovale al maggior altare con la vocazione all'apostolato di S. Giacomo; e quello rappresentante un fatto del Santo Apostolo cavato dalla leggenda di Costantino e Buonafede, è del Lomi. Ve n'ha un altro con la morte di S. Giacomo, di Bernardo Castello, oramai perduto." 
A seguito dell'apertura di Via Roma esso fu demolito e ciò che rimaneva fu portato prima nell'Oratorio di Santa Croce in Piazza Sarzano (oggetto purtroppo di bombardamenti nell'ultima guerra mondiale ed oggi ridotto a locale ad uso palestra) e successivamente 
trasferito in massima parte nell'Oratorio di Sant'Antonio Abate della Marina e in quello di San Giacomo della Marina di cui vi parlo nei prossimi paragrafi.
In Sant'Antonio Abate della Marina sono ancora oggi conservati alcune grandi tele ("San Giacomo dopo aver risanato il paralitico converte Iosia" di Orazio Cambiaso, "San Giacomo e i pellegrini di Lotaringia a Compostela" di Aurelio Lomi, "San Giacomo decapitato per ordine di Erode Agrippa" di Bernardo Castello e bottega),  il "Cristo Moro", crocifisso processionale opera di Domenico Bissoni (1639) in legno di giuggiolo, legno naturale di un caldo marrone scuro, reso lucente come metallo dalla lucidatura, molto noto all’epoca dello splendore delle Casacce anche per il rivestimento di tartaruga con decorazioni in oro e argento usati per la croce, e la splendida cassa processionale raffigurante "San Giacomo Maggiore che abbatte i Mori", opera di Pasquale Navone, la cosa che più mi piace dell’intero oratorio e quella che secondo me da sola vale una visita all’Oratorio (peccato non sia più portata in giro per il quartiere come avveniva una volta, anche se il soggetto, come mi suggeriva un vecchietto che ho incontrato sulla porta dell’oratorio, sarebbe poco gradito ai tanti musulmani che abitano ora in zona), tutti provenienti dall’Oratorio di San Giacomo delle Fucine.
Nel registro "1826 - 1927 LIBRO De DECRETI" dell'Oratorio dei SS. Nazario e Celso di Multedo in un verbale datato 16 marzo 1851 si parla, tra le altre cose, di due cappe e tabarrini per pastorali acquistati dalla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine. Ancora oggi quelle vesti sono conservate a Multedo.
Non tutto però è andato perduto nella zona dove sorgeva questo oratorio. Se osservate infatti con attenzione un antico portale lungo Salita Santa Caterina, potrete notare in capo allo stesso una piccola lapide marmorea: nel 1574, come ci racconta la stessa, furono concesse ai confratelli di questa casaccia le chiavi del sottopassaggio che collegava Salita Santa Caterina con l'oratorio. Sopra la scritta fa bella mostra di sé la caratteristica "Espada" di San Giacomo e ai piedi della stessa vi sono due confratelli incappucciati. 

Il portale in Salita Santa Caterina  (foto di Antonio Figari)

lapide marmorea posta sopra al portale
(foto  di Antonio Figari)


7. San Germano

Presso l'omonima chiesa (che prenderà il nome di Santa Marta, che ancora oggi mantiene, quando verranno qui a stabilirsi le monache di Santa Marta del Vastato nel XV secolo) vi era una casaccia senza un proprio oratorio che teneva le sue riunioni in un locale attiguo al monastero.
Nel 1728 i confratelli, lasciata l'antica sede della confraternita, fondarono un nuovo oratorio in Borgo Lanaiuoli, intitolandolo a Santa Maria della Pietà.
Dopo la soppressione napoleonica del 1810, i locali dell'oratorio vennero occupati dagli Operai Evangelici per congregazioni di fanciulli ed in seguito venduto a privati.
 
 
8. San Giovambatista

Il Ratti, dopo aver descritto la chiesa di San Giuseppe e il Palazzo Spinola Sanpietro e prima di parlare della chiesa di Santa Marta, descrive "l'ORATORIO di S. GIOVAMBATISTA, ch'è qui vicino, ha una tavola all'altare di Bernardo Castello.".


9. Santo Stefano 

Il Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", descrive l' "ORATORIO di S. STEFANO di preziose tavole adorno, e veduta quella dell'altare, che è di Bernardo Castello, osserverete le altre, che sono tutte pregevoli, sendo dell'Ansaldi quella della lapidazione di esso Santo; l'altra dove resuscita un fanciullo caduto dall'alto del Bajardo, di cui è pure quella della di lui sepoltura; quella ove mirasi S. Lorenzo, che s'alza dalla tomba per cedere il posto al medesimo Santo, dell'Assereto. E' poi del Badaracco quella della traslazione del Corpo di detto Santo; e il gran Cenacolo, che occupa tutta la principal facciata dell'Oratorio, è di Domenico Piola.".
 
 
10. delle Anime e della Cintura (già  "di San Vincenzo")

(foto di Antonio Figari)


La tradizione vuole che qui vi fosse la casa dove, nel I Secolo d.C., alloggiarono i Santi Nazario e Celso. L'abitazione dei Santi fu trasformata in cappella e più tardi ampliata e trasformata in Oratorio nel XVII Secolo sotto il titolo di N. S. del Rosario e ufficiato dall'omonima confraternita fino al 1811.
La proprietà passò poi alla fabbriceria parrocchiale di San Vincenzo divenendo sede della Confraternita delle Anime Purganti alla quale si unì la confraternita della Cintura quando l'oratorio in cui quest'ultima aveva la sede fu demolito per fare posto a Via XX Settembre (per questo motivo oggi il nome ufficiale della confraternita è "Confraternita delle Anime del Purgatorio e della Madonna della Cintura").
Una curiosità: il culto agostiniano della Madonna della Cintura fece nascere in città molti oratori con questo nome: oltre a quello presso la Chiesa della Consolazione, abbattuto quando nasce Via XX, vi era un altro oratorio della cintura in Artoria (attuale Corso Montegrappa), dove gli agostiniani avevano la loro chiesa prima di trasferirsi in San Vincenzo e costruire la Chiesa della Consolazione) e uno presso la chiesa di Sant'Agostino in Sarzano.
L'interno dell'Oratorio è composta da un solo ambiente di modesta grandezza con un altare e un dipinto raffigurante N. S. del Rosario di ignoto autore.
In controfacciata una lapide reca la data 25 settembre 1737 e con tutta probabilità indica il momento in cui si conclusero i lavori di ristoro degli interni (le tele e i decori infatti risalgono a quel periodo).
L'opera più importante qui conservata è la statua lignea della Madonna della Cintura, opera seicentesca di Giambattista Bissoni,  precedentemente conservata nella Chiesa di Sant'Agostino in Sarzano, opera acquistata dalla Confraternita nel 1834.

(foto di Antonio Figari)


Sono conservate in sagrestia ed alcune anche esposte sull'altare dell'oratorio le antiche cappe e mantelline della Confraternita, così come ancora presenti sono i bastoni processionali.
Mio bisnonno era un confratello della Confraternita che aveva sede in questo oratorio e mia nonna qui fece la prima Comunione. Quando nei primi anni del Duemila riuscii ad andare a visitarlo decisi di andarci con mia nonna che qui entrava per la prima volta dopo più di settant'anni: come immaginate, grande fu l'emozione. 


11. Anime Purganti

Pasquale Domenico Cambiaso, Oratorio delle Anime Purganti, 1850

Antonio Varni, Lavandaie alla foce del Bisagno, 1891

Questo Oratorio fu edificato nel 1602 alla destra della foce del Bisagno, addossato alla parete rocciosa sotto le Mura nel punto detto Capo della Strega o di Carignano: intitolato alle "Stimmate di San Francesco", esso fu comunemente chiamato "delle Anime della Foce" o "delle Anime Purganti" perché sito accanto al Cimitero dei Poveri, qui trasferito dopo il 1536.
In particolare trovarono sepoltura in questo luogo i morti all'ospedale di Pammatone che prima venivano seppelliti nei cosiddetti "mucchi dell'Acquasola".
Paolo Novella, nel suo manoscritto del 1912, ci racconta che furono le monache di Santa Marta (convento che sorgeva a poca distanza dai "mucchi"), non sopportando più il fetore sepolcrale che di là esalava, a cedere ai Protettori dello Spedale  una porzione di terreno di loro proprietà sulla sponda destra del Bisagno, presso la Foce del torrente stesso, perché venissero lì seppelliti i deceduti a Pammatone. Si trattava della zona del "Prato della Lana", così chiamata perchè qui venivano stese le tele dei tessitori di Borgo Pila e le lenzuola delle lavandaie, le "bugaixe", appena sciacquate nel Bisagno. Con l'ultimazione della cinta muraria nel 1536, il cimitero sarà spostato più verso mare trovando la sua collocazione accanto al luogo in cui sorgerà l'oratorio delle Stimmate di San Francesco. Qui già esisteva un piccolo sepolcreto dove venivano seppelliti i morti nel vicino Lazzaretto, che sorgeva sulla sponda sinistra del Bisagno.
E' sempre il Novella a fissare come data di edificazione dell'Oratorio, ad opera del Venerabile Bartolomeo da Saluzzo, coadiuvato da Giovan Battista Senarega e Giovanni Battista Castello, al 1602.
Tra le opere conservate all'interno il Novella ci parla di una tela di Bernardo Castello "Nostra Signora del Rosario" sull'altar maggiore e di quattro pale d'altare su altrettanti altari laterali ("San Francesco d'Assisi" opera di Giuseppe Passano, "Santa Caterina da Genova" opera Giovanni Battista delle Piane, "La decollazione di San Giovanni Battista" di Rolando Marchelli e "L'Annunziata" di Alfonso Spinga"). 
La volta viene affrescata  da Giuseppe Paganelli (1749-1822) con storie tre storie bibliche: "Maria in atto di intercedere per le Anime Purganti", La visione d'Ezechiele" e "La resurrezione del figlio della vedova di Naim"
L'Oratorio divenne meta di moltissimi genovesi che si recavano a pregare al vicino cimitero. Ben presto la confraternita, che nel frattempo grazie alle offerte dei fedeli era diventata sempre più ricca, decise di ampliare la struttura.
Quello che invece non cambiava era lo stato del cimitero limitrofo, costituito da fosse comuni chiuse da grate metalliche ed esposte alle intemperie e soprattutto alle mareggiate che non di rado "strappavano" dalle fosse i cadaveri che rimanevano in superficie alla mercé di uccelli o topi e non lontano dai panni stesi che le lavandaie (come possiamo notare nell'aquarello del Cambiaso e nel quadro di Antonio Varni) lavavano sulla sponda sinistra del Bisagno.
Lo storico Morando così descrivere questo cimitero: "Le salme, abbandonate com'erano in immani fosse comuni non fognate da smaltatoi, appena difese da inferriate a larghe grate (...) lasciavano intravedere, qua e là, tutto l'orrore di una innominabile dissoluzione (...)".
Questa aurea sinistra e macabra diede luogo a racconti, leggende e pratiche superstiziose.
Anche Charles Dickens raccontava delle leggende che aleggiavano su questo luogo.
Sempre il Morando racconta del "pellegrinaggio che l'Oratorio delle Anime il 2 di Novembre ospitava dalle prime ore del mattino fino a notte fonda" e ciò non solo per pregare per le anime dei defunti "ma queste pratiche nascevano più dalle contaminazioni da queste cerimonie religiose con  quelle, (più pagane) inerenti al culto delle tombe". "Sorsero così pratiche superstiziose, come quella di recarsi colà (dalla fossa comune) prima di mezzanotte a scopo di ricavarne i numeri del lotto".
A seguito dell'apertura del Cimitero di Staglieno, fu interrotta la tumulazione nel vicino cimitero che venne definitivamente chiuso nel 1875 e le offerte all'Oratorio iniziarono a mancare.
L'Oratorio venne demolito qualche anno dopo, nel 1891, per fare spazio all'espansione della città: una lapide, oggi non più esistente, fu posizionata lungo le mura sotto Corso Aurelio Saffi per ricordare che qui sorgeva questo Oratorio e il vicino cimitero.
 
 
12. San Giorgio

L'Oratorio di San Giorgio era ubicato lungo la Via Giulia (quella che diverrà la parte alta di Via XX Settembre). Fu qui edificato nel XVIII secolo. Precedentemente i confratelli si riunivano presso la chiesa di santa Margherita della Rocchetta. 
Dopo che l'Oratorio venne soppresso nel 1811, i locali passano in proprietà alla vicina Chiesa di Santo Stefano e nel 1869 vengono distrutti per venir incorporati in un caseggiato.
Di proprietà di questa casaccia era la cassa processionale con San Giorgio in atto di combattere il drago, opera di Pietro Galleano, oggi conservata a Moneglia nella Chiesa di San Giorgio. 
Particolarità di questa cassa processionale, a parte la grandezza inusuale, è la presenza anche di un terzo protagonista, la principessa, in atto di scappare mentre il Santo uccide il drago: una vera scena teatrale che coinvolge lo spettatore.
Vi era in questo oratorio anche un crocifisso opera del Maragliano. 
 
 
13. SS. Antonio e Paolo

Questo oratorio sorgeva in cima a Via Giulia, all'incirca dove oggi vi è l'Accademia Ligustica: per accedervi si saliva per un vicolo che conduceva al Piano di Piccapietra (dovrebbe trattarsi del vicolo detto "della Pulce" dove vi era anche l'Oratorio di San Francesco, descritto al precedente paragrafo 21).
L'oratorio nasce a cavallo del XV e XVI secolo.
Alla casaccia apparteneva una delle casse processionali che più amo: quella raffigurante "Sant'Antonio abate che contempla  la morte di San Paolo eremita", opera di Anton Maria Maragliano eseguita tra il 1709 ed il 1710, costata, si dice, 1.000 lire, e definita da Carlo Maria Ratti come "la miglior opera uscita dagli scalpelli del Maraggiano" (venduta dalla confraternita nel XIX secolo all'Oratoro di Sant'Antonio abate di Mele, è ancora oggi lì conservata).


(foto di Antonio Figari)


La confraternita, dopo la distruzione dell'oratorio avvenuta nel 1898, si trasferisce prima a Santa Marta ed infine in Santa Maria in Via Lata, dove tuttora ha sede e dove, ogni anno, il 17 gennaio (giorno in cui la Chiesa festeggia Sant'Antonio Abate) si celebra la messa (un'ottima occasione per visitare questo luogo normalmente non aperto al pubblico).
Una curiosità: questo oratorio era detto anche "dei birri" perché molti dei confratelli erano appartenenti alle forze dell'ordine e lavoravano presso Palazzo Ducale e la Torre Grimaldina.
 
 
14. San Francesco

L'Oratorio di San Francesco sorgeva in un vicolo che portava il nome del Santo e che era conosciuto antecedentemente con il nome di Vico o Crosa della Pulce. Siamo nei pressi del Piano di Piccapietra, dietro il convento di San Domenico, luogo poi occupato dal Teatro Carlo Felice, e questo vicolo collega Piccapiera con Via Giulia.
L'oratorio nasce nel XV Secolo e assume il titolo di San Francesco della crosa nel 1528 quando ne prendono possesso i Cappuccini che prestavano assistenza nel vicino Ospedale dei Cronici.
Soppresso nel 1811 fu profanato e infine distrutto.
L'oratorio possedeva un grandioso gruppo scultoreo opera di Anton Maria Maragliano raffigurante "San Francesco d'Assisi in atto di ricevere le stimmate", ora conservato in una cappella laterale della Chiesa della Santissima Concezione (recentemente restaurato è ora tornato al suo antico splendore).
Un curiosità: la collocazione sull'altare ha modificato gli elementi della cassa che, per essere visti meglio dal fedele, sono inclinati verso il basso e ravvicinati tra loro. Si è dunque persa la reale collocazione delle statue come era stata pensata  per la cassa processionale e la composizione risulta ora meno articolata e movimentata rispetto ad un tempo.


(foto di Antonio Figari)


Vi era anche un quadro raffigurante San Francesco, opera di Bernardo Castello, trasferito in Santa Maria delle Vigne e un Crocifisso del Bissoni di cui si sono perse le tracce.


15. San Pietro Martire

Il viaggiatore anonimo del 1818 ci racconta che "fuor della porta del vastissimo convento (riferendosi al complesso monastico di San Domenico) è l'Oratorio di S. Pietro martire, in cui era la tavola del Crocefisso assai bella e di maniera dell'Ansaldo".
Questo oratorio, così come i resti di San Domenico (di cui trovate la storia nella pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA), scomparve quando venne edificata l'Accademia Ligustica delle Belle Arti.
 
 
16. Madonna Santissima del Rosario 

Il Ratti, dopo aver illustrato la chiesa di san Domenico, così scrive: "Sotto la Chiesa anzidetta, o sia sotto la Cappella del Rosario è posto l'ORATORIO segreto dedicato alla MADONNA SANTISSIMA DEL ROSARIO, che dovete vedere per le preziose tavole, che l'adornano, avendovene una di Cristo, che lava i piedi agli Apostoli, d'Orazio de Ferrari; una con l'istesso avanti Caifasso, di Domenico Piola; un'altra col medesimo che ascende il Calvario del Borzone, una con Cristo morto del Sarzana, ed altre di diversi autori.". Di questo oratorio, così come della chiesa di San Domenico, nulla rimane o meglio, quasi nulla.
All'Accademia Ligustica delle Belle Arti, che sorge sopra le macerie di San Domenico, è conservato il gonfalone processionale dell'Oratorio della Madonna del Rosario, dipinto su un damasco di seta del tipo "tre fiori", qui giunta dopo la demolizione del complesso monastico avvenuta tra il 1819 ed il 1821. Il gonfalone, opera di Pellegro Piola, raffigura la "Madonna del Rosario fra i Santi Domenico e Caterina". Particolarità di quest'opera, che fa sì da inserirla pienamente nel periodo in cui è stata realizzata, è l'associare l'immagine legata alla divulgazione della pratica del Rosario alla nuova iconografia della Madonna Regina di Gnoeva, diffusa in città dopo il 1637.


17. Sant'Ambrogio

Accanto alla chiesa intitolata ai SS. Ambrogio e Andrea, vi era l'oratorio di Sant'Ambrogio. L'anonimo del 1818 ci racconta  che vi erano "alcune tavole di Lazzaro Tavarone ed una di Simeon Barabino". In seguito l'oratorio diverrà sede di una delle scuole di carità fondate da Lorenzo Garaventa nel 1757 (vi rimando alla pagina dedicata a poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI per approfondire la storia di questa filantropo). La scuola di carità conservava gli arredi dell'oratorio. Oggi nulla rimane di questo edificio.
 

18. Santa Maria della Pietà

Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", dopo aver descritto la chiesa di Santa Maria dei Servi ci racconta che "Poco lungi da questa Chiesa, è l'ORATORIO DI S. MARIA DELLA PIETA', in cui vedesi una tela con la cena di Cristo di Clemente Bocciardo, detto Clementone Genovese.".
Gli spazi occupati da questo oratorio diventeranno a metà ottocento gli interni del Teatro Apollo di cui trovate la storia alla pagina dedicata a i TEATRI storici
 
 
19. Suffragio

Questo Oratorio, di cui rimangono le macerie, sorgeva in fondo a Salita del Prione.
Purtroppo oggi possiamo vedere solo la facciata, recentemente restaurata, e parte delle volte del soffitto della volta.
Anche in questo caso dobbiamo affidarci alle parole dell'Alizeri che così lo descrive: "un altro oratorio che s'intitola Del Suffragio è quindi a pochi passi in fondo alla salita del Prione per dove si ascende a Sant'Andrea. Il titolo stesso manifesta l'uffizio a  cui intendono gli iscritti; ai quali incumbe pur l'obbligo di unirsi ai confratelli della Morte per la sepoltura de' cadaveri in tempo di pestilenza o d'altra moria. Dalle poche memorie che si conservano, conosciamo che la confraternita ebbe i suoi principii nel 1618, e con bolla pontificia di Paolo IV in data 6 aprile di detto anno fu aggregata a quella di Roma. Molto cooperò a' suoi progressi il March. Agapito Centurione, il quale ascritto fin da' primordii a questa pia società, le prese tanto affetto, che, siccome narra la tradizione, ordinò per testamento, fosse quivi recato e custodito dopo la morte il suo cuore. Più certe prove se ne possono addurre. Egli innalzò a sue spese il presente oratorio, e per ultima volontà il lascio provveduto di pingue reddito, onde si fondassero molte cappellanie, e si dotassero annualmente cinque povere fanciulle promesse a marito. Il che si rivela da una lapide nella sacristia, unita al monumento che la confraternita gl'innalzò in segno di riconoscenza nel 1794. Ad eternare ne' posteri la memoria del benefattore, vi collocarono pure il busto marmoreo del Centurione, che l'epoca e lo stile ci fan credere della scuola di Traverso o Ravaschio.
Delle tavole locate agli altari dell'Oratorio una sola vuol'essere nominata, cioè quella a sinistra colla Trinità e i SS. Pio V e Vincenzo Ferreri d'un Francesco Sasso, noto per questa sola opera, che non passa oltre la mediocrità. La volta e le pareti dell'altar maggiore hanno affreschi di Carlo Baratta; l'assunzione di Maria con profeti ed angioli nelle lunette, e in due spazi laterali l'annunziazione e la presentazione; non de' più studiati né de' più conservati di questo pittore, ma belli tuttavia di quella spiritosa franchezza che gli dà pregio negli stessi difetti. Son pur sue le due composizioni ad olio che fiancheggiano l'altare, cioè Cristo che risuscita Lazzaro, Tobia che seppellisce i cadaveri. E in queste, benché sia diversa la meccanica, egli è quasi frescante; tinge a gran masse poco studia la finitezza, molto l'effetto. E poiché gli argomenti non poteano desiderarsi più acconci, il ricavò dal misterioso della scena, dal concitato delle movenze, da ogni volto, da ogni espressione, profittando altresì della libertà che gli davano i subbietti nel giuoco delle ombre; talché le due tele piacquero a' suoi giorni e piacciono tuttavia pel complesso di queste doti, che se non sono le più sostanziali in chi dipinge, son però quelle che fanno fede d'un genio pronto, originale, capace di aggiungere l'eccellenza. Ma lo rattenne il malo gusto del secolo e l'impazienza dell'ingegno.
L'Oratorio fu soppresso, come ogni altro, nel 1811, ma con sollecitudine ristabilito da' confratelli indi a tre anni, come accenna uno scritto ch'è sopra la porta."
Di tutta la bellezza e delle opere dell'interno dell'Oratorio descritte dall'Alizeri una pala d'altare si è salvata e la si può ammirare nel narcete dell'Oratorio di San Giacomo della Marina in Via Mura delle Grazie: è "La Trinità e SS. Pio V e Vincenzo Ferreri", opera di Francesco Sasso.

(foto di Antonio Figari)

L'oratorio colpito dai Bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale



20. Santa Maria, San Bernardo e SS. Re Magi

(Foto di Antonio Figari)

Una lapide marmorea sopra il portone del civico 37 in Via di Santa Maria di Castello richiama alla nostra memoria l'antico Oratorio di Santa Maria, San Bernardo e dei Santi Re Magi.
Esso sorgeva in Via di Santa Maria di Castello, poco sopra la Piazza di Santa Maria in Passione.
Oggi lo spazio una volta occupato dall'Oratorio è divenuto uno spazio pubblico desolatamente vuoto e nulla fa pensare che proprio qui sorgeva uno dei tanti oratori della Superba.
Alizeri nella sua guida così ci introduce a questo oratorio: "Piegando d'un tratto a sinistra, troviamo l'oratorio dedicato a Santa Maria, S. Bernardo e SS. Re Magi, della cui fondazione non abbiamo autentiche notizie, costretti a starcene all'autorità della confraternita, che non ha molto scrisse sulla porta insiem col titolo la data 1309. Aggregazione  non molto antica è la compagnia sotto l'invocazione de' santi Re, la quale consolidò colla prima il titolo e gli uffizi".
Come ci racconta l'Alizeri il titolo di SS. Re Magi in realtà è frutto di un'unione di questo oratorio a quello dedicato alla Vergine e a Bernardo. L'oratorio dedicato a Tre Re infatti sorgeva in un altro punto dei vicoli di Genova, nell'omonima via che ancora oggi fiancheggia la Chiesa di Sant'Agostino, lato Piazza delle Erbe.
Tra le meraviglie di questo oratorio vi era la volta affrescata da Tavarone e tre quadri raffiguranti i Re Magi provenienti dall'omonimo oratorio e qui portati quando vi fu l'unione dei due oratori. 
Le uniche opere ancora esistenti di questo oratorio sono il gruppo ligneo della Beata Vergine, con Gesù Bambino in braccio, angeli ai suoi piedi e San Bernardo, che fu acquistato dai Domenicani di Santa Maria di Castello nel 1884 e che è oggi conservata nella sacrestia di questa chiesa,  e "un Crocifisso che or vedesi sull'altar maggiore della chiesa della SS. Annunziata di Portoria", come ci racconta il Tavella nel suo manoscritto. Sempre secondo quest'ultimo, entrambe le opere sono da attribuire a G. B. Gaggini da Bissone detto il Veneziano.


(foto di Antonio Figari)

Tutto ciò che rimase dell'oratorio dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale

 

21. San Donato o dell'Arciconfraternita della Morte

Lapide in Vico Biscotti
(foto di Antonio Figari)

In Vico Biscotti, appena dietro la chiesa di San Donato, sul muro di un moderno palazzo edificato nella seconda metà del XX Secolo c'è una grossa lapide: qui un tempo sorgeva l'oratorio di San Donato dove aveva sede l'Arciconfraternita della Morte.
L'origine di questa confraternita si fa risalire al 1350 quando nel chiostro di Santa Maria di Castello si stabilì una confraternita sotto il titolo della Beata Vergine, che in seguito fu divise in tre congregazioni (di cui una è questa descritta ed un altra quella presso la chiesa di santa Sabina). 
Compito dei disciplinanti, i quali "portavano una cappa nera nel cui lembo era segnato un piccolo teschio e due femori colle iniziali S.D.V. (Societas Diei Veneris), che nel 1584 verranno sostituite da un croce di color turchino", come ci racconta il Novella, era la sepoltura dei poveri defunti.
La confraternita salì di numero ammettendo al suo interno anche consorelle e, dopo un primo trasferimento nel 1584 in San Salvatore (dove iniziò a chiamarsi Compagnia della Morte), poi in Sant'Agostino, con l'assenso di Papa Urbano VIII nel 1637 si trasferì in San Donato dove nel chiostro fu eretto, su disegno di G.B. Garrè, l'oratorio, benedetto e aperto al pubblico il 15 agosto 1638.
L'interno fu affrescato nel 1680 da Gio Andrea Carlone con la Resurrezione dei Morti sulla volta, la Trinità nella Cupola e i quattro profeti nei peducci per un costo totale di 6300 lire.
L'oratorio subì gravi danni dal bombardamento del Re Sole del 1684 quando, a causa del fuoco, si fusero molti argenti tra i quali due scheletri lavorati in argento dall'orafo e cesellatore Felice Porrata, famoso per essere l'autore del tabernacolo della Cassa del Corpus Domini del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo.
Nel 1825 furono eretti due altari laterali su disegno di Carlo Barabino.
Tra i quadri si segnalavano una "Deposizione con San Giovanni Battista e San Nicola da Tolentino" opera di Agostino Bombelli da Valenza, oggi conservata nel Museo Diocesano di Genova, e in sacrestia una "Deposizione di Croce" opera di Castellino Castello. Vi era anche una statua lignea dell'Immacolata attribuita al Maragliano.
Nel 1885 fu posta in facciata una grande lapide (oggi visibile in Vico Biscotti come vi raccontavo all'inizio di questo paragrafo) che racconta l'impegno dei confratelli (all'epoca 86) di questa antica istituzione che in prima persona si esposero nell'esercizio della carità durante la pestilenza che colpì Genova nel 1656. Ecco cosa è scolpito su detta lapide:

NELLA PESTILENZA DEL MDCLVI IN GENOVA
LXXXVI CONFRATELLI DELLA MORTE E SEPOLTURA DI CRISTO
PROFFERSERO MAGNANIMAMENTE LE VITE
A SEPPELLIRE GLI APPESTATI CADAVERI
I NOMI DI QUEI GENEROSI RIMASERO OLTRE DUE SECOLI
QUASI IGNORATI NELLE SCRITTURE DOMESTICHE
PUR FINALMENTE APPARIVANO IN TABELLA EPIGRAFICA
NEL NOSTRO VESTIARIO
ED OGGI XIII APRILE MDCCCLXXXV
IL CONSIGLIO DEL SODALIZIO
IN SEGNO DI PIU' DEGNA ONORANZA DECRETA
CHE LA DIMESSA TABELLA
SIA RIPETUTA IN MARMO ED IN PUBBLICO
LXIV PERIRONO DI CONTAGIO NELL'OPERA SANTA

(segue elenco dei nomi dei 64 confratelli deceduti)

XXII SCAMPARONO 

(segue elenco dei nomi dei 22 confratelli che sopravvissero)

DI QUEL TEMPO
LAURA VIOLANTE PINELLI E SOFIA LOMELLINI
MATRONE ILLUSTRI E CONSORELLE NOSTRE
SI CHIUSERO NELLE SPEDALE DI S. COLOMBANO IN GENOVA
PER SOVVENIRE AI MALATI DI PESTE
E DI PESTE MORIRONO
OH GLORIOSE OH BEATE!

Come ricorda la lapide marmorea, ben 64 confratelli morirono: tra di essi in particolare sono ricordate le consorelle Laura Violante Pinelli e Sofia Lomellini, due nobili che decisero di dedicare la loro vita agli appestati curandoli nell'Ospedale di San Colombano, altro nome per indicare l'ospedale degli Incurabili (a questo proposito vi rimando alla pagina dedicata a gli EDIFICI pubblici per approfondire la storia di questo e degli altri ospedali cittadini). Detto ospedale sorgeva lungo l'attuale Via Ettore Vernazza (quest'ultimo fu un grande genovese la cui generosità contribuirà a far nascere proprio questo ospedale destinato ad accogliere coloro che venivano rifiutati dall'ospedale di Pammatone perché non più curabili). Non è un caso poi che due traverse tra Via Vernazza e Via XX Settembre portino i nomi di queste due grandi genovesi che, nonostante la loro agiata posizione sociale, vollero sacrificare la loro vita per dare conforto ad altri genovesi: due figure che andrebbero ricordate più spesso anche al fine di tramandare il loro esempio alle future generazioni. 
Anche durante l'invasione austriaca del 1746 e nell'assedio di Genova del 1800 molti confratelli morirono compiendo il loro pietroso compito (le cronache ci raccontano che ogni giorno i confratelli arrivavano a seppellire fino a 14 morti).
Nel 1811 l'oratorio venne chiuso come tuti gli altri ma fu riaperto e potè tornare ad operare già solo dopo nove mesi.
Il pietoso compito del gratuito accompagnamento alla sepoltura dei poveri defunti, scopo di questa confraternita, cessò definitivamente quando, nel 1851, con l'apertura del cimitero di Staglieno, il Comune di Genova avocò a sè questo compito. 
Nel 1900 la confraternita si unì alla "Veneranda Compagnia di Misericordia", che aveva come scopo l'assistenza morale e materiale dei carcerati e che era stata fondata presso l'oratorio di Sant'Ambrogio nel 1464.
Curioso il fatto che questa unione aveva avuto, per così dire, un precedente: nel 1797 infatti alla Confraternita della Morte fu affidato anche l'incarico dell'assistenza  ai condannati a morte e della loro sepoltura poiché la Compagnia della Misericordia, che aveva questo scopo, era stata chiusa proprio in quell'anno. Con il ripristino di quest'ultima nel 1825, questa pietosa pratica tornerà ad essere dai confratelli della stessa praticata.
I bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale del 6 novembre 1942, come documentano le immagini qui di seguito, rasero al suolo l'oratorio.













Oggi, in una palazzina edificata sulle macerie dell'antico oratorio, la Compagnia della Misericordia continua la sua "attività di assistenza a favore di carcerati, ex carcerati e loro famigliari all'esclusivo scopo di perseguire finalità educative e di solidarietà sociale" (così recita l'articolo 2 del suo statuto). 
Nella moderna sede sono ancora conservate alcune opere appartenenti all'antica Arciconfraternita della Morte: oltre ad arredi sacri, nella cappella è conservata una copia della "Deposizione" del Bombelli, il cui originale, ancora di proprietà della confraternita, è oggi conservato nel Museo Diocesano di Genova.
Una porzione del ciclo di affreschi del Carlone, che furono staccati e portati in salvo dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, sono stati di recente restaurati e oggi sono collocati nel corridoio accanto alla Sala Quadrivium presso la chiesa di Santa Marta.
 
 
22. San Giuseppe
 
Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", racconta che accanto all'oratorio di San Donato, sopra descritto, vi era l' "ORATORIO DI S. GIUSEPPE, la cui immagine ha dipinta nella tavola all'altare Domenico Piola.". Il dipinto di cui ci parla il Ratti, eseguito per volere della confraternita che qui aveva sede, è ancora oggi conservato nella chiesa di San Donato, nella cappella di San Giuseppe, la quale occupa gli spazi dove un tempo vi era questo oratorio.


23. San Giuseppe de' Falegnami

Il Ratti, dopo aver descritto la chiesa di Sant'Agostino, scrive che "piegando alla dritta della piazzetta della Chiesa, scenderete giù per la via volgarmente detta lo stradone, e troverete a dritta l'ORATORIO di S. GIUSEPPE de' Faleganmi, il cui Santo ha colorito entro la volta Giuseppe Galeotti; le tavole ad olio sono d'un certo Lavagna Lombardo: e poco più a basso di quello, sempre a dritta tenendovi, entrerete nel Vico del fico (...)".
Da quel che leggiamo, sembrerebbe che vi fossero due oratori quindi dedicati a San Giuseppe, poco distanti tra loro.


24. Sant'Antonio Abate della Marina

Oratorio di Sant'Antonio Abate alla Marina
(foto di Antonio Figari)

La lapide marmorea e la statua di Sant'Antonio sopra l'ingresso principale dell'Oratorio
(foto di Antonio Figari)

Edificato subito sotto Piazza Sarzano, tra le Murette e le Mura delle Grazie, l’oratorio di Sant’Antonio Abate, sede dell’omonima casaccia,  risale al XVII secolo.
La splendida quadreria, a differenza dell'oratorio di San Giacomo della Marina, di cui Vi parlerò nel prossimo paragrafo, oggi purtroppo è in gran parte dispersa.
Soppresso nel periodo napoleonico, fu riaperto nel 1816 e nel 1828 subì un profondo restauro interno ad opera di Carlo Barabino con la collaborazione dello scultore Ignazio Peschiera.
Tra le meraviglie ancora presenti nell’oratorio ricordiamo una tavola coi "Santi Antonio e Paolo eremita" opera di Luca Cambiaso  ed il "Cristo Bianco" (1710) di Anton Maria Maragliano.



Il "Cristo Moro", crocifisso processionale opera di Domenico Bissoni (1639) in legno di giuggiolo, legno naturale di un caldo marrone scuro, reso lucente come metallo dalla lucidatura, molto noto all’epoca dello splendore delle Casacce anche per il rivestimento di tartaruga con decorazioni in oro e argento usati per la croce, e la splendida cassa processionale raffigurante "San Giacomo Maggiore che abbatte i Mori", opera di Pasquale Navone, la cosa che più mi piace dell’intero oratorio e quella che secondo me da sola vale una visita all’Oratorio (peccato non sia più portata in giro per il quartiere come avveniva una volta, anche se il soggetto, come mi suggeriva un vecchietto che ho incontrato sulla porta dell’oratorio, sarebbe poco gradito ai tanti musulmani che abitano ora in zona) provengono entrambi dall’Oratorio di San Giacomo delle Fucine, sopradescritto, demolito nel 1872 per il tracciamento di Via Roma.
E a proposito della magnifica cassa processionale del Navone, le cronache raccontano che ci volessero 36 persone per sorreggerla quando veniva portata in processione nel quartiere e che fosse piuttosto complicato raggiungere Piazza Sarzano: i portatori della cassa infatti dovevano uscire dalla porta principale dell'oratorio, infilarsi nell'osteria che sorgeva di fronte, quindi ruotare e risalire così verso la piazza, manovra tutt'altro che semplice visto il peso della struttura e il dislivello tra l'oratorio e Piazza Sarzano.


La cassa processionale di "San Giacomo che sconfigge i Mori" opera di Pasquale Navone
(foto di Antonio Figari)


Osservare i personaggi scolpiti dal Navone nella cassa processionale del Santiago Matamoros, è un po' come trovarsi difronte a coloro che abitavano nei vicoli nel XVIII Secolo: erano infatti i popolani i modelli per queste sculture.
Ed in tanti loro volti, rivedo coloro che abitano oggi nei miei amati vicoli.


Particolare della cassa processionale
(foto di Antonio Figari)

Particolare della cassa processionale
(foto di Antonio Figari)


Particolare della cassa processionale
(foto di Antonio Figari)


Particolare della cassa processionale
(foto di Antonio Figari)


La cassa del Navone, il Cristo del Bissoni sulla destra  e sullo sfondo l'altare dell'oratorio
(foto di Antonio Figari)

Il portone d'ingresso e sopra l'organo
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta dell'Oratorio
(foto di Antonio Figari)



25. San Giacomo della Marina

La targa marmorea sopra l'ingresso dell'Oratorio di San Giacomo della Marina
(foto di Antonio Figari)
 

Edificato nel 1403, come ci ricorda la lapide di fondazione, lungo le Mura delle Grazie, lambite fino al XIX secolo dal mare, l'oratorio di San Giacomo della Marina rappresentava una tappa importante per i pellegrini in cammino verso Santiago de Compostela. 

La lapide di fondazione
(foto di Antonio Figari)
Quello che vediamo oggi non ha più nulla dell'antico edificio romanico delle origini ed è frutto degli abbellimenti compiuti in epoca barocca, epoca in cui la Confraternita di San Giacomo della Marina godeva di grande prestigio e potenza.
L'oratorio si presente in un'unica navata, illuminato da grossi finestroni polilobati in stile settecentesco, e impreziosito alle pareti da una serie di quadri eccezionali rappresentanti scene di vita di San Giacomo opera dei migliori artisti dell'epoca.
Eccovi chi sono gli artisti e le loro opere: 
- Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto ("San Giacomo che abbatte i mori"), la tela che più amo tra quelle esposte; 
- G.B. Carlone ("San Giacomo apre le porte di Coimbra a Re Ferdinando" e "San Giacomo, andando al martirio, risana un paralitico");
- Valerio Castello ("San Giacomo battezzato da San Pietro" e "vocazione di San Giacomo");
- Giovanni Domenico Cappellino ("San Giacomo predica al popolo" e "l'Immacolata");
- Domenico Piola ("Martirio e gloria di San Giacomo"); 
- Giovanni Lorenzo Bertolotto ("San Teodomino, Vescovo d'Adria, fa tagliare un bosco per cercare le spoglie di San Giacomo");
Orazio de Ferrari ("La Vergine del Pilar appare a San Giacomo" e "San Giacomo consacra San Pietro Martire, vescovo di Praga")
- Aurelio Lomi ("Giacomo e Giovanni presentati a Gesù").



Lo spendido interno dell'oratorio
(foto di Antonio Figari)

Stucchi e affreschi abbelliscono tutte le pareti ed il soffitto.
Vi sono poi due crocifissi alle pareti: uno del Bissone ed uno della scuola del Maragliano.
La  cassa processionale che troneggia in mezzo all'aula è opera del marsigliese Honorè Pelle (1677) e raffigura "Cristo risorto che appare a San Giacomo e San Leonardo suo discepolo": essa proviene dall'Oratorio dedicato a questi due Santi (di cui trovate la storia al paragrafo 44 di questa pagina) che si trovava presso la Darsena nella località chiamata ancora oggi Santa Limbania, oratorio demolito per la costruzione della Carrettiera Carlo Alberto (l'attuale Via Gramsci).

La cassa processionale del Pellè
(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)
 

Questo oratorio aveva una propria cassa processionale raffigurante "La Madonna del Pilar che appare a San Giacomo", commissionata dai confratelli a Domenico Parodi che la eseguì con la collaborazione di Agostino de Negri, che fu venduta nel 1891 alla Parrocchia di San Giacomo di Cornigliano dove ancora oggi si trova in una nicchia dell'abside. Sempre in questa chiesa è conservato un crocifisso seicentesco forse proveniente anch'esso dall'oratorio della Marina.
La Seconda Guerra Mondiale danneggiò questo edificio ma risparmiò miracolosamente la quadreria che possiamo ancora oggi ammirare grazie anche ad un accurato restauro degli anni '90 del Novecento che ha riportato tutto l'oratorio al suo antico splendore.


L'oratorio di San Giacomo della Marina
(foto di Antonio Figari)


 
26. N.S. del Rosario a S.M. di Castello

L'interno dell'Oratorio di N.S. del Rosario a S.M. di Castello
(foto di Antonio Figari)


La prima sede di questa confraternita, nata nel XVI secolo, fu nella chiesa di Santa Maria di Castello dove avevano sepoltura i confratelli nella cappella dedicata a San Domenico.
Nei secoli ad essa si unirono altre confraternite tra le quali quella di N.S. del Rosario che aveva sede presso San Domenico.
La confraternita all'inizio del XIX Secolo acquistò, nelle vicinanze della Chiesa di Santa Maria di Castello, un piccolo locale di proprietà del Convento di Santa Maria delle Grazie dove ancora oggi ha sede (al civico 12 di Salita alla Torre degli Embriaci).
All'esterno una piccola lapide marmorea ovale sulla porta d'ingresso reca lo stemma mariano e il nome della confraternita.
Varcata la soglia si entra in un ambiente con un altare dal lato opposto all'ingresso dove troneggia una statua della Madonna opera di Anton Maria Maragliano. 
La grande cassa processionale, che ancora oggi si può ammirare nell'Oratorio, raffigurante N.S. del Rosario, è opera di Giovanni Maragliano, nipote di Anton Maria.

La cassa processionale dell'Oratorio di N.S. del Rosario a S.M. di Castello
(foto di Antonio Figari)


Particolare della volta dell'Oratorio di N.S. del Rosario a S.M. di Castello
(foto di Antonio Figari)

Gli affreschi della volta sono opera di Michele Canzio.
Nel piccolo locale a sinistra dell'Oratorio sono conservate le lunghe aste che sorreggevano il baldacchino che sormontava la cassa processionale durante le processioni.
Nella stanza a destra dell'Oratorio una piccola porticina conduceva, attraverso un passaggio sotterraneo, alla Chiesa di Santa Maria di Castello.    
L'oratorio, rimasto chiuso per lungo tempo, riaprirà alle visite, come mi è stato riferito dal Priore, ogni ultimo sabato del mese.
 
 
27. Sant'Orsola
 
Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", dopo aver parlato del "PALAZZO de' Signori Brignole Sale" e della "contigua a quello palazzo (...) famosa Torre, detta degli Embriaci" scrive che "a' fianchi, ossia dal lato destro del palazzo medesimo è situato l'ORATORIO DI S. ORSOLA, che nella volta a fresco colorita da Imperial Bottini Genovese, mostra il mistero dell'Immacolata Concezione della Vergine, ed all'Altare una tavola di s. Orsola d' Antoniomaria Piola.". Di questo oratorio oggi nulla rimane, mentre troverete ancora qui un vicolo intitolato a questa santa.


28. SS. Pietro e Paolo  (a San Bernardo)

L'ingresso dell'Oratorio dei SS. Pietro e Paolo
(foto di Antonio Figari)

In Piazza San Bernardo, dirimpetto a quella che fu la chiesa ed il complesso monastico di San Bernardo, ora occupato da un bar al piano terreno, e da una scuola pubblica e appartamenti ai superiori (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la storia di questa chiesa),  sopravvive un antico oratorio intitolato ai Santi Pietro e Paolo.
Ecco come lo descrive l'Alizeri: "l'Oratorio de' SS. Pietro e Paolo, nel quale uffizia una congregazione di Sacerdoti secolari, fondata nel 1486 da Sperindeo Argiroffo Preposito di S. Donato, da G. B. Durante Preposito de' SS. Nazario e Celso, da Giacomo de' Guarchi Rettore di S. Giacomo in Carignano, e da Pietro de' Grossi Rettore di S. Paolo in Campetto. Paolo Campofregoso arcivescovo di Genova ne approvò l'istituzione, che, siccome dura al dì d'oggi, avea per iscopo di sovvenire alle necessità de' poveri sacerdoti confratelli, e alla lor morte provvedere a' suffragi ed alle esequie. Leggo, che la chiesa di S. Donato servì agli uffizi di questa società ne' primordii, ma crescendo in breve tempo il numero degli ascritti, le convenne far ricerca di un locale ove potesse erigere un altare proprio, ed esercitare con miglior agio i doveri del proprio istituto. Instò presso il Capitolo di S. Lorenzo perché le fosse accordato il battistero attiguo al Duomo, e l'ottenne sotto certe condizioni a' 24 di marzo del 1491, come s'ha da istrumento rogato da Baldassarre di Coronato. Quivi stette fino all'apertura del presente oratorio, che deliberò nel 1712, ed ebbe a sue spese ultimato dieci anni appresso. Divisarono in seguito i confratelli di nobilitarne il presbiterio con pitture a fresco, e scelsero Giuseppe Galeotti, il migliore, per non dir l'unico, de' pittori genovesi in quell'epoca infelice che mostra quasi una lacuna nella nostra scuola. Egli espresse nel catino S. Pietro che riceve da Cristo le chiavi dell'evangelica potestà, e la di lui crocifissione e la decollazione di S. Paolo a' lati dell'altare; composizioni che se pur non si lodano per dignità e maestria di disegno, han però e forza e vaghezza quanto ogn'altra che vedremo di lui. Da quest'opere in fuori null'altro in quest'oratorio accenna il Ratti, la guida del quale, sebbene antica e qua e là trascurata, è l'unica finora che si possa svolgere da' genovesi con fiducia di non tornarne beffati. Ma parecchie altre van quivi notate, che certo v'esistevano a' tempi del Ratti stesso, come son le tavole de' tre altari. Delle due laterali co' SS. Giovanni ed Andrea è dubbioso lo stile, nonché ignoto l'autore; nè mi valsero a scoprirlo le molte indagini che ne ho fatte. Potrebb'essere quel G. B. Parodi fratello di Domenico, che pochi saggi lasciò tra noi del suo pennello, e in qualche tratto rassomiglianti a queste figure di apostoli; ma lo sterile soggetto, e la penuria de' confronti mi fan dubbioso in tale giudizio. Per decisi caratteri dobbiamo ascrivere a Paolo Girolamo Piola il quadro dell'altar maggiore in cui veggonsi i due titolari, né l'epoche istoriche ci vietano di crederlo eseguito (com'è probabile) nella fondazione dell'oratorio. Procedo per congetture, e accenno un dipinto in tavola dello stesso argomento ch'è nella sacristia, anteriore al cinquecento per poco che se ne osservi lo stile, e di esecuzione non ingrata benché inferiore a molti altri della sua età. L'argomento di esso, e l'epoca a cui rimonta il lavoro mi fa supporre che questo quadro servisse all'antico oratorio, al quale fin da principio si diede il titolo de' SS. Pietro e Paolo, ed ebbe un altare dedicato a que' santi. Per merito d'arte è superiore a questo e ad ogn'altro quadro notato nell'oratorio un Crocifisso in tavola con Maria, Giovanni e la Maddalena di Luca Cambiaso , opera da attribuirsi al migliore suo stile, e degna d'esser meglio custodita che non fu per l'addietro. Son visibili i danni che ne sofferse, e chieggono un rimedio."
Rispetto alla descrizione dell'Alizeri, sembrano da attribuirsi al Galeotti tutte e tre le tele degli altari all'interno dell'oratorio, autore anche degli affreschi che decorano le pareti.
La pala del Cambiaso raffigurante la Crocifissione, descritta dall'Alizeri, non si trova più nella sacrestia dell'Oratorio ma nel Museo Diocesano di Genova.
Due curiosità non raccontate dall'Alizeri: questo oratorio nasce sulle macerie di preesistenti edifici bombardati e distrutti dalle bombe del Re Sole e fu aperto al pubblico il 1° agosto 1716, giorno in cui si festeggia San Pietro in vincoli.
Sopra l'oratorio vennero costruite alcuni alloggi a servizio dello stesso ancora oggi esistenti.
L'antica Congregazione dei SS. Pietro e Paolo, fondata nel 1486 presso la Chiesa di San Donato, come ci racconta l'Alizeri, la più antica congregazione sacerdotale genovese, è ancora proprietaria dell'edificio che è affidato alla Comunità di Sant'Egidio (i volontari della quale mi hanno permesso di fare le foto che qui vedete) che organizza incontri di preghiera e Sante Messe.

Sopra l'ingresso la dedica ai due Santi
(foto di Antonio Figari)

Sopra l'ingresso la splendida cantoria lignea e l'organo
(foto di Antonio Figari)


L'altare maggiore
(foto di Antonio Figari)

La volta sopra l'altare con "Gesù che consegna le chiavi a Pietro", uno degli affreschi del Galeotti
(foto di Antonio Figari)


29. San Francesco da Paola

All'angolo tra Vico Indoratori e Vico degli Scudai, ancora oggi vi è una antica loggia parte di un palazzo risalente al XII-XIII secolo appartenente ai Camilla e condivisa tra questa famiglia ed i Lercari ad inizio Quattrocento, come ci ricorda una iscrizione  in pietra ancora in loco datata 1 maggio 1411.
La loggia venne successivamente tamponata e trasformata nel XVIII secolo in un oratorio dedicato a San Francesco da Paola. Le fonti ci raccontano che la confraternita che qui aveva sede era nata dall'arte dei musici, formata in gran parte da insegnanti con scarse disponibilità economiche.
Soppresso nel 1810,  i suoi locali vennero ridotti a magazzino. La loggia ritrovò il suo splendore nel XX secolo quando venne restaurata ad opera degli architetti Fera e Grossi-Bianchi.
 
 
30. Santo Sepolcro

(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)

Nei pressi di Via San Luca sorgeva l'Oratorio del Santo Sepolcro.
Il nome del vicolo e della piazza, collocati tra San Luca e Piazza delle Vigne, ne ricordano ancora la presenza in questo luogo. Esso sorgeva proprio nella piazza omonima: era un piccolo scrigno con due volte affrescate da Luca Cambiaso con "Psiche e Cupido in mezzo agli Dei" in una e "Augusto in riva al Tevere mentre le nazioni gli rendono omaggio" nell'altra. Era inoltre presente un bell'affresco del Tavarone raffigurante Mosè.
Purtroppo nulla di questo oratorio è sopravvissuto e possiamo solo immaginare la sua bellezza: un altro angolo dei vicoli che purtroppo non ha resistito ai secoli ed alla scelleratezza degli uomini.
 
 

31. San Giovanni Battista 

Sito in Vico della Rosa, questo oratorio fu edificato nel XVII secolo.
Pochissime le fonti che ce ne parlano e pressoché dimenticata la sua storia.
Oggi i suoi spazi sono occupati dal laboratorio di un negozio di miele.
I volumi del laboratorio corrispondono a quelli dell'antico oratorio ma nulla più rimane a ricordare questa antica casaccia.
 
 
32. Santa Maria degli Angeli

(foto di Antonio Figari)

Di questo oratorio non rimane più nulla se non il nome che ancora lo ricorda nella piazza dove sorgeva, appena sotto Piazza della Meridiana.
L'oratorio dedicato a Santa Maria degli Angeli era uno dei cinque oratori del sestiere della Maddalena ed era ornato alle pareti da splendide tele che sono ora conservate nella sacrestia della Chiesa di San Siro tra le quali spicca l'Ultima Cena di Orazio de Ferrari. Chiuso infatti nel 1811  al divin culto le opere in esso contenute furono trasferite in San Siro.
Nel 1822 divenne sede provvisoria della Biblioteca delle Missioni Urbane, più conosciuta come Biblioteca Franzoniana.
Oggi purtroppo l'oratorio di Santa Maria degli Angeli è solo un ricordo ma visitando la sacrestia di San Siro potrete ancora godervi le splendide tele che lo decoravano.


33. San Filippo

L'Oratorio di San Filippo si trova in Via Lomellini accanto alla Chiesa dedicata all'omonimo Santo.
Varcato il portone e superata la sala d'ingresso Vi ritroverete in una grande aula, trionfo del barocco genovese.
Giacomo Boni ha affrescato la volta raffigurante "Maria sublimata alla gloria celeste" e la tribuna con "San Filippo in colloquio con devoti personaggi" come ci ricorda l'Alizeri.
Sull'altare maggiore troneggia una Madonna Immacolata opera del marsigliese Pierre Puget.


L'interno dell'Oratorio di San Filippo
(foto di Antonio Figari)

Veduta della parete destra dell'Oratorio di San Filippo
(foto di Antonio Figari)

La volta dell'Oratorio di San Filippo
(foto di Antonio Figari)


La splendida Madonna del Puget sull'altare dell'Oratorio di San Filippo
(foto di Antonio Figari)

La volta dell'Oratorio di San Filippo
(foto di Antonio Figari)


 34. Sant'Antonio da Padova al Guastato

Posto in prosecuzione dell'abside della chiesa della SS. Annunziata del Vastato esisteva un tempo un oratorio intitolato a Sant'Antonio da Padova ed innalzato intorno alla seconda metà del XVII secolo grazie alla donazione 50 confratelli tra i quali G.B. Lomellini.
L'interno, di modeste proporzioni, fu interamente affrescato da Giuseppe Palmieri a metà del '700. In particolare quest'ultimo dipinse l'intero soffitto con una Immacolata che, presentandosi pura all'Eterno, faceva precipitare un gruppo di diavoli.  Sull'altar maggiore era conservato un'opera di Domenico Piola raffigurante la "B.V. e S. Antonio di Padova"e ai lati due dipinti di Lorenzo de Ferrari "S. Antonio che predica ai pesci sulla spiaggia di Rimini" e "Il miracolo della mula innanzi al SS. Sacramento" (entrambe le tele del De Ferrari sono oggi conservate nella chiesa del Mainetto di Serra Riccò). 
Apparteneva a questo oratorio, fino alla soppressione del 1811, la cassa processionale raffigurante la "Beata Vergine col Bambino, S. Antonio e Angeli", un tempo attribuita al Maragliano. La stessa sarà acquistata dalla chiesa di santa Caterina di Rossiglione dove ancora oggi è conservata.
L'oratorio viene riaperto nel 1817 e la sua storia continua fino alla seconda guerra mondiale quando viene interamente distrutto nel bombardamento del 13 agosto 1944.
Una curiosità: nel 1672 i confratelli, per decreto del Padre Generale dei Francescani, ottenevano il privilegio di poter essere sepolti nella cappella di Sant'Antonio nella chiesa della SS. Annunziata del Vastato (si tratta dell'altare barocco che si trova nel transetto destro della chiesa e dove, entro una nicchia  con quattro colonne tortili, vi è uno splendido gruppo ligneo policromo su progetto di Pierre Puget con "Sant'Antonio da Padova adorante il Bambino e Angeli"; nella volta e nella lunetta sono raffigurati rispettivamente la "Pentecoste" e la "Incredulità di San Tommaso", opere di Giovanni Carlone).
 
 
35. Morte ed Orazione

In Via delle Fontane, proprio di fronte all'oratorio di San Tommaso, si nasconde un altro gioiello: l'Oratorio della Morte ed Orazione.
Alizeri così scrive: "ora è tempo di visitarne l’Oratorio che è quivi unito alla Chiesa, e che da tal vicinanza prese anche tra il volgo il nome di Santa Sabina. I primordi di questa Compagnia, se crediamo all’Accinelli, nato a Genova il 23 aprile 1700 e morto a Genova il 7 ottobre 1777, si debbono a parecchie persone, le quali smembrandosi dall’antica Confraternita del Venerdì che uffiziava nel Chiostro di S. Maria di Castello si unirono ad altra esistente in S. Vittore sotto l’invocazione di S. Lucia, e congiunte diedero origine a questa, che da principio avea per istituto di seppellire per carità i cadaveri degli schiavi. Tal fondazione può stabilirsi nel 1587, anno in cui l’Arcivescovo Antonio Sauli ne approvò le costituzioni.

In breve tempo con il numero degli iscritti si ampliarono i pietosi uffizi della Confraternita. Non solamente toglievano alle lugubri stanze la spoglia del povero, ma con mano benefica ne soccorrean la famiglia, alleviandone le miserie se non poteano il dolore. Chiesero poi nel 1591 di essere aggregati a quella di Roma del titolo istesso, e l’ottennero, partecipando così ai singolari privilegi onde quella è arricchita. Dirò in breve; sia per gli adulti che a loro concessero i Papi, sia per le caritatevoli opere che li distinguono, poco o nulla differiscono dai Confratelli della Morte presso S. Donato, e mi giova richiamare il lettore all’articolo che riguarda questi ultimi per isbrigarmi con maggior prontezza del presente Oratorio. Uno è lo scopo delle due Compagnie, uno lo zelo, eguale la dignità, pari la stima e le lodi che ambe tributano i riconoscenti cittadini. “L’emulazione, scrive il suddetto Accinelli,  che passa tra queste due Confraternite, le obbliga a stare oculate per maggiormente compiere a quegli obblighi che prescrive la loro instituzione”; ma noi crediamo che’l loro zelo basti al nobil fine che questo scrittore attribuisce a reciproca gara.

L’Oratorio fu costruito verso il 1640 sovra un’area comprata a tal uopo dal Priore di S. Sabina, e nel 1646 vi cominciarono gli uffizi. Nobilissimi restauri ed abbellimenti vi si fecero sul tramonto del secolo scorso (1700), e a quest’epoca appartengono le belle plastiche lavoratevi da Andrea Casaregi. Son quattro statue di Virtù e figure di Putti composte, quelle in altrettante nicchie, queste tra vaghi ornamenti che dalla cornice si levano al volto, e tutto il ricoprono. Non so a quale artista si debbano tali decorazioni; ma lo stile m’induce a riputarle di quel Fozzi che con tana eleganza fregiava intorno al medesimo la gran sala del Pubblico Palazzo.

Le arti del disegno, e specialmente la scultura e l’architettura  per istudio di Genovesi e stranieri cominciavano a sottrarsi alla licenza de’ manieristi, e a produrre copiosi esempi di leggiadra semplicità. Il Casaregi, scultore di più ingegno che fama, non dee segregarsi dalla schiera de’ rinnovatori; chè sebbene non paia libero al tutto da’ vecchi metodi, pur si vendica quel nome con certa grazia di concetti, con un garbo di panneggiamenti ed una disinvoltura di stecco, che fan gradite e pregevoli le poche statue da lui lavorate per Genova.

Con queste osservazioni ho accennati i meriti delle presenti, alle quali è da augurare più lunga età di quella che forse non isperò l’autore, indossando loro i panni con tela imbiancata, eguale alla plastica nell’effetto, ma di più corta durata che non ha questa materia già caduca per se stessa. 

Delle tavole notate dal Ratti a’ due altari non resta che quella della Concezione di Maria a sinistra, bel lavoro di Domenico Piola, trascuro l’altra sostituita all’antica, perché di pennello mal certo, e macchinata in ogni parte di pessimi ritocchi; notando invece una copia della famosa Madonna della Seggiola eseguita, se non erro, da C. G. Ratti nato a Savona il 27 novembre 1737 e morto a Genova il  27 settembre 1795,  e locata quivi sopra i gradini, a cui sta rimpetto un angiolo custode della Bacigalupi.

I quadri laterali all’ingresso della Sancta Sanctorum in diverso stile fanno onore a due maestri. Di Giovanni Carlone è quella dell’Universale giudizio, composta di molte figure, tutte studiate e mosse ed espresse con arte, e dipinte con maestria. L’altra, cioè il Tobia che dà sepoltura ai cadaveri, lavoro di Gregorio Deferrari prende forza espressione ed effetto da un’artificiosa distribuzione di chiaroscuro; talchè da quel tenebrore che domanda l’azione notturna, diradato in parte dalle faci all’uopo del pietoso uffizio, risaltan figure piene di movimento e di verità.

A questo e ad altri pittori ben soccorse l’ingegno per colpire sui primi sguardi l’intelligente, prima che il severo esame della critica si addentri a scrutare le parti sostanziali del contorno e della filosofia."  

Come ci racconta l'Alizeri, l'oratorio fu eretto nel 1640 anche se la Confraternita si era già stabilita nella vicina Chiesa di Santa Sabina dal 1587, anno in cui si fa risalire la sua fondazione poiché proprio in quello stesso anno l'arcivescovo Antonio Sauli ne approvo le costituzioni. La confraternita, come quella della Morte presso la chiesa di San Donato di cui trovate la storia nei paragrafi seguenti, si occupava della sepoltura dei non abbienti, soccorrendone anche le famiglie.
Sotto la direzione dell'architetto Pellegrini intorno al 1780 l'oratorio fu restaurato e proprio in quel periodo abbellito alle pareti dagli stucchi del milanese Carlo Fozzi e nei quattro pilastri che dividevano l'ambiente da splendide statue raffiguranti le "Virtù" opera di Andrea Casaregis.
Purtroppo l'Oratorio fu quasi del tutto distrutto nella seconda guerra mondiale: il 19 maggio 1944 infatti una bomba sfondò la volta e successivamente le macerie del vicino caseggiato trascinarono a terra ciò che restava della volta stessa e degli altari laterali con le loro statue e le altre sculture.



L'oratorio della Morte ed Orazione dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale


Sono invece ancora presenti nell'oratorio, e da soli valgono al visita a questo, il bellissimo altare opera di Francesco Maria Schiaffino risalente al 1738 (dal contratto firmato dall'artista si legge che il tabernacolo fu realizzato su disegno di Lorenzo De Ferrari e che costò alla confraternita 2.220 lire), il "Giudizio Universale" del Carlone nel presbiterio, "L'Immacolata Concezione" di Anton Maria Piola (tela che oggi si presente rettangolare ma che nasceva ovale come ci racconta il Ratti che così l'aveva osservata) e "Santa Lucia", forse opera di Domenico Piola, ai lati della navata. La grande tela di Gregorio De Ferrari che rappresenta l'episodio biblico di "Tobi che dà sepoltura ai morti", un tempo in questo oratorio, è oggi conservata nelle sale del Museo Diocesano di Genova.
Una curiosità: i due angioletti centrali, che vedete nella foto qui di seguito,  furono trafugati nel XX secolo e sono oggi tornati al loro posto dopo essere stati recuperati dai Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.

altare Oratorio della Morte ed Orazione genova
Lo splendido altare dell'Oratorio della Morte ed Orazione
(foto di Antonio Figari)


altare Oratorio della Morte ed Orazione genova
Particolare dell'altare dell'Oratorio della Morte ed Orazione
(foto di Antonio Figari)


Oratorio della Morte ed Orazione genova
Particolare della balaustra davanti all'altare dell'Oratorio della Morte ed Orazione
(foto di Antonio Figari)

Dopo i danni subiti dalla guerra, l'interno dell'oratorio viene restaurato modernamente su disegno di Mario Labo' mentre è rimasta inalterata la facciata ottocentesca.
Attualmente l'oratorio è stato concesso in comodato d'uso al Priorato Diocesano delle Confraternite come ufficio e luogo di culto.

Oratorio della Morte ed Orazione genova
La facciata dell'oratorio della Morte ed Orazione
(foto di Antonio Figari
)

Particolare della facciata con l'iscrizione che ne ricorda il nome
(foto di Antonio Figari)

Particolare della facciata con il simbolo della Casaccia
(foto di Antonio Figari)


 
36. San Tommaso

L'oratorio, nato accanto alla Chiesa di San Tommaso (che si trovava nella zona di Principe vicino alla Villa Doria di Fassolo e di cui trovate la storia nella pagine dedicata a "le CHIESE di GENOVA"), fu trasferito nel 1536, a seguito della costruzione delle Mura Nuove, in Piazza della Nunziata e trovò posto accanto alla Basilica della SS. Annunziata del Vastato. Quando quest'ultima venne ampliata, l'oratorio dovette essere demolito e  venne ricostruito nel 1618, grazie al contributo della nobile famiglia dei Lomellini, nella vicina via, oggi chiamata "delle Fontane", dove ancora è visibile. Era soprannominato "il Duomo degli Oratori" per la sua grandezza ed imponenza.
Accinelli ci racconta che la confraternita si occupava del pietoso ufficio di ministrare agli infermi, ufficio che i confratelli esercitavano fin dagli inizi, quando l'Oratorio si trovava ancora accanto alla Chiesa di San Tommaso e non distante dall'ospedale di San Lazzaro. Oltre al servizio di assistenza agli infermi presso questo ospedale, i confratelli si occupavano anche di dare agli stessi degna sepoltura.

Entriamo nell'oratorio: superato un piccolo portone, sul quale anticamente vi era una affresco con San Tommaso, si accede in uno stretto cortiletto che conduce all'ingresso dell'oratorio, sormontato dalla statua di Sant'Antonio Abate, verosimilmente qui posizionata quando l'oratorio divenne sede della confraternita della Cinque Piaghe che precedentemente aveva sede nell'Abbazia di Sant'Antonio di Pré e di cui trovate la storia nel successivo paragrafo.

Il portone verde costituisce il piccolo ingresso al cortiletto dell'Oratorio di San Tommaso
(foto di Antonio Figari)


L'interno dell'Oratorio di San Tommaso
(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)

(foto di Antonio Figari)

La cantoria in controfacciata
(foto di Antonio Figari)

L'interno dell'oratorio conserva ancora alle pareti la magnificenza dei suoi decori in stucco e le statue degli Apostoli, anch'esse in stucco, poste entro nicchie, risalenti al XVII secolo e opera dell'urbinate Marcello Sparzo; sono invece andate disperse le altre opere, pittoriche e non, che abbellivano questo oratorio come ci racconta l'Alizeri: "Nella moderna soppressione dell'oratorio perdettero le due opere di maggior mole, un cenacolo del Cappuccino, e la macchina in legno scolpita da Marcantonio Poggio". Con la soppressione napoleonica di inizio secolo, si perdono infatti le tracce del Cenacolo di Bernardo Strozzi (il "Cappuccino") e della cassa processionale della casaccia, la "macchina di legno" raffigurante  "San Tommaso che tocca il costato a N.S.", opera dello scultore genovese Marcantonio Poggio, ricordato dai più per la straordinaria cassa processionale della "Decollazione di San Giovanni Battista" conservata nell'oratorio di Morte ed Orazione a Sestri Ponente. Oltre alle opere citate dall'Alizeri vi era anche un Crocifisso del Bissoni, venduto in America, e altre tele (queste ultime oggi conservate, dopo essere state dapprima trasferite nella vicina chiesa di Santa Fede, nella moderna Chiesa di Santa Fede in Corso Sardegna a Genova che dalla chiesa del centro storico dallo stesso nome ereditava titolo e beni).
Nel 1829, dopo esser stato utilizzato per scopi profani quali magazzino per il legname, l'oratorio viene affidato all'Arciconfraternita delle Cinque Piaghe, di cui vi parlo nel successivo paragrafo, confraternita che anticamente aveva sede presso l'Abbazia di Sant'Antonio di Pré (di cui Vi parlo nella pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA).
Purtroppo, come molti altri gioielli di Genova, questo luogo, dopo aver perso la sua funzione di oratorio, è stato utilizzato per le più disparate destinazioni d'uso (prima palestra di una scuola, poi dormitorio per senzatetto e bisognosi) e la sua bellezza rimane ai più sconosciuta.


37. Cinque Piaghe

In un oratorio posto presso la chiesa dell'abbazia di Sant'Antonio di Prè (di cui trovate la storia nella pagina dedicata a le CHIESE di GENOVA) aveva sede la confraternita delle Cinque Piaghe (le Cinque Piaghe son le ferite sofferte da Cristo durante la Crocifissione).
I confratelli si dedicavano al servizio degli infermi, affetti dal "fuoco di Sant'Antonio" (herpes zoster), che erano curati dallo spedale che aveva sede presso l'abbazia. Oltre a questo, gli appartenenti a questa casaccia provvedevano anche a dare degna sepoltura ai defunti. Quest'ultimo servizio divenne l'attività principale della casaccia quando l'ospedale di Sant'Antonio venne chiuso con la nascita del grande ospedale centrale di Pammatone.
Con la soppressione napoleonica del 1811 gli arredi dell'oratorio passarono alla vicina parrocchia di San Sisto.
Nel 1829 i confratelli ottennero dalla fabbriceria parrocchiale di Santa Fede l'oratorio di San Tommaso che da anni era stato ad uso profano destinato divenendo un magazzino di legname.
La storia di questa confraternita, elevata al titolo di Arciconfraternita da Papa Pio VIII, e della sua presenza in San Tommaso  si conclude nel 1896 quando l'oratorio viene venduto ai Padri Gesuiti.
Oggi, come vi raccontavo nel precedente paragrafo, l'oratorio è chiuso al pubblico e in attesa di ritrovare il suo antico splendore e una destinazione che lo renda fruibile al pubblico.
La statua di Sant'Antonio Abate, posizionata entro una nicchia sul portale d'ingresso, fu con tutta probabilità qui posizionata quando l'oratorio divenne sede della confraternita nel 1829.


La statua di Sant'Antonio Abate posta sopra l'ingresso dell'oratorio
(foto di Antonio Figari)



38. Madonna del Rosario 
 
Carlo Giuseppe Ratti, nel volume 1 del suo libro "Istruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura, architettura ecc.", racconta che nel chiostro della chiesa di Sant'Antonio di Prè vi era l'oratorio della Madonna del Rosario "in cui ci sono due tavole di Giovannandrea Carlone mostranti, l'una la Natività della Madonna, l'altra un dei lei riposo nel viaggio all'Egitto: ma questa seconda, sendo l'ultima opera di questo autore, per la di lui morte restò imperfetta. Un'altra tavola pure qui vedrete dello Strozzi di forma ottogona, e questa mostra l'Assunta.". Oggi purtroppo nulla rimane.
 
 
39. V. Strata
 
Poco distante dall'oratorio della Madonna del Rosario, prima di giungere alla chiesa di Santa Fede, come ci racconta il Ratti, vi era lo "ORATORIO della V. STRATA, in cui  conservasi una statua in marmo della Madonna del Rosario di Domenico Parodi.". Anche di questo oratorio putroppo nulla è sopravvissuto fino a noi.


40. Sant'Ugo
 
Il Ratti ci racconta che accanto alla chiesa di San Giovanni di Prè vi era un oratorio intitolato a Sant'Ugo "con una tavola dipinta nel 1516 da Pietrofrancesco Sacco Pavese di maniera molto curata". 
 
 
41. San Giovanni 
 
E' sempre il Ratti a descrivere un'altro oratorio che sorgeva accanto alla chiesa di San Giovanni di Prè ossia "l'ORATORIO DI SAN GIOVANNI, che ha una Madonna del Rosario del già detto Magnasco, padre dello spiritoso Alessandro, e credesi una dele ultime poche pitture sue, daché la morte cel tolse sul fior  dell'età l'anno 1665". 


42. Santa Brigida

"Dopo quello" (ossia l'oratorio di San Giovanni n.d.r.) il Ratti descrive "l'ORATORIO DI S. BRIGIDA, al cui altare è una tavola di Giulio Benso, di cui è ancora il Cenacolo; ma la mezzaluna dipinta a olio con un miracolo dell'istessa santa è d'Orazio Ferrari".


43. Santa Consolata

Questo oratorio, fondato dall'omonima casaccia all'inizio del XV secolo, sorgeva nei pressi della Commenda di Prè, nel vicolo che ancora oggi ne porta il nome e accanto ad una chiesa che portava lo stesso nome (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la sua storia).
Soppresso nel 1811, divenne prima macello poi stalla per cavalli.
In questo oratorio era conservata la reliquia del braccio di Santa Consolata. Altre reliquie della Santa, conservate nella vicina chiesa di Santa Consolata, adiacente all'oratorio, quando questa venne distrutta nel 1534 per erigere le nuove mura della città, furono trasportate in Cattedrale. Dopo la soppressione di questo oratorio nel 1811 anche la reliquia del braccio fu portata in Duomo.
A questa casaccia apparteneva anche una splendida cassa processionale, opera di Anton Maria Maragliano, raffigurante Santa Consolata comunicata da Gesù, oggi conservata nella chiesa dei SS. Remigio e Carlo a Cadepiaggio (Parodi Ligure), una piccola località nel basso Piemonte dove aveva casa la famiglia dei Carlone, dinastia di pittori attivi a Genova.


44. SS. Giacomo e Leonardo

Nei pressi della Darsena, nella località che ancora oggi è chiamata Santa Limbania (così denominata perché secondo la tradizione in questo punto della costa sbarcò la Santa le cui reliquie oggi sono conservate nella chiesa di San Tommaso in Via Almeria), sorgeva uno dei più antichi oratori della città, dedicato a San Giacomo. 
La confraternita che qui aveva sede si dedicava "al pietoso servizio dei lebbrosi dello Spedale di S. Lazzaro, risultando ciò da documenti del 1243" (Paolo Tavella, "Gli oratori di Genova").
Nel XVI Secolo all'originario titolo di San Giacomo si aggiunse quello di San Leonardo quando l'omonima casaccia, che aveva sede presso il Monastero di San Leonardo in Carignano, si trasferisce qui.
L'oratorio viene soppresso nel 1811 e riaperto qualche anno dopo. Nel 1839 l'edificio viene demolito a seguito del tracciamento della Carrettiera Carlo Alberto (l'attuale Via Gramsci). La Confraternita si trasferisce nella chiesa di San Bartolomeo dell'Olivella e lì rimarrà fino a circa il 1860 quando si estinguerà.
Tra le tante opere che avreste potuto ammirare nell'oratorio dei  SS. Giacomo e Leonardo ricordiamo in particolare la cassa processionale opera di Honorè Pelle risalente al 1677 e raffigurante "Cristo risorto che appare a San Giacomo e San Leonardo suo discepolo", oggi conservata nell'Oratorio di San Giacomo della Marina (di cui trovate la storia al paragrafo 7 di questa pagina). 
Una curiosità: fino alla sua demolizione vi era una lapide affissa nell'oratorio che così recitava 

LE SACRE CENERI DEL PRECURSORE
DALL'ORIENTE A GENOVA TRASPORTATE
A QUESTA SPIAGGIA DI CAPO D'ARENA
ACCORSA L'INTERA POPOLAZIONE DELLA CITTA'
SI VIDE L'ANNO DI GESU' 1098

Le ceneri di San Giovanni Battista arrivarono proprio qui, in quella spiaggia che si trovava davanti alla Commenda di Prè, protetta dal promontorio del Capo d'Arena, dove un tempo sorgeva la chiesa di San Tommaso. La lapide marmorea sopra ricordata, una volta demolito l'oratorio, seguì i confratelli nella nuova sede di San Bartolomeo dell'Olivella.
Nel registro "1826 - 1927 LIBRO De DECRETI" dell'Oratorio dei SS. Nazario e Celso di Multedo in un verbale datato 30 giugno 1833 si parla di "12 tabarri di velluto cremisi riccamente in ori ricamati ed altri quattro detti di velluto parimenti cremisi semplicemente però bordati in oro" acquistati dalla Confraternita di San Giacomo e Leonardo di Prè. Ancora oggi esse sono conservate a Multedo.

La cassa processionale opera di Honorè Pellè
(foto di Antonio Figari)

 
 
45. N.S. del Rosario e San Teodoro

Prossimamente Vi porterò alla scoperta di questo oratorio, piccolo gioiello del Barabino, sito in Salita di San Francesco da Paola.


Antica cartolina dell'Oratorio


L'oratorio oggi
(foto di Antonio Figari)


La volta dell'Oratorio di N.S. del Rosario e San Teodoro
(foto di Antonio Figari)


 
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46. Gli oratori "del Suburbio"


46.1 N.S. del Rosario (San Martino d'Albaro)

In spazi oggi adibiti ad attività parrocchiali, annessi alla chiesa di San Martino d'Albaro, un tempo sorgeva l'oratorio di N.S. del Rosario.
Ecco come lo descrive il Tavella: "E' annesso alla chiesa parrocchiale. Dicesi che prima fosse intitolato a S. Francesco Saverio. Fu eretto nel 1648 coll'assenso dell'arcivescovo card. Stefano Durazzo. Fu poi ampliato e riaperto nel 1713 per decreto dell'arcivescovo card. Lorenzo Fieschi.".


46.2 N.S. del Rosario (Marassi)

La confraternita di N.S. del Rosario nasce nella parrocchia di Santa Margherita di Marassi quale confraternita d'altare (ancora oggi sono visibili davanti all'altar maggiore due bocche di sepoltura riservate ai confratelli di N.S. del Rosario).
La costruzione dell'oratorio risale invece agli inizi del settecento quando la chiesa viene ricostruita ed ampliata. E' in questo momento che, con ogni probabilità, i confratelli ottengono un locale adiacente all'abside della chiesa da adibire ad oratorio. 
Il Tavella nel suo manoscritto così lo descrive: "Questo oratorio sorge a fianco della chiesa parrocchiale. Sorse sul terreno già facente parte dell'antico cimitero parrocchiale. Risale ai primordi del 1700, ma la Confraternita che vi ha sede già esisteva un secolo prima risiedendo nell'Oratorio di S. Rocco delle Olivette.
L'Oratorio è di mediocre ampiezza con un solo altare ove è un quadro colla Madonna titolare. Conserva un grande Crocifisso e un gruppo in legno colla Madonna e il Bambino, che si usano nelle processioni, ambedue opere recenti di Antonio Canepa.".
L'oratorio, ad una sola navata, ha un altare in stucco dipinto. Due dipinti del XVII secolo adornano la parte absidale, l'uno raffigurante la "Pietà" e l'altro "San Francesco d'Assisi". L'apparato processionale comprende due Crocifissi, l'uno nero di scuola settecentesca e il Bianco di epoca successiva. Sono risalenti al 1870 due pastorali in argento, raffiguranti "San Domenico" e la "Madonna del Rosario", entrambi opera di Luigi Terrile.
La cassa processionale con la statua di N.S. del Rosario è da alcuni attribuita a Giovanni Battista Bissoni, mentre per il Tavella, come sopra detto, è opera di Antonio Canepa.
Da segnalare infine le preziose vesti processionali, alcune delle quali risalenti al XVIII secolo.
Antistante l'oratorio vi è un piccolo giardino ed il portale che è posto all'ingresso dello stesso è sovrastato da un ovale in stucco entro il quale vi è una bella immagine della Madonna del Rosario.


46.3 San Rocco (località delle Olivette, San Fruttuoso)

In località delle Olivette, una zona che oggi può essere identificata tra corso Galliera e corso Sardegna, dove un tempo vi era un grande uliveto, un tempo vi era un oratorio intitolato a San Rocco.
Ecco come lo descrive Paolo Tavella: "Sorge nella località delle Olivette. Ebbe orgine nel secolo XVI. Se ne ha le prime memorie nel 1589 in un atto del notaro Ambrogio Pallavicino.
Nel 1627 il rettore di S. Fruttuoso Andrea Ivano, lo concesse alla Confraternita di N.S. del Rosario. In seguito l'ebbe la Compagnia dei Dottrinanti.
Nel 1811 venne soppresso e per qualche tempo servì ad uso di teatrino per i dilettanti. Si riaprì nel 1814 ponendovi sede la Confratrnita di N.S. del Carmine che avea proprio Oratorio nel Borgo Incrociati e l'antica (Confraternita) dei Dottrinanti. Per litigi sopravvenuti tra i due sodalizi nel 1825, l'autorità fece chiudere l'Oratorio che riaprivasi nel 1830, solamente con i Dottrinanti.
L'Oratorio piccolo e modesto ha un solo altare decorato colla statua in stucco di S. Rocco. Innanzi a questo Oratorio il 12 Novembre 1804 venne fucilato un certo Giuseppe Musso, detto il Gran Diavolo. Fu un bandito e celebe brigante, per molti anni il terrore della valle del Bisagno. Fu giustiziato in questa località prerché aveva rubato la piccola campana di questo Oratorio.".
Di questo oratorio oggi nulla rimane.


46.4 SS. Nazario e Celso (Multedo)

Antica immagine del Monte Oliveto con al centro l'oratorio e alle sue spalle la chiesa


L'oratorio viene edificato sul sito della primitiva chiesa parrocchiale che nella seconda metà del XVI secolo viene  ricostruita dove ancora oggi la vediamo.

Quest'ultima viene completata nel 1584 mentre l'oratorio, che sarà soggetto ad importanti lavori di restauro, verrà aperto al culto il 28 luglio  1607, festa dei santi titolari.

I Lomellini, che erano proprietari dei terreni ove sorgevano sia la chiesa  di nuova edificazione che l'oratorio, cedono quelli relativo a quest'ultimo alla Confraternita dei Santi Nazario e Celso e questi ultimi a loro volta cedono ai Lomellini il terreno ove sorgeva il loro vecchio oratorio.

La confraternita, titolare di questo oratorio, sarebbe sorta   intorno al 1560 ad opera di due padri carmelitani del convento di Monte Oliveto (il nome del monte dove ancora oggi vi sono l'oratorio e la chiesa).

L'oratorio ha la tipica struttura degli oratorio liguri: una grande aula ad unica navata con tetto a capanna ed ingresso posto lateralmente.

Precede l'ingresso un bel risseu con motivi simbolici e la data 1744 (vi rimando alla pagina dedicata a le ARTI MINORI a GENOVA per approfondire la storia di questo e degli altri risseu presenti a Genova). Sopra il portale vi è invece un bassorilievo in pietra nera di promontorio entro cornice in stucco raffigurante la Madonna del Carmine e i Santi Nazario e Celso risalente al 1690.

Entrati nell'oratorio non si può non rimanere affascinati dal ciclo di affreschi che ricoprono la pareti laterali, la controfacciata e la volta, opera di Lazzaro Tavarone  e risalenti al 1634, raffiguranti tre momenti del Giovedì Santo (la lavanda dei piedi, l'ultima cena, l'orazione nell'orto degli ulivi) e otto episodi della vita dei santi Nazario e Celso (il battesimo di Nazario ad opera di Papa Lino, Nazario che distribuisce i suoi averi ai povevi, Nazario che predica la fede di Cristo (tra i fedeli Celso con sua madre), il processo e la condanna, il mare in tempesta che si placa con le preghiere dei due santi, lo sbarco dei due santi sulla spiaggia della foce a Genova, Nazario che promuove la costruzione di chiese lungo i paesi della riviera di ponente, Sant'Ambrogio che a Milano, dopo aver ritrovato i corpi dei due santi che ivi erano stati martirizzati, li fa trasportare in città. Se osservate con attenzione questi episodi  potrete notare alcuni scorci della Multedo e della Genova seicentesca: nell'episodio dei poveri si vede sullo sfondo l'oratorio di Multedo, la torre dei Villa Lomellini e la chiesa del Monte Oliveto (quest'ultima purtroppo non più leggibile); l'episodio della predica è ambietato davanti alla porta di San Gottardo del duono di Genova e si vede sullo sfondo la chiesa dei SS. Ambrogio e Andrea (comunemente detta del "Gesù"); lo sbarco dei santi è invece ambientato alla foce del Bisagno e si notano il Lazzaretto, una villa e la chiesa di San Nazaro (distrutta con il tracciamento di Corso Italia).

Nell'ultima cena si nota un demone ghignante che tiene una catena alla quale è legato un piede di Giuda e sul basamento di una colonna sulla destra il Tavarone ha lasciato data e firma "LAZARUS TAVARONUS PINXIT ANNO DNI MDCXXXIV".

Al centro della volta (la cui decorazione è molto particolare) Tavarone in un ovale ritrae i due santi "palmiferi" e nella cornice  indica la data 1634 e le iniziali LTF (Lazzaro Tavarone "fecit"). Giovanni Agostino Ratti rinfinisce nel 1749 gli affreschi con disegni floreali, architettonici e ornamentali. Del Ratti è anche la tela sull'altar maggiore raffigurante il martirio dei santi titolari, opera che andava a sostituirne una con lo stesso soggetto andata distrutta al passaggio degli austriaci e dell'esercito del regno di Sardegna nel 1746-47. 

Completano gli interni gli scranni lignei del priore e dei confratelli posizionati sulla parete di fondo e nella parte iniziale delle due pareti laterali.

La cassa processionale della confraternita, raffigurante "Il martirio  dei SS. Nazario e Celso", è opera di Agostino Storace, allievo e nipote di Anton Maria Maragliano (come rivelano i registri parrocchiali che nei conti del 1750-1751 annotano le spese per la cassa processionale citando lo Storace). Un tempo  la stessa era conservata in un locale attiguo all'oratorio. Oggi, dopo un attento restauro ad opera del laboratorio dell'amico Antonio "Nino" Silvestri,  è conservata nella chiesa parrocchiale.

Nel registro "1826 - 1927 LIBRO De DECRETI" dell'Oratorio dei SS. Nazario e Celso di Multedo in un verbale datato 30 giugno 1833 si parla di "12 tabarri di velluto cremisi riccamente in ori ricamati ed altri quattro detti di velluto parimenti cremisi semplicemente però bordati in oro" acquistati dalla Confraternita di san Giacomo e Leonardo di Prè, mentre in un altro verbale 16 marzo 1851 si parla, tra le altre cose, di due cappe e tabarrini per pastorali acquistati dalla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine. Ancora oggi queste vesti sono qui conservate.


Interni dell'Oratorio dei SS. Nazario e Celso
(foto di Antonio Figari)



46.5 San Martino (Pegli)

Ingresso dell'Oratorio di San Martino
(foto di Antonio Figari)

La sua fondazione risale al XIII Secolo. Una prima struttura quattrocentesca fu sostituita dall'attuale del XVIII secolo. 
Sopra la porta di ingresso vi è la statua di San Martino ed ai lati lo stemma della Repubblica di Genova da un lato e quello dei Padri del Comune dall'altro.
Al settecento risalgono gli affreschi della volta e delle pareti ad opera di Giovanni Agostino Ratti, a cui si deve anche la pala dell'altar maggiore con San Martino, San Giovanni Battista e San Benedetto.
Da segnalare un crocifisso ligneo del Maragliano, collocato sull'altare delle anime, le casse processionali di San Martino, opera della scuola del Maragliano, e di Santa Rosalia, e la statua dell'Immacolata, opera del Maragliano.
Sopra gli scranni lignei in noce, ove sedeva il Consiglio, sulla parete opposta all'altar maggiore, troviamo una grande tela di ignoto del 1718 raffigurante "Gesù che pranza a casa di Simone il Fariseo".
Negli armadi dell'oratorio sono ancora conservati gli abiti dei disciplinanti, alcuni dei quali risalenti al XVIII Secolo, momento di massimo splendore di questa casaccia.

La cassa processionale di San Martino
(foto di Antonio Figari)


Particolare di bastone da processione con San Martino che dona il suo mantello al povero
(foto di Antonio Figari)



Il viaggio alla scoperta degli Oratori di Genova non è finito!

(continua...)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

15 commenti:

  1. Esattamente l'oratorio di Sant'Antonio Abate!
    Grazie per la cortese (e prontissima) informazione.
    Francesco M.

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    1. Un piacere aiutare chi vuole scoprir Genova. Ha visto che bella la cassa processionale del Navone e l'interno dell'Oratorio?
      Se Le capita di passar di lì la seconda domenica del mese Le consiglio anche una visita all'Oratorio di San Giacomo della Marina che si trova non lontano da quello di Sant'Antonio Abate lungo le Mura delle Grazie: un'altra meraviglia poco conosciuta dei vicoli della Superba (trova la sua storia al paragrafo 4 di questa pagina).

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  2. Sono un ultraottantenne.amante di Genova che ha molto apprezzato il Suo lavoro. Vorrei comunic. re con Le i prima che la mia memoria cominci a scemare. le mie conoscenze del computer sono molto limitate ma uso normalmente le e-mail. Il mio indirizzoè: pietromerelloòlibero.it Grazie















    vorrei comunicare con Lei prima che

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    1. Caro Pietro,
      sono felice che il mio blog sia di Suo gradimento, le Sue parole mi hanno davvero commosso! Le scrivo subito una mail, ansioso di conoscerLa e di farmi raccontare ciò che Lei sa dei nostri amati vicoli.

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  3. Sabato ho fatto una scappata a Genova per motivi non turistici, ma tornando di corsa verso la stazione di Principe, passando in via Lomellini, sono stata attratta da un portone aperto su un altare magnifico. Ho scoperto così l'oratorio di San Filippo Neri. Purtroppo essendo di corsa mi sono limitata a chiedere orari di apertura alle due gentilissime signore che erano all'ingresso. Una sbirciata frettolosa verso l'interno mi ha già evocato un'atmosfera particolare e un'emozione che solo la visita dal vivo può scatenare. Sarà sicuramente una tappa obbligata la prossima volta che verrò. Continuo a scoprire in Genova una magnificenza unica che penso i più tanti ignorino.

    AMDC

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  4. Una piccola precisazione: casse e crocifissi "processionali", non "professionali";-) Per il resto, ottimo lavoro...
    un caro saluto da un cristezzante

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    1. Caro "cristezzante",
      Ti ringrazio per la precisazione: a volte il correttore automatico decide al posto mio quali parole usare!?!

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  5. Sono una sua ammiratrice settantenne, molto amante di Genova, apprezzo molto il Suo lavoro; mi piacerebbe comunicare con Lei per chiederLe qualche delucidazione ma non sono molto brava nell'uso del computer, riesco solo a comunicare via mail, Le sarei molto grata se mi rispondesse sulla mia mail: cristina.salvatore@alice.it Grazie
    P.S. ho letto che tra qualche giorno sarà il Suo compleanno, mi permetto di farLe tanti auguri.

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    1. Cara Cristina,
      La ringrazio per le Sue parole: sono felice che il mio sito sia di Suo gradimento.
      Ho ricevuto una Sua mail alla quale risponderò al più presto.
      Da ultimo, La ringrazio per gli auguri per il mio compleaano.
      Un caro saluto
      Antonio

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  6. Il tuo blog è molto interessante e ,nonostante mi ritenessi una discreta osservatrice dei vicoli di Genova h scoperto tante cose nuove... Li hai notati i due leoni in marmo sul tetto di un palazzo in Piazza Fossatello? Si vedono andando verso via fossatello. Saluti e continua così Raffaella Figari

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  7. GRAZIE PER TUTTE LE NOTIZIE DETTAGLIATE ANCHE IO GRAZIE A TE HO SAPUTO COSE DEI VICOLI MOLTO INTERESSANTI MI PIACE TANTISSIMO ANDARE A VEDERE SUL TUO BLOG GRAZIE E CHISSA SE CI INCONTREREMO MAI PER I CARUGGI TRA UNA MERAVIGLIA E L'ALTRA CIAO LETI GAGGE

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  8. Blog veramente interessante e ricco di informazioni sui ns vicoli.
    Su una cartina della parrocchia di S.Siro non datata, ma che non riporta l'attuale Via Cairoli, è indicato un "Oratorio dei 4 Incoronati" situato in prossimità della chiesa di S. Francesco di Castelletto(non piùesistente) . Lei dispone di qualche informazione su questo oratorio e sull'adiacente Oratorio SSma Concett(così recita la mappa)? grazie Andrea Biondi

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  9. Buonasera Antonio,
    scopro solo ora il suo blog (meglio tardi che mai) che mi sembra molto interessante. Per quanto riguarda gli oratori di Genova, Le è mai capitato di imbattersi in quello di Sant'Ambrogio. Il mio bisnonno nel 1896 era residente nel centro storico in Vico all'Oratorio di Sant'Ambrogio. Il vicolo non esiste più e non riesco a trovare notizie al riguardo. Confido in Lei. Grazie Patrizia Palla

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  10. Buonasera Antonio, sono una studentessa universitaria della scuola di restauro di Brescia. Le scrivo perchè sarei interessata ad informazioni riguardanti l'Oratorio della Morte e Misericordia della chiesa di San Donato. Cordiali saluti, Marta.

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    1. Cara Marta,
      ho apportato alcuni miglioramenti al paragrafo dedicato all'Oratorio di San Donato aggiungendo molti particolari legati alla storia dello stesso. Spero ti siano sufficienti per le tue ricerche, altrimenti non esitare a scrivermi qui o al mio indirizzo mail.
      Un caro saluto
      Antonio

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