2. Il Palazzo Ducale
4.1 Gli ospedali "diffusi" del Medioevo
4.2 L'Ospedale di Pammatone
4.3 L'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici
8. L'Opera Pia dei putti di San Giovanni Battista (o "Collegio di San Giovanni Battista")
9. L'Asilo Notturno Massoero (ex Caserma dell'Annona)
11. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 9r
12. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 4
15. I mercati
19.9 Il Portofranco
19.11.1 La Stazione Marittima di Ponte Federico Guglielmo
19.11.2 La Stazione Marittima di Ponte dei Mille
19.12 Il Silos Granaio Hennebique
22. La Zecca
23. Il Palazzetto Criminale
27. Il Castelletto
31. La Casa della Gente di Mare
34. Le Terrazze di marmo
35. Le Terrazze di Via Milano
35. Il trasporto pubblico
35.1.1 La Stazione di Principe
35.1.2 La Stazione di Piazza Caricamento
35.1.3 La Stazione di Brignole
35.5 La Funicolare Zecca-Righi
35.6 La Funicolare di Sant'Anna
35.7 La Cremagliera di Granarolo
35.8 L'Ascensore di Castelletto di Levante
35.9 L'Ascensore di Castelletto di Ponente
35.10 L'Ascensore Castello Castello d'Albertis - Montegalletto
35.11 Gli impianti provvisori
37. Il cimitero inglese a San Benigno
38. Il tunnel del Tramway di San Benigno
39. La Vaccheria Urbana
1. Il Palazzo di San Giorgio
Il progetto della sua costruzione fu affidato a Frate Oliverio, monaco dell'Abbazia di Sant'Andrea di Sestri Ponente, il quale aveva già progettato il prolungamento a mare del Molo Vecchio e al quale è oggi dedicata la via che separa Palazzo San Giorgio dai portici di Sottoripa.
Qui venne incarcerato Marco Polo, che giunse a Genova dopo la disfatta dei Veneziani a Curzola nel 1298, e qui, secondo la tradizione, il veneziano dettò a Rustichello da Pisa "Il Milione".
Il 1407 è l'anno ricordato dagli Annali: viene infatti fondato il Banco di San Giorgio.
Nel 1571 all'antico palazzo nelle forme gotiche viene aggiunto una nuova ala che trova la sua centralità nella "Sala delle Compere", detta anche "Sala delle Congreghe".
Gli splendidi affreschi della facciata lato mare, opera di Andrea Semino, risalgono al 1590, dopo che l'edificio, danneggiato da un incendio nel 1581, necessitava di un restauro. Alla stessa epoca risale la torre. Successivamente alla torre viene aggiunta una campana, donata nel 1667 dalla Repubblica d'Olanda.
Nel 1606 Lazzaro Tavarone esegue l'affresco centrale della facciata lato mare raffigurante San Giorgio che trafigge il drago. La facciata affrescata che vediamo oggi è frutto del lavoro di Raimondo Sirotto di fine XX Secolo, che ha ripreso gli affreschi eseguiti ad inizio Novecento da Ludovico Pogliaghi che a sua volta aveva reinterpretato gli affreschi ormai quasi del tutto illegibili del XVII Secolo. In facciata, oltre a San Giorgio, troviamo alcune figure storiche della Repubblica Genovese: Il Caffaro, Andrea Doria, il doge Simone Boccanegra (per alcuni si tratta di Guglielmo Boccangra, colui che fece erigere il palazzo), Guglielmo Embriaco (facilmente distinguibile perchè tiene in mano il Sacro Catino), Cristoforo Colombo e Benedetto Zaccaria.
Nella parte alta della facciata verso mare completano la decorazione due busti raffiguranti Giano e Nettuno sovrastati rispettivamente dallo stemma di Genova e quello dei Conservatori del Mare (questi ultimi erano color che erano preposti al governo del porto all'epoca della Repubblica).
Risale al XX Secolo l'apertura dell'ingresso lato mare e lo scalone che collega l'atrio al primo piano, quest'ultimo progettato da Marco Aurelio Crotta.
Leggermente anteriore e precisamente risalente alla fine dell'ottoocento, è l'intervento di Alfredo D'Andrade, autore del restauro che riporta la parte antica del palazzo all'originario carattere medievale con una interpretazione che però diventa molto fantasiosa e ben si allinea al gusto neogotico dell'epoca. Ne è esempio per eccellenza la Sala del Capitano.
Alcune colonne a fianco della facciata lato Caricamento sono mute testimoni di ciò che resta di un antico porticato che collegava Palazzo San Giorgio alla Zecca che qui aveva anticamente sede.
La facciata come si presentava nel 1913 dopo l'intervento del Pogliaghi |
Palazzo San Giorgio oggi (foto di Antonio Figari) |
Particolare della facciata di Palazzo San Giorgio (foto di Antonio Figari) |
La parte medievale di Palazzo San Giorgio (foto di Antonio Figari) |
Particolare del cortile interno di Palazzo San Giorgio (foto di Antonio Figari) |
Un'altra immagine del cortile interno di Palazzo San Giorgio (foto di Antonio Figari) |
2. Il Palazzo Ducale
a. Il palazzo
Palazzo Ducale e la Torre Grimaldina (foto di Antonio Figari) |
La facciata neoclassica costruita nel 1777 che affaccia su Piazza Matteotti (foto di Antonio Figari) |
La Torre Grimaldina vista dalla loggia al primo piano di Palazzo Ducale (foto di Antonio Figari) |
La selva di colonne del cortile di Palazzo Ducale (foto di Antonio Figari) |
Nel 1777 un grande incendio devastò parte del Palazzo Ducale che dovette essere ricostruita negli anni a seguire.
Essi sono i nemici della Repubblica.
Gli otto nemici della Repubblica incatenati in facciata di Palazzo Ducale (foto di Antonio Figari) |
Ecco chi sono (partendo dal primo a sinistra):
b.1 Il pirata Mujahid
Il pirata Mujahid (foto di Antonio Figari) |
Noto anche come Musetto, era un liberto di origine slava che regnava sulle Baleari. Comandante di una grande flotta intorno all'anno Mille conquistò la Sardegna eludendo la sorveglianza della flotta pisana che, in quel momento, era impegnata in Calabria contro altri corsari. Mujahid, approfittando di questo fatto, si mosse poi verso Pisa e saccheggiò parte della città. La risposta di Pisa e il successivo attacco non sortirono effetto nè scalfirono il potere e la forza del corsaro che iniziò ad attaccare le navi in transito nel Tirreno sia dei Pisani che dei Genovesi.
La distruzione della città di Luni nel 1016 ad opera di Mujahid fu la goccia che fece traboccare il vaso: Genova, Pisa e Papa Benedetto VIII si allearono e, dopo aver raggiunto a Luni il pirata lo sconfissero costringendolo alla ritirata.
Mujahid non rinunciò ai suoi propositi, e dopo aver riorganizzato la flotta, ritentò l'assalto alle coste sarde ma fu di nuovo sconfitto dai Genovesi e Pisani e, a seguito di un ulteriore assalto, ucciso.
La sua testa, staccata di netto dal corpo, fu issata su un palo, punizione esemplare che veniva riservata a quell'epoca ai reati più gravi.
b.2 Giacomo Marsano, Duca di Sessa
Giacomo Marsano, Duca di Sessa (foto di Antonio Figari) |
Personaggio della cerchia degli Aragonesi, fu fatto prigioniero insieme al Re Alfonso d'Aragona e ad altri nobili dopo la vittoria dei Genovesi nella acque di Ponza avvenuta nel 1435.
La storia di questo evento mette in risalto il coraggio dei Genovesi e la loro straordinaria capacità nell'arte della guerra in mare.
Essi, sotto il comando di Francesco Spinola, erano accorsi in soccorso di Gaeta attaccata dal d'Aragona che, nel tentativo di strappare la corona del Regno di Napoli a Renato d'Angiò, volgeva verso Gaeta che ancora resisteva. Spinola si mise al comando della città ma l'assedio si prolungava ed il cibo iniziava a scarseggiare.
I Genovesi decisero di intervenire e affidarono il comando della spedizione a Biagio Assereto, notaio convertito all'arte della spada, già noto per altri successi nei mari.
Arrivati al cospetto del d'Aragona, i Genovesi chiesero invano di poter portare viveri agli assediati.
Si arrivò così allo scontro il 5 agosto 1435 nelle acque a largo dell'isola di Ponza: un'aspra battaglia che si protrasse per dieci lunghe ore nella quale i Genovesi, con alcuni ingegnosi stratagemmi, consci della propria superiorità in mare nonostante l'inferiorità numerica, sconfissero il nemico aragonese.
La vittoria andò oltre le più rosee aspettative: i Genovesi tornarono in città con un ricchissimo bottino e 5.000 prigionieri tra i quali il Re Alfonso d'Aragona, due suoi fratelli, Enrico e Giovanni (la madre, Eleonora d'Alburquerque, alla notizia che tre dei suoi figli maschi erano stati fatti prigionieri, morì dal dolore) e molti nobili della sua corte tra i quali il Duca di Sessa.
Alfonso non arrivò mai a Genova a differenza di altri prigionieri, ma, una volta sbarcato a Savona, fu portato a Milano dove, dopo un breve periodo di prigionia, riottenne la libertà.
Non ci è dato sapere il perchè sia stato incatenato in facciata a palazzo Ducale Giacomo Marsano e non il Re Alfonso d'Aragona, il motivo potrebbe ritrovarsi proprio nel fatto che il Re d'Aragona non mise mai piede a Genova, dove invece, secondo le fonti, sbarcò il Duca di Sessa.
b.3 Il corsaro Dragut
Il corsaro Dragut (foto di Antonio Figari) |
Di umili origini, si arruolò poco più che ragazzino nell'esercito ottomano nelle fine di Khayr al-Din Barbarossa, ammiraglio e corsaro ottomano del quale seguirà le tracce divenendo suo successore.
Già conosciuto dai Genovesi che, guidati da Andrea Doria ed insieme ai Veneziani ed altri, contro di lui e il Barbarossa si erano scontrati nella battaglia di Prevesa del 1538, era divenuto in poco tempo il terrore del Mediterraneo con le sue scorribande che non si limitavano alle navi in mare ma spesso anche ai paesi ed ai villaggi della costa.
Nel 1540, nella baia della Girolata in Corsica, arrivò il momento propizio per la sua cattura: accerchiato dalla flotta genovese guidata dal nipote del grande ammiraglio Andrea Doria, il giovane Giannettino Doria, fu da questi catturato e consegnato allo zio. Si narra che Dragut rimase molto contrariato per essere stato catturato da una "donna con la barba" (da un giovane quale era Giannettino).
Andrea Doria lo fece incatenare ai remi della sua nave ammiraglia e lì rimase per quattro lunghi anni nei quali però il corsaro non si perse d'animo covando dentro di sè sentimenti di vendetta.
Venduto come schiavo fu liberato dal Barbarossa in persona dietro pagamento di una grossa somma di denaro.
L'idea di Andrea Doria di venderlo come schiavo, con la possibilità che potesse liberarsi come avvenne, non fu una buona mossa: divenuto nel 1544 successore del Barbarossa al comando della flotta ottomana, da questo momento, a causa della sua spietatezza, fu soprannominato "Spada Vendicatrice dell'Islam". E' il periodo in cui Dragut assalta città liguri come Laigueglia e Rapallo facendo schiavi migliaia di liguri.
Dovettero passare altri vent'anni, nei quali Dragut fu protagonista di numerose scorribande in giro per il Meditteraneo, prima della sua morte avvenuta a seguito di una scheggia che lo colpì alla testa durante l'assedio del Forte Sant'Elmo a Malta il giorno 18 maggio 1565.
b.4 Niccolò Pisani
Niccolò Pisani (foto di Antonio Figari) |
Ammiraglio della flotta veneziana, ebbe la sfortuna di incontrare sul suo cammino i Genovesi.
Ecco i fatti: Pisani con la sua flotta si trovava nella rada di Portolongo presso l'isola di Sapienza, piccolo lembo di terra greco in mezzo al mare a sud est della penisola del Peloponnesso.
Siamo alla terza guerra tra Genovesi e Veneziani che si combattè tra il 1350 e il 1355; per l'esattezza siamo nel penultimo anno di guerra, è il 4 novembre 1354, ed i Genovesi, sotto la guida di Pagano Doria, giungono in prossimità dell'isola di Sapienza pronti a sfidare l'eterno nemico Serenissimo.
Pagano Doria ha da poco battuto i Veneziani a Parenzo dove si è impadronito della spoglie dei martiri Mauro ed Eleuterio (spoglie che saranno portate nell'Abbazia di San Matteo e conservate in un sarcofago marmoreo ancora oggi conservato nel chiostro di San Matteo di cui trovate una foto nel paragrafo dedicato a San Matteo nella pagina de "le CHIESE di GENOVA", e restituite al tempio parentino nel 1933).
Niccolò Pisano fa affiancare e incatenare tra loro venti galee davanti al golfo a difesa dello stesso, mentre egli si posiziona con le sue galee in mezzo al mare pronto a sfidare i Genovesi.
La flotta genovese si divide: mentre Pagano Doria rimane in mezzo al mare lontano abbastanza da non essere visto dai Veneziani suo nipote Giovanni con alcune galee punta al golfo. Pisani vede le poche navi genovesi e lascia che esse avanzino sicuro di poterle circondare e non sapendo che stava giungendo anche Pagano Doria con la sua flotta.
Il comandante delle galee veneziane lasciato dal Pisani a difesa del golfo, vedendo avanzare i Genovesi così velocemente, pensa che Pisani sia stato sconfitto e si arrende ai Genovesi.
A questo punto i Genovesi puntano a Pisani rimasto con le sue galee in mezzo al golfo e in poco tempo circondato anche da Pagano Doria che nel mentre era giunto davanti alla flotta della Serenissima: il veneziano non può che arrendersi e viene fatto prigioniero insieme a moltissimi dei suoi, mentre alcune navi vengono incendiate e altre portate a Genova quale bottino. Le perdite in vite umane si aggirano intorno ai quattromila veneziani caduti in battaglia. Il doge di Venezia Andrea Dandolo muore dal dispiacere appena viene a conoscenza della grave sconfitta subita.
L'ammiraglio veneziano viene condotto a Genova e imprigionato: verrà liberato l'anno seguente quando sarà firmata la pace tra Genova e Venezia e, tornato in laguna, vivrà lì fino alla morte.
b.5 Il Re saraceno Abu-Yahya
Abu-Yahya (foto di Antonio Figari) |
Giacomo I sbarca nell'isola nel 1229, sconfigge Abù Yahya nella battaglia di Portopi del 13 settembre, conquista l'attuale città di Palma nel 1230, e combatte fino alla definitiva resa musulmana nel 1231.
Genova non partecipa direttamente all'assalto dell'isola. Il suo ruolo è molto particolare: il Papa in persona chiede ai Genovesi di non aiutare i saraceni. I Genovesi infatti, come anche i Pisani, frequentavano già l'isola con la quale avevano rapporti commerciali nonostante fosse un regno in mano ai saraceni.
b.6 Enrico d'Aragona
Enrico d'Aragona (foto di Antonio Figari) |
Come già ho avuto modo di raccontarvi Alfonso non giunse mai a Genova, fu consegnato a Filippo Maria Visconti Duca di Milano e dopo un breve periodo di prigionia fu liberato: le fonti raccontano che la stessa sorte toccò ai suoi fratelli Enrico e Giovanni.
Enrico dal canto suo non era nuovo alla prigionia e alle sconfitte: qualche anno prima, nel giugno del 1422, era stato imprigionato a Madrid dove rimase rinchiuso per qualche anno. Fu rilasciato nel 1427 grazie alle pressioni del fratello Alfonso che minacciò di invadere la Castiglia.
Enrico morirà nel 1445 vicino a Saragozza dopo aver tentato invano con il fratello Giovanni di riprendere il controllo della Castiglia per la terza volta in pochi anni.
Non sappiamo il perché lo si sia voluto rappresentare in catene in facciata di Palazzo Ducale poichè probabilmente, come Alfonso, la città di Genova la vide solo dalla nave che lo conduceva insieme ai fratelli nel porto di Savona dopo la disfatta di Ponza.
b.7 Alberto Morosini
Alberto Morosini (foto di Antonio Figari) |
Ecco i fatti: i Pisani, da anni in contrasto con Genova, venuti a conoscenza che parte della flotta genovese era ormeggiata presso Porto Torres in Sardegna, consci della loro momentanea superiorità numerica, puntano alle navi genovesi. Benedetto Zaccaria, che è al comando della flotta genovese, evita lo scontro diretto e punta verso il Mar Ligure dove in sua difesa arriva la restante parte della flotta genovese. I Pisani allora ripiegano verso casa non prima però, in segno di sfida, di aver lanciato frecce d'argento verso le navi genovesi.
La flotta genovese, tutt'altro che intimorita, salpa alla volta di Pisa: è il 6 agosto, giorno in cui Pisa celebra San Sisto, patrono della città, e giornata fioriera (in passato) di grandi vittorie per la città toscana.
La flotta genovese si divide in due: 63 galee guidate da Oberto Doria puntano verso Pisa, mentre altre 30 galee, agli ordini di Benedetto Zaccaria, rimangono lontane e nascoste agli occhi dei Pisani.
Questi ultimi, credendo di essere in superiorità numerica, attaccano i Genovesi ed inizia così la battaglia presso le secche delle Meloria.
Dopo qualche ora di combattimento interviene lo Zaccaria con le sue trenta galee che, prendendo di sopresa la flotta pisana, decide le sorti della battaglia a favore dei Liguri.
Morosini viene condotto in catene a Genova insieme a novemila prigionieri pisani (da lì nacque il detto "se vuoi veder Pisa vai Genova" visto il grandissimo numero di prigionieri pisani condotti in Liguria), i quali vengono rinchiusi in un luogo che d'ora innanzi sarà denominato Campo Pisano: molti di essi, a causa del rigido inverno e delle precarie condizioni nelle quali erano costretti a vivere, morirono e lì vennero seppelliti (si dice che nella zona ancora vaghino i fantasmi dei prigionieri morti di stenti a Campo Pisano: se volete approfondire questa storia trovate un paragrafo ad essa dedicato "5. Le ombre a Campo Pisano" nella pagina de "i FANTASMI di GENOVA").
Una curiosità: tra i prigionieri pisani c'era Rustichello, il quale, condotto nelle carceri di Palazzo San Giorgio, conobbe nel 1298 Marco Polo, arrivato a Genova dopo la disfatta veneziana a Curzola (come saprete egli trascriverà i resoconti di viaggio di Marco Polo dando vita a "Il Milione").
Morosini, insieme a un migliaio di prigionieri pisani, torna a Pisa dopo tredici lunghi anni di prigionia. Lasciata Pisa, fa ritorno a Venezia dove si ritira a vita privata.
Pisa non manterrà gli impegni assunti con la pace firmata nel 1288 e così la flotta genovese, guidata da Corrado Doria, tornerà a Pisa nel 1290 e raderà al suolo il porto infliggendo ai toscani la sconfitta definitiva (per approfondire questo episodio vi rimando al paragrafo "11. La pietra della catena pisana" nella pagina de "le PIETRE parlanti").
b.8 Giacomo I di Cipro
Giacomo I di Cipro (foto di Antonio Figari) |
Re di Cipro, fu catturato dai Genovesi che lo condussero a Genova insieme alla moglie dove rimase per 10 anni.
Ecco i fatti: i Genovesi, i quali avevano interessi commerciali a Cipro, vengono chiamati sull'isola da Eleonora d'Aragona per vendicare la morte del di lei marito, il Re Pietro I.
I Genovesi invadono Cipro nel 1373 e in breve tempo, dopo aver conquistato Famagosta, puntano al controllo dell'intera isola.
Giacomo I, nipote ex fratre di Pietro I, viene indicato da tutti i nobili quale Re dell'isola e sotto la sua guida i ciprioti iniziano la guerra di resistenza ai Genovesi.
Nel mentre tuttavia suo nipote Pietro II firma un trattato di pace con i Genovesi i quali ottengono la città di Famagosta e si portano indietro con loro a Genova Giacomo I con la moglie: questi ultimi rimarrannno, rinchiusi nelle carceri della Lanterna, per ben dieci lunghi anni nei quali la coppia darà alla luce la maggior parte dei loro figli tra i quali Giano I,colui che succederà al padre alla guida nel regno di Cipro, e Ugo, che diverrà Cardinale Arcivescovo di Nicosia (come avrete notato due nomi molto genovesi: il primo si rifà al mitico fondatore di Genova e il secondo a Sant'Ugo che visse a Genova presso la Commenda e di cui un giorno Vi parlerò nella pagina dei "poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI").
Alla morte di Pietro II, il quale non aveva lasciato eredi, il parlamento cipriota decide di affidare il Regno a Giacomo I. I Genovesi acconsentono alla sua liberazione ottenendo in cambio che Famagosta rimanga sotto la sovranità genovese e nuovi privilegi commerciali per la Repubblica.
3. Il Palazzo Arcivescovile
Questo edificio fu costruito nel 1530 (anche se alcune fonti lo fanno risalire a dieci anni prima, mentre Alizeri lo data 1535) su progetto dell’architetto Domenico Caranca (a cui si devono anche altri palazzi nel centro storico genovese) coadiuvato da Giovani Pietro e Giovanni Maria Pessallo.
Una precedente sede era probabilmente collocata a fianco della Cattedrale e ad essa collegata tramite un passaggio aereo (in una loggia al primo piano vi sono alcune antiche colonne in pietra di promontorio con capitelli cubici, forse provenienti proprio da questo edificio).
L’ingresso principale del palazzo affacciava originariamente su Salita dell’Arcivescovado. Nel 1845, dopo l’abbattimento della cortina del vicino Palazzo Ducale, l’ingresso principale viene spostato su quella che diventerà Piazza Nuova, l’attuale Piazza Matteotti.
Superato l’atrio si giunge nel cortile interno sovrastato da un lato dalla mole dell’abside della Cattedrale di San Lorenzo e dall’altro dal loggiato a “L” del secondo piano (sulla balaustra e sulle colonne in marmo di questo loggiato sono stati incisi nei secoli date, lettere, croci, reticolati per giocare a “filetto” e perfino due disegni di chiese, una delle quali forse rappresentazione della Basilica di Carignano, e uno di una imbarcazione).
Un curiosità legata al cortile: se osservate con attenzione la pavimentazione a “risseu” noterete tante cupole (anche se appena accennate) con al centro vetro cemento. Sotto il cortile nel 1956 vennero creati i nuovi spazi del Museo del Tesoro della Cattedrale, progettati da Franco Albini: l’architetto realizzò una grande stanza esagonale al centro con intorno quattro piccole stanze rotonde, uno spazio ipogeo che da una parte richiama nell’architettura le “tholoi”, le antiche tombe micenee, e dall’atra evoca gli spazi sepolcrali delle cripte delle chiese cristiane.
Grazie alle parole dell’anonimo del 1818 scopriamo i vari uffici che qui avevano sede: “Dalla piazza dei Funghi si passa al palazzo Arcivescovile. Per comoda scala ascensesi al piano superiore di esso attraversando il portico di cui è il passo all’Archivio dei Notai e alla Cancelleria arcivescovile. Al primo piano o riposo della scala è il Magistrato di Misericordia e quindi altra scala conduce alla chiesa Metropolitana. All’ultimo ripiano volgendo a destra son gli archivi arcivescovili e le sale d’udienza della Curia ecclesiastica, quindi è l’ingresso all’appartamento di residenza dell’Arcivescovo di Genova. Una gran sala tutta nella volta dipinta a fresco colla rappresentazione di un Concilio sinodale ed altre allegorie annunzia l’ingresso alle altra stanze. A destra è quella alla cappella tutta pure a fresco dipinta nella volta e nelle pareti. L’altare poi di questa è assai ricco in marmi egualmente che belle indorature la rendono cospicua e magnificentissima. Nell’Uffizio di Misericordia è a vedere un bel fresco staccato dalla parete, immagine della SS. Concezione di Domenico Piola. Nell’appartamento arcivescovile sono pure alcuni quadri di buon pennello.”.
Federico Alizeri ci descrive il palazzo così come appariva nel 1875: “Alle attuali misure fu tratto del 1530, per ordine di Marco Cattaneo procuratore del cardinale Innocenzio Cibo e a disegnarne le parti fu eletto il Marchesi da Caranca. Porgeva la fonte alle contrade di San Matteo, laddove infio ai giorni nostri durò l’ingresso. Su questa facciata ebbe decoro di cornici e timpani in pietra di Promontorio, de’ quali vi si veggono ancora assai parti intiere, lavoro di Gio.Pietro e Gio.Maria di Passallo, lodati quadraturisti e statuari. La gran sala conserva pregevoli affreschi con tre storie bibliche di Luca Cambiaso, commessi dall’arcivescovo Cipriano Pallavicino, del quale havvi pure rappresentata la celebrazione del Sinodo sulla parete di fronte.”
L’edificio subirà gravissimi danni dal bombardamento del 19 maggio 1944, danni che non risparmieranno la cappella arcivescovile, poco sopra descritta, di cui oggi rimane solo l’altare, ed il salone con gli affreschi del Cambiaso: dell’apparato pittorico di quest’ultimo si salvò solo la parete con l’affresco del Sinodo Provinciale del 1574, eseguito da Cambiaso nel 1583 poco prima di partire per la Spagna. L’evento religioso descritto nell’affresco è il Concilio della Provincia Ecclesiastica convocato dall’Arcidiocesi di Genova, retta all’epoca dall’arcivescovo Cipriano Pallavicini (che durò in carica dal 1567 al 1586). Al Concilio furono invitati a partecipare le diocesi di tutta la Liguria, del basso Piemonte e della parte settentrionale della Corsica con le diocesi di Nebbio, di Mariana e di Accia. Una curiosità: anche se il Concilio Ecumenico aveva stabilito di tenere i Sinodi Provinciali ogni tre anni, solo dopo oltre quattro secoli, nel 1950, il Cardinale Giuseppe Siri convocherà un nuovo Concilio Provinciale.
Il cortile con, sulla sinistra, i muri esterni dell'abside della Cattedrale (foto di Antonio Figari) |
Antica immagine della facciata dell'ospedale di Pammatone; davanti all'ingresso potete notare il monumento dedicato a Balilla (foto di Antonio Figari) |
Un dipinto di Cornelis de Wael, conservato nel Museo di Palazzo Bianco di Genova, raffigurante l'atrio dell'Ospedale di Pammatone durante la Festa del Perdono |
L'ospedale di Pammatone nasce nel 1422 quando il notaio Bartolomeo Bosco, il cui nome oggi è legato alla via che costeggia l'antico ospedale, acquista tre case in Vico Pammatone e dopo averle fatte restaurare le adatta ad ospedale intitolandolo alla "Beata Vergine della Misericordia". E' questo il nome ufficiale della struttura anche se per tutti esso era semplicemente "l'Ospedale di Pammatone". Questo termine rimanda alla parola greca "Pamathlon" che indicava una palestra di ginnastica. Poco distante dal Pammatone, nei pressi dell'Acquasola si allenavano i balestrieri genovesi.
Ciò che rimane dell'Ospedale di Pammatone, come si presenta oggi, inglobato nelle moderne strutture del Tribunale di Genova (foto di Antonio Figari) |
Il cortile di Pammatone (foto di Antonio Figari) |
Particolare del colonnato superstite di Pammatone (foto di Antonio Figari) |
Lo scalone di Pammatone come si presenta oggi (foto di Antonio Figari) |
La statua di Bartolomeo Bosco, originariamente a Pammatone, oggi nell'atrio dell'Ospedale di San Martino (foto di Antonio Figari) |
Bartolomeo Bosco (foto di Antonio Figari) |
4.3 L'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici
La stessa statua di Ettore Vernazza, opera di Santo Varni, originariamente collocata nell'Ospedale dei Cronici, oggi nell'atrio dell'Ospedale di San Martino (foto di Antonio Figari) |
Ettore Vernazza (foto di Antonio Figari) |
Nella prima metà del XIX secolo, gli spazi del convento di N.S. della Neve (di cui trovate la storia nella pagina de le CHIESE di GENOVA), dopo che le suore a seguito delle requisizioni dei beni ecclesiastici del periodo napoleonico avevano dovuto abbandonare questo luogo, erano divenuti di proprietà dello stato sabaudo.
4.5 Gli Ospedali della Duchessa
Tra le tante opere filantropiche della Duchessa Maria Brignole Sale De Ferrari, voglio in questo breve paragrafo ricordare i tre ospedali da lei voluti e finanziati, tutti facenti parte dell'Opera Pia De Ferrari Brignole Sale ed ognuno di essi destinato ad una specifica categoria di assistiti.
Il primo e più famoso è quello intitolato all'apostolo Andrea e così chiamato in ricordo del suo secondogenito, prematuramente morto nel 1847. A noi tutti come "Galliera", fu costruito ex novo nella zona di Carignano presso l'antico convento della Cappuccine e destinato ai malati "generici" che potevano esibire un certificato di povertà e che risiedevano nel territorio di un comune della Repubblica di Genova all'epoca dell'annessione all'impero francese.
Il secondo ospedale venne costruito sulla collina di Coronata ed intitolato a San Raffaele, in memoria del marito della Duchessa: costruito ex novo su terreni di proprietà dei De Ferrari e nei pressi di una villa della famiglia, fu destinato agli anziani cronici.
Il terzo ed ultimo ospedale voluto dalla Duchessa fu il San Filippo: creato riadattando gli spazi di una villa di proprietà della stessa in Via San Bartolomeo degli Armeni, era destinato a divenire ospedale pediatrico. Fu così denominato perché Filippo era il nome del suo terzo figlio, l'unico che le sopravviverà ma con il quale la Duchessa avrà rapporti molto difficili.
5. L'Albergo dei Poveri
Antica cartolina dell'Albergo dei Poveri |
Fu Emanuele Brignole a volere la sua nascita nel 1652, dopo aver ricevuto l'autorizzazione dal Magistrato della Sanità a scegliere ed acquistare un terreno idoneo alla costruzione di un complesso pensato per l'ospitalità dei cittadini più poveri e disagiati.
Quattro anni più tardi la sua costruzione, da poco iniziata, fu interrotta a causa dello scoppio in città dell'epidemia della peste (vedi la pagina de laGENOVAsotterranea al paragrafo 1 per un approfondimento), epidemia le cui tracce ancora oggi troviamo nelle fondamenta dell'Albergo dove sono seppelliti, si dice, più di 10.000 cadaveri.
Dopo questo tragico evento, che scosse profondamente la città, si pensò di abbandonare il progetto ma fu lo stesso Brignole con una generosissima donazione (si dice di 100.000 lire dell'epoca) a dare l'impulso affinché i lavori potessero essere portati a termine.
Il complesso subì vari ampliamenti: quello che oggi vediamo è l'aspetto che l'edificio assunse nel 1835.
Il frontone della facciata fu decorato nel 1665 da Giovanni Battista Carlone con un affresco raffigurante la Vergine adorata da San Giorgio, Santo Stefano, San Giovanni e San Bernardo di cui purtroppo nulla rimane oggi.
Questo acquerello su carta di Luigi Garibbo ci dà un'idea approssimativa del deterioramento dell'affresco del Carlone nella seconda metà dell'Ottocento |
E' invece ancora oggi visibile in mezzo alla facciata l'affresco del bolognese Paolo Brozzi raffigurante l'arma araldica della città di Genova con i due grifoni ai lati.
Oltre ad essere destinato ad opere di carità, l'Albergo dei Poveri divenne nel 1684, durante i bombardamenti del Re Sole (vedi la pagina de lePIETREparlanti al paragrafo 16 per un approfondimento), sicuro rifugio per i rappresentanti della Repubblica e per molti tesori cittadini quali il tesoro della Cattedrale di San Lorenzo e le ceneri di San Giovanni Battista.
I primi ospiti dell'Albergo arrivarono nel 1666: essi erano cittadini molto poveri spesso non autosufficienti ed in grado di condurre una vita "normale" fuori da lì. Il loro internamento (pochi, pochissimi infatti potevano lasciare l'Albergo sia di giorno che di notte) era scandito dal lavoro, che permetteva all'enorme struttura di autofinanziarsi, e dalla preghiera.
Il lato spirituale della giornata era svolto nell'enorme Chiesa che sorge al centro del complesso, la quale ha due grandi transetti che vedono la divisione uomini, nel transetto di sinistra, e donne, nel transetto di destra, come avveniva già nei corridoi dell'albergo. L'altare della chiesa è decorato da una splendida statua dell'Immacolata opera di Pierre Puget, commissionata all'artista da Emanuele Brignole il quale, nel suo testamento, lascia in eredità detta statua alla Chiesa dell'Albergo. Intenzione del Brignole era che fosse di Puget anche l'altare sottostante la statua, altare che invece verrà eseguito da Francesco Maria Schiaffino nel 1751.
L'albergo è decorato, nell'altrio, negli scaloni, nella grande sala d'ingresso del primo piano e nei corridoi dalle statue e dai busti dei benefattori che permisero la costruzione dell'Albergo dei Poveri.
Nel 1991 è stato siglato un accordo con il quale venne trasferito per cinquant'anni all'Università degli Studi di Genova il diritto di superficie sull'intero complesso.
Il retro dell'Albergo dei Poveri con i giardini trasformati in serre (foto di Antonio Figari) |
Fino a pochi anni fa, l'Albergo dei Poveri non era visitabile; durante i giorni feriali tuttavia il portone principale rimaneva aperto poiché al piano terreno vi era una filiale di una banca e così, memore di quando da piccino ero portato dai miei genitori a Messa qui la domenica, ho più volte varcato la soglia e, in un'atmosfera degna di un film di spiriti e fantasmi, mi son addentrato tra le statue ed i corridoi.
Oggi l'Albergo dei Poveri, dopo un attento restauro (ancora in atto) è visitabile in occasioni di manifestazioni culturali.
La statua di Ettore Vernazza sullo scalone dell'Albergo dei Poveri che conduce al primo piano (foto di Antonio Figari) |
La cassetta per le elemosine posta sotto la statua di Ettore Vernazza (foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
L'atrio del primo piano dell'Albergo dei Poveri e le splendide statue che lo adornano, da me visitato prima degli ultimi lavori di restauro (foto di Antonio Figari) |
La statua di Giovan Francesco Granello, amico di Emanuele Brignole, collocata nell'atrio del primo piano dell'Albergo dei Poveri (foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
Genova vista dall'Albergo dei Poveri (foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari)
L'interno della Chiesa dell'Albergo dei Poveri e la splendida Immacolata del Puget sull'altare (foto di Antonio Figari) |
L'altare della Chiesa dell'Albergo dei Poveri e la splendida Immacolata del Puget (foto di Antonio Figari) |
La cupola della Chiesa dell'Albergo dei Poveri (foto di Antonio Figari) |
Antica immagine della chiesa del Conservatorio delle Fieschine con l'altare addobbato con i fiori finti che qui venivano prodotti |
La prima pietra di questo imponente edificio, progettato da Pietro Cantone coadiuvato dai figli Simone e Gaetano, fu posta il 15 gennaio 1763. Il complesso, le cui dimensioni raggiungono i sedicimila metri quadrati, verrà completato in otto anni. Le sue dimensioni (cinque piani più i fondi ed il sottotetto), che ancora oggi stupiscono, fanno affermare, all’anonimo del 1818 che il Conservatorio sia “il primo stabilimento di Genova, forse senza eguali in Europa”.
La sua collocazione, oggi nel pieno centro della città, era all’epoca della sua erezione ai margini del centro abitato, in una zona dove vi erano per lo più conventi, la maggior parte del quali costruiti nel XVII secolo.
Il Conservatorio fu voluto dal conte Domenico Fieschi (il cui dipinto è conservato in una sala del complesso accanto ad un altro raffigurante invece sua moglie Giovannetta Pinelli).
Lo scopo di questa istituzione è esplicitato nel testamento di Domenico del 9 luglio 1749: “il ricovero e ammaestramento gratuito di zitelle povere, orfane, abbandonate, onde poi, volontarie, ridonarle alla società, fedeli alla religione, care all’industria, di esempio alle loro uguali”. Qui erano ospitate ragazze poco abbienti che in questa struttura potevano imparare a “leggere, scrivere e far di conto” e specializzarsi in un mestiere: requisiti essenziali, l’essere genovesi e, appunto, capaci di apprendere un lavoro; non erano ospitate invece fanciulle invalide o inferme.
All’apice del suo sviluppo il Conservatorio arrivò ad ospitare più di trecento ragazze che, sommate ai maestri e agli inservienti, faceva sì che in questo complesso fossero presenti più di cinquecento persone.
La più famosa specializzazione artigianale di queste ragazze era la creazione di fiori artificiali che porterà anche a numerosi riconoscimenti e premi internazionali.
Al fine di istituire questa Opera Pia Domenico Fieschi nomina erede universale dei suoi “beni mobili ed immobili, luoghi di monti, impieghi, azioni, nomi dei debitori e di ogni altra cosa, niente escluso la Scuola o Conservatorio semplicemente laicale da erigersi sotto il titolo della Immacolata Concezione”.
Domenico morirà il 24 gennaio 1762 e l’anno seguente, come vi raccontavo, inizierà la costruzione del Conservatorio.
All’interno del complesso vi è una chiesa, posta al livello stradale, “disposta al doppio uso, così interno come esterno in pro della popolazione” (così si legge in una relazione della “Guida delle cose notevoli in Genova del 1846”). Particolare è la sua forma a “L”: la navata principale, riservata coloro che qui non abitavano, è molto corta e guarda l’altar maggiore con la statua marmorea dell’Immacolata opera di Pasquale Bocciardo, sormontata dal baldacchino ligneo con lo stemma Fieschi, mentre l’unico transetto, a destra dell’altar maggiore, è molto lungo perché doveva ospitare le tante ragazze che risiedevano nel Conservatorio. L’unico altare laterale, alla sinistra dell’altar maggiore e rivolto verso il transetto, conserva una dipinto raffigurante Santa Caterina Fieschi.
Al piano della chiesa, in una stanza attigua, erano esposti i lavori delle “zitelle” e proseguendo nei lunghi corridoi vi era la scuola per imparare a leggere e scrivere, la scuola del ricamo, quella delle tessiture di lana e seta e altre specializzazioni.
Ai piani superiori vi erano i dormitori, la cucina, l’infermeria.
Guido Banchero nella “Guida Turistica di Genova” del 1846 ci racconta che al terzo piano “un lunghissimo corridoio vi conduce in capo dell’altro braccio a settentrione; quivi sono le tombe delle figlie che muoiono nello stabilimento (…) la Superiora mi additava le tombe. Queste sono praticate nei muri perpendicolarmente e quasi piccole cellette ricevono il cadavere, e quindi una lavagna le copre, ed il fattore ha cura di scrivervi sopra il nome della defunta ed il giorno in cui da questa passò all’altra vita: lo mirava quella singolare costumanza e benediva alle caste intenzioni di quelle figlie le quali cercano per questo mezzo di prolungare la memoria delle loro consorelle e vincere le leggi della inesorabile morte.”. Le nicchie sono ancora oggi chiuse da lastre d’ardesia con i poveri resti delle “zitelle” qui morte che venivano “appese” tramite due stampelle sotto le braccia prima di essere murate.
Oggi l’antica Opera Pia fondata da Domenico Fieschi divenuta nel mentre Fondazione continua, esclusivamente attraverso i proventi derivanti dal proprio patrimonio dotale, la sua attività filantropica sempre incentrata sull’aiuto ai giovani bisognosi e se un tempo qui erano ospitate giovani “zitelle” per imparare un mestiere, oggi la fondazione aiuta giovani studenti con l’ospitalità nella struttura e aiuti concreti come borse di studio.
Alcuni dei grandi ambienti del complesso, così come la chiesa interna, conservano capolavori dell’arte genovese (come molte antiche statuine da presepe) e sono visitabili in particolari occasioni dell’anno. In una stanza al piano della chiesa sono esposti gli antichi strumenti e i libri che venivano utilizzati dalla ragazze per confezionare i fiori artificiali, mentre in una stanza attigua è conservato l’archivio.
7. Il Conservatorio Interiano
Il Conservatorio Interiano fu fondato per volontà di Paolo Battista Interiano (1526 - 1609). Lo stesso, che insieme al fratello Niccolò aveva fatto edificare il palazzo in Piazza Fontane Marose, oggi proprietà Pallavicino (vi rimando alla pagina de i PALAZZI privati (seconda parte) per approfondire la storia di queato palazzo), destinò per testamento una cospicua parte del suo patrimonio per l'istituzione del conservatorio.
Nasce così nel 1609 questa istituzione per ospitare, crescere ed educare "da 15 sino a 20 figlioule vergini", rimaste orfane di entrambi i genitori, di età compresa tra gli otto ed i dieci anni e in stato di particolare disagio economico.
La sua prima sede fu nei pressi di palazzo Interiano in Piazza Fontane Marose. La stessa fu quindi spostata nel 1623 in una casa preesistente adattata all'uso in zona Acquasola o, meglio, "in faccia alla Porta dell'Acquasola" come ci racconta l'Anonimo del 1818. Nel 1855 il palazzo che ospitava il conservatorio fu demolito a seguito delle trasformazioni urbanistiche che portarono alla nascita di Via Assarotti. La sede venne quindi spostata dapprima in Carignano e poi nel 1923 in Albaro in Via Parini 17 nel Palazzo di villa ex Brignole Sale dove ancora oggi si trova.
Quando il conservatorio aveva sede presso l'Acquasola fu eseguita per la sua cappella la splendida pala d'altare della "Annunciazione (Incarnazione)", opera di Bernardo Strozzi oggi conservata in quella che fu la chiesa di Santa Sabina in Via delle Fontane (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la sua storia).
Strozzi fu cappellano di questo conservatorio dal febbraio 1628 ma già in affitto presso lo stesso dal 1626. Qui teneva una scuola di pittura. La pala gli fu saldata nel 1632: fu quindi una delle ultime opere realizzate dallo Strozzi prima della fuga a Venezia nel 1633.
Una curiosità: presso il DIEC (Dipartimento di Economia dell'Univesità di Genova) è conservato il "Fondo Conservatorio Interiano" che si compone di 166 unità archivistiche che documentano l'attività svolta dalla fondazione sino agli anni quaranta del novecento. Se siete curiosi di approfondire l'argomento, il fondo è consultabile previo appuntamento.
"Annunciazione (Incarnazione)", opera di Bernardo Strozzi (foto di Antonio Figari) |
Questo nostro illustre concittadino è ai più sconosciuto. E dire che grazie a persone come lui si potrebbe sfatare il mito della tirchieria genovese!
Nel 1912 Massoero, ricco mercante senza discendenza, decide di lasciare alla sua morte un cospicuo lascito agli Ospedali Civili di Genova perché fosse istituito un dormitorio pubblico.
Scrive Massoero: un “asilo od alloggio gratuito che resti aperto tutta la notte e nel quale a qualunque ora, senza alcuna formalità, possano trovare ricovero quanti si presenteranno” “a sezioni maschile e femminile separate”, “specialmente destinato a quei poverelli che si vedono attualmente fare nottata sotto i portici del Carlo Felice, in Galleria Mazzini, ecc.”., e conclude con questa frase “Ben inteso che se Dio mi manda dei figlioli, questo testamento resta nullo.”
Massoero muore nel 1912 senza lasciare discendenza ma fino al 1922, anno in cui il Comune destina finalmente all’“Opera Pia Asilo Notturno Gratuito Luigi Massoero” la Caserma Annona in Via del Molo, il suo desiderio non viene realizzato.
Dalle cronache dell'epoca sappiamo che già ad ottobre di quell'anno nel Massoero la media di posti occupati è di 235 a giorno.
Un curiosità: nella notte del primo dicembre 1921 le pattuglie delle Regie Guardie contano 322 senza tetto, dei quali ben 63 addormentati nel grande porticato di Palazzo Ducale. Di essi più di un terzo provengono dagli altri Comuni del Regno d'Italia ma non solo: vengono trovati anche cinesi, turchi, spagnoli, inglesi, austriaci, egiziani, estoni, tedeschi ed anche un indiano americano.
Ed ecco la scritta che capeggia a fianco dell'ingresso del Massoero:
L'entrata dell'Asilo Notturno Massoero ed a fianco la targa in ricordo del fondatore Luigi Massoero (foto di Antonio Figari) |
La targa in ricordo di Luigi Massoero (foto di Antonio Figari) |
La targa sopra una porta laterale del Massoero (foto di Antonio Figari) |
10. I Magazzini dell'Abbondanza
Attualmente l'edificio, restituito alla città grazie ad un recente restauro opera dell'architetto Giovanni Spalla che ha dato il suo spunto migliore nella grossa sala che si trova all'ultimo piano formata da una struttura portante interna sospesa in travi di legno lamellare e acciaio, sormontata da una cuspide vitrea che dà luce all'interno e un tocco di originalità per chi la vede dall'esterno, è sede del Centro di Formazione e Ricerca dell'Università degli Studi di Genova.
I Magazzini dell'Abbondanza (foto di Antonio Figari) |
Il portale d'ingresso dei Magazzini dell'Abbondanza (foto di Antonio Figari) |
Esso ha una struttura che ricorda quella di una fortezza, caratterizzata da contrafforti molto robusti: era infatti destinata a sostenere poderose spinte laterali a causa del progressivo asciugamento del sale.
Intorno al 1810 l'edificio viene adibito a ricovero per le truppe francesi.
Colpito dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale, ancora oggi attende di essere recuperato dal suo abbandono.
Particolare dei contrafforti del Magazzino del Sale (foto di Antonio Figari) |
Al civico 4 di Vico Palla, di fronte al Magazzino del Sale descritto nel precedente paragrafo, c'è un altro magazzino del tutto simile per struttura e funzione a quello poco fa descritto: anch'esso infatti, edificato tra la fine del '400 e l'inizio del '500, era adibito a deposito del sale.
In seguito diviene magazzino del tè e nel secolo scorso officina.
A differenza del Magazzino dell'Abbondanza e del Magazzino del Sale sopra descritti, questo edificio è di proprietà privata.
Anch'esso è in attesa di essere riutilizzato e rimane per il momento desolatamente vuoto.
14. La Loggia dei Mercanti
Quella che vediamo oggi fu costruita tra il 1589 e il 1595 su progetto di Andrea Ceresola, detto il Vannone, con la collaborazione di Giovanni Ponzello.
In quell'area, dove avevano sede i banchi dei cambiavalute, già dal Medioevo esisteva una loggia, fatta costruire dai Padri del Comune, dopo che un violento incendio nel 1378 devastò la zona e diede il via alla risistemazione dell'intera piazza.
Venne quindi edificato nel 1415 un primo edificio che, a seguito di un altro incendio, venne sostituito dall'attuale.
All'esterno, colonne doriche binate sostengono archi nei quali sono visibili pannelli ornati con trofei militari. La decorazione scultorea è opera di Battista Carlone, Battista Bagutti, Taddeo Carlone e Battista Orsolino.
La loggia dei Mercanti nel XIX Secolo |
15. I mercati
Tra gli edifici pubblici che descriverò in questa pagina, non posso non accennare ai vari mercati, piccoli o grandi che fossero, che abbondavano nei vicoli della Superba.
Essi erano veri e propri centri di aggregazione dove ogni giorno si ritrovava tutta la popolazione.
Non a caso, già in epoca antica, nelle piazze dove si svolgevano i mercati, si assisteva a pubbliche punizioni per dare alle stesse la più ampia risonanza tra la popolazione.
Di alcuni di essi troverete la storia completa, di altri invece lascerò parlare le immagini.
15.1 Il mercato delle erbe in Piazza della Nunziata
In Piazza della Nunziata vi era uno dei più grandi e frequentati mercati cittadini: carretti, ceste e ogni tipo di merce veniva esposta in modo disordinato in tutta la piazza.
E' forse questo il mercato cittadino più fotografato nell'ottocento: le immagini ci restituiscono tutto il fascino di questa antico centro di aggregazione cittadino.
15.2 Il mercato delle erbe in Piazza delle Erbe
Lavandaie e fruttivendole in Piazza delle Erbe accanto al Barchile |
15.3 Il mercato delle granaglie nei pressi di Piazza della Raibetta
Nei pressi di Piazza della Raibetta, si svolgeva il mercato delle granaglie. Il toponimo trae origine dalla parola araba "reba" o "rayba" che significa letteralmente mercato o magazzino delle biade.
15.4 Il mercato del pesce in Piazza della Raibetta e in Piazza Cavour
Un banco del pesce in "Ciappa Vegia", l'odierna Piazza Raibetta (foto tratta dal sito www.pescheriecontigenova.com) |
Di seguito due immagini dell'edificio in Piazza Cavour che ospitava il Mercato del pesce:
15.5 Il mercato dell'olio in Piazza Raibetta
In Piazza San Domenico si svolgeva il mercato delle erbe, con una sezione speciale dedicata alla vendita dei fiori.
Nella seconda metà del XIX Secolo il traffico veicolare nella piazza iniziava ad aumentare e il mercato iniziò a divenire di intralcio.
Si decise così di dare al mercato un nuovo spazio: nacque così il Mercato Orientale.
Angolo del Mercato delle Erbe in Piazza San Domenico dedicato alla vendita dei fiori |
Nel periodo natalizio, sia qui che in Piazza Umberto I, vi era anche una fiera con prodotti vari.
Banchetti della Fiera Natalizia in Piazza San Domenico |
In Piazza Umberto I, l'odierna Piazza Matteotti, si svolgeva un caratteristico mercatino di Natale (vi erano banchetti sia in questa piazza che in Piazza San Domenico).
Venditrici di figurine del presepio nella Fiera Natalizia in Piazza umberto I |
Banchetti di libri nella Fiera Natalizia in Piazza Umberto I |
Banchetti nella Fiera Natalizia in Piazza Umberto I |
La piazza era occupata da banchetti anche in altri periodi dell'anno come nella domenica delle Palme.
Venditrici di Palme in Piazza Umberto I |
15.8 Il Mercato Orientale
Quello che oggi è il Mercato Orientale una volta era il chiostro annesso alla Chiesa di Nostra Signora della Consolazione ed al convento dei Padri Agostiniani.
Il chiostro, i cui lavori iniziarono nel 1699, non fu mai portato a termine.
Con delibera comunale del 21 ottobre 1893, fu decisa l'apertura del Mercato Orientale (a oriente del centro) riadattando la struttura e gli archi dell'antico chiostro.
Il mercato fu inaugurato il 1° maggio 1899 alla presenza del sindaco Francesco Pozzo.
15.9 Il mercato in Piazza del Carmine
Negli anni ottanta del XIX Secolo, con l'allargamento di una piccola piazza all'incrocio tra le salite di Carbonara e san Bernardino, nasce la Piazza del Carmine.
Nel 1921 qui viene costruita una struttura in metallo in stile liberty per ospitare il mercato rionale che fino ad allora si svolgeva nella vicina Piazza Bandiera.
Il mercato è stato restaurato e messo a nuovo nel 2013 ma purtroppo sono lontani i tempi in cui lo stesso era pieno di banchi e di clienti.
Piazza del Carmine prima che venisse costruito il mercato comunale |
Un'antica immagine del mercato comunale in Piazza del Carmine |
15.10 Il mercato in Piazza Statuto
Nel 1921 venne inaugurato anche il mercato di Piazza dello Statuto: stesso anno e struttura molto simile al mercato del Carmine sopra descritto.
Oggi si discute se eliminare questa struttura, tra le altre cose recentemente restaurata, per dare, per così dire, lo sbocco al mare a Palazzo Reale.
Piazza dello Statuto prima che venisse costruito il mercato comunale |
15.11 Il mercato in Piazza Sarzano
I banchetti in legno in Piazza Sarzano erano ubicati pressapoco nello spazio oggi occupato dal nuovo mercato in ferro battuto inaugurato nel 2013.
I banchetti in legno in Piazza Sarzano |
15.12 Il mercato in Piazza Sauli
In Piazza Sauli, antico slargo incastonato tra Via Giustiniani e Via Canneto il Lungo, c'era un piccolo mercato con banchi di frutta e verdura ancora attivo nel secondo dopoguerra.
Banchetti di verdura e frutta in Piazza Sauli |
In questa piazza dalla forma rettangolare, il cui nome richiamerebbe il titolo di un antico oratorio distrutto nel XVIII secolo, nacque nel secondo dopoguerra un mercatino detto “di Shangai”: qui potevate trovare oggettistica e abiti provenienti dagli Stati Uniti, come i jeans che si vedevano indossati dai cowboy nei film al cinema, gli occhiali da sole “Ray-Ban”, le gomme da masticare Brooklyn, le radioline a transistor o i famosi accendini a benzina Ronson dal loro inconfondibile odore.
Tra le tante cose in vendita, non mancavano le sigarette americane di contrabbando, macchine fotografiche anche di produzione sovietica, i primi 45 giri e le immancabili banane che anche qui, come in tanti angoli dei vicoli, erano esposte su bancarelle improvvisate.
Il mercatino, oltre a ricevere molte delle cose in vendita direttamente dal vicino porto, era anche uno dei più frequentati da coloro che scendevano dalle navi in rada come i tanti soldati americani che qui ritrovavano un piccolo pezzetto di USA tra la merce esposta sulle bancarelle.
A proposito di cinema, il mercatino fa la sua comparsa anche nel famoso film “Le Mura di Malapaga” del 1949: in una scena del film, l’attore Jean Gabin passeggia in mezzo alle bancarelle ed alle sue spalle si vede un uomo che vende una saponetta ad un cliente.
Oggi in Piazza sant’Elena non c’è più il mercatino di Shangai. Nel 2009, sempre lungo Via Gramsci ma più a ponente, in Piazzetta dello Scalo, è, per così dire, rinato il mercatino di Shangai con alcuni chiostri fissi color verde vagone che han preso il posto delle bancarelle improvvisate di un tempo.
Il Mercato dei Fiori sorgeva tra Via Tolemaide e Via Tommaso Invrea, a pochi passi dalla Stazione di Brignole.
Progettato da Paride Contri e costruito nel 1934 con un'intelaiatura in cemento armato, esso rappresentava, insieme al Mercato del Pesce in Piazza Cavour, uno degli esempi meglio riusciti del razionalismo genovese.
Aveva forma parallelepipeda con grandi vetrate montate su telai di ferro dotate di vetri chiari doppi, tipo Belgio, che davano slancio alla struttura e molta luce all'interno.
La pensilina, altro elemento tipico del razionalismo, sorretta da esili "pilotis", contribuiva a dare leggerezza a tutta la struttura e ne sottolineava l'andamento curvilineo.
All'interno vi era una fontana di mano dotata di giochi d'acqua.
Il Mercato dei Fiori venne demolito negli anni Ottanta del Novecento e al suo posto oggi sorge una piccola palazzina sede di una banca e una piazza, detta delle Americhe, dove sventolano le bandiere di tutti gli stati del Nuovo Continente.
Il toponimo Acquasola deriverebbe dall'unione dei termini "acca" (acqua) e "Sola" (una delle ninfe Driadi). Il bosco che qui sorgeva, attraversato dal Rio Torbido, infatti, secondo la tradizione, era abitato dalla ninfa Sola. Successivamente questo bosco fu definito Bosco del Diavolo, ma questa è un'altra storia.
Nel XVI secolo questo grande spazio interno alla mura a ridosso dei bastioni venne utilizzato come deposito per il materiale di scarto proveniente dai lavori per la costruzione dei palazzi di Via Garibaldi. Il nome con cui era soprannominata questa area era dei "Muggi" (parola in dialetto genovese che significa "mucchi", dato il grande accumulo disordinato di materiali vari).
Nel XVII secolo qui vennero seppelliti i morti di peste (ancora oggi, scendendo sotto il Parco, è possibile passeggiare tra le ossa; Se vi va di approfondire questo aspetto trovate un filmato e la storia di quel che successe nel paragrafo 1 nella pagina de la GENOVA sotterranea).
Il Parco che vediamo oggi è frutto del progetto del 1821 di Carlo Barabino, progetto che vede la luce nel 1825: sfruttando i bastioni trecenteschi e cinquecenteschi viene creata una struttura terrazzata che corre dal Ponte Monumentale fino a Villetta di Negro.
Venne demolita la Porta di Santa Caterina (o dell'Acquasola, di cui rimane ancora oggi la statua della Santa conservata all'Accademia Ligustica e di cui vi parlo al paragrafo 14 della pagina de le PORTE di GENOVA), che sorgeva all'incirca dove oggi vi è la statua di Vittorio Emanuele II in Piazza Corvetto, e con due arcate venne collegata la zona di Villetta di Negro al pianoro che correva fino al Ponte Monumentale.
La Spianata dell'Acquasola vista da Villetta Di Negro prima che fosse concepita Piazza Corvetto |
In questa immagine si vede la scalinata che univa la spianata dell'Acquasola alla zona sottosctante di Piccapietra; sullo sfondo i bastioni dove sarebbe stata poi stata eretta Villetta di Negro |
Il Muraglione che guarda a San Vincenzo viene ampliato e modellato come un bastione con un angolo a torre circolare.
Le mura dell'Acquasola (foto di Antonio Figari) |
Le mura dell'Acquasola al tramonto (foto di Antonio Figari) |
Charles Dickens nel 1843 così la descriveva nel suo "Immagini d'Italia":
"Il giardino [qui] vicino, che appare fra i tetti e le case, tutto fiorito di rose rosse e fresco per le acque delle piccole fontane, è l'Acquasola: la passeggiata pubblica, dove la banda militare suona gaiamente, dove i veli bianchi delle genovesi si radunano numerosi, e dove le famiglie nobili della città, con gli abiti da cerimonia, se non con perfetta saggezza, girano intorno nelle carrozze di gala."
Gustave Flaubert, nel 1845, così la descriveva in una lettera:
"L'acqua sola', passeggiata, verdi viali, siepi di rose, musica. Visto una donna che batteva il tempo con la testa, dal naso fine, pallida, la testa coperta da un velo bianco bordato di nero, il resto dell'abito a lutto; grandi occhi azzurri, profilo all'Esmeralda ... È la più bella donna che io abbia mai visto; non mi stancavo di guardarla"
Mark Twain veniva all'Acquasola ad osservare la bellezza del gentil sesso e scriveva:
“Può darsi che in Europa vi siano donne più graziose, ma io ne dubito. Genova conta 120.000 anime: di queste, due terzi sono donne, ed almeno due terzi di queste sono molto belle (…). La maggior parte delle damigelle sono vestite di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata. Nove su dieci non hanno sul capo null’altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia. Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono occhi neri e castani. Le signore e i gentiluomini di Genova hanno la piacevole abitudine di passeggiare in un ampio parco in cima a una collina al centro della città [Spianata dell’Acquasola n.d.r.] dalle sei alle nove di sera; e quindi, per un altro paio d’ore, di prendere il gelato in un giardino adiacente”.
Lo stesso Twain, deprecando l'abitudine di fumare nel parco, nonostante sia nota la sua passione per il sigaro (famosa la sua frase "mangiare e dormire sono le uniche attività che dovrebbero poter interrompere un uomo nel godimento del suo sigaro"), sbeffeggiava i raccoglitori di cicche che seguivano le loro "prede" in attesa che gettassero quel che restava della loro sigaretta per terra, paragonandoli a "quel becchino di San Francisco che soleva visitare i letti dei malati e, orologio alla mano, calcolare il tempo in cui quelli sarebbero diventati cadaveri".
Martin Piaggio, poeta il cui busto troneggia a pochi passi dall'Acquasola, il quale fu uno dei promotori dell'apertura dei giardini dell'Acquasola, si lamentava per la velocità eccessiva delle carrozze.
Il Banchero dal canto suo criticava invece l'aristocrazia che "misurava cento volte un lato (quello sinistro), anzichè fare tutto il giro": i nobili infatti, per non mischiarsi al popolo che passeggiava sul lato destro del parco, andavano su e giù per il lato sinistro.
All'Acquasola, quando calavano le tenebre, lungo il muragione del parco che dava sulla Contrada degli Orfani (il alto del parco che dà su Via Serra e Via Galata, detta "degli Orfano perchè in Via serra vi era il Collegio di San Giovanni Battista, orfanotrofio pubblico) si riunivano i carbonari della Giovine Italia: Mazzini, Bixio, I fratelli Ruffini, Giorgio e Raimondo Doria. Quest'ultimo fu il delatore che vendette i compagni alla polizia facendoli scoprire. Pare che volle che la sua ricompensa fosse spesa per dare l'illuminazione notturna al parco.
L'Acquasola divenne così famosa nel mondo che una delegazione di Mosca in visita a Genova volle visitarla e decise di proporre un progetto simile per un elegante giardino pubblico moscovita che avrebbe preso lo stesso nome.
La creazione di Piazza Corvetto distrusse parte del parco. Nonostante questo, con i suoi due ettari e mezzo, l'Acquasola è ancora oggi meta dei tanti genovesi che qui trascorrono un pò di tempo libero all'ombra degli splendidi platani che quasi si rincorrono lungo tutto il parco.
17. La Biblioteca Berio
Il Mandraccio, che tutti noi oggi conosciamo come piazza centrale del Porto Antico, era anticamente una piccola insenatura protetta dal mare e dai venti che funzionò per secoli come luogo di ormeggio e zona di carico e scarico delle merci per le imbarcazioni che giungevano a Genova con servizi connessi all’attività portuale come riparazioni navali o rimessaggio per la flotta di galee.
Al Mandraccio avevano sede anche alcuni uffici e magistrature collegate al porto come quella dei “Conservatori del Porto e del Molo” (che, come immaginerete dal nome, si occupavano del buon andamento dell’attività portuale sovrintendendo a tutte le attività di questa zona).
Il Mandraccio perderà la sua funzione con il passare dei secoli e l’ingrandimento del porto e verrà definitivamente interrato nel 1898 (il materiale di scavo che porterà alla nascita dell’odierna piazza del Mandraccio proveniva dai lavori per la sistemazione di Via XX Settembre: si parla di più di 40.000 metri cubi di materiale).
Una curiosità: il termine “mandraccio”, che ritroviamo anche in altre città italiane come “mandracchio” (Trieste e Napoli, per fare due esempi: come a Genova anche in queste città i mandracci furono interrati e come a Genova di loro abbiamo traccia nella toponomastica), o all’estero (a Malta vi è il “mandraggio” o a Rodi in Grecia il mandràki (μανδράκι), derivererebbe da latino “mandra”, “recinto” e suo diminutivo lat. "mandraculum", spazio organizzato per non ingombrare e per occupare il minore spazio possibile. Per altri invece il termine, di derivazione araba, sarebbe frutto di quel “melting pot” di culture dei popoli del Mediterraneo che tanti termini marinari sfornò nei secoli.
19.2 Il Molo Vecchio
Il cosiddetto Molo Vecchio fu costruito in punta alla penisola che chiudeva a levante il Mandraccio per proteggere il porto dalle mareggiate di libeccio.
Così come per il Mandraccio, anche il Molo Vecchio aveva un proprio magistrato incaricato di occuparsi della sua manutenzione e delle migliorie da apportare allo stesso. Si ha notizia di questa magistratura già nel 1133.
Il Molo Vecchio raggiungerà la lunghezza di 450 metri nel XV secolo e 608 nel XIX secolo.
La Porta del Molo (comunemente ed erroneamente detta "Siberia") ed edificata tra il 1550 ed il 1553 (trovate storia ed immagini alla pagina de le PORTE e le MURA di GENOVA), costituiva l'ingresso alla città del Molo Vecchio.
All'estremità della penisola faceva bella mostra di sé prima la Torre dei Greci ed in seguito il Lanternino, di cui trovate qui di seguito le storie.
19.3 Il Molo Nuovo
Speculare al Molo Vecchio, il Molo Nuovo fu edificato come prolungamento verso ovest de l promontorio della Lanterna, alla metà del XVII secolo per proteggere la parte di Ponente del porto dalle mareggiate di libeccio.
"Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto "la Lanterna", sembra una candela smisurata." (Guy de Maupassant)
La tradizione fa risalire la sua prima edificazione al 1128: alta poco meno dell'attuale, la sua struttura era composta da tre tronconi sovrapposti. Sulla cima venivano bruciati steli di brugo o di "brisca" (la ginestra che cresceva in Val Bisagno lungo il rio Briscata).Nel 1320 venne installata la prima lanterna propriamente detta: formata da 52 lampade alimentate ad olio, la luce veniva convogliata in un fascio luminoso grazie a cristalli trasparenti opera dei maestri vetrai liguri di Altare.
Nelle immagini qui di seguito troviamo quello che è considerato il più antico disegno della Lanterna, risalente al 1371: si tratta di una "coperta" di pergamena, cioè la copertina di un volume, conservata all'Archivio di Stato, di un registro dei "Salvatori del Porto e del Molo" relativo alle spese sostenute per mantenere il faro acceso (in esso troviamo indicati le spese per l'olio combustibile e le ore di lavoro).
Il disegno è stato probalmente eseguito dal Notaio che ha compilato il registro: era fatto comune infatti che venissero illustrati in copertina gli argomenti dei volumi.
Ecco la coperta, prima e dopo il recente restauro:
Coperta di pergamena, risalente al 1371, raffigurante la Lanterna, conservata all'Archivio di Stato di Genova (prima del restauro) |
Coperta di pergamena, risalente al 1371, raffigurante la Lanterna, conservata all'Archivio di Stato di Genova (dopo il restauro) |
Nel 1340 il milanese Evangelista dipinse sulla facciata lo stemma della città di Genova.
Nel XV secolo fu adibita a prigione e ospitò, tra gli altri, Re Giacomo I di Cipro, che vi rimase, insieme alla moglie e ai figli, per dieci anni (trovate la sua storia in questa pagina nel paragrafo dedicato a Palazzo Ducale).
Nel 1507, durante il periodo di dominazione dei Francesi sulla città di Genova, Luigi XII fece edificare ai piedi della Lanterna il "Forte Briglia". Nel 1513 i Genovesi, capitanati da Andrea Doria, liberarono la città dall'invasore: durante questa battaglia, per colpire il Forte Briglia, i Genovesi colpirono anche la Lanterna che venne fortemente danneggiata.
Nel 1543, per volontà del Doge Andrea Centurione Pietrasanta e con il contributo del Banco di San Giorgio, la Lanterna venne riedificata e assunse l'aspetto attuale.
Oggi, con i suoi 77 metri, essa è il faro più alto del Mediterraneo.
Se Vi capita di salire fino al primo terrazzo, il punto più alto della Lanterna aperto al pubblico, noterete su ognuna delle quattro facciate del faro delle targhe in marmo: si tratta di preghiere incise e qui collocate a fine Settecento a difesa della Lanterna dalle interperie.
La lapide che ricorda la riedificazione della Lanterna nel 1543 (foto di Antonio Figari) |
La Lanterna al tramonto (foto di Antonio Figari) |
La Porta Nuova della Lanterna come appare oggi (foto di Antonio Figari) |
Genova e i suoi vicoli visti dalla Lanterna (foto di Antonio Figari) |
Le gru del Terminal SECH viste dalla Lanterna (foto di Antonio Figari) |
Sampierdarena vista dalla Lanterna (foto di Antonio Figari) |
Nelle immagini qui di seguito, che rappresentano il retro di tre maioliche di Albissola, potete notare una lanterna stilizzata e a lato un bacco con appesa una sorta di cesta.
Essa era detta "coffino" e serviva per dare una direzione alle navi che entravano o uscivano dal porto; insomma, in questo modo, si regolava il traffico.
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
(foto di Antonio Figari) |
19.6 La Torre dei Greci
Eretta nel 1324, a seguito di delibera dei "Salvatores Portus et Moduli" davanti alle Mura della Malapaga, nella zona oggi occupata daI Magazzini del Cotone, essa era speculare alla Lanterna.
La Torre dei Greci delimitava dunque l'ingresso orientale del Porto e, come la Lanterna, aveva anche una funzione difensiva di avvistamento delle navi in arrivo nel porto. Con l'ampliamento delle Mura e del porto essa venne abbattuta.
Il suo nome deriva dal fatto che i mercanti greci abitavano e commerciavano in prevalenza nella zona del Molo, a pochi passi da dove venne innalzata questa torre.
In questa antica immagine di Genova, risalente al 1490, si nota sulla destra dell'imboccatura del Porto la Torre dei Greci |
Antica immagine del Lanternino |
Il Tenente Andre Beamont Conneau, ufficiale della Marina Francese, sorvola il Lanternino (foto proveniente dalla Bain Collection, Library of Congress) |
Al centro di questa incisione di A. Giolfi, alla destra del Palazzo di San Giorgio e protette dalle Mura, si possono notare le palazzine del Portofranco |
Pianta topografica del Deposito Franco 1892 |
Le palazzine del Portofranco oggi (foto di Antonio Figari) |
I primi edifici di quello che sarebbe divenuto il Portofranco, ossia l'edificazione di magazzini per il libero deposito e circolazione delle merci senza gabelle doganali (proprio per questo detto "franco") risalgono alla fine del XVI Secolo. Scopo di questa nupva istituzione era quella di attirare in città navi criche di merci, in particolari gnanaglie, in un periodo di carestia.
Nel Seicento vengono edificati undici edifici, detti "Quartieri", nominati con nome di santi e precisamente: San Marco, San Giuseppe, San Bernardo, San Giorgio, Santa Caterina, Sant'Antonio, San Francesco, Santa Maria, San Giobatta, San Lorenzo e San Desiderio.
A pianta quadrata e con spessi muri perimetrali atti a sorreggere il peso dei solai carichi delle merci che vi si stipavano, questi edifici avevano le facciate decorate dai migliori artisti dell'epoca come Domenico Piola o Lorenzo De Ferrari.
I quartieri del Portofranco erano divisi dal resto della città da spesse mura (ancora oggi sono visibili le mura e si può compiere il cammino di ronda) e cancellate, il tutto per prevenire i furti e il contrabbando.
Agli originari Quartieri si aggiunge a fine '800 la palazzina del Millo; tra quest'ultima e i quartieri viene costruita una grande tettoria in ferro e vetro.
Le trasformazioni della città, ed in particolare la costruzione della Sopraelevata, non hanno risparmiato questi antichi palazzi: oggi rimangono in piedi solo quattro Quartieri (Santa Maria, San Giobatta, San Lorenzo e San Desiderio) oltre al più moderno Millo, tutti ritornati all'antico splendore dopo i lavori in occasione della Colombiane del 1992, in occaisone dei quali viene eliminata la grande tettoia in ferro e vetro.
19.11.1 La Stazione Marittima di Ponte Federico Guglielmo
Tra il 1884 ed il 1890 fu edificata, ad opera del Genio Civile, la prima stazione marittima di Genova: l'edificio, ad un piano in muratura con una grande tettoia in ferro, era costituito da più sale di attesa, una sala ristoro, una sala medica e un posto di polizia.
Il Ponte sulla quale fu edificata, già Ponte San Tomaso (così chiamato perché in questo luogo sorgeva l'antica Chiesa di San Tommaso), era detto Ponte Federico Guglielmo in onore del principe di Germania.
19.11.2 La Stazione Marittima di Ponte dei Mille
La crisi economica da un lato e la crescita di un nuovo turismo elitario che vedeva con piacere i viaggi oltreoceano resero ben presto la stazione marittima inadeguata al crescente traffico marittimo.
Nel 1914 iniziarono i lavori per la nuova stazione marittima di Ponte dei Mille.
Interrotta l'edificazione a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ripresa solo nel 1924, la Stazione Marittima venne inaugurata nell'ottobre del 1930.
19.12 Il Silos Granaio Hennebique
19.13 Le scuderie del porto
Questo edificio venne edificato dal Comune nel XIV Secolo in un isolato che ha per perimetro le odierne Via dei Macelli di Soziglia, Vico Lavagna, Via Luccoli e Vico Sottile.
La manifattura del pane infatti era a carico dello Stato.
Essi vennero qui edificati intorno al 1722 dopo che il Comune decise di demolire l'edificio che li ospitava nel Portofranco per ragioni di sicurezza legati al pericolo di incendio.
Nel 1839 la panificazione venne data in appalto ai privati.
22. La Zecca
La Zecca venne inizialmente edificata a fianco di Palazzo San Giorgio lato Piazza Caricamento (oggi a suo ricordo rimangono solo alcune colonne).
Ancora oggi è intitolato ad essa il Largo che una volta era detto Piazza dei Forni.
23. Il Palazzetto Criminale
Particolare del Portale del Palazzetto Criminale sormontato dallo stemma di Genova sorretto da due grifoni (foto di Antonio Figari) |
Situato in Via Tommaso Reggio, adiacente a Palazzo Ducale, e collegato ad esso con un passaggio sopraelevato, il Palazzetto Criminale venne edificato nel XVI Secolo per ospitare l'amministrazione giudiziaria e il carcere per i detenuti comuni (i prigionieri politici "soggiornavano" invece nella vicina Torre Grimaldina di Palazzo Ducale).
L'edificazione, o meglio, l'accorpamento di più edifici preesistenti di proprietà Doria e della Curia, avvenne tra il 1583 ed il 1596, su progetto di Giovanni Ponzello, coadiuvato da Giovanno Orsolino e Daniele Casella.
Gli spazi interni erano suddivisi in maniera razionale così da permettere lo svolgimento di tutte le attività, dalle varie fasi del processo alla condanna e detenzione.
Nel 1817 si decise di spostare il carcere nell'ex Convento di Sant'Andrea, poco distente da Porta Soprana, poichè qui gli spazi erano divenuti insufficenti, e il Palazzetto divenne la sede dell'Archivio di Stato di Genova, nonchè dell'Archivio del Collegio Notarile di Genova e del Banco di San Giorgio, e rimase tale fino al 2004, quando tutto il materiale venne spostato nella nuova sede nell'ex Convento di Sant'Ignazio in Via Santa Maria in Via Lata.
Oggi, come testimonia l'immagine qui sotto, quello che fu il Palazzetto Criminale, è in fase di restauro per divenire una sede distaccata dell'Archivio di Stato di Genova.
L'interno del Palazzetto Criminale in una foto di quale anno fa (foto di Antonio Figari) |
L'interno del Palazzetto Criminale (foto di Antonio Figari) |
Il primo manicomio di Genova |
L'11 maggio 1834, nel sobborgo di San Vincenzo, nell'attuale zona occupata da Via Cesarea, viene posta la prima pietra di quello che diverrà il primo manicomio cittadino.
Il progetto viene affidato agli architetti Carlo Barabino, Domenico Cervetto e Celestino Foppiani: fu quest'ultimo a portare a compimento il progetto dopo la rinuncia dei primi due.
Inaugurato sette anni dopo, il complesso era formato da un fabbricato centrale di forma rotonda alto cinque piani da quale si diramavano sei raggi o bracci. Questi ultimi erano attraversati un corridoio centrale lungo il quale si affacciavano le celle e in fondo al quale vi era un bagno.
Qui erano ospitate diverse tipologie di malati che venivano raggruppati a seconda della sindrome.
Non mancavano le camere oscure dove venivano isolati gli alienati per farli calmare nei momenti di eccitazione eccessiva.
Vi erano infine quattro stanze dette "di osservazione" dove i medici potevano studiare se la pazzia dei malati fosse reale o simulata.
Questo complesso venne demolito nel 1914 per far posto al nuovo quartiere residenziale che ancora oggi viene denominato "quadrilatero": esso in realtà aveva già da qualche anno perso la sua funzione di manicomio dopo l'apertura del Manicomio di Quarto; quest'ultimo oggi, persa la sua funzione, è parzialmente abbandonato, strano il destino dei manicomi a Genova!?!
Il manicomio visto dalle Mura delle Cappuccine |
Le fronti basse in primo piano, il manicomio e sullo sfondo Genova |
Una curiosità: come noterete nella mappa di Genova presente nella settima edizione della guida per viaggiatori "Italy, handbook for travellers", pubblicata nel 1886, di cui allego qui sotto un'immagine, Via Galata, prima della realizzazione di Via XX Settembre, giungeva fino alle porte del manicomio (nella mappa in fondo a destra si nota parte della circonferenza di perimetro di quest'ultimo).
mappa di Genova del 1886 |
La prima pietra di questo edificio fu posta, alla presenza dei Savoia (molte sono le immagini di questo evento in pompa magna), il 30 ottobre 1905.
Il grande edificio era stato costruito per alloggiare i tanti italiani che di lì a poco si sarebbero imbarcati per il nuovo mondo abbandonando per sempre l'Italia.
Nel 1992, durante i lavori delle Colombiane, il grande edificio fu abbattuto davanti a tantissimi genovesi accorsi curiosi per l'evento.
Nel breve video qui di seguito, ecco gli attimi dell'esplosione:
Edificata qualche anno dopo l'Albergo Popolare, e precisamente nel 1909, essa sorgeva a poca distanza dallo stesso, lungo la nuova Circonvallazione a Mare.
Mentre dell'Albergo Popolare sono molte le immagini, di questo edificio poco si sa e poche sono le immagini che lo ritraggono anche a causa della sua breve vita.
32. Sailors' Rest
Iniziate a costruire nel 1836, su progetto di Ignazio Gardella Senior, collaudate nel 1844 e demolite nel 1885, queste terrazze si estendevano da Porta dei Vacca fino a poco oltre Palazzo San Giorgio.
Il loro percorso ricalcava a sommi capi quello delle Mura e la loro funzione era prettamente logistica: sotto i portici si trovavano infatti i magazzini dove stivare le merci del porto.
La copertura che dava il nome al tutto, le cosiddette "terrazze", era una meravigliosa passeggiata dove la nascente borghesia genovese si ritrovava per passeggiare e dove tutti gli stranieri rimanevano senza fiato anche ammirando la copertura del tetto stesso che era di bianco marmo di carrara.
Di contro, questa grossa struttura così impattante faceva sì che non vi fosse ricircolo d'aria nei vicoli impedendo alla brezza marina di insinuarsi tra le strette vie del centro storico.
La loro demolizione avvenne nel 1885 in primis per allargare la Carrettiera Carlo Alberto (l'attuale Via Gramsci) e spostare la ferrovia a mare anche in funzione di un collegamento della stessa con il porto, ma anche ai fini del miglioramento dell'igiene pubblica poiché, come già detto, questa struttura impediva il normale ricircolo dell'aria da e verso i vicoli interni che si affacciavano sul porto.
34. Le Terrazze di Via Milano
Finite di costruire intorno al 1870, furono demolite per allargare Via Milano negli anni '30 del XX Secolo. Esse correvano lungo l'attuale Via Buozzi (all'epoca chiamata appunto Via Milano) e arrivavano fino all'attuale Via Adua (a poca distanza da Palazzo del Principe).
Anch'esse erano state pensate, come le terrazze di marmo descritte nel precedente paragrafo, quali magazzini per il porto nella loro parte inferiore e quale passeggiata pedonale nella loro parte superiore ma, a differenza delle prime, queste non erano in marmo.
35. Il trasporto pubblico
Lunga 1.428 metri, con un dislivello di 279 metri e una pendenza media del 19,91%, questa funicolare in 12 minuti circa collega Piazza della Zecca al Righi.
L'idea di costruire questo impianto fu dell'imprenditore svizzero Franz Josef Bucher, che in madrepatria aveva costruito qualche anno prima la cremagliera di Vitznau, che collegava la città di Lucerna al monte Rigi e all'albergo di proprietà dell'imprenditore. Avete notato qualcosa di particolare leggendo? La parola "Rigi" in tedesco si legge "righi", e fu proprio questo il motivo per cui la zona di arrivo della funicolare, a pochi passi dal Castellaccio, venne denominata Righi e tuttora mantiene questo nome.
L'impianto viene costruito tra il 1895 e il 1897 in due tronchi separati: il primo, quello a monte, collegava la zona di San Nicola al Righi. La stazione di arrivo era stata costruita in legno in stile "chalet". Il secondo tronco, realizzato interamente in galleria, collegava la Zecca a San Nicola ed entra in servizio nel 1897. Si trattava di due impianti separati: chi avesse voluto arrivare al Righi, doveva scendere a San Nicola e cambiare vettura.
Durante la seconda guerra mondiale il tronco superiore fu seriamente danneggiato, mentre la galleria del tronco inferiore divenne un rifugio antiaereo, come ricorda una bella edicola votiva posta alla fermata di Corso Carbonara.
La splendida stazione a monte fu demolita e sostituita da quella attuale nel secondo dopoguerra quando si decise di allungare il tragitto della funicolare e di unificare i due tratti della funicolare.
Una curiosità: come si nota nelle foto più antiche di fine ottocento, le cabine erano senza vetro: fu il cosiddetto "sciopero dei vetri" ad inizio Novecento, rivendicazione sindacale a livello nazionale, che fece si che la funicolare fosse fornita di un vetro così da proteggere i manovratori dalle intemperie.
Un'immagine notturna attuale della Funicolare Zecca-Righi (fotodi Antonio Figari) |
35.6 La Funicolare di Sant'Anna
Lunga 357 metri, con un dislivello di 54,18 metri e una pendenza media del 15,33%, questa funicolare in 2 minuti circa collega Piazza Portello a Via Bertani.
La particolarità di questo impianto era il sistema di azionamento ad acqua che, sfruttando al forza di gravità, permetteva di far scendere a valle una vettura zavorrata con un cassone pieno d'acqua e al contempo di far salire l'altra vettura per mezzo di una fune.
All'arrivo nella stazione di Portello, il cassone veniva svuotato e il ciclo si ripeteva.
Questo sistema così particolare aveva bisogno di abili manovratori che caricassero i cassoni della vettura a monte in base al numero dei passeggeri che vi erano saliti.
Il manovratore sulla vettura poi, con un attento uso del freno che agiva sulla cremagliera centrale, faceva in modo che la vettura si mantenesse ad una velocità bassa.
Il tutto fu purtroppo soppiantato dall'elettricità sul finire degli anni 70 per adeguarsi alle nuove direttive.
Nel 1990 un pauroso incendio distrusse la stazione a monte. Purtroppo fu deciso di non ricostruire l'antica struttura in legno ma un'anonimo edificio che nulla a che a spartire con la bellezza dell'edificio che è andata a sostituire.
Un'immagine attuale della Funicolare di Sant'Anna (fotodi Antonio Figari) |
35.7 La Cremagliera di Granarolo
Lunga 1.136 metri, con un dislivello di 194 metri e una pendenza media del 16%, questa cremagliera in 11 minuti circa collega Principe a Granarolo.
Costruita nel 1901 da una società privata, essa è una linea ferroviaria a cremagliera e questo la rende unica nel panorama genovese.
35.8 L'Ascensore di Castelletto di Levante
Con un dislivello di 57 metri, questo ascensore in meno di un minuto collega Piazza Portello al Belvedere Luigi Montaldo in Spianata Castelletto.
Costruito nel 1909 ed inaugurato il 20 dicembre di quello stesso anno, questo è l'ascensore pubblico genovese per autonomasia: il lungo tunnel dall'ingresso di Piazza Portello vi conduce ad una delle due cabine che in una quarantina di secondi vi condurrà in cima. Usciti vi ritroverete all'ultimo piano di una torretta in stile liberty attraverso i vetri della quale avrete Genova ai vostri piedi, uno dei punti, se non il punto migliore, dove passare ore ad osservare e a perdersi nella bellezza della Superba e dei suoi vicoli.
Tutti conosciamo le parole di Giorgio Caproni, livornese di nascita ma genovese di adozione, che così dice nella sua "L'Ascensore":
Antica immagine dell'ascensore di Castelletto di levante |
Con un dislivello di 61 metri, questo ascensore collega in meno di un minuto la Galleria Garibaldi, sita tra Piazza Portello e Largo della Zecca, a Spianata Castelletto.
Costruito nel 1929, mantiene ancora intatte le due splendide cabine in legno della Stigler.
L'ingresso superiore è sormontato da un bel sovraporta liberty in ferro e vetro.
L'ascensore è stato recentemente sottoposto ad un profondo restauro e riaperto al pubblico il 27 settembre 2019. Delle due cabine originali in legno, solo una è attualmente utilizzata. Gli interni della stessa sono stati riportati all'antico splendore con un restauro conservativo che ha mantenuto l'aspetto e i materiali originari: prendere questo ascensore è davvero un tuffo indietro nel passato.
Una curiosità: una palla di cannone, proveniente dall'antico Castelletto, è oggi elemento di decoro del terrazzo sul tetto del palazzo che ospita l'uscita superiore dell'ascensore. Potrete vederla alzando gli occhi proprio sopra l'ingresso dell'edificio (trovate questa e le altre palle di cannone incastonate nei palazzo genovesi nella pagina de le PIETRE parlanti).
35.10 L'Ascensore Castello Castello d'Albertis - Montegalletto
Con un dislivello di 72 metri, questo ascensore collega in 3 minuti e 25 secondi Via Balbi a Corso Dogali.
Costruito nel 1929, questa struttura comprendeva in principio un lungo tunnel di 300 metri (utilizzato come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale) in fondo al quale vi erano le due cabine dell'ascensore.
Oggi, dopo l'ultimo restauro, la struttura si presenta come sistema integrato orizzontale-verticale: non si deve più percorrere tutto il tunnel a piedi, si sale in cabina all'inizio dello stesso e lo si percorre in orizzontale lungo una rotaia; in fondo al tunnel la cabina si unisce ad un'altra struttura che la trasforma in ascensore verticale e la fa salire fino a Castello D'Albertis.
Il Galletto lo si ritrova nella bella insegna in ferro battuto all'uscita superiore.
35.11.2 La funivia o funicolare aerea Ferretti
Meraviglia ingegneristica, costruita in occasione dell'Esposizione Internazionale di Genova del 1914, fu la funivia o funicolare Aerea detta Ferretti dal nome del suo pensatore, l’ingegnere Alessandro Ferretti, titolare dell’omonima ditta che già aveva costruito una funivia per l’esposizione di Torino del 1911, quella volta però per un percorso in piano e non aereo, e a Genova già si era occupata di una piccola ferrovia nel 1892 come vi raccontavo nel precedente paragrafo.
Essa collegava l’allora Piazza di Francia alla cima del bastione delle Mura del Prato in un percorso in salita che ricalca lo spazio oggi occupato dalla Scalinata delle Caravelle.
Con 30 centesimi (il costo della corsa per andata e ritorno) si poteva arrivare in cima al colle di Carignano e godersi dall’alto tutti i padiglioni dell’Esposizione.
La funivia, prima ad esser progettata da Ferretti per il trasporto di persone su un percorso aereo e in salita, era all’avanguardia anche dal punto di vista della sicurezza montando doppie funi trainanti, soluzione inedita all’epoca.
Questo impianto purtroppo non “sopravviverà” all’Esposizione ed oggi rimane solo il suo ricordo nelle foto d’epoca.
(...continua)
Gli edifici pubblici di Genova da raccontare non sono finiti...
(continua...)
Purtoppo le serre comunali diverranno palazzine e posteggio sotteraneo riempiendo così la valletta di cemento.
RispondiEliminaCiao! Non sono a conoscenza di questo scellerato progetto e spero sia solo un'idea strampalata di qualche progettista e che essa rimarrà solo sulla carta. Sarebbe un delitto perdere questa valle ed il suo verde.
Eliminanegli anni 70 mia mamma lavorava al pammatone ora tribunale dei minori..era un distaccamento ambulatoriale del San Martino
RispondiEliminaSe hai immagini o aneddoti curiosi scrivimi!
EliminaL'ambulatorio di Pammatone, da non confondersi con quello più recente (una sorta di revival) di Via Gestro,ora chiuso,dipendeva da San Martino (da bambino, nel '60,mi ci avevano portato a fare una visita).Era situato sulla spianata dell'Acquasola ed ora credo che continui ad ospitare il Tribunale dei Minori. Nel corpo munito di torretta c'era il vecchio Istituto di Anatomia dell'Università (ante San Martino) e la relativa torretta (si dice e credo che sia vero) serviva ad arieggiare non tanto le mefitiche sale settorie, quanto la molto sottostante galleria ferroviaria ...
RispondiEliminaCiao Pippo! Eh sì, il vecchio ambulatorio è ora sede del Tribunale dei Minori.
EliminaLa vicina palazzina con torretta, Villetta Serra, oggi sede del Museo Biblioteca dell'Attore, era invece, come dici te, il vecchio Istituto di Anatomia.
Pensavo e ho letto nei miei libri che la torretta aiutasse ad incanalare l'odore delle sale settorie ma stuzzica molto la mia curiosità l'idea che essa servisse anche come camino di sfiato del treno sottostante... indagherò!
Aspetto altre foto di Palazzo San Giorgio,amico... Spero di vederle presto! Ciao
RispondiEliminaCiao Laila! Presto le metterò!
EliminaBuona giornata amica mia!
Ciao Antonio!
RispondiEliminaavevo letto che il primo manicomio aveva forma pentagonale ed era situato sulla collina di albaro se non sbaglio, verso la foce, ma non mi ricordo bene! Aspetto la storia!!
A presto
Elisa
Ciao Elisa, presto racconterò la storia del Manicomio e la Tua curiosità sarà soddisfatta. Per il momento Ti dico solo che ciò che mi hai scritto è solo in parte esatto!
EliminaTi seguo e ti ammiro per l'amore che abbiamo in comune per la nostra città. cerco anche io nel mio piccolo blog
RispondiEliminahtpp:/raccontidinonnablogspot.blogspot.com di portare a conoscenza le bellezze della mia amata città,
nel mio piccolo le trasmetto anche a una comunità in web di over a livello internazionale.
se hai pacere il albamorsilli@gmail.com
Cara Alba, è bello vedere tanti genovesi che amano la propria città e che diffondono la sua bellezza sul web. Sarà un piacere leggere le pagine del tuo blog!
EliminaSono rimasto affascinato per la bellezza, la cura, le ricerche storiche, le foto, le storie. i detti ed i proverbi inerenti alla ns. città. Mi chiamo Alessandro Biasotti e sono proprietario di un'ag. immobiliare in Genova. Siccome posseggo uno spazio su Facebook dove ogni tanto pubblico qualche cosa inerente alla ns. Città ti chiedo il permesso di poter pubblicare qualcosa sul mio spazio FB tratto dal tuo sito. Ancora complimenti e mi ritengo fortunato ad averti scoperto in modo tale che possa seguire e leggere tutto ciò che hai pubblicato su Genova. Grazie di cuore
RispondiEliminaCaro Alessandro,
EliminaTi ringrazio moltissimo per le Tue parole.
Volentieri Ti concedo il permesso di pubblicare stralci del mio sito sulla Tua pagina facebook, Ti chiedo soltanto di citarmi quale autore.
Un caro saluto
Antonio
il manicomio? Sig. Figari non ha piu scritto nulla a tal proposito? Arrivederci
RispondiEliminaIl suo desiderio è stato esaudito!
EliminaCiao Antonio, sono un architetto romano, studioso di Storia dell'Architettura. Sto scrivendo un saggio, che a breve sarà pubblicato su una nota rivista scientifica, in cui parlo di alcuni edifici seicenteschi di Genova, e vorrei inserire nel testo la tua foto dell'interno della chiesa dell'Albergo dei Poveri. Naturalmente, citerei il tuo nome nella didascalia, in qualità di autore della foto, e all'occorrenza anche il tuo blog come fonte di provenienza dell'immagine. Nel caso in cui tu acconsenta alla pubblicazione, potresti farmi avere l'immagine originale, cioè priva della scritta "i segreti dei vicoli di Genova"? Grazie.
RispondiEliminaCiao Marco, sarà un piacere esserti di aiuto. Ho visto che mi hai mandato anche una mail. Ti rispondo a breve.
EliminaE' sempre più piacevole, leggere i tuo blog, Antonio! Un bacino ai bambini, e anche a te!
RispondiEliminaGrazie cara Laila, un bacio anche a te!
EliminaScusa, Antonio, sai mica dove mettessero i delinquenti comuni, prima di costruire il Palazzetto Criminale? Mi serve per un romanzo...
RispondiEliminaFaccio un piccolo studio tra i miei libri e poi ti scrivo via mail non appena ho un pò di materiale!
EliminaNell'ambito del Palazzo Ducale, scrivendo delle statue dei personaggi nella facciata di Palazzo Ducale, al punto 7 b relativamente al Morosini, probabilmente per un errore di battitura viene indicato San Siro quale protettore dei Pisani, festeggiato il 6 agosto, giorno della battaglia della Meloria: era San Sisto II, papa nel III secolo.
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