gli EDIFICI pubblici

Nel centro storico di Genova numerosi erano gli edifici ad uso pubblico: alcuni ancora esistenti in tutto il loro splendore, altri distrutti o cancellati dalle guerre o da scellerate scelte urbanistiche.



INDICE
1. Il Palazzo di San Giorgio
2. Il Palazzo Ducale
3. Il Palazzo Arcivescovile
4. Gli ospedali
4.1 Gli ospedali "diffusi" del Medioevo
4.2 L'Ospedale di Pammatone
4.3 L'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici
4.4 L'Ospedale Militare "Regina Maria"
4.5 Gli Ospedali della Duchessa
5. L'Albergo dei Poveri
6. Il Conservatorio delle Fieschine
7. Il Conservatorio Interiano
8. 
L'Opera Pia dei putti di San Giovanni Battista (o "Collegio di San Giovanni Battista")
9. L'Asilo Notturno Massoero (ex Caserma dell'Annona)
10. I Magazzini dell'Abbondanza
11. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 9r
12. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 4 
13. Sottoripa
14. La Loggia dei Mercanti
15. I mercati
15.1 Il mercato delle erbe in Piazza della Nunziata
15.2 Il mercato delle erbe in Piazza delle Erbe
15.3 Il mercato delle granaglie nei pressi di Piazza della Raibetta
15.4 Il mercato del pesce in Piazza della Raibetta e in Piazza Cavour
15.5 Il mercato dell'olio in Piazza Raibetta
15.6  Il mercato in Piazza San Domenico
15.7 Il mercato di Piazza Umberto I (l'attuale Piazza Matteotti)
15.8 Il Mercato Orientale
15.9 Il mercato in Piazza del Carmine
15.10 Il mercato in Piazza Statuto
15.11 Il mercato in Piazza Sarzano 
15.12 Il mercato in Piazza Sauli
15.13 Il mercato in Piazza del Ferro
15.14 Il mercatino delle pulci in Piazza Lavagna
15.15 Il mercatino di Piazza Bandiera
15.16 Il mercatino di Piazza Sant'Elena
15.17 Il Mercato dei Fiori 
16. Il Parco dell'Acquasola
17. La Biblioteca Berio
18. L'Accademia Ligustica di Belle Arti
19. Il porto
19.1 Il Mandraccio
19.2 Il Molo Vecchio
19.3 Il Molo Nuovo
19.4 La diga foranea
19.5 La Lanterna
19.6 La Torre dei Greci
19.7 Il Lanternino
19.8 I ponti
19.9 Il Portofranco
19.10 La Darsena e l'Arsenale 
19.11 Le Stazioni Marittime 
19.11.1 La Stazione Marittima di Ponte Federico Guglielmo
19.11.2 La Stazione Marittima di Ponte dei Mille
19.12 Il Silos Granaio Hennebique 
19.13 Le scuderie del porto
20. Il Macello Nuovo
21. I Forni Pubblici
22. La Zecca
23. Il Palazzetto Criminale
24. Il Carcere di Sant'Andrea
25. Il Carcere della Malapaga
26. Il primo Manicomio di Genova
27. Il Castelletto
28. Il Ponte di Carignano
29. Il Ponte Monumentale
30. La Casa dell'Emigrante (Albergo Popolare Cesare Battisti) 
31. La Casa della Gente di Mare
33. Sailors' Rest
34. Le Terrazze di marmo
35. Le Terrazze di Via Milano
35. Il trasporto pubblico
35.1 Le Stazioni e la ferrovia
35.1.1 La Stazione di Principe 
35.1.2 La Stazione di Piazza Caricamento
35.1.3 La Stazione di Brignole
35.1.4 La Ferrovia delle Gavette
35.1.5 La Ferrovia Genova - Casella
35.2 L'Omnibus
35.3 Il Tramway
35.4 Il Filobus
35.5 La Funicolare Zecca-Righi
35.6 La Funicolare di Sant'Anna
35.7 La Cremagliera di Granarolo
35.8 L'Ascensore di Castelletto di Levante
35.9 L'Ascensore di Castelletto di Ponente
35.10 L'Ascensore Castello Castello d'Albertis - Montegalletto
35.11 Gli impianti provvisori
35.11.1 La ferrovia funicolare Ferretti
35.11.2 La funivia o funicolare aerea Ferretti
35.11.3 Il Telfer 
35.12 La metropolitana che non fu
36. La cava della Chiappella
37. Il cimitero inglese a San Benigno 
38. Il tunnel del Tramway di San Benigno
39. La Vaccheria Urbana
40. L'Officina del Gas in Via Canevari
41. Le Officine Elettriche Genovesi e le centrali di Via Canevari e del Carmine 
42. Le sedi genovesi della Banca d'Italia
43. Il Palazzo della Borsa


1. Il Palazzo di San Giorgio

Costruito, per volere del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, nel 1260 per divenire il Palazzo del Comune, mantenne questa funzione solo per due anni (il potere civile della città, dopo qualche anno in una sede provvisoria, si trasferirà a Palazzo Fieschi oggi inglobato nel Palazzo Ducale).
Il progetto della sua costruzione fu affidato a Frate Oliverio, monaco dell'Abbazia di Sant'Andrea di Sestri Ponente, il quale aveva già progettato il prolungamento a mare del Molo Vecchio e al quale è oggi dedicata la via che separa Palazzo San Giorgio dai portici di Sottoripa.
Qui venne incarcerato Marco Polo, che giunse a Genova dopo la disfatta dei Veneziani a Curzola nel 1298, e qui, secondo la tradizione, il veneziano dettò a Rustichello da Pisa "Il Milione".
Nel 1340 il palazzo divenne sede della Dogana, di alcune magistrature di controllo dei traffici portuali, e sede degli uffici della Darsena e delle carceri per i debitori.
Il 1407 è l'anno ricordato dagli Annali: viene infatti fondato il Banco di San Giorgio.
Nel 1571 all'antico palazzo nelle forme gotiche viene aggiunto una nuova ala che trova la sua centralità nella "Sala delle Compere", detta anche "Sala delle Congreghe".
Gli splendidi affreschi della facciata lato mare, opera di Andrea Semino, risalgono al 1590, dopo che l'edificio, danneggiato da un incendio nel 1581, necessitava di un restauro. Alla stessa epoca risale la torre. Successivamente alla torre viene aggiunta una campana, donata nel 1667 dalla Repubblica d'Olanda. 
Nel 1606 Lazzaro Tavarone esegue l'affresco centrale della facciata lato mare raffigurante San Giorgio che trafigge il drago. La facciata affrescata che vediamo oggi è frutto del lavoro di Raimondo Sirotto di fine XX Secolo, che ha ripreso gli affreschi eseguiti ad inizio Novecento da Ludovico Pogliaghi che a sua volta aveva reinterpretato gli affreschi ormai quasi del tutto illegibili del XVII Secolo. In facciata, oltre a San Giorgio, troviamo alcune figure storiche della Repubblica Genovese: Il Caffaro, Andrea Doria, il doge Simone Boccanegra (per alcuni si tratta di Guglielmo Boccangra, colui che fece erigere il palazzo), Guglielmo Embriaco (facilmente distinguibile perchè tiene in mano il Sacro Catino), Cristoforo Colombo e Benedetto Zaccaria.
Nella parte alta della facciata verso mare completano la decorazione due busti raffiguranti Giano e Nettuno sovrastati rispettivamente dallo stemma di Genova e quello dei Conservatori del Mare (questi ultimi erano color che erano preposti al governo del porto all'epoca della Repubblica).
Risale al XX Secolo l'apertura dell'ingresso lato mare e lo scalone che collega l'atrio al  primo piano, quest'ultimo progettato da Marco Aurelio Crotta.
Leggermente anteriore e precisamente risalente alla fine dell'ottoocento, è l'intervento di Alfredo D'Andrade, autore del restauro che riporta la parte antica del palazzo all'originario carattere medievale con una interpretazione che però diventa molto fantasiosa e ben si allinea al gusto neogotico dell'epoca. Ne è esempio per eccellenza la Sala del Capitano.
Alcune colonne a fianco della facciata lato Caricamento sono mute testimoni di ciò che resta di un antico porticato che collegava Palazzo San Giorgio alla Zecca che qui aveva anticamente sede.


La facciata come si presentava nel 1913 dopo l'intervento del Pogliaghi




Palazzo San Giorgio oggi
(foto di Antonio Figari)





Particolare della facciata di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)
La parte medievale di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Particolare del cortile interno di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)

Un'altra immagine del cortile interno di Palazzo San Giorgio
(foto di Antonio Figari)



2. Il Palazzo Ducale

a. Il palazzo


Palazzo Ducale e la Torre Grimaldina
(foto di Antonio Figari)

La facciata neoclassica costruita nel 1777 che affaccia su Piazza Matteotti
(foto di Antonio Figari)

La Torre Grimaldina vista dalla loggia al primo piano di Palazzo Ducale
(foto di Antonio Figari)

La selva di colonne del cortile di Palazzo Ducale
(foto di Antonio Figari)


b. I nemici della Repubblica incatenati in facciata 

Nel 1777 un grande incendio devastò parte del Palazzo Ducale che dovette essere ricostruita negli anni a seguire.
La ricostruzione della facciata lato piazza Matteotti in stile neoclassico venne affidata all'architetto Simone Cantoni il quale usufruì della collaborazione di Giacomo Maria Gaggini di Bissone.
Se alzate lo sguardo, nella parte alta della facciata, noterete alcune statue di personaggi incatenati, chi sono? E perché sono incatenati?
Essi sono i nemici della Repubblica.

Gli otto nemici della Repubblica incatenati in facciata di Palazzo Ducale
(foto di Antonio Figari)



Ecco chi sono (partendo dal primo a sinistra):




b.1 Il pirata Mujahid 


Il pirata Mujahid
(foto di Antonio Figari)

Noto anche come Musetto, era un liberto di origine slava che regnava sulle Baleari. Comandante di una grande flotta intorno all'anno Mille conquistò la Sardegna eludendo la sorveglianza della flotta pisana che, in quel momento, era impegnata in Calabria contro altri corsari. Mujahid, approfittando di questo fatto, si mosse poi verso Pisa e saccheggiò parte della città. La risposta di Pisa e il successivo attacco non sortirono effetto nè scalfirono il potere e la forza del corsaro che iniziò ad attaccare le navi in transito nel Tirreno sia dei Pisani che dei Genovesi.
La distruzione della città di Luni nel 1016 ad opera di Mujahid fu la goccia che fece traboccare il vaso: Genova, Pisa e Papa Benedetto VIII si allearono e, dopo aver raggiunto a Luni il pirata lo sconfissero costringendolo alla ritirata.
Mujahid  non rinunciò ai suoi propositi, e dopo aver riorganizzato la flotta, ritentò l'assalto alle coste sarde ma fu di nuovo sconfitto dai Genovesi e Pisani e, a seguito di un ulteriore assalto, ucciso.
La sua testa, staccata di netto dal corpo, fu issata su un palo, punizione esemplare che veniva riservata a quell'epoca ai reati più gravi.


b.2 Giacomo Marsano, Duca di Sessa


Giacomo Marsano, Duca di Sessa
(foto di Antonio Figari)

Personaggio della cerchia degli Aragonesi, fu fatto prigioniero insieme al Re Alfonso d'Aragona e ad altri nobili dopo la vittoria dei Genovesi nella acque di Ponza avvenuta nel 1435.
La storia di questo evento mette in risalto il coraggio dei Genovesi e la loro straordinaria capacità nell'arte della guerra in mare.
Essi, sotto il comando di Francesco Spinola, erano accorsi in soccorso di Gaeta attaccata dal d'Aragona che, nel tentativo di strappare la corona del Regno di Napoli a Renato d'Angiò, volgeva verso Gaeta che ancora resisteva. Spinola si mise al comando della città ma l'assedio si prolungava ed il cibo iniziava a scarseggiare.
I Genovesi decisero di intervenire e affidarono il comando della spedizione a Biagio Assereto, notaio convertito all'arte della spada, già noto per altri successi nei mari.
Arrivati al cospetto del d'Aragona, i Genovesi chiesero invano di poter portare viveri agli assediati.
Si arrivò così allo scontro il 5 agosto 1435 nelle acque a largo dell'isola di Ponza: un'aspra battaglia che si protrasse per dieci lunghe ore nella quale i Genovesi, con alcuni ingegnosi stratagemmi, consci della propria superiorità in mare nonostante l'inferiorità numerica, sconfissero il nemico aragonese. 
La vittoria andò oltre le più rosee aspettative: i Genovesi tornarono in città con un ricchissimo bottino e 5.000 prigionieri tra i quali il Re Alfonso d'Aragona, due suoi fratelli, Enrico e Giovanni (la madre, Eleonora d'Alburquerque, alla notizia che tre dei suoi figli maschi erano stati fatti prigionieri, morì dal dolore) e molti nobili della sua corte tra i quali il Duca di Sessa.
Alfonso non arrivò mai a Genova a differenza di altri prigionieri, ma, una volta sbarcato a Savona, fu portato a Milano dove, dopo un breve periodo di prigionia, riottenne la libertà.
Non ci è dato sapere il perchè sia stato incatenato in facciata a palazzo Ducale Giacomo Marsano e non il Re Alfonso d'Aragona, il motivo potrebbe ritrovarsi proprio nel fatto che il Re d'Aragona non mise mai piede a Genova, dove invece, secondo le fonti, sbarcò il Duca di Sessa.


 
b.3 Il corsaro Dragut

Il corsaro Dragut
(foto di Antonio Figari)

Di umili origini, si arruolò poco più che ragazzino nell'esercito ottomano nelle fine di Khayr al-Din Barbarossa, ammiraglio e corsaro ottomano del quale seguirà le tracce divenendo suo successore.
Già conosciuto dai Genovesi che, guidati da Andrea Doria ed insieme ai Veneziani ed altri, contro di lui e il Barbarossa si erano scontrati nella battaglia di Prevesa del 1538, era divenuto in poco tempo il terrore del Mediterraneo con le sue scorribande che non si limitavano alle navi in mare ma spesso anche ai paesi ed ai villaggi della costa.
Nel 1540, nella baia della Girolata in Corsica, arrivò il momento propizio per la sua cattura: accerchiato dalla flotta genovese guidata dal nipote del grande ammiraglio Andrea Doria, il giovane Giannettino Doria, fu da questi catturato e consegnato allo zio. Si narra che Dragut rimase molto contrariato per essere stato catturato da una "donna con la barba" (da un giovane quale era Giannettino).
Andrea Doria lo fece incatenare ai remi della sua nave ammiraglia e lì rimase per quattro lunghi anni nei quali però il corsaro non si perse d'animo covando dentro di sè sentimenti di vendetta.
Venduto come schiavo fu liberato dal Barbarossa in persona dietro pagamento di una grossa somma di denaro.
L'idea di Andrea Doria di venderlo come schiavo, con la possibilità che potesse liberarsi come avvenne, non fu una buona mossa: divenuto nel 1544 successore del Barbarossa al comando della flotta ottomana, da questo momento, a causa della sua spietatezza, fu soprannominato "Spada Vendicatrice dell'Islam". E' il periodo in cui Dragut assalta città liguri come Laigueglia e Rapallo facendo schiavi migliaia di liguri.
Dovettero passare altri vent'anni, nei quali Dragut fu protagonista di numerose scorribande in giro per il Meditteraneo, prima della sua morte avvenuta a seguito di una scheggia che lo colpì alla testa durante l'assedio del Forte Sant'Elmo a Malta il giorno 18 maggio 1565. 




b.4 Niccolò Pisani

Niccolò Pisani
(foto di Antonio Figari)

Ammiraglio della flotta veneziana, ebbe la sfortuna di incontrare sul suo cammino i Genovesi.
Ecco i fatti: Pisani con la sua flotta si trovava nella rada di Portolongo  presso l'isola di Sapienza, piccolo lembo di terra greco in mezzo al mare a sud est della penisola del Peloponnesso.
Siamo alla terza guerra tra Genovesi e Veneziani che si combattè tra il 1350 e il 1355; per l'esattezza siamo nel penultimo anno di guerra, è il 4 novembre 1354, ed i Genovesi, sotto la guida di Pagano Doria, giungono in prossimità dell'isola di Sapienza pronti a sfidare l'eterno nemico Serenissimo.
Pagano Doria ha da poco battuto i Veneziani a Parenzo dove si è impadronito della spoglie dei martiri Mauro ed Eleuterio (spoglie che saranno portate nell'Abbazia di San Matteo e conservate in un sarcofago marmoreo ancora oggi conservato nel chiostro di San Matteo di cui trovate una foto nel paragrafo dedicato a San Matteo nella pagina de "le CHIESE di GENOVA", e restituite al tempio parentino nel 1933).
Niccolò Pisano fa affiancare e incatenare tra loro venti galee davanti al golfo a difesa dello stesso, mentre egli si posiziona con le sue galee in mezzo al mare pronto a sfidare i Genovesi. 
La flotta genovese si divide:  mentre Pagano Doria rimane in mezzo al mare lontano abbastanza da non essere visto dai Veneziani suo nipote Giovanni con alcune galee punta al golfo. Pisani vede le poche navi genovesi e lascia che esse avanzino sicuro di poterle circondare e non sapendo che stava giungendo anche Pagano Doria  con la sua flotta.
Il comandante delle galee veneziane lasciato dal Pisani a difesa del golfo, vedendo avanzare i Genovesi così velocemente, pensa che Pisani sia stato sconfitto e si arrende ai Genovesi.
A questo punto i Genovesi puntano a Pisani rimasto con le sue galee in mezzo al golfo e in poco tempo circondato anche da Pagano Doria che nel mentre era giunto davanti alla flotta della Serenissima: il veneziano non può che  arrendersi e viene fatto prigioniero insieme a moltissimi dei suoi, mentre alcune navi vengono incendiate e altre portate a Genova quale bottino. Le perdite in vite umane si aggirano intorno ai quattromila veneziani caduti in battaglia. Il doge di Venezia Andrea Dandolo muore dal dispiacere appena viene a conoscenza della grave sconfitta subita.
L'ammiraglio veneziano viene condotto a Genova e imprigionato: verrà liberato l'anno seguente quando sarà firmata la pace tra Genova e Venezia e, tornato in laguna, vivrà lì fino alla morte.
 



b.5 Il Re saraceno Abu-Yahya

Abu-Yahya
(foto di Antonio Figari)
Le fonti storiche non sono concordi sull'identià di questo nemico ma si pensa che egli sia Abu-Yahya Muhammad, il quale dal 1208 governava l'isola di Maiorca in una sorta di principato semi-indipendente che formalmente e politicamente dipendeva da Marrakech.
Ecco come si è arrivati alla sua cattura: i Catalani, stanchi dei continui attacchi dei saraceni provenienti dalle isole Baleari chiedono al Re di Spagna Giacomo I d'Aragona di essere aiutati nella loro spedizione contro i pirati. Il re accetta di partecipare ma il suo contributo in uomini è molto ridotto poichè parte del suo esercito è già in procinto di partire contro gli arabi di Valencia. 
Giacomo I sbarca nell'isola nel 1229, sconfigge Abù Yahya nella battaglia di Portopi del 13 settembre, conquista l'attuale città di Palma nel 1230, e combatte fino alla definitiva resa musulmana nel 1231. 
Genova non partecipa direttamente all'assalto dell'isola. Il suo ruolo è molto particolare: il Papa in persona chiede ai Genovesi di non aiutare i saraceni. I Genovesi infatti, come anche i Pisani, frequentavano già l'isola con la quale avevano rapporti commerciali nonostante fosse un regno in mano ai saraceni.
Conquistata l'isola, Giacomo I concede  nel 1233 ai Genovesi per ringraziarli del loro non intervento una porzione di terreno per la costruzione di un fondaco. Nello stesso anno vengono creati consolati genovesi nelle città marittime in terra spagnola (istituzione, questa dei consolati, già presente nelle terre dominate dai popoli islamici per dare assisitenza e aiuto ai mercanti genovesi).
Del perchè si sia scelto il Re Saraceno quale nemico da porre in facciata di Palazzo Ducale non ci è dato sapere: le fonti storiche che narrano la conquista di Maiorca non accennano al fatto che Abu-Yahya sia stato portato a Genova come ci farebbe pensare il suo essere in catene in facciata a Palazzo Ducale.



b.6 Enrico d'Aragona
 
Enrico d'Aragona
(foto di Antonio Figari)

Fratello del Re Alfonso, venne fatto prigioniero insieme a lui, un altro fratello, Giovanni (la madre, Eleonora d'Alburquerque, alla notizia che tre dei suoi figli maschi erano stati fatti prigionieri, morì dal dolore), ed alcuni nobili, tra i quali  il Duca di Sessa, nelle acque di Ponza nel 1435 dopo la sconfitta subita contro i Genovesi (Vi rimando al paragrafo b.2 di questa pagina per approfondire le vicende legate a tale battaglia e alla loro cattura).
Come già ho avuto modo di raccontarvi Alfonso non giunse mai  a Genova, fu consegnato a Filippo Maria Visconti Duca di Milano e dopo un breve periodo di prigionia fu liberato: le fonti raccontano che la stessa sorte toccò ai suoi fratelli Enrico e Giovanni.
Enrico dal canto suo non era nuovo alla prigionia e alle sconfitte: qualche anno prima, nel giugno del 1422, era stato imprigionato a Madrid dove rimase rinchiuso per qualche anno. Fu rilasciato nel 1427 grazie alle pressioni del fratello Alfonso che minacciò di invadere la Castiglia.
Dopo la disfatta contro Genova partecipo' nuovamente ad una rivolta dei nobili contro il Re in Castiglia e fu di nuovo sconfitto, imprigionato e costretto all'esilio.
Enrico morirà nel 1445 vicino a Saragozza dopo aver tentato invano con il fratello Giovanni di riprendere il controllo della Castiglia per la terza volta in pochi anni.
Non sappiamo il perché lo si sia voluto rappresentare in catene in facciata di Palazzo Ducale poichè probabilmente, come Alfonso, la città di Genova la vide solo dalla nave che lo conduceva insieme ai fratelli nel porto di Savona dopo la disfatta di Ponza.
 

b.7 Alberto Morosini

Alberto Morosini
(foto di Antonio Figari)


Veneziano, divenuto Podestà di Pisa (i Pisani erano soliti affidare la carica di Podestà ad un personaggio che non fosse della città), fu sconfitto insieme alla flotta della città toscana nella storica Battaglia della Meloria il 6 agosto 1284.
Ecco i fatti: i Pisani, da anni in contrasto con Genova, venuti a conoscenza che parte della flotta genovese era ormeggiata presso Porto Torres in Sardegna, consci della loro momentanea superiorità numerica, puntano alle navi genovesi. Benedetto Zaccaria, che è al comando della flotta genovese, evita lo scontro diretto e punta verso il Mar Ligure dove in sua difesa arriva la restante parte della flotta genovese. I Pisani allora ripiegano verso casa non prima però, in segno di sfida, di aver lanciato frecce d'argento verso le navi genovesi.
La flotta genovese, tutt'altro che intimorita, salpa alla volta di Pisa: è il 6 agosto, giorno in cui Pisa celebra San Sisto, patrono della città, e giornata fioriera (in passato) di grandi vittorie per la città toscana.
La flotta genovese si divide in due: 63 galee guidate da Oberto Doria puntano verso Pisa, mentre altre 30 galee, agli ordini di Benedetto Zaccaria, rimangono lontane e nascoste agli occhi dei Pisani.
Questi ultimi, credendo di essere in superiorità numerica,  attaccano i Genovesi ed inizia così la battaglia presso le secche delle Meloria.
Dopo qualche ora di combattimento interviene lo Zaccaria con le sue trenta galee che, prendendo di sopresa la flotta pisana, decide le sorti della battaglia a favore dei Liguri. 
Morosini viene condotto in catene a Genova insieme a novemila prigionieri pisani (da lì nacque il detto "se vuoi veder Pisa vai Genova" visto il grandissimo numero di prigionieri pisani condotti in Liguria), i quali vengono rinchiusi in un luogo che d'ora innanzi sarà denominato Campo Pisano: molti di essi, a causa del rigido inverno e delle precarie condizioni nelle quali erano costretti a vivere, morirono e lì vennero seppelliti (si dice che nella zona ancora vaghino i fantasmi dei prigionieri morti di stenti a Campo Pisano: se volete approfondire questa storia trovate un paragrafo ad essa dedicato "5. Le ombre a Campo Pisano" nella pagina de "i FANTASMI di GENOVA").
Una curiosità: tra i prigionieri pisani c'era Rustichello, il quale, condotto nelle carceri di Palazzo San Giorgio, conobbe nel 1298 Marco Polo, arrivato a Genova dopo la disfatta veneziana a Curzola (come saprete egli trascriverà i resoconti di viaggio di Marco Polo dando vita a "Il Milione").
Morosini, insieme a un migliaio di prigionieri pisani, torna a Pisa dopo tredici lunghi anni di prigionia. Lasciata Pisa, fa ritorno a Venezia dove si ritira a vita privata.
Pisa non manterrà gli impegni assunti con la pace firmata nel 1288 e così la flotta genovese, guidata da Corrado Doria, tornerà a Pisa nel 1290 e raderà al suolo il porto infliggendo ai toscani la sconfitta definitiva (per approfondire questo episodio vi rimando al paragrafo "11. La pietra della catena pisana" nella pagina de "le PIETRE parlanti"). 



b.8 Giacomo I di Cipro

Giacomo I di Cipro
(foto di Antonio Figari)

Re di Cipro, fu catturato dai Genovesi che lo condussero a Genova insieme alla moglie dove rimase per 10 anni.
Ecco i fatti: i Genovesi, i quali avevano interessi commerciali a Cipro, vengono chiamati sull'isola da Eleonora d'Aragona per vendicare la morte del di lei marito, il Re Pietro I.
I Genovesi invadono Cipro nel 1373 e in breve tempo, dopo aver conquistato Famagosta, puntano al controllo dell'intera isola.
Giacomo I, nipote ex fratre di Pietro I, viene indicato da tutti i nobili quale Re dell'isola e sotto la sua guida i ciprioti iniziano la guerra di resistenza ai Genovesi.
Nel mentre tuttavia suo nipote Pietro II firma un trattato di pace con i Genovesi i quali ottengono la città di Famagosta e si portano indietro con loro a Genova Giacomo I con la moglie: questi ultimi rimarrannno, rinchiusi nelle carceri della Lanterna, per ben dieci lunghi anni nei quali la coppia darà alla luce la maggior parte dei loro figli tra i quali Giano I,colui che succederà al padre alla guida nel regno di Cipro, e Ugo, che diverrà Cardinale Arcivescovo di Nicosia (come avrete notato due nomi molto genovesi: il primo si rifà al mitico fondatore di Genova e il secondo a Sant'Ugo che visse a Genova presso la Commenda e di cui un giorno Vi parlerò nella pagina dei  "poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI").
Alla morte di Pietro II, il quale non aveva lasciato eredi, il parlamento cipriota decide di affidare il Regno a Giacomo I. I Genovesi acconsentono alla sua liberazione ottenendo in cambio che Famagosta rimanga sotto la sovranità genovese e nuovi privilegi commerciali per la Repubblica.



3. Il Palazzo Arcivescovile


In questo acquarello di Pasquale Domenico Cambiaso, dal titolo "Avancorpo del Palazzo Ducale e la Torre", si nota sulla sinistra il Palazzo Arcivescovile e  sulla destra l'angolo dell'antica cortina di Palazzo Ducale, abbattuta nel XIX Secolo



Questo edificio  fu costruito nel 1530 (anche se alcune fonti lo fanno risalire a dieci anni prima, mentre Alizeri lo data 1535) su progetto dell’architetto Domenico Caranca (a cui si devono anche altri palazzi nel centro storico genovese) coadiuvato da Giovani Pietro e Giovanni Maria Pessallo.

Una precedente sede era probabilmente collocata a fianco della Cattedrale e ad essa collegata tramite un passaggio aereo (in una loggia al primo piano vi sono alcune antiche colonne in pietra di promontorio con capitelli cubici, forse provenienti proprio da questo edificio).

L’ingresso principale del palazzo affacciava originariamente su Salita dell’Arcivescovado. Nel 1845, dopo l’abbattimento della cortina del vicino Palazzo Ducale, l’ingresso principale viene spostato su quella che diventerà Piazza Nuova, l’attuale Piazza Matteotti.

Superato l’atrio si giunge nel cortile interno sovrastato da un lato dalla mole dell’abside della Cattedrale di San Lorenzo e dall’altro dal loggiato a “L” del secondo piano (sulla balaustra e sulle colonne in marmo di questo loggiato sono stati incisi nei secoli date, lettere, croci, reticolati per giocare a “filetto” e perfino due disegni di chiese, una delle quali forse rappresentazione della Basilica di Carignano, e uno di una imbarcazione).

Un curiosità legata al cortile: se osservate con attenzione la pavimentazione a “risseu” noterete tante cupole (anche se appena accennate) con al centro vetro cemento. Sotto il cortile nel 1956 vennero creati i nuovi spazi del Museo del Tesoro della Cattedrale, progettati da Franco Albini: l’architetto realizzò una grande stanza esagonale al centro con intorno quattro piccole stanze rotonde, uno spazio ipogeo che da una parte richiama nell’architettura le “tholoi”, le antiche tombe micenee, e dall’atra evoca gli spazi sepolcrali delle cripte delle chiese cristiane.

Grazie alle parole dell’anonimo del 1818 scopriamo i vari uffici che qui avevano sede: “Dalla piazza dei Funghi si passa al palazzo Arcivescovile. Per comoda scala ascensesi al piano superiore di esso attraversando il portico di cui è il passo all’Archivio dei Notai e alla Cancelleria arcivescovile. Al primo piano o riposo della scala è il Magistrato di Misericordia e quindi altra scala conduce alla chiesa Metropolitana. All’ultimo ripiano volgendo a destra son gli archivi arcivescovili e le sale d’udienza della Curia ecclesiastica, quindi è l’ingresso all’appartamento di residenza dell’Arcivescovo di Genova. Una gran sala tutta nella volta dipinta a fresco colla rappresentazione di un Concilio sinodale ed altre allegorie annunzia l’ingresso alle altra stanze. A destra è quella alla cappella tutta pure a fresco dipinta nella volta e nelle pareti. L’altare poi di questa è assai ricco in marmi egualmente che belle indorature la rendono cospicua e magnificentissima. Nell’Uffizio di Misericordia è a vedere un bel fresco staccato dalla parete, immagine della SS. Concezione di Domenico Piola. Nell’appartamento arcivescovile sono pure alcuni quadri di buon pennello.”.

Federico Alizeri ci descrive il palazzo così come appariva nel 1875: “Alle attuali misure fu tratto del 1530, per ordine di Marco Cattaneo procuratore del cardinale Innocenzio Cibo e a disegnarne le parti fu eletto il Marchesi da Caranca. Porgeva la fonte alle contrade di San Matteo, laddove infio ai giorni nostri durò l’ingresso. Su questa facciata ebbe decoro di cornici e timpani in pietra di Promontorio, de’ quali vi si veggono ancora assai parti intiere, lavoro di Gio.Pietro e Gio.Maria di Passallo, lodati quadraturisti e statuari. La gran sala conserva pregevoli affreschi con tre storie bibliche di Luca Cambiaso, commessi dall’arcivescovo Cipriano Pallavicino, del quale havvi pure rappresentata la celebrazione del Sinodo sulla parete di fronte.”

L’edificio subirà gravissimi danni dal bombardamento del 19 maggio 1944, danni che non risparmieranno la cappella arcivescovile, poco sopra descritta, di cui oggi rimane solo l’altare, ed il salone con gli affreschi del Cambiaso: dell’apparato pittorico di quest’ultimo si salvò solo la parete con l’affresco del Sinodo Provinciale del 1574, eseguito da Cambiaso nel 1583 poco prima di partire per la Spagna. L’evento religioso descritto nell’affresco è il Concilio della Provincia Ecclesiastica convocato dall’Arcidiocesi di Genova, retta all’epoca dall’arcivescovo Cipriano Pallavicini (che durò in carica dal 1567 al 1586). Al Concilio furono invitati a partecipare le diocesi di tutta la Liguria, del basso Piemonte e della parte settentrionale della Corsica con le diocesi di Nebbio, di Mariana e di Accia. Una curiosità: anche se il Concilio Ecumenico aveva stabilito di tenere i Sinodi Provinciali ogni tre anni, solo dopo oltre quattro secoli, nel 1950, il Cardinale Giuseppe Siri convocherà un nuovo Concilio Provinciale.



Il cortile con, sulla sinistra, i muri esterni dell'abside della Cattedrale
(foto di Antonio Figari)



La facciata interna del Palazzo Arcivescovile con la loggia
(foto di Antonio Figari)



L'affresco del Sinodo nel Salone al secondo piano
(foto di Antonio Figari)



4. Gli ospedali


4.1 Gli ospedali "diffusi" del Medioevo

Prima dell'edificazione del grande Ospedale di Pammatone nel XV secolo, facente funzione di ospedale centrale ad uso di tutta la città, vi erano molti piccoli ospedali sparsi per la città.
Da una parte vi erano gli ospedali di ispirazione religiosa: in primis gli ospedali monastici, nati in principio per la cura dei monaci residenti e successivamente aperti anche all'assistenza dei poveri sia per dare loro un alloggio che per la cura delle malattie. A questa funzione si affiancò presto anche l'assistenza e l'ospitalità ai pellegrini di ogni ceto sociale, anzi spesso la destinazione alberghiera veniva a sostituire quasi del tutto quella assistenziale.
Sempre a questo primo tipo di assistenza appartenevano gli ospedali sorti per volontà degli ordini ospedalieri cavallereschi. Questi ultimi erano nati a Gerusalemme durante la prima crociata per dare assistenza ai cristiani feriti o malati, e successivamente si erano diffusi nelle città, soprattutto quelle che si affacciavano sul mare e lungo le principali strade che attraversavano l'Europa, e avevano quale missione principale quella di dare assistenza ai pellegrini di passaggio verso Roma  o la Terra Santa.
A Genova di questo secondo tipo vi era l'ospedale presso la Commenda di Prè gestito dai Cavalieri di San Giovanni.
Vi erano poi gli ospedali sorti per volontà degli ordini non cavallereschi come quello fondata dai Cruciferi sulla sponda destra del Bisagno (nel luogo che oggi chiamiamo Borgo Incrociati) e dalle Canonichesse di San Giovanni presso il Convento di San Leonardo.
A Genova vi erano poi due ospedali, intitolati l'uno a  Sant'Antonio in zona Pré (dove in particolare veniva curato il Fuoco di Sant'Antonio) e l'altro al Santo Spirito, non direttamente collegati con i relativi ordini religiosi.
Dall'altra vi erano invece gli ospedali laici, nati  per volontà di coloro che amministravano la città o su impulso di privati cittadini. 
Del primo tipo, ossia nati per volontà della autorità cittadine, a Genova vi era l'ospedale comunale dello Scalo che si trovava presso la darsena delle galee (vi rimando al paragrafo 19.10 di questa pagina per approfondire la storia della Darsena). Del secondo tipo nella nostra città vi erano quello di San Gerolamo, di San Desiderio, del Carmine, di San Lazzaro e l'ospedale dei Sacco presso San Benedetto. Come si intuisce dai nomi, questi ospedali, nati come laici, passano presto agli ordini religiosi.
Non mancavano poi piccoli ospedali gestiti da confraternite che operavano presso chiese e monasteri o da corporazioni artigiane.
Ecco di seguito l'elenco degli ospedali della Genova medievale:
- ospedale di Capo di Faro (sito a pochi passi dalla Lanterna nei pressi del monastero di San Benigno e gestito dai monaci della stessa);
- ospedale di San Lazzaro (sito nell'odierna zona di Piazza Dinegro adiacente all'omonina chiesa, facente funzioni di lebbrosario e in seguito di Lazzaretto, fu fondato nel 1110 da un privato cittadino, il "buon Martino", come ci racconta l'Alizeri);
- ospedale di San Cristoforo (di fondazione laica, era sito nei pressi del monastero di San Benedetto);
- ospedale di San Benedetto e l'ospedale dei Sacco (siti entrambi presso il monastero di San Benedetto, il primo gestito dalle suore del  Convento, il secondo di fondazione laica voluto dalla famiglia Sacco);
- ospedale di San Tommaso (sito presso l'omonimo monastero a Capo Arena, l'odierna zona di Piazza del Principe ;
- ospedale di San Giovanni (sito nel complesso di San Giovanni di Pré e fondato dai cavalieri di San Giovanni);
- ospedale dello Scalo (di fondazione comunale, era sito presso la darsena delle galee);
- ospedale di Sant'Antonio di Pré (annesso all'omonimo monastero nella zona di Pré, qui in particolare veniva curato l'herpes zoster, il cosiddetto "fuoco di Sant'Antonio");
- ospedale di San Francesco (sito nell'omonimo monastero ai piedi di Castelletto);
- ospedale di Suor Verdina - l'ospedale delle Vigne  (Suor Verdina, vissuta a Genova nel XIII secolo e probabilmente appartenente al terzo ordine  francescano, fu fondatrice di alcuni ospedali nei vicoli tra cui uno in zona Vigne che, dopo la sua morte, passerà sotto la gestione della parrocchia);
- cadé della Maddalena (sito non lontano dalla Chiesa di San Francesco di Castelletto e senza alcun collegamento con l'omonima chiesa se non l'intitolazione; esso era gestito dall'Ordine degli Umiliati);
ospedale dello Spirito Santo (sito presso la Chiesa intitolata a Santa Maria Maddalena, era gestito dalla Consorzia dei Ciechi: i non vedenti erano riuniti in corporazione dal XIII secolo);
- ospedale di Santa Maria del Carmine (sito in zona Carmine, si trattava di una istituzione laica privata nata grazie alla generosità della nobile Virginia Lomellini);
- ospedale di Sant'Erasmo (nato per l'assistenza della gente di mare, di cui Erasmo era il santo patrono, era situato nei pressi del porto);
- ospedale di Santa Maria di Castello (sito nei pressi dell'omonima chiesa, era gestito dai monaci della stessa);
- ospedale di San Gerolamo (sito nella zona di San Donato, fu fondato dal nobile Giacomo Fieschi che decise poi di cederlo agli Olivetani del Convento di San Gerolamo di Quarto, mantenendo però il giuspatronato);
- ospedale dei SS. Crispino e Crispiniano (sito in Piazza Sant'Agostino,  fu fondato dalla corporazione dei calzolai e intitolato ai loro santi protettori);
- ospedale di San Desiderio (sito nei pressi del Monastero di Sant'Andrea a poco distanza da Porta Soprana, fu fondato, finanziato e gestito dall'orafo Lanfranco del Poggio che in seguito cederà l'amministrazione alle suore del vicino monastero di Sant'Andrea);
- ospedale di Porta Soprana (sito presso Porta Soprana, fu fondata da un certo Sigembaldo che volle questa struttura per dare ricovero e assistenza ai poveri della zona);
- ospedale dei "Foresti" (nato per dare assistenza ai forestieri che non riuscivano ad essere curati negli ospedali cittadini, e sito nei pressi della Chiesa di Santa Maria dei Servi, fu fondato e amministrato dalla "compagnia della quattro nazioni" così chiamata in ricordo dei quattro principali luoghi - Milano, Roma, Francia e Germania - dal quale provenivano i loro fondatori);
- ospedale di Santo Stefano (conosciuto anche come ospedale di Ponticello, fu fondato e amministrato dai monaci della vicina Abbazia di Santo Stefano);
- ospedale di San Pellegrino (sito nei pressi della Porta dell'Arco ma fuori dalle mura, era annesso all'oratorio dedicato ai "Sanctos Peregrinos", ossia Nazario e Celso, termine dalla cui volgarizzazione deriva "pellegrino"; come il vicino oratorio dipendeva dall'Abbazia di Santo Stefano);
- ospedale di Misericordia (sito nei pressi di Porta dell'Arco dentro alle mura della città, era gestito da frati);
- ospedale di San Giacomo di Morcento (alle dipendenze del Monastero intitolato ai SS. Giacomo e Filippo, questo piccolo ospedale era ubicato nel borgo di Santo Stefano nella zona del Morcento);
ospedale delle Repentite - l'ospedale delle suore di Misericordia (sito anch'esso nella zona del Morcento, era detto delle Repentite perché era annesso ed amministrato dalle suore del l'omonimo Convento);
- ospedale di San Lorenzo (alle dipendenze dalla Capitolo della Cattedrale, era sito nel Borgo di San Vincenzo e assolveva alla doppia funzione di assistenza  e rifugio per i poveri della zona; alle dipendenze della Cattedrale vi era anche un piccolo ospedale in Scurreria);
- ospedale  di Santo Spirito (sito in zona San Vincenzo, dipendava dall'omonimo monastero);
- ospedale di Santa Maria dei Cruciferi (annesso al Monastero di Santa Maria degli Incrociati in quello che oggi chiamiamo Borgo Incrociati);
- ospedale di San Fruttuoso (era questo uno dei cosiddetti "ospedali di ponte" che insieme a quelli detti "di passo" si occupavano di alloggiare i viandanti che lungo il loro cammino incontravano ostacoli naturali come fiumi o monti; era dipendente ed annesso al monastero di San Fruttuoso).
Come noterete, molti di questi ospedali medievali rimandano alle omonime  chiese e monasteri pressi i quali erano collocati: vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la storia degli edifici religiosi citati.
Questo capillare quanto frammentario sistema assistenziale genovese rimane in piedi fino alla seconda metà del XV secolo quando, per volontà del Senato della Repubblica, il grande ospedale centrale di Pammatone sostituisce i tanti piccoli fino a quell'epoca in funzione. La gestione della nuova struttura è riservata alle autorità laiche a discapito degli uomini di chiesa che fino a quel tempo avevano avuto pressoché il totale controllo dei piccoli ospedali medievali, anche se, come vedremo nel prossimo capitolo dedicato a Pammatone, sia qui che all'ospedale degli Incurabili, sarà forte e fondamentale l'impegno e la partecipazione delle autorità religiose nell'assistenza dei malati.


4.2 L'Ospedale di Pammatone


Antica immagine della facciata dell'ospedale di Pammatone; davanti all'ingresso potete notare il monumento dedicato a Balilla
(foto di Antonio Figari)


Un dipinto di Cornelis de Wael, conservato nel Museo di Palazzo Bianco di Genova, raffigurante l'atrio dell'Ospedale di Pammatone durante la Festa del Perdono



L'ospedale di Pammatone nasce nel 1422 quando il notaio Bartolomeo Bosco, il cui nome oggi è legato alla via che costeggia l'antico ospedale, acquista tre case in Vico Pammatone e dopo averle fatte restaurare le adatta ad ospedale intitolandolo alla "Beata Vergine della Misericordia". E' questo il nome ufficiale della struttura anche se per tutti esso era semplicemente "l'Ospedale di Pammatone". Questo termine rimanda alla parola greca "Pamathlon" che indicava una palestra di ginnastica. Poco distante dal Pammatone, nei pressi dell'Acquasola si allenavano i balestrieri genovesi. 
Nel 1423, con l'acquisto di una tintoria, l'ospedale viene ampliato ed aperto anche agli uomini.
Nel 1471, per volontà del Senato della Repubblica, avallata da una "breve" di Papa Sisto IV, l'Ospedale di Pammatone viene destinato a sostituire i tanti piccoli ospedali che nel medioevo curavano i malati.
L'ospedale, dalla forma di una croce (in fondo ad ogni braccio vi era un'altare), era diviso in reparti:  in ognuno di essi veniva curata una determinata malattia (precedentemente, nel Medioevo, come avrete letto nel precedente paragrafo, ogni malattia veniva curata in un ospedale diverso). Dalla parcellizzazione medievale si passa quindi alla centralizzazione di questo nuovo ospedale cittadino.
Una nuova struttura viene costruita a metà del XVIII secolo grazie alla generosità di Anna Maria Pallavicini, la quale lascia all'Ospedale la somma di 125.000 lire genovesi, e di altri benefattori (il totale delle donazioni arrivò a 600.000 lire): il cortile con le sue  trentasei colonne doriche e lo scalone marmoreo che porta ai piani superiori ancora oggi ci raccontano come si presentava questa nuova struttura il cui progetto fu affidato all'architetto Andrea Orsolino.
L'estensione dell'ospedale andava dall'attuale Via Bosco, Piazza Portoria e Via Pammatone (gli edifici moderni di quest'ultima via sorgono sulle macerie degli antichi reparti dell'ospedale) fino a Via XII Ottobre e a Viale IV Novembre dove quello che oggi è il Tribunale di Minori nasceva in realtà come "Regio Teatro Anatomico". Quest'ultimo, edificato tra il 1843 ed il 1846 su progetto dell'architetto Celestino Foppiani, conserva ancora oggi l'elegante facciata neoclassica con i tondi di famosi anatomisti come Giovanni Battista Morgagni (medico italiano vissuto tra il settecento e l'ottocento e considerato il fondatore della anatomia patologica nella sua forma contemporanea) e Andrea Vesalio (medico fiammingo considerato fondatore della anatomia). Qui venivano eseguite le autopsie dei malati che morivano all'ospedale. L'edificio fu molto criticato per i suoi spazi interni, con poca luce e poche prese d'aria (fondamentali per eliminare l'odore dei cadaveri). Si accusava il Foppiani di aver pensato più all'estetica dell'edificio che alla sua funzione pratica.
A pochi passi dal Teatro Anatomico, poggi Tribunale dei Minori, vi è la villetta Serra, rifacimento ottocentesco di un'antica villa che nel XV secolo apparteneva a l Bartolomeo boscoo e che, unitamente ai vicini terreni, fu donata da quest'ultimo all'Ospadela di Pammatone (vi rimando alla pagina dedicata a i SEGRETI dei VICOLI della GRANDE GENOVA per approfondire la sua sotria).
La gloriosa storia secolare di Pammatone si interrompe nel 1907 quando inizia la costruzione del nuovo ospedale cittadino San Martino e nel 1911 quando vengono inaugurati i primi padiglioni.
Lo storico Ospedale di Pammatone diviene quindi sede della Facoltà di Economia e Commercio.
I bombardamenti del 1942 e del 1943 fanno enormi danni all'intera struttura la quale nel 1966 viene inglobata nel nuovo palazzo di giustizia che mantiene al suo interno ancora il cortile settecentesco, l'antico colonnato e lo scalone monumentale.






Le statue dei benefattori, ossia di coloro che con la loro generosità hanno permesso di accogliere a Pammatone nei secoli poveri e derelitti per dare loro assistenza e cure, sono oggi sparse lungo i viali del parco intorno ai padiglioni dell'Ospedale di San Martino. Se volete approfondire questo argomento Vi consiglio di visitare il sito "DA PAMMATONE A SAN MARTINO Le statue dei benefattori", un sito molto bello fatto, opera dell'amico Luciano Rosselli.
Oltre ai benefattori, non possiamo non ricordare l'opera dei frati Cappuccini i quali, arrivati a Genova nel 1530 e stabiliti presso l'Ospedale degli Incurabili (di cui trovate la storia al successivo paragrafo), dopo pochi anni inizieranno la loro opera di assistenza ai malati anche a Pammatone trovando poi casa in quella chiesa, con annesso convento, che ancora oggi si trova dietro Pammatone ossia la chiesa della Santissima Annunziata di Portoria (da tutti conosciuta anche come chiesa di Santa Catrina) e che ancora oggi vede la loro presenza. Chiuso Pammatone, i frati Cappuccini continueranno la loro opera di assistenza ai malati all'Ospedale di San Martino.


Ciò che rimane dell'Ospedale di Pammatone, come si presenta oggi, inglobato nelle moderne strutture del Tribunale di Genova
(foto di Antonio Figari)


Il cortile di Pammatone
(foto di Antonio Figari)

Particolare del colonnato superstite di Pammatone
(foto di Antonio Figari)



Lo scalone di Pammatone come si presenta oggi
(foto di Antonio Figari)


La statua di Bartolomeo Bosco, originariamente a Pammatone, oggi nell'atrio dell'Ospedale di San Martino
(foto di Antonio Figari)

Bartolomeo Bosco
(foto di Antonio Figari)





4.3 L'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici

Nello stesso periodo in cui cresceva il Pammatone, accanto allo stesso veniva istituito il cosiddetto "Ridotto dei poveri infermi di Santa Maria", primo embrione di quello che sarebbe divenuto più avanti, grazie alla generosità di un altro genovese, Ettore Vernazza, vissuto a cavallo tra i quattro ed il cinquecento, l'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici, fondato dallo stesso nel 1499 su impulso di Santa Caterina. E' questo il primo caso di "Ospedale degli Incurabili", ossia di struttura atta ad accogliere coloro che non potevano essere curati negli ospedali ordinari, nato in Italia: sorgeranno solo in seguito anche in altre città come Venezia o Napoli.
Per raccontarvi la sua storia riprenderò le parole dell'Alizeri che così scriveva nella sua Guida Artistica per la città di Genova: "(...) prima dell'anno 1500 alcuni caritatevoli uomini, radunati in società privata, aveano accomodate alcune stanze in questo sito, per ricetto de' poveri infermi incurabili i quali non potendo essere accolti nello Spedal Grande secondo gli statui di questo, giacevano miseramente per ogni punto della città in luoghi disagiati ed immondi, spesso abbandonati da' familiari per impazienza o disperazione di giovevoli cure, col pericolo di perdere non solo il corpo, ma l'anima tra le angosce di lunghi e penosi malori. Uno di questi benemeriti fu Ettore Vernazza, il quale, orbato immaturamente della moglie, abbandonò la propria casa, e (ci serviamo delle parole che la figlia ne scrisse) andò a stare nelle accomodate stanze dell'Ospitale degl'Incurabili; ch'egli era uno di quelli che ne avevano cura; in questo dimorò sempre quando stava a Genova, in questo è morto e l'ha lasciato erede. A questo pietoso ospizio che segnava i primordi d'un ragguardevole stabilimento davasi il nome di Ridotto infirmorum incurabilium, e i fondatori si chiamavano con quello di Provvisori, di cui non saprei immaginare il più acconcio né il più modesto. Ma più grandi cose si maturavano. L'anno del 1500 i Provvisori, ridotte in formale statuto le consuetudini di questo Spedale, stabilirono di sottoporle all'autorità di Governo ed implorarne la sanzione."
Come ci racconta l'Alizeri, in questo ospedale venivano accolti coloro i quali venivano rifiutati all'ospedale di Pammatone perché affetti da malattie all'epoca incurabili: scopo dell'Ospedale degli Incurabili era appunto dare un giaciglio a questi poveretti spesso abbandonati a morire lungo le strade; furono poi qui accolti in seguito anche i malati di mente (che qui rimarranno fino all'istituzione dei manicomi) e durante la peste i malati di questo orrendo morbo.
A proposito di peste, mi piace qui ricordare, tra i tanti volontari che prestarono la loro opera in questo ospedale, due illustri nostre concittadine: le nobildonne Laura Violante Pinelli e Sofia Lomellini, facenti parte dell'Arciconfraternita della Morte, che aveva sede presso la chiesa di San Donato e di cui trovate la storia nella pagina dedicata a gli ORATORI e le CASACCE.
Le due pie donne, insieme ad Ettore Vernazza, sono ancora ricordate nella toponomastica cittadina dando il nome a vie del centro cittadino, proprio nei pressi di dove anticamente sorgeva detto ospedale, di cui purtroppo nulla rimane a seguito del piano particolareggiato di Piccapietra.
L'ospedale degli Incurabili fu il primo luogo ove i Cappuccini prestarono assistenza a Genova. Arrivarono qui intorno nel 1530 e solo in seguito iniziarono anche ad assistere i malati nell'Ospedale di Pammatone.

Interni dell'Ospedale degli Incurabili o dei Cronici con sullo sfondo la statua di Ettore Vernazza


La stessa statua di Ettore Vernazza, opera di Santo Varni, originariamente collocata nell'Ospedale dei Cronici, oggi nell'atrio dell'Ospedale di San Martino
(foto di Antonio Figari)


Ettore Vernazza
(foto di Antonio Figari)
  

4.4 . L'Ospedale Militare "Regina Maria"

Nella prima metà del XIX secolo, gli spazi del convento di N.S. della Neve (di cui trovate la storia nella pagina de le CHIESE di GENOVA), dopo che le suore a seguito delle requisizioni dei beni ecclesiastici del periodo napoleonico avevano dovuto abbandonare questo luogo, erano divenuti di proprietà dello stato sabaudo.
Con la costruzione di un corpo fabbricato sul lato sud, l'edificio fu adattato ad ospedale militare, destinazione che mantenne fini agli inizi del XX secolo quando divenne Caserma della Polizia Portuale.


4.5 Gli Ospedali della Duchessa

Tra le tante opere filantropiche della Duchessa Maria Brignole Sale De Ferrari, voglio in questo breve paragrafo ricordare i tre ospedali da lei voluti e finanziati, tutti facenti parte dell'Opera Pia De Ferrari Brignole Sale ed ognuno di essi destinato ad una specifica categoria di assistiti.
Il primo e più famoso è quello intitolato all'apostolo Andrea e così chiamato in ricordo del suo secondogenito, prematuramente morto  nel 1847. A noi tutti come "Galliera", fu costruito ex novo nella zona di Carignano presso l'antico convento della Cappuccine e destinato ai malati "generici" che potevano esibire un certificato di povertà  e  che risiedevano nel territorio di un comune della Repubblica di Genova all'epoca dell'annessione all'impero francese.
Il secondo ospedale venne costruito sulla collina di Coronata ed intitolato a San Raffaele, in memoria del marito della Duchessa: costruito ex novo su terreni di proprietà dei De Ferrari e nei pressi di una villa della famiglia, fu destinato agli anziani cronici.
Il terzo ed ultimo ospedale voluto dalla Duchessa fu il San Filippo: creato riadattando gli spazi di una villa di proprietà della stessa in Via San Bartolomeo degli Armeni, era destinato a divenire ospedale pediatrico. Fu così denominato perché Filippo era il nome del suo terzo figlio, l'unico che le sopravviverà ma con il quale la Duchessa avrà rapporti molto difficili. 


5. L'Albergo dei Poveri

Antica cartolina dell'Albergo dei Poveri

Fu Emanuele Brignole a volere la sua nascita nel 1652, dopo aver ricevuto l'autorizzazione dal Magistrato della Sanità a scegliere ed acquistare un terreno idoneo alla costruzione di un complesso pensato per l'ospitalità dei cittadini più poveri e disagiati.

Quattro anni più tardi la sua costruzione, da poco iniziata, fu interrotta a causa dello scoppio in città dell'epidemia della peste (vedi la pagina de laGENOVAsotterranea al paragrafo 1 per un approfondimento), epidemia le cui tracce ancora oggi troviamo nelle fondamenta dell'Albergo dove sono seppelliti, si dice, più di 10.000 cadaveri.
Dopo questo tragico evento, che scosse profondamente la città, si pensò di abbandonare il progetto ma fu lo stesso Brignole con una generosissima donazione (si dice di 100.000 lire dell'epoca) a dare l'impulso affinché i lavori potessero essere portati a termine.
Il complesso subì vari ampliamenti: quello che oggi vediamo è l'aspetto che l'edificio assunse nel 1835.
Il frontone della facciata fu decorato nel 1665 da Giovanni Battista Carlone con un affresco raffigurante la Vergine adorata da San Giorgio, Santo Stefano, San Giovanni e San Bernardo di cui purtroppo nulla rimane oggi.
Questo acquerello su carta di Luigi Garibbo ci dà un'idea approssimativa del deterioramento dell'affresco del Carlone nella seconda metà dell'Ottocento

E' invece ancora oggi visibile in mezzo alla facciata l'affresco del bolognese Paolo Brozzi raffigurante l'arma araldica della città di Genova con i due grifoni ai lati.
Oltre ad essere destinato ad opere di carità, l'Albergo dei Poveri divenne nel 1684, durante i bombardamenti del Re Sole (vedi la pagina de lePIETREparlanti al paragrafo 16 per un approfondimento), sicuro rifugio per i rappresentanti della Repubblica e per molti tesori cittadini quali il tesoro della Cattedrale di San Lorenzo e le ceneri di San Giovanni Battista.
I primi ospiti dell'Albergo arrivarono nel 1666: essi erano cittadini molto poveri spesso non autosufficienti ed in grado di condurre una vita "normale" fuori da lì. Il loro internamento (pochi, pochissimi infatti potevano lasciare l'Albergo sia di giorno che di notte) era scandito dal lavoro, che permetteva all'enorme struttura di autofinanziarsi, e dalla preghiera.
Il lato spirituale della giornata era svolto nell'enorme Chiesa che sorge al centro del complesso, la quale ha due grandi transetti che vedono la divisione uomini, nel transetto di sinistra, e donne, nel transetto di destra, come avveniva già nei corridoi dell'albergo. L'altare della chiesa è decorato da una splendida statua dell'Immacolata opera di Pierre Puget, commissionata all'artista da Emanuele Brignole il quale, nel suo testamento, lascia in eredità detta statua alla Chiesa dell'Albergo. Intenzione del Brignole era che fosse di Puget anche l'altare sottostante la statua, altare che invece verrà eseguito da Francesco Maria Schiaffino nel 1751.
L'albergo è decorato, nell'altrio, negli scaloni, nella grande sala d'ingresso del primo piano e nei corridoi dalle statue e dai busti dei benefattori che permisero la costruzione dell'Albergo dei Poveri.
Nel 1991 è stato siglato un accordo con il quale venne trasferito per cinquant'anni all'Università degli Studi di Genova il diritto di superficie sull'intero complesso.



Il retro dell'Albergo dei Poveri con i giardini trasformati in serre
(foto di Antonio Figari)

Fino a pochi anni fa, l'Albergo dei Poveri non era visitabile; durante i giorni feriali tuttavia il portone principale rimaneva aperto poiché al piano terreno vi era una filiale di una banca e così, memore di quando da piccino ero portato dai miei genitori a Messa qui la domenica, ho più volte varcato la soglia e, in un'atmosfera degna di un film di spiriti e fantasmi, mi son addentrato tra le statue ed i corridoi.
Oggi l'Albergo dei Poveri, dopo un attento restauro (ancora in atto) è visitabile in occasioni di manifestazioni culturali.


La statua di Ettore Vernazza sullo scalone dell'Albergo dei Poveri che conduce al primo piano
(foto di Antonio Figari)


La cassetta per le elemosine posta sotto la statua di Ettore Vernazza
(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


L'atrio del primo piano dell'Albergo dei Poveri e le splendide statue che lo adornano, da me visitato prima degli ultimi lavori di restauro
(foto di Antonio Figari)


La statua di Giovan Francesco Granello, amico di Emanuele Brignole, collocata nell'atrio del primo piano dell'Albergo dei Poveri
(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)


Genova vista dall'Albergo dei Poveri
(foto di Antonio Figari)



L'ala del primo piano riservata alle donne, come ci ricorda una lapide di marmo posta all'ingresso di questo corridoio
(foto di Antonio Figari)



L'interno della Chiesa dell'Albergo dei Poveri e la splendida Immacolata del Puget sull'altare
(foto di Antonio Figari)



L'altare della Chiesa dell'Albergo dei Poveri e la splendida Immacolata del Puget
(foto di Antonio Figari)


La cupola della Chiesa dell'Albergo dei Poveri 
(foto di Antonio Figari)



6. Il Conservatorio delle Fieschine

Antica immagine della chiesa del Conservatorio delle Fieschine
con l'altare addobbato con i fiori finti che qui venivano prodotti


La prima pietra di questo imponente edificio, progettato da Pietro Cantone coadiuvato dai figli Simone e Gaetano, fu posta il 15 gennaio 1763. Il complesso, le cui dimensioni raggiungono i sedicimila metri quadrati, verrà completato in otto anni. Le sue dimensioni (cinque piani più i fondi ed il sottotetto), che ancora oggi stupiscono, fanno affermare, all’anonimo del 1818 che il Conservatorio sia “il primo stabilimento di Genova, forse senza eguali in Europa”.

La sua collocazione, oggi nel pieno centro della città, era all’epoca della sua erezione ai margini del centro abitato, in una zona dove vi erano per lo più conventi, la maggior parte del quali costruiti nel XVII secolo.

Il Conservatorio fu voluto dal conte Domenico Fieschi (il cui dipinto è conservato in una sala del complesso accanto ad un altro raffigurante invece sua moglie Giovannetta Pinelli).

Lo scopo di questa istituzione è esplicitato nel testamento di Domenico del 9 luglio 1749: “il ricovero e ammaestramento gratuito di zitelle povere, orfane, abbandonate, onde poi, volontarie, ridonarle alla società, fedeli alla religione, care all’industria, di esempio alle loro uguali”. Qui erano ospitate ragazze poco abbienti che in questa struttura potevano imparare a “leggere, scrivere e far di conto” e specializzarsi in un mestiere: requisiti essenziali, l’essere genovesi e, appunto,  capaci di apprendere un lavoro; non erano ospitate invece fanciulle invalide o inferme.

All’apice del suo sviluppo il Conservatorio arrivò ad ospitare più di trecento ragazze che, sommate ai maestri e agli inservienti, faceva sì che in questo complesso fossero presenti più di cinquecento persone.

La più famosa specializzazione artigianale di queste ragazze era la creazione di fiori artificiali che porterà anche a numerosi riconoscimenti e premi internazionali.

Al fine di istituire questa Opera Pia Domenico Fieschi nomina erede universale dei suoi “beni mobili ed immobili, luoghi di monti, impieghi, azioni, nomi dei debitori e di ogni altra cosa, niente escluso la Scuola o Conservatorio semplicemente laicale da erigersi sotto il titolo della Immacolata Concezione”.

Domenico morirà il 24 gennaio 1762 e l’anno seguente, come vi raccontavo, inizierà la costruzione del Conservatorio.

All’interno del complesso vi è una chiesa, posta al livello stradale, “disposta al doppio uso, così interno come esterno in pro della popolazione” (così si legge in una relazione della “Guida delle cose notevoli in Genova del 1846”). Particolare è la sua forma a “L”: la navata principale, riservata coloro che qui non abitavano, è molto corta e guarda l’altar maggiore con la statua marmorea dell’Immacolata opera di Pasquale Bocciardo, sormontata dal baldacchino ligneo con lo stemma Fieschi, mentre l’unico transetto, a destra dell’altar maggiore, è molto lungo perché doveva ospitare le tante ragazze che risiedevano nel Conservatorio. L’unico altare laterale, alla sinistra dell’altar maggiore e rivolto verso il transetto, conserva una dipinto raffigurante Santa Caterina Fieschi.

Al piano della chiesa, in una stanza attigua, erano esposti i lavori delle “zitelle” e proseguendo nei lunghi corridoi vi era la scuola per imparare a leggere e scrivere, la scuola del ricamo, quella delle tessiture di lana e seta e altre specializzazioni.

Ai piani superiori vi erano i dormitori, la cucina, l’infermeria.

Guido Banchero nella “Guida Turistica di Genova” del 1846 ci racconta che al terzo piano “un lunghissimo corridoio vi conduce in capo dell’altro braccio a settentrione; quivi sono le tombe delle figlie che muoiono nello stabilimento (…) la Superiora mi additava le tombe. Queste sono praticate nei muri perpendicolarmente e quasi piccole cellette ricevono il cadavere, e quindi una lavagna le copre, ed il fattore ha cura di scrivervi sopra il nome della defunta ed il giorno in cui da questa passò all’altra vita: lo mirava quella singolare costumanza e benediva alle caste intenzioni di quelle figlie le quali cercano per questo mezzo di prolungare la memoria delle loro consorelle e vincere le leggi della inesorabile morte.”. Le nicchie sono ancora oggi chiuse da lastre d’ardesia con i poveri resti delle “zitelle” qui morte che venivano “appese” tramite due stampelle sotto le braccia prima di essere murate.

Oggi l’antica Opera Pia fondata da Domenico Fieschi divenuta nel mentre Fondazione continua, esclusivamente attraverso i proventi derivanti dal proprio patrimonio dotale, la sua attività filantropica sempre incentrata sull’aiuto ai giovani bisognosi e se un tempo qui erano ospitate giovani “zitelle” per imparare un mestiere, oggi la fondazione aiuta giovani studenti con l’ospitalità nella struttura e aiuti concreti come borse di studio.

Alcuni dei grandi ambienti del complesso, così come la chiesa interna, conservano capolavori dell’arte genovese (come molte antiche statuine da presepe) e sono visitabili in particolari occasioni dell’anno. In una stanza al piano della chiesa sono esposti gli antichi strumenti e i libri che venivano utilizzati dalla ragazze per confezionare i fiori artificiali, mentre in una stanza attigua è conservato l’archivio.



7. Il Conservatorio Interiano


Il Conservatorio Interiano fu fondato per volontà di Paolo Battista Interiano (1526 - 1609). Lo stesso, che insieme al fratello Niccolò aveva fatto edificare il palazzo in Piazza Fontane Marose, oggi proprietà Pallavicino (vi rimando alla pagina de i PALAZZI privati (seconda parte) per approfondire la storia di queato palazzo),  destinò per testamento una cospicua parte del suo patrimonio per l'istituzione del conservatorio. 

Nasce così nel 1609 questa istituzione per ospitare, crescere ed educare "da 15 sino a 20 figlioule vergini", rimaste orfane di entrambi i genitori, di età compresa tra gli otto ed i dieci anni e in stato di particolare disagio economico.

La sua prima sede fu nei pressi di palazzo Interiano in Piazza Fontane Marose. La stessa fu quindi spostata nel 1623 in una casa preesistente adattata all'uso in zona Acquasola o, meglio, "in faccia alla Porta dell'Acquasola" come ci racconta l'Anonimo del 1818. Nel 1855 il palazzo che ospitava il conservatorio fu demolito a seguito delle trasformazioni urbanistiche che portarono alla nascita di Via Assarotti.  La sede venne quindi spostata dapprima in Carignano e poi nel 1923 in Albaro in Via Parini 17 nel Palazzo di villa ex Brignole Sale dove ancora oggi si trova. 

Quando il conservatorio aveva sede presso l'Acquasola fu eseguita per la sua cappella la splendida pala d'altare della "Annunciazione (Incarnazione)", opera di Bernardo Strozzi oggi conservata in quella che fu la chiesa di Santa Sabina in Via delle Fontane (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per approfondire la sua storia).

Strozzi fu cappellano di questo conservatorio dal febbraio 1628 ma  già in affitto presso lo stesso dal 1626. Qui teneva una scuola di pittura. La pala gli fu saldata nel 1632: fu quindi una delle ultime opere realizzate dallo Strozzi prima della fuga a Venezia  nel 1633.

Una curiosità: presso il DIEC (Dipartimento di Economia dell'Univesità di Genova) è conservato il "Fondo Conservatorio Interiano" che si compone di 166 unità archivistiche che documentano l'attività svolta dalla fondazione sino agli anni quaranta del novecento. Se siete curiosi di approfondire l'argomento, il fondo è consultabile previo appuntamento.


"Annunciazione (Incarnazione)", opera di Bernardo Strozzi 
(foto di Antonio Figari)



8. L'Opera Pia dei putti di San Giovanni Battista (o "Collegio di San Giovanni Battista")

Quella che oggi chiamiamo "Via Serra" un tempo era detta "Via degli Orfani" poiché lungo questa strada vi era l'"Opera Pia dei putti di San Giovanni Battista", istituto qui edificato nel XVII secolo in sostituzione di un collegio situato in Borgo Incrociati e già intitolato a questo santo.
L'Opera Pia viene istituita nel 1537 per dare alloggio e assistenza alle vedove e agli orfani di coloro che erano morti in guerra per difendere la Repubblica.
L'anonimo del 1818 lo chiama "Scuola degli Orfani sotto la protezione di San Giovanni Battista" e racconta che nella cappella dello stesso vi era "una buona tavola della Decollazione di questo Santo".
L'istituto continua la sua missione nei secoli anche grazie alle tante donazioni dei cittadini genovesi.
La grande lapide marmorea in facciata su Via Serra che recita "Orfanotrofio Maschile" ci ricorda la sua funzione otto/novecentesca di orfanotrofio per ragazzi abbandonati e difficili assolvendo "a terra" quella missione che Nicolò Garaventa assolveva "in mare" con la sua "nave-scuola" (vi rimando alla pagina de poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI per approfondire la storia di Garaventa).
L'istituto nel dopoguerra ospiterà una residenza per anziani. 
Nel 2003 diventa Fondazione e negli anni a seguire, oltre ad  ospitare per un breve periodo le famiglie  che avevano perso la casa dopo l'alluvione del Fereggiano del 2011, diventa centro per alloggiare i minori stranieri non accompagnati.
Oggi il destino di questa antica istituzione sembra segnato dopo la nomina di un commissario liquidatore e l'acquisto di un privato di parte della struttura.

La lapide marmorea sopra l'ingresso del Collegio di San Giovanni Battista
(foto di Antonio Figari)


Il ninfeo con la statua di San Giovanni Battista all'interno di quello che fu il Collegio di San Giovanni Battista
(foto di Antonio Figari)


La statua di San Giovanni Battista
(foto di Antonio Figari)



9. L'Asilo Notturno Massoero (ex Caserma dell'Annona)



Luigi Massoero, un nome che a Genova è sinonimo di assistenza per i senza tetto.
Questo nostro illustre concittadino è ai più sconosciuto. E dire che grazie a persone come lui si potrebbe sfatare il mito della tirchieria genovese!
Nel 1912 Massoero, ricco mercante senza discendenza, decide di lasciare alla sua morte un cospicuo lascito agli Ospedali Civili di Genova perché fosse istituito un dormitorio pubblico.
Scrive Massoero: un “asilo od alloggio gratuito che resti aperto tutta la notte e nel quale a qualunque ora, senza alcuna formalità, possano trovare ricovero quanti si presenteranno” “a sezioni maschile e femminile separate”, “specialmente destinato a quei poverelli che si vedono attualmente fare nottata sotto i portici del Carlo Felice, in Galleria Mazzini, ecc.”., e conclude con questa frase “Ben inteso che se Dio mi manda dei figlioli, questo testamento resta nullo.”
Massoero muore nel 1912 senza lasciare discendenza ma fino al 1922, anno in cui il Comune destina finalmente all’“Opera Pia Asilo Notturno Gratuito Luigi Massoero” la Caserma Annona in Via del Molo, il suo desiderio non viene realizzato.
Dalle cronache dell'epoca sappiamo che già ad ottobre di quell'anno nel Massoero la media di posti occupati è di 235 a giorno.
Un curiosità: nella notte del primo dicembre 1921 le pattuglie delle Regie Guardie contano 322 senza tetto, dei quali ben 63 addormentati nel grande porticato di Palazzo Ducale. Di essi più di un terzo provengono dagli altri Comuni del Regno d'Italia ma non solo: vengono trovati anche  cinesi, turchi, spagnoli, inglesi, austriaci, egiziani, estoni, tedeschi ed anche un indiano americano.
Ed ecco la scritta che capeggia a fianco dell'ingresso del Massoero:

NOTTURNO ASILO

HANNO I RAMINGHI SENZA TETTO

IN QUESTO EDIFICIO APPRESTATO DAL COMUNE

PER INIZIATIVA DI LUIGI MASSOERO

CITTADINO INTEGRO, PIO, OPEROSISSIMO

CHE AL BENEFICO SCOPO L'INTERO SUO PATRIMONIO LEGAVA

MCMXXII

L'entrata dell'Asilo Notturno Massoero ed a fianco la targa in ricordo del fondatore Luigi Massoero
(foto di Antonio Figari)

La targa in ricordo di Luigi Massoero
(foto di Antonio Figari)

La targa sopra una porta laterale del Massoero
(foto di Antonio Figari)


10. I Magazzini dell'Abbondanza

L'edificio dei Magazzini dell'Abbondanza, ubicato in via del Molo, venne costruito tra il 1556 e il 1567 dalla Repubblica di Genova per immagazzinare i beni in eccesso nei periodi di abbondanza al fine di creare una riserva da redistribuire invece nei momenti di carestia. Essi erano amministrati dal Magistrato dell'Abbondanza.
Attualmente l'edificio, restituito alla città grazie ad un recente restauro opera dell'architetto Giovanni Spalla che ha dato il suo spunto migliore nella grossa sala che si trova all'ultimo piano formata da una struttura portante interna sospesa in travi di legno lamellare e acciaio,  sormontata da una cuspide vitrea che dà luce all'interno e un tocco di originalità per chi la vede dall'esterno, è sede del Centro di Formazione e Ricerca dell'Università degli Studi di Genova.


I Magazzini dell'Abbondanza
(foto di Antonio Figari)

Il portale d'ingresso dei Magazzini dell'Abbondanza
(foto di Antonio Figari)



11. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 9r

Il Magazzino del Sale, ubicato in Vico Palla al civico 9r, poco distante dai Magazzini dell'Abbondanza, venne eretto a cavallo tra la fine del '400 e l'inizio del '500.
Esso ha una struttura che ricorda quella di una fortezza, caratterizzata da contrafforti molto robusti: era infatti destinata a sostenere poderose spinte laterali a causa del progressivo asciugamento del sale.
Intorno al 1810 l'edificio viene adibito a ricovero per le truppe francesi.
Colpito dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale, ancora oggi attende di essere recuperato dal suo abbandono.


Particolare dei contrafforti del Magazzino del Sale
(foto di Antonio Figari)



12. Il Magazzino del Sale in Vico Palla 4

Al civico 4 di Vico Palla, di fronte al Magazzino del Sale descritto nel precedente paragrafo, c'è un altro magazzino del tutto simile per struttura e funzione a quello poco fa descritto: anch'esso infatti, edificato tra la fine del
'400 e l'inizio del '500, era adibito a deposito del sale.
In seguito diviene magazzino del tè e nel secolo scorso officina.
A differenza del Magazzino dell'Abbondanza e del Magazzino del Sale sopra descritti, questo edificio è di proprietà privata.
Anch'esso è in attesa di essere riutilizzato e rimane per il momento desolatamente vuoto.


13. Sottoripa

"un porticato lungo mille passi dove si può acquistare ogni merce"
(così scriveva Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, nel 1432)

Gli antichi portici di Sottoripa, le cui fondazioni un tempo erano sotto il livello del mare (da qui il nome "sotto la ripa") furono edificati tra il 1125 ed il 1133 per volere del Comune che, così facendo, manteneva pubblico uno spazio della città fondamentale per il suo sviluppo che affacciava sul mare e correva dal Molo Vecchio (di cui trovate la storia al successivo paragrafo  19.2) a Porta dei Vacca (che trovate descritta nella pagina dedicata a le PORTE e le MURA di GENOVA). In questi spazi pubblici trovavano posto botteghe e magazzini dove venivano stipate le merci che qui giungevano dal mare.
L'ampliamento dei moli (vi rimando al paragrafo 19.8 di questa pagina per approfondire la loro storia) segnerà l'inizio del declino dei portici di Sottoripa quale fulcro dell'attività portale. Sarà poi con l'edificazione del tratto di Mura tra il Moo Vecchio e la Porta di san Tommaso nel XVI secolo a segnare per sempre il diretto contatto di Sottoripa con il mare.
I portici ritroveranno la loro antica funzione commerciale nel XIX secolo con la nascita di Piazza Caricamento, nuovo centro per i commerci cittadini dove arrivava anche il treno (vi rimando al paragrafo 30.1.2 di questa pagina per foto e storia di questa stazione). 

(...continua)    


14. La Loggia dei Mercanti

Sul lato nord di Piazza Banchi vi è la splendida Loggia dei Mercanti.
Quella che vediamo oggi fu costruita tra il 1589 e il 1595 su progetto di Andrea Ceresola, detto il Vannone, con la collaborazione di Giovanni Ponzello. 
In quell'area, dove avevano sede i banchi dei cambiavalute, già dal Medioevo esisteva una loggia, fatta costruire dai Padri del Comune, dopo che un violento incendio nel 1378 devastò la zona e diede il via alla risistemazione dell'intera piazza.
Venne quindi edificato nel 1415 un primo edificio che, a seguito di un altro incendio, venne sostituito dall'attuale.
All'esterno, colonne doriche binate sostengono archi nei quali sono visibili pannelli ornati con trofei militari. La decorazione scultorea è opera di Battista Carlone, Battista Bagutti, Taddeo Carlone e Battista Orsolino.
L'interno si presenta in un unico ambiente sormontato da una volta a padiglione adornata dallo stemma di Genova dipinto da Giovanni Battista Brignole, purtroppo andato distrutto insieme alla volta nell'ultimo conflitto mondiale.
Si è salvato invece l'affresco di Pietro Sorri raffigurante la Beata Vergine con il Bambino e i Santi Protettori Giovanni Battista e San Giorgio. 
Nel 1839 il Comune la cedette alla Camera di Commercio che decise di chiuderla con ampie vetrate tuttora presenti.
La loggia divenne quindi, dal 1855, sede della Borsa Valori e della Borsa Merci (la prima, nel 1912, si trasferirà nella nuova sede in Piazza De Ferrari). 
Una statua marmorea del Conte Cavour, opera della scultore lombardo Vincenzo Vela, venne collocato al centro della loggia (anch'essa fu distrutta a seguito del crollo della volta avvenuto a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale).
Oggi la loggia, dopo essere stato uno spazio pubblico sede di mostre temporanee, è oggetto di un interessante scavo che sta portando alla luce edifici di epoca romana e medievale, precedenti all'edificazione della cinquecentesca struttura.


Loggia dei Mercanti
(foto di Antonio Figari)


La loggia dei Mercanti nel XIX Secolo



15. I mercati

Tra gli edifici pubblici che descriverò in questa pagina, non posso non accennare ai vari mercati, piccoli o grandi che fossero, che abbondavano nei vicoli della Superba.
Essi erano veri e propri centri di aggregazione dove ogni giorno si ritrovava tutta la popolazione. 
Non a caso, già in epoca antica, nelle piazze dove si svolgevano i mercati, si assisteva a pubbliche punizioni per dare alle stesse la più ampia risonanza tra la popolazione. 
Di alcuni di essi troverete la storia completa, di altri invece lascerò parlare le immagini.



15.1 Il mercato delle erbe in Piazza della Nunziata

In Piazza della Nunziata vi era uno dei più grandi e frequentati mercati cittadini: carretti, ceste e ogni tipo di merce veniva esposta in modo disordinato in tutta la piazza.
E' forse questo il mercato cittadino più fotografato nell'ottocento: le immagini ci restituiscono tutto il fascino di questa antico centro di aggregazione cittadino. 

















15.2 Il mercato delle erbe in Piazza delle Erbe


Lavandaie e fruttivendole in Piazza delle Erbe accanto al Barchile



15.3 Il mercato delle granaglie nei pressi di Piazza della Raibetta

Nei pressi di Piazza della Raibetta, si svolgeva il mercato delle granaglie. Il toponimo trae origine dalla parola araba "reba" o "rayba" che significa letteralmente mercato o magazzino delle biade.


15.4 Il mercato del pesce in Piazza della Raibetta e in Piazza Cavour
 
In Piazza della Raibetta, così chiamata per distinguerla dalla "rayba" di cui al paragrafo precedente, si svolgeva anche il mercato del pesce (aiutava certamente la vicinanza al mare e spiace oggi pensare che non vi sia un mercato del pesce in questa area).
Un proclama del 12 gennaio 1523 proibiva la vendita del pesce in qualsiasi altra località eccetto "in Chiappa". Sapete il perchè di questo termine?
Il pesce veniva venduto sulla "Clapa piscium", una "ciappa" (lastrone) sul quale veniva posizionato il pesce da vendere. Questa ciappa era famosa nel Medioevo anche perchè qui venivano puniti i debitori insolventi e i falliti: i condannati venivano legati, issati su un palo e lasciati cadere tre volte così da sbattere altrettante volte il sedere sulla pietra per "dar di cul alla ciappa" (espressione usata per indicare coloro che hanno toccato il fondo). Se vi capita di fare un passo in Santa Maria di Castello, nella sala che conserva gli ex voto, troverete un piccolo dipinto con un debitore appeso in attesa di picchiare il sedere sulla ciappa.
Ai condannati, oltre al pubblico ludibrio sulla cappa, venivano sequestrati tutti i beni e la sorte che toccava loro era quella di essere rinchiusi nel vicino carcere di Malapaga.
Un curiosità: la ciappa su cui si vendeva il pesce non è una esclusiva genovese. Ad Albenga per esempio, in quella che oggi è Piazza del Popolo, un tempo c'era una "clapa piscium" sulla quale si vendeva il pesce.
Il mercato del Pesce nel XX Secolo sarà poi spostato nella vicina Piazza Cavour e oggi è in Piazzale Bligny, a Ca' de Pitta.
Rimane, dietro Piazza Raibetta verso mare, una strada dal nome "Via di Pescheria", a ricordo di ciò che avveniva qui un tempo.
 
 
Un banco del pesce in "Ciappa Vegia", l'odierna Piazza Raibetta (foto tratta dal sito www.pescheriecontigenova.com)



  Di seguito due immagini dell'edificio in Piazza Cavour che ospitava il Mercato del pesce:












15.5 Il mercato dell'olio in Piazza Raibetta

Accanto al mercato del pesce in Piazza Raibetta vi era anche il mercato dell'olio e se il pesce veniva venduto sulla "clapa piscium" (famosa anche per il fatto che su di esa venivano punti i falliti), l'olio aveva la sua pietra, la "clapa olei".
Non è un caso che il vicolo, parallelo a Via San Lorenzo, che parte dall'angolo di Piazza Raibetta, si chiami Vico dell'Oliva (secondo alcune fonti, invece, il vicolo prenderebbe il nome dall'antica famiglia Oliva che qui aveva i suoi palazzi).

 
15.6  Il mercato in Piazza San Domenico

In Piazza San Domenico si svolgeva il mercato delle erbe, con una sezione speciale dedicata alla vendita dei fiori.
Nella seconda metà del XIX Secolo il traffico veicolare nella piazza iniziava ad aumentare e il mercato iniziò a divenire di intralcio. 
Si decise così di dare al mercato un nuovo spazio: nacque così il Mercato Orientale.








Angolo del Mercato delle Erbe in Piazza San Domenico dedicato alla vendita dei fiori


Nel periodo natalizio, sia qui che in Piazza Umberto I, vi era anche una fiera con prodotti vari. 

Banchetti della Fiera Natalizia in Piazza San Domenico


 
15.7 Il mercato di Piazza Umberto I (l'attuale Piazza Matteotti)

In Piazza Umberto I, l'odierna Piazza Matteotti, si svolgeva un caratteristico mercatino di Natale (vi erano banchetti  sia in questa piazza che in Piazza San Domenico).




Venditrici di figurine del presepio nella Fiera Natalizia in Piazza umberto I


Banchetti di libri nella Fiera Natalizia in Piazza Umberto I


Banchetti nella Fiera Natalizia in Piazza Umberto I

 
La piazza era occupata da banchetti anche in altri periodi dell'anno come nella domenica delle Palme.

Venditrici di Palme in Piazza Umberto I



15.8 Il Mercato Orientale

Quello che oggi è il Mercato Orientale una volta era il chiostro annesso alla Chiesa di Nostra Signora della Consolazione ed al convento dei Padri Agostiniani.
Il chiostro, i cui lavori iniziarono nel 1699, non fu mai portato a termine.
Con delibera comunale del 21 ottobre 1893, fu decisa l'apertura del Mercato Orientale (a oriente del centro) riadattando la struttura e gli archi dell'antico chiostro.
Il mercato fu inaugurato il 1° maggio 1899 alla presenza del sindaco Francesco Pozzo.








15.9 Il mercato in Piazza del Carmine

Negli anni ottanta del XIX Secolo, con l'allargamento di una piccola piazza all'incrocio tra le salite di Carbonara e san Bernardino, nasce la Piazza del Carmine. 
Nel 1921 qui viene costruita una struttura in metallo in stile liberty per ospitare il mercato rionale che fino ad allora si svolgeva nella vicina Piazza Bandiera.
Il mercato è stato restaurato e messo a nuovo nel 2013 ma purtroppo sono lontani i tempi in cui lo stesso era pieno di banchi e di clienti.


Piazza del Carmine prima che venisse costruito il mercato comunale


Un'antica immagine del mercato comunale in Piazza del Carmine



15.10 Il mercato in Piazza Statuto

Nel 1921 venne inaugurato anche il mercato di Piazza dello Statuto: stesso anno e struttura molto simile al mercato del Carmine sopra descritto.
Oggi si discute se eliminare questa struttura, tra le altre cose recentemente restaurata, per dare, per così dire, lo sbocco al mare a Palazzo Reale.


Piazza dello Statuto prima che venisse costruito il mercato comunale



15.11 Il mercato in Piazza Sarzano 

I banchetti in legno in Piazza Sarzano erano ubicati pressapoco nello spazio oggi occupato dal nuovo mercato in ferro battuto inaugurato nel 2013.


I banchetti in legno in Piazza Sarzano


15.12 Il mercato in Piazza Sauli

In Piazza Sauli, antico slargo incastonato tra Via Giustiniani e Via Canneto il Lungo, c'era un piccolo mercato con banchi di frutta e verdura ancora attivo nel secondo dopoguerra.


Banchetti di verdura e frutta in Piazza Sauli



15.13 Il mercato in Piazza del Ferro

In questa piccola piazza incastonata tra Strada Nuova e e la zona della Maddalena, vi erano alcuni banchetti che vendevano in particolare frutta e verdura.


15.14 Il mercatino delle pulci in Piazza Lavagna

Dagli anni '50 del 900 e per circa un quarto di secolo, in Piazza Lavagna, lo spazio fino ad allora occupato da un lavatoio (che a sua volta aveva preso il posto di un antico barchile, di cui trovate la storia nella pagina dedicata a l'ACQUA pubblica) verrà occupato dai banchi del mercatino delle pulci.

Il mercatino delle Pulci in Piazza Lavagna


15.15. Il mercatino di Piazza Bandiera

In Piazza Bandiera, sotto lo splendido barchile, opera settecentesca del carrarese Francesco Baratta che giunse in questa piazza dopo un lungo pellegrinare nei vicoli (vi rimando alla pagina de l'ACQUA pubblica per approfondire la sua storia), nel secondo dopoguerra vi era un mercatino come ci testimoniano le foto qui di seguito.
E se oggi Enea, con sulle spalle suo padre Anchise e per mano il piccolo Ascanio, dall'alto del barchile osserva le automobili selvaggiamente posteggiate intorno a lui, un tempo invece l'eroe troiano poteva godersi l'allegro brulicare di persone affaccendate tra oggetto di ogni tipo pronti a trovare il loro compratore.





15.16 Il mercatino di Piazza Sant'Elena

In questa piazza dalla forma rettangolare, il cui nome richiamerebbe il titolo di un antico oratorio distrutto nel XVIII secolo, nacque nel secondo dopoguerra un mercatino detto “di Shangai”: qui potevate trovare oggettistica e abiti provenienti dagli Stati Uniti, come i jeans che si vedevano indossati dai cowboy nei film al cinema, gli occhiali da sole “Ray-Ban”, le gomme da masticare Brooklyn, le radioline a transistor o i famosi accendini a benzina Ronson dal loro inconfondibile odore.

Tra le tante cose in vendita, non mancavano le sigarette americane di contrabbando, macchine fotografiche anche di produzione sovietica, i primi 45 giri e le immancabili banane che anche qui, come in tanti angoli dei vicoli, erano esposte su bancarelle improvvisate.

Il mercatino, oltre a ricevere molte delle cose in vendita direttamente dal vicino porto, era anche uno dei più frequentati da coloro che scendevano dalle navi in rada come i tanti soldati americani che qui ritrovavano un piccolo pezzetto di USA tra la merce esposta sulle bancarelle.

A proposito di cinema, il mercatino fa la sua comparsa anche nel famoso film “Le Mura di Malapaga” del 1949: in una scena del film, l’attore Jean Gabin passeggia in mezzo alle bancarelle ed alle sue spalle si vede un uomo che vende una saponetta ad un cliente.

Oggi in Piazza sant’Elena non c’è più il mercatino di Shangai. Nel 2009, sempre lungo Via Gramsci ma più a ponente, in Piazzetta dello Scalo, è, per così dire, rinato il mercatino di Shangai con alcuni chiostri fissi color verde vagone che han preso il posto delle bancarelle improvvisate di un tempo.





15.17 Il Mercato dei Fiori 

Il Mercato dei Fiori sorgeva tra Via Tolemaide e Via Tommaso Invrea, a pochi passi dalla Stazione di Brignole.
Progettato da Paride Contri e costruito nel 1934 con un'intelaiatura in cemento armato, esso rappresentava, insieme al Mercato del Pesce in Piazza Cavour, uno degli esempi meglio riusciti del razionalismo genovese.
Aveva forma parallelepipeda con grandi vetrate montate su telai di ferro dotate di vetri chiari doppi, tipo Belgio, che davano slancio alla struttura e molta luce all'interno.
La pensilina, altro elemento tipico del razionalismo, sorretta da esili "pilotis", contribuiva a dare leggerezza a tutta la struttura e ne sottolineava l'andamento curvilineo.
All'interno vi era una fontana di mano dotata di giochi d'acqua.
Il Mercato dei Fiori venne demolito negli anni Ottanta del Novecento e al suo posto oggi sorge una piccola palazzina sede di una banca e una piazza, detta delle Americhe, dove sventolano le bandiere di tutti gli stati del Nuovo Continente.













16. Il Parco dell'Acquasola 

La Spianata o Parco dell'Acquasola è un'area verde sita nel centro della città di Genova a ridosso delle Mura Trecentesche erette per difendere la Superba dalla minaccia rappresentata da Castruccio Castracane, signore di Lucca, che era in procinto di tentare di conquistarla.
Il toponimo Acquasola deriverebbe dall'unione dei termini "acca" (acqua) e "Sola" (una delle ninfe Driadi). Il bosco che qui sorgeva, attraversato dal Rio Torbido, infatti, secondo la tradizione, era abitato dalla ninfa Sola. Successivamente questo bosco fu definito Bosco del Diavolo, ma questa è un'altra storia. 
Nel XVI secolo questo grande spazio interno alla mura a ridosso dei bastioni venne utilizzato come deposito per il materiale di scarto proveniente dai lavori per la costruzione dei palazzi di Via Garibaldi. Il nome con cui era soprannominata questa area era dei "Muggi" (parola in dialetto genovese che significa "mucchi", dato il grande accumulo disordinato di materiali vari).
Nel XVII secolo qui vennero seppelliti i morti di peste (ancora oggi, scendendo sotto il Parco, è possibile passeggiare tra le ossa; Se vi va di approfondire questo aspetto trovate un filmato e la storia di quel che successe nel paragrafo 1 nella pagina de la GENOVA sotterranea). 
Il Parco che vediamo oggi è frutto del progetto del 1821 di Carlo Barabino, progetto che vede la luce nel 1825: sfruttando i bastioni trecenteschi e cinquecenteschi viene creata una struttura terrazzata che corre dal Ponte Monumentale fino a Villetta di Negro.
Venne demolita la Porta di Santa Caterina (o dell'Acquasola, di cui rimane ancora oggi la statua della Santa conservata all'Accademia Ligustica e di cui vi parlo al paragrafo 14 della pagina de le PORTE di GENOVA), che sorgeva all'incirca dove oggi vi è la statua di Vittorio Emanuele II in Piazza Corvetto, e con due arcate venne collegata la zona di Villetta di Negro al pianoro che correva fino al Ponte Monumentale.

La Spianata dell'Acquasola vista da Villetta Di Negro prima che fosse concepita Piazza Corvetto

In questa immagine si vede la scalinata che univa la spianata dell'Acquasola alla zona sottosctante di Piccapietra; sullo sfondo i bastioni dove sarebbe stata poi stata eretta Villetta di Negro

Il Muraglione che guarda a San Vincenzo viene ampliato e modellato come un bastione con un angolo a torre circolare.

Le mura dell'Acquasola
(foto di Antonio Figari)


Le mura dell'Acquasola al tramonto
(foto di Antonio Figari)


Charles Dickens nel 1843 così la descriveva nel suo "Immagini d'Italia":
"Il giardino [qui] vicino, che appare fra i tetti e le case, tutto fiorito di rose rosse e fresco per le acque delle piccole fontane, è l'Acquasola: la passeggiata pubblica, dove la banda militare suona gaiamente, dove i veli bianchi delle genovesi si radunano numerosi, e dove le famiglie nobili della città, con gli abiti da cerimonia, se non con perfetta saggezza, girano intorno nelle carrozze di gala."
 
Gustave Flaubert, nel 1845, così la descriveva in una lettera:
"L'acqua sola', passeggiata, verdi viali, siepi di rose, musica. Visto una donna che batteva il tempo con la testa, dal naso fine, pallida, la testa coperta da un velo bianco bordato di nero, il resto dell'abito a lutto; grandi occhi azzurri, profilo all'Esmeralda ... È la più bella donna che io abbia mai visto; non mi stancavo di guardarla"

Mark Twain veniva all'Acquasola ad osservare la bellezza del gentil sesso e scriveva:
“Può darsi che in Europa vi siano donne più graziose, ma io ne dubito. Genova conta 120.000 anime: di queste, due terzi sono donne, ed almeno due terzi di queste sono molto belle (…). La maggior parte delle damigelle sono vestite di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata. Nove su dieci non hanno sul capo null’altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia. Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono occhi neri e castani. Le signore e i gentiluomini di Genova hanno la piacevole abitudine di passeggiare in un ampio parco in cima a una collina al centro della città [Spianata dell’Acquasola n.d.r.] dalle sei alle nove di sera; e quindi, per un altro paio d’ore, di prendere il gelato in un giardino adiacente”.
Lo stesso Twain, deprecando l'abitudine di fumare nel parco, nonostante sia nota la sua passione per il sigaro (famosa la sua frase "mangiare e dormire sono le uniche attività che dovrebbero poter interrompere un uomo nel godimento del suo sigaro"), sbeffeggiava i raccoglitori di cicche che seguivano le loro "prede" in attesa che gettassero quel che restava della loro sigaretta per terra, paragonandoli a "quel becchino di San Francisco che soleva visitare i letti dei malati e, orologio alla mano, calcolare il tempo in cui quelli sarebbero diventati cadaveri".

Martin Piaggio, poeta il cui busto troneggia a pochi passi dall'Acquasola, il quale fu uno dei promotori dell'apertura dei giardini dell'Acquasola, si lamentava per la velocità eccessiva delle carrozze. 

Il Banchero dal canto suo criticava invece l'aristocrazia che "misurava cento volte un lato (quello sinistro), anzichè fare tutto il giro": i nobili infatti, per non mischiarsi al popolo che passeggiava sul lato destro del parco, andavano su e giù per il lato sinistro.

All'Acquasola, quando calavano le tenebre, lungo il muragione del parco che dava sulla Contrada degli Orfani (il alto del parco che dà su Via Serra e Via Galata, detta "degli Orfano perchè in Via serra vi era il Collegio di San Giovanni Battista, orfanotrofio pubblico) si riunivano i carbonari della Giovine Italia: Mazzini, Bixio, I fratelli Ruffini, Giorgio e Raimondo Doria. Quest'ultimo fu il delatore che vendette i compagni alla polizia facendoli scoprire. Pare che volle che la sua ricompensa fosse spesa per dare l'illuminazione notturna al parco.

L'Acquasola divenne così famosa nel mondo che una delegazione di Mosca in visita a Genova volle visitarla e decise di proporre un progetto simile per un elegante giardino pubblico moscovita che avrebbe preso lo stesso nome.

La creazione di Piazza Corvetto distrusse parte del parco. Nonostante questo, con i suoi due ettari e mezzo, l'Acquasola è ancora oggi meta dei tanti genovesi che qui trascorrono un pò di tempo libero all'ombra degli splendidi platani che quasi si rincorrono lungo tutto il parco.
 

17. La Biblioteca Berio

La Biblioteca Berio prende il nome dal suo fondatore, l'abate Carlo Giuseppe Vespasiano Berio (Genova, 1713 - 1794) la cui libreria personale costituisce il nucleo originale della stessa, nucleo di cui oggi rimangono circa 6.0000 volumi dei secoli XV-XVIII.
La biblioteca viene aperta al pubblico nel 1775: la sua prima sede è in Via del Campo e in un secondo momento viene spostata in un palazzo di proprietà degli Imperiale, sito all'angolo tra Campetto e Via Orefici. 
Alla morte del suo fondatore la biblioteca è costituita da 17.000 volumi.
Nel 1817 la biblioteca viene donata da Francesco Maria Berio, discendente del fondatore, a re Vittorio Emanuele I che a sua volta  ne fa dono alla città di Genova nel 1824. Grazie alla bravura del Prefetto della biblioteca dell'epoca, il barnabita Giambattista Spotorno (Albisola Superiore,  1788 - Genova 1844) le collezioni della biblioteca vengono ancora incrementate tanto da rendere inadeguati i locali che la ospitano.
Sarà la costruzione del palazzo dell'Accademia Ligustica a permettere alla biblioteca di avere un nuovo spazio adeguato a contenere le sue collezioni: la Berio infatti prende posto al piano nobile del nuovo edifico sorto sulle ceneri dell'antico complesso di San Domenico.
Nell'ottobre 1942 la Berio viene gravemente danneggiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale: la biblioteca perde circa il 65% dei proprio volumi, che ammontavano all'epoca a 150.000 volumi.
Nel dopoguerra si pensa di spostare la Berio dapprima nell'ex Ospedale di Pammatone (che diverrà invece sede del Tribunale),  poi in Santi Giacomo e Filippo ma anche questo progetto fallì.
Nella primavera  del 1998 la Berio viene trasferita in quello che un tempo era l'antico Seminario, tra Piazza Dante e Via Porta d'Archi, dove ancora oggi ha sede.
Da cosa è composto il patrimonio della Biblioteca Berio?
Nel dopoguerra la consistenza della raccolta era di circa 85.000 tra volumi ed opuscoli,  121 incunaboli  e 1470 volumi manoscritti.
Con delibera del Consiglio Comunale del n. 669 del giorno 11 giugno 1957, entrano a far parte delle raccolte il fondo Orlando Grosso, che comprendeva due serie di documenti: un "Epistolario" (composto da 2.000 pezzi tra cui lettere di importanti personalità dell'arte e della letteratura) e una "Miscellanea" (composta da 1.900 pezzi  e comprendenti articoli di giornale, fotografie  altri documenti di vario genere).
Nel 1958, a seguito della donazione della prestigiosa raccolta di Evan Mckenzie e dell'acquisto, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, della collezione dell'avvocato Alberto Beer, si viene a costituire la Raccolta Dantesca  della Berio che comprende, tra le otto edizioni incunabole della Divina Commedia, la più antica, stampata a Venezia nel 1477.
Nel 1958 entra a far parte delle raccolte della biblioteca il Fondo Canevari, comprendente circa 2.450 opere del famoso medico Demetrio Canevari 
Nel 1983 la Berio riceve dal Comune il fondo Brignole Sale costituito da più di 300 manoscritti  e 15.000 tra volumi e fascicoli  a stampa dei secoli XV-XIX, fondo che era stato donato dalla Duchessa di Galliera al Comune nel 1874.
Da citare infine la Raccolta Colombiana, arricchita nel 2000 dal dono della libreria specializzata di Paolo Emilio Taviani, politico e grande studioso di Cristoforo Colombo. Grazie alla sua donazione la Berio è oggi la terza istituzione bibliografica al mondo per importanza.


18. L'Accademia Ligustica di Belle Arti

L'Accademia viene istituita nel 1751 per volontà di un gruppo di artisti e  e patrizi genovesi.
L'attuale sede in Piazza de Ferrari, sorta sulle ceneri dell'antico Convento di San Domenico, è un palazzo progettato da Carlo Barabino ed edificato tra il 1826 ed il 1831.
Oltre alla Scuola di Alta Formazione Artistica genovese, una delle accademie storiche nazionali, il palazzo ospita al primo piano il museo dell'Accademia, inaugurato nel 1980 che raccoglie dipinti, sculture, disegni, calchi, stampe e ceramiche dal XIII al XX secolo tra cui opere di Luca Cambiaso, Bernardo Strozzi, Domenico Piola, Tammar Luxoro, Ernesto Rayper, Cesare Viazzi, Rubaldo Merello, Giuseppe Cominetti e Andrea Figari.


19. Il porto

19.1 Il Mandraccio

Il Mandraccio, che tutti noi oggi conosciamo come piazza centrale del Porto Antico, era anticamente una piccola insenatura protetta dal mare e dai venti che funzionò per secoli come luogo di ormeggio e zona di carico e scarico delle merci per le imbarcazioni che giungevano a Genova con servizi connessi all’attività portuale come riparazioni navali o rimessaggio per la flotta di galee.

Al Mandraccio avevano sede anche alcuni uffici e magistrature collegate al porto come quella dei “Conservatori del Porto e del Molo” (che, come immaginerete dal nome, si occupavano del buon andamento dell’attività portuale sovrintendendo a tutte le attività di questa zona).

Il Mandraccio perderà la sua funzione con il passare dei secoli e l’ingrandimento del porto e verrà definitivamente interrato nel 1898 (il materiale di scavo che porterà alla nascita dell’odierna piazza del Mandraccio proveniva dai lavori per la sistemazione di Via XX Settembre: si parla di più di 40.000 metri cubi di materiale).

Una curiosità: il termine “mandraccio”, che ritroviamo anche in altre città italiane come “mandracchio” (Trieste e Napoli, per fare due esempi: come a Genova anche in queste città i mandracci furono interrati e come a Genova di loro abbiamo traccia nella toponomastica), o all’estero (a Malta vi è il “mandraggio” o a Rodi in Grecia il mandràki (μανδράκι), derivererebbe da latino “mandra”, “recinto” e suo diminutivo lat. "mandraculum", spazio organizzato per non ingombrare e per occupare il minore spazio possibile. Per altri invece il termine, di derivazione araba, sarebbe frutto di quel “melting pot” di culture dei popoli del Mediterraneo che tanti termini marinari sfornò nei secoli.



19.2 Il Molo Vecchio


Il cosiddetto Molo Vecchio fu costruito in punta alla penisola che chiudeva a levante il Mandraccio per proteggere il porto dalle mareggiate di libeccio.

Così come per il Mandraccio, anche il Molo Vecchio aveva un proprio magistrato incaricato di occuparsi della sua manutenzione e delle migliorie da apportare allo stesso. Si ha notizia di questa magistratura già nel 1133.

Il Molo Vecchio raggiungerà la lunghezza di 450 metri nel XV secolo e 608 nel XIX secolo. 

La Porta del Molo (comunemente ed erroneamente detta "Siberia") ed edificata tra il 1550 ed il 1553 (trovate storia ed immagini alla pagina de  le PORTE e le MURA di GENOVA), costituiva l'ingresso alla città del Molo Vecchio.

All'estremità della penisola faceva bella mostra di sé prima la  Torre dei Greci ed in seguito il Lanternino, di cui trovate qui di seguito le storie.



19.3 Il Molo Nuovo 


Speculare al Molo Vecchio, il Molo Nuovo fu edificato come prolungamento verso ovest de l promontorio della Lanterna, alla metà del XVII secolo per proteggere la parte di Ponente del porto dalle mareggiate di libeccio. 



19.4 La diga foranea

Costruita grazie all'ingente finanziamento del Duca Raffaele De Ferrari che volle donare alla sua città natale nel 1876 venti milioni di lire in oro (cifra stratosferica per l'epoca) per i lavori di ampliamento del porto e la costruzione, appunto, di una nuova diga foranea, essa ancora oggi protegge il porto per tutta la sua estensione smorzando con la sua mole l'intensità del moto ondoso.
I lavori per il primo tratto di diga di 1550 metri iniziarono nel 1916 per concludersi nel 1926. Il secondo tratto della diga di 1850 metri sarà concluso nel 1929. La costruzione di un ulteriore tratto di 400 metri in corrispondenza dell'ingresso a levante del porto sarà conclusa nel 1934.
Tra le tante vicissitudini che interessarono la diga in questo secolo di vita, ricordiamo la breccia di oltre ottanta metri aperta dai tedeschi durante la guerra e la tempesta del febbraio 1955 che causò il crollo di 450 metri di diga.
Nonostante tutte queste "ferite", la diga prosegue nella sua attività di difesa del porto di Genova, in attesa che una nuova diga foranea più a largo di 500 metri (per ora ancora solo un progetto sulla carta), sostituisca questa opera  tanto cara a noi Genovesi, frutto di un gesto di estrema generosità di uno dei nostri più grandi concittadini, e grazie alla quale il porto ha potuto contiuna re a svipularsi divendno uno dei principali scali del Mediteronae.
Una curiosità: il Monumento in onore del Duca de Ferrari, originariamente posizionato tra la Stazione Marittima e la Stazione di Principe, poi smontato e per molto tempo rimasto in attesa di collocazione, è stato infine posizionato nel 2019 in fondo a Via Corsica rivolta verso il mare e verso la diga foranea tanto voluta dal Duca. 


19.5 La Lanterna 

"Sul molo, la torre alta e quadrata del faro, detto "la Lanterna", sembra una candela smisurata." (Guy de Maupassant)  

La tradizione fa risalire la sua prima edificazione al 1128alta poco meno dell'attuale, la sua struttura era composta da tre tronconi sovrapposti. Sulla cima venivano bruciati steli di brugo o di "brisca" (la ginestra che cresceva in Val Bisagno lungo il rio Briscata).

Nel 1320 venne installata la prima lanterna propriamente detta: formata da 52 lampade alimentate ad olio, la luce veniva convogliata in un fascio luminoso grazie a cristalli trasparenti opera dei maestri vetrai liguri di Altare.
Nelle immagini qui di seguito troviamo quello che è considerato il più antico disegno  della Lanterna, risalente al 1371: si tratta di una "coperta" di pergamena, cioè la copertina di un volume, conservata all'Archivio di Stato, di un registro dei "Salvatori del Porto e del Molo" relativo alle spese sostenute per mantenere il faro acceso (in esso troviamo indicati le spese per l'olio combustibile e le ore di lavoro).
Il disegno è stato probalmente eseguito dal Notaio che ha compilato il registro: era fatto comune infatti che venissero illustrati in copertina gli argomenti dei volumi.
Ecco la coperta, prima e dopo il recente restauro: 

Coperta di pergamena, risalente al 1371, raffigurante la Lanterna, conservata all'Archivio di Stato di Genova (prima del restauro)



Coperta di pergamena, risalente al 1371, raffigurante la Lanterna, conservata all'Archivio di Stato di Genova (dopo il restauro)


Nel 1340 il milanese Evangelista dipinse sulla facciata lo stemma della città di Genova.
Nel XV secolo fu adibita a prigione e ospitò, tra gli altri, Re Giacomo I di Cipro, che vi rimase, insieme alla moglie e ai figli, per dieci anni (trovate la sua storia in questa pagina nel paragrafo dedicato a Palazzo Ducale).
Nel 1507, durante il periodo di dominazione dei Francesi sulla città di Genova, Luigi XII fece edificare ai piedi della Lanterna il "Forte Briglia". Nel 1513 i Genovesi, capitanati da Andrea Doria, liberarono la città dall'invasore: durante questa battaglia, per colpire il Forte Briglia, i Genovesi colpirono anche la Lanterna che venne fortemente danneggiata.
Nel 1543, per volontà deDoge Andrea Centurione Pietrasanta e con il contributo del Banco di San Giorgio, la Lanterna venne riedificata e assunse l'aspetto attuale.
Oggi, con i suoi 77 metri, essa è il faro più alto del Mediterraneo.
Se Vi capita di salire fino al primo terrazzo, il punto più alto della Lanterna aperto al pubblico, noterete su ognuna delle quattro facciate del faro delle targhe in marmo: si tratta di preghiere incise e qui collocate a fine Settecento a difesa della Lanterna dalle interperie. 

La lapide che ricorda la riedificazione della Lanterna nel 1543
(foto di Antonio Figari)


Essa è visitabile il sabato e la domenica dalle 14:30 alle 18:30. 

La Lanterna al tramonto 
(foto di Antonio Figari)


La Porta Nuova della Lanterna come appare oggi
(foto di Antonio Figari)


Genova e i suoi vicoli visti dalla Lanterna
(foto di Antonio Figari)


Le gru del Terminal SECH viste dalla Lanterna
(foto di Antonio Figari)


Sampierdarena vista dalla Lanterna
(foto di Antonio Figari)


Una curiosità, sapete cosa erano i "coffini" e quale era la loro funzione? 
Nelle immagini qui di seguito, che rappresentano il retro di tre maioliche di Albissola, potete notare una lanterna stilizzata e a lato un bacco con appesa una sorta di cesta.
Essa era detta "coffino" e serviva per dare una direzione alle navi che entravano o uscivano dal porto; insomma, in questo modo, si regolava il traffico. 

(foto di Antonio Figari)


(foto di Antonio Figari)



(foto di Antonio Figari)




19.6 La Torre dei Greci

Eretta nel 1324, a seguito di delibera dei "Salvatores Portus et Moduli" davanti alle Mura della Malapaga, nella zona oggi occupata daI Magazzini del Cotone, essa era speculare alla Lanterna.
La Torre dei Greci delimitava dunque l'ingresso orientale del Porto e, come la Lanterna, aveva anche una funzione difensiva di avvistamento delle navi in arrivo nel porto. Con l'ampliamento delle Mura e del porto essa venne abbattuta.
Il suo nome deriva dal fatto che i mercanti greci abitavano e commerciavano in prevalenza nella zona del Molo, a pochi passi da dove venne innalzata questa torre.  

In questa antica immagine di Genova, risalente al 1490, si nota
sulla destra dell'imboccatura del Porto la Torre dei Greci

19.7 Il Lanternino
Detto anche "Faro del Mandraccio" esso fu eretto intorno al 1820 quando il Molo Vecchio fu prolungato.  Anch'esso subì la triste sorte della Torre dei Greci e fu demolito nel 1929 quando fu decisa la demolizione della parte terminale del Molo Vecchio per permettere l'ingresso in porto dei grandi Transatlantici che iniziavano ad occupare  e fare bella mostra di sé davanti alla Stazione Marittima della Superba.
Antica immagine del Lanternino

Il Tenente Andre Beamont Conneau, ufficiale della Marina Francese, sorvola il Lanternino
(foto proveniente dalla Bain Collection, Library of Congress)


19.8 Gli antichi ponti 

Nell'arco di porto compreso tra il Molo Vecchio (sopra descritto al paragrafo 18.2) e la Darsena (descritta la successivo paragrafo 18.10), nella spazio antistante la "Ripa Maris", erano presenti alcuni ponti e precisamente, partendo da levante verso ponente: Ponte dei Cattanei, Ponte della Mercanzia, Ponte Reale, Ponte Spinola e Ponte Calvi.
Questo spazio di porto era chiuso la notte da una lunga catena che veniva tirata tra il bastione della Darsena e il Molo Vecchio.
Quando, nel XVI secolo, fu deciso di chiudere con mura il tratto tra il Molo Vecchio e la chiesa di San Tommaso, in corrispondenza di ogni ponte fu aperta una porta (vi rimando alla pagina dedicata alle le PORTE e le MURA di GENOVA per approfondire questo aspetto). 
Di essi è ancora "in piedi" Ponte Spinola, benché profondamente cambiato, mentre ci rimane il ricordo di come essi fossero nelle antiche stampe e nei nomi delle vie (Via al Ponte Reale e Via al Ponte Calvi per esempio ci ricordano che queste due strade portavano ai rispettivi ponti).
A proposito del Ponte Reale (così battezzato dal Senato della Repubblica il 3 gennaio 1937 e che dal 1797 al 1815 durante il governo democratico e la dominazione francese assumerà il nome di "Ponte Nazionale"), che vedete in primo piano qui sotto nell'incisione del Giolfi,  su di esso venne costruito un bellissimo "barchile", che oggi fa bella mostra di sé in Piazza Colombo (vi rimando alla pagina dedicata a l'ACQUA pubblica per approfondire il tutto).


19.9 Il Portofranco

Al centro di questa incisione di A. Giolfi, alla destra del Palazzo di San Giorgio e protette dalle Mura, si possono notare le palazzine del Portofranco


Pianta topografica del Deposito Franco 1892



















Le palazzine del Portofranco oggi
(foto di Antonio Figari)


I primi edifici di quello che sarebbe divenuto il Portofranco, ossia l'edificazione di magazzini per il libero deposito e circolazione delle merci senza gabelle doganali (proprio per questo detto "franco") risalgono alla fine del XVI Secolo. Scopo di questa nupva istituzione era quella di attirare in città navi criche di merci, in particolari gnanaglie, in un periodo di carestia.
Nel Seicento vengono edificati undici edifici, detti "Quartieri", nominati con nome di santi e precisamente: San Marco, San Giuseppe, San Bernardo, San Giorgio, Santa Caterina, Sant'Antonio, San Francesco, Santa Maria, San Giobatta, San Lorenzo e San Desiderio.
A pianta quadrata e con spessi muri perimetrali atti a sorreggere il peso dei solai carichi delle merci che vi si stipavano, questi edifici avevano le facciate decorate dai migliori artisti dell'epoca come Domenico Piola o Lorenzo De Ferrari.
I quartieri del Portofranco erano divisi dal resto della città da spesse mura (ancora oggi sono visibili le mura e si può compiere il cammino di ronda) e cancellate, il tutto per prevenire i furti e il contrabbando.
Agli originari Quartieri si aggiunge a fine '800 la palazzina del Millo; tra quest'ultima e i quartieri viene costruita una grande tettoria in ferro e vetro.
Le trasformazioni della città, ed in particolare la costruzione della Sopraelevata, non hanno risparmiato questi antichi palazzi: oggi rimangono in piedi solo quattro Quartieri (Santa Maria, San Giobatta, San Lorenzo e San Desiderio) oltre al più moderno Millo, tutti ritornati all'antico splendore dopo i lavori in occasione della Colombiane del 1992, in occaisone dei quali viene eliminata la grande tettoia in ferro e vetro. 


19.10 La Darsena e l'Arsenale

Costruita a partire dal 1283, la Darsena (il cui etimologia deriverebbe dall'arabo "dar-sina'a" traducibile come "casa dell'industria, fabbrica") è il luogo di riparo per le imbarcazioni commerciali e militari.
Essa era divisa in tre specchi d'acqua: "Darsene del Vino" (luogo dove ormeggiavano le piccole imbarcazioni commerciali), "Darsene delle Galee" (dove invece ormeggiavano le galee sia ad uso militare che commerciale), ed infine il "Darsenale" o "Arsenale" dove le galee venivano attrezzate per le guerre.
Gli specchi d'acqua erano circondati da mura e torri a scopo difensivo.
Il 1873 è un anno da ricordare per la storia della Darsena: la zona viene smilitarizzata e diviene di proprietà comunale. Vengono costruiti alcuni magazzini chiamati "quartieri" come quartieri erano detti i vari edifici del non lontano Portofranco. E se per il Portofranco i nomi dei vari quartieri si rifacevano ai santi, alla Darsena essi prendono il nome dalle colonie genovesi: Cembalo (oggi trasformato in abitazioni ad uso civile), Scio (oggi sede della Facoltà di Economia e Commercio), Galata (oggi sede del Museo del Mare), Metelino, Caffa, Tabarca (sedi di attività commerciali e uffici), e Famagosta (distrutto per lasciar spazio alla Sopraelevata).
Una curiosità: una lapide (per il vero in attesa di un urgente restauro e piuttosto malconcia) affissa in facciata del quartiere Tabarca ricorda la figura di Fausto Scerno:

A
FAUSTO SCERNO
MERCANTE GENOVESE DI STAMPO ANTICO
GLI AVVIAMENTI DELL'INDUSTRIA DEL FREDDO
PREVEDENDO
FONDO' IL FRIGORIFERO GENOVESE
IN ITALIA PRIMO E PIU' ANTICO ORGANO 
DI VETTOVAGLIAMENTO DELL'ESERCITO NAZIONALE
CAMPEGGIANTE VITTORIOSO OLTRE IL CONFINE D'ITALIA
JACK LA BOLINA
GLI ESTIMATORI A PERPETUARNE LA MEMORIA POSERO
MCMXXIII


Proprio nel quartiere Tabarca avevano sede i Magazzini Frigoriferi Genovesi.


19.11 Le Stazioni Marittime

19.11.1 La Stazione Marittima di Ponte Federico Guglielmo

Tra il 1884 ed il 1890 fu edificata, ad opera del Genio Civile, la prima stazione marittima di Genova: l'edificio, ad un piano in muratura con una grande tettoia in ferro, era costituito da più sale di attesa, una sala ristoro, una sala medica e un posto di polizia.
Il Ponte sulla quale fu edificata, già Ponte San Tomaso (così chiamato perché in questo luogo sorgeva l'antica Chiesa di San Tommaso), era detto Ponte Federico Guglielmo in onore del principe di Germania.
 



19.11.2 La Stazione Marittima di Ponte dei Mille

La crisi economica da un lato e la crescita di un nuovo turismo elitario che vedeva con piacere i viaggi oltreoceano resero ben presto la stazione marittima inadeguata al crescente traffico marittimo.
Nel 1914 iniziarono i lavori per la nuova stazione marittima di Ponte dei Mille. 
Interrotta l'edificazione a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, ripresa solo nel 1924, la Stazione Marittima venne inaugurata nell'ottobre del 1930.





19.12 Il Silos Granaio Hennebique



  

19.13 Le scuderie del porto

Nei pressi della Lanterna, fino al secolo scorso, vi erano le scuderie  che davano alloggio ai tantissimi cavalli, protagonisti nel porto quale forza motrice per i lavori ed i trasporti in esso.
Passeggiando nel porto non avreste avuto difficoltà ad incontrare maniscalchi, vetturini e tutti quei lavoratori  ed artigiani del mondo dei cavalli che oggi sono sostiutiti, in porto, da quelli relativi alla meccanica e alle officine che si occupano moderni "cavalli d'acciaio" ossia gru e macchine e a trazione, e se una volta si era sporchi di fango e letame oggi invece le mani sono piene di olio da motore.

Le scuderie del porto di Genova ai piedi della Lanterna




20. Il Macello Nuovo

Questo edificio venne edificato dal Comune nel XIV Secolo in un isolato che ha per perimetro le odierne Via dei Macelli di Soziglia, Vico Lavagna, Via Luccoli e Vico Sottile.
Al piano terreno Vi era un grande porticato e veniva macellata e venduta la carne.
I piani superiori vennero invece suddivisi in abitazioni che vennero vendute o affittate così da ricavare il denaro necessario per erigere questo palazzo.
Ancora oggi sono ben visibili le colonne e gli archi tamponati della loggia al piano terreno e gli archetti medievali ai piani superiori.
Particolarmente belli alcuni capitelli sul lato di Via Luccoli.


21. I Forni Pubblici


Nella zona oggi compresa tra Largo della Zecca e Spianata Castelletto, tra i vicoli che si inerpicano in collina, c'è una piccola piazza chiamata "Piazza dietro i Forni": tra quest'ultima e Piazza dei Forni (l'odierno Largo della Zecca) sorgevano appunto i Forni Pubblici.
La manifattura del pane infatti era a carico dello Stato.
Essi vennero qui edificati intorno al 1722 dopo che il Comune decise di demolire l'edificio che li ospitava nel Portofranco per ragioni di sicurezza legati al pericolo di incendio.
Nel 1839 la panificazione venne data in appalto ai privati.
Il grano veniva macinato nei mulini, che sorgevano non distante da qui (oggi a loro ricordo vi è Vico dei Mulini), e gli stessi lavoravano sfruttando l'acqua dell'acquedotto cittadino che qui scorreva veloce data la pendenza del luogo.



22. La Zecca

La Zecca venne inizialmente edificata a fianco di Palazzo San Giorgio lato Piazza Caricamento (oggi a suo ricordo rimangono solo alcune colonne).
Essa venne spostata nel 1842 nell'edificio che ospitava fino a qualche anno prima i Forni Pubblici e qui rimase fino al 1860, quando venne chiusa definitivamente.
Ancora oggi è intitolato ad essa il Largo che una volta era detto Piazza dei Forni. 



23. Il Palazzetto Criminale

Particolare del Portale del Palazzetto Criminale sormontato dallo stemma di Genova sorretto da due grifoni
(foto di Antonio Figari)


Situato in Via Tommaso Reggio, adiacente a Palazzo Ducale, e collegato ad esso con un passaggio sopraelevato, il Palazzetto Criminale venne edificato nel XVI Secolo per ospitare l'amministrazione giudiziaria e il carcere per i detenuti comuni (i prigionieri politici "soggiornavano" invece nella vicina Torre Grimaldina di Palazzo Ducale).
L'edificazione, o meglio, l'accorpamento di più edifici preesistenti di proprietà Doria e della Curia, avvenne tra il 1583 ed il 1596, su progetto di Giovanni Ponzello, coadiuvato da Giovanno Orsolino e Daniele Casella.
Gli spazi interni erano suddivisi in maniera razionale così da permettere lo svolgimento di tutte le attività, dalle varie fasi del processo alla condanna e detenzione.
Nel 1817 si  decise di spostare il carcere nell'ex Convento di Sant'Andrea, poco distente da Porta Soprana, poichè qui gli spazi erano divenuti insufficenti, e il Palazzetto divenne la sede dell'Archivio di Stato di Genova, nonchè dell'Archivio del Collegio Notarile di Genova e del Banco di San Giorgio, e rimase tale fino al 2004, quando tutto il materiale venne spostato nella nuova sede nell'ex Convento di Sant'Ignazio in Via Santa Maria in Via Lata. 
Oggi, come testimonia l'immagine qui sotto, quello che fu il Palazzetto Criminale, è in fase di restauro per divenire una sede distaccata dell'Archivio di Stato di Genova.



L'interno del Palazzetto Criminale in una foto di quale anno fa
(foto di Antonio Figari)


L'interno del Palazzetto Criminale
(foto di Antonio Figari)


24. Il Carcere di Sant'Andrea

Gli spazi di quello che fu il monastero di Sant'Andrea (vi rimando alla pagina dedicata al le CHIESE di GENOVA per approfondire la sua storia) abbandonato a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi del 1798,  furono convertiti nel 1817 in carcere e tale rimarrà dfino al 1904, ossia quando verrà edificato il carcere di Marassi.
Qui confluirono i detenuti del Palazzo Criminale, sopra descritto, e della Torre Grimaldina.
Una curiosità: troviamo il carcere di Sant'Andrea, oltre che in alcune immagini ottocentesche, anche nel romanzo di Remigio Zena "La bocca del lupo". Francisca Carbone, detta "Bricicca", protagonista del romanzo, andava qui "in villeggiatura" ogni volta "che le scoprivano il banchetto del lotto clandestino". Descrivendo la stessa leggiamo che "in coscienza, se non avesse vergogna, rimpiangerebbe il tempo che passò in Sant'Andrea; vedeva il sole a quadretti, ma lameno mangiare, mangiava".
 
 
25. Il Carcere della Malapaga

Il Carcere della Malapaga sorgeva dove oggi si trova il palazzo della Guardia di Finanza in Piazza Cavour, lungo le Mura dette appunto della Malapaga.
Questa struttura, in funzione dal XIII a metà del XIX Secolo, era così fatta: un primo piano privo di finestre e riservato alla plebe e i piani alti con finestre riservati invece alla nobiltà.
Qui venivano rinchiusi i debitori insolventi: di essa non rimane nulla se non il nome che identifica le vicine Mura e i racconti legati a questo luogo di detenzione ed agli illustri personaggi che qui forzatamente soggiornarono.


26. Il primo Manicomio di Genova

Il primo manicomio di Genova

L'11 maggio 1834, nel sobborgo di San Vincenzo, nell'attuale zona occupata da Via Cesarea, viene posta la prima pietra di quello che diverrà il primo manicomio cittadino.
Il progetto viene affidato agli architetti Carlo Barabino, Domenico Cervetto e Celestino Foppiani: fu quest'ultimo a portare a compimento il progetto dopo la rinuncia dei primi due.
Inaugurato sette anni dopo, il complesso era formato da un fabbricato centrale di forma rotonda alto cinque piani da quale si diramavano sei raggi o bracci. Questi ultimi erano attraversati un corridoio centrale lungo il quale si affacciavano le celle e in fondo al quale vi era un bagno.
Qui erano ospitate diverse tipologie di malati che venivano raggruppati a seconda della sindrome.
Non mancavano le camere oscure dove venivano isolati gli alienati per farli calmare nei momenti di eccitazione eccessiva.
Vi erano infine quattro stanze dette "di osservazione" dove i medici potevano studiare se la pazzia dei malati fosse reale o simulata.
Questo complesso venne demolito nel 1914 per far posto al nuovo quartiere residenziale che ancora oggi viene denominato "quadrilatero": esso in realtà aveva già da qualche anno perso la sua funzione di manicomio dopo l'apertura del Manicomio di Quarto; quest'ultimo oggi, persa la sua funzione, è parzialmente abbandonato, strano il destino dei manicomi a Genova!?!

Il manicomio visto dalle Mura delle Cappuccine
Le fronti basse in primo piano, il manicomio e sullo sfondo Genova

Una curiosità: come noterete nella mappa di Genova presente nella settima edizione della guida per viaggiatori "Italy, handbook for travellers", pubblicata nel 1886, di cui allego qui sotto un'immagine, Via Galata, prima della realizzazione di Via XX Settembre, giungeva fino alle porte del manicomio (nella mappa in fondo a destra si nota parte della circonferenza di perimetro dquest'ultimo).


mappa di Genova del 1886


Con la nascita di Via XX Settembre, Via Galata viene tagliata in due e la parte verso il manicomio prende il nome di Via Cesarea.
Se Vi capita di imboccare Via Galata da Via XX Settembre noterete che i civici bianchi e rossi non partono dal numero uno: questo perchè, con la nascita di Via XX Settembre e il taglio di Via Galata, quest'ultima ha "perso" alcuni palazzi e non si è voluto mettere mano alla toponomastica. Via Galata quindi è forse l'unica Via di Genova che non parte dal civico numero 1.


27. Il Castelletto

Domenico Pasquale Cambiaso, Il Forte di Castelletto, acquerello a seppia
   
Quello che vediamo qui sopra nell'acquarello del Cambiaso, eseguito nella prima metà del XIX secolo,  è il Forte di Castelletto:  costruito nel 1815 dopo l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna e considerato non a torto come un simbolo del dominio piemontese sulla nostra città, fu visto fin dall'inizio con astio dai genovesi che non persero occasione per chiederne la demolizione, che arriverà a metà dello stesso secolo.
Leggendo queste poche righe avrete capito il perché del toponimo "Castelletto" che oggi identifica non più solo il luogo un tempo occupato dalla fortezza, distrutta o meglio "spianata" (da qui il toponimo "Spianata Castelletto") ma, come in una sineddoche, figura retorica che identifica una parte per il tutto, uno dei quartieri della nostra città, di sviluppo prettamente ottocentesco e occupante la zona fuori dalla cerchia muraria del trecento ossia dalle attuali Piazza Corvetto e Piazza Portello a salire fino ai corsi che partono da Piazza Manin e giungono a Castello d'Albertis e Corso Dogali.
Quando nasce il Castelletto? Le fonti ci rimandano al X secolo quando si ha notizia di una torretta, che diverrà dapprima parte delle mura del Barbarossa nel tratto compreso tra il Portello di Pastorezza e quello adiacente a Piazza Fontane Marose (luogo oggi identificato con il toponimo di Piazza Portello) per poi divenire nel '400 fortezza utilizzata durante la dominazione francese come sede per la guarnigione d'Oltralpe, distrutta dai Genovesi nel XVI secolo  ed infine, come vi raccontavo all'inizio di questo paragrafo,  riedificata dai Savoia nel 1815. Una fortezza il cui scopo quindi, come capite, era quello di tenere sotto controllo la città guardandola dall'alto piuttosto che difenderla dai nemici.

Bassorilievo dello scultore G.B. Bassano raffigurante il Castelletto nel suo aspetto cinquecentesco

La demolizione viene chiesta con una proposta di legge, presentata alla Camera il 27 luglio 1848 dal politico genovese Cesare Leopoldo Bixio e approvata con 86 voti favorevoli e 61 contrari. I lavori di demolizione iniziarono quello stesso anno, ad opera dei militi della Guardia Nazionale, in data 8 agosto, ma furono dopo breve tempo interrotti per ordine del governatore del Re che pretese una preventiva perizia architettonica. Questa richiesta fu letta dai genovesi come un chiaro segno della volontà degli odiati Savoia di rinviare o addirittura interrompere del tutto la demolizione. Passarono quindi pochi gioni e la folla, il 16 agosto, salì al Castelletto e lo devastò in modo irreparabile. La perizia, voluta dal governatore, diventava quindi superflua.
Abbattuto il colle nascerà la "Spianata Castelletto" dove verranno edificati, a partire dagli anni '50 del XIX secolo, sei grandi caseggiati che ancora oggi occupano gli spazi dove un tempo sorgeva il Forte di Castelletto. La spianata, divenuta uno dei punti più belli da cui osservare Genova dall'alto, sarà collegata con il centro storico cittadino con l'ascensore di Castelletto di Levante, inaugurato nel 1909 (reso celebre dalle parole del Caproni "Quando mi sarò deciso/ d'andarci, in Paradiso/ ci andrò con l'ascensore di Castelletto", collega ancora oggi Spianata con Piazza Portello), al quale più tardi nel 1929 si aggiungerà quello di Ponente che invece collega la Spianata a Piazza della Meridiana (di entrambi gli impianti trovate immagini e storia completa in questa pagina al capitolo dedicato al trasporto pubblico).
Del Castelletto non tutto è perduto: se percorrete Salita San Gerolamo potrete notare, tra i moderni palazzi, lungo il tratto di mura che corre sotto la Spianata, alcune feritoie lunghe e strette e delimitate da mattoni un tempo facenti parte del cammino di ronda di questa antica fortezza.
Una curiosità: sotto la Spianata di Castelletto ci sono ben sei grandi cisterne che un tempo erano alimentate dal ramo occidentale dell'acquedotto storico che, a partire da XIII secolo, portava acqua potabile in questa zona direttamente dalla Val Bisagno. La più grande di esse, oggi completamente vuota, ha volte a crociera sostenute da due pilastri: il fondo è costituito da lastre di ardesia e le pareti sono ricoperte di intonaci idraulici.
Voglio finire questo paragrafo come l'ho iniziato: oltre infatti al sopracitato acquarello a seppia, Pasquale Domenico Cambiaso eseguirà un dipinto del Castelletto nel 1848, oggi conservato nelle sale del Museo del Risorgimento di Genova. 

Domenico Pasquale Cambiaso, Il Castelletto, Museo del Risorgimento di Genova



28. Il Ponte di Carignano

"C'è un bellissimo ponte, costruito a spese di casa Sauli, che congiunge un'altura della città all'altra, costruito al di sopra della case, ad un'altezza prodigiosa" (Montesquieu)

Il Ponte di Carignano fu costruito tra il 1718 ed il 1724 per volontà della nobile famiglia dei Sauli, su progetto dell'architetto  francese Gerard De Langlade, per collegare i colli di Sarzano e di Carignano ossia il centro cittadino alla basilica da loro voluta e finanziata.
Proprio in facciata della basilica, il cartiglio marmoreo posto sopra l'ingresso  ci racconta che Bendinelli fece la chiesa, il nipote Stefano dispose la donazione e Domenico commissionò l'esecuzione del ponte.
Il ponte scavalca la valle del Rivotorbido passando "su una fila di case per cui si cammina a trenta, quaranta piedi al di sopra dei comignoli", come ci ricorda il francese Stendhal che lo attraversò nel suo girovavare nei vicoli nel 1814.
Vi era anche un collegamento diretto al ponte dal convento di Santa Margherita della Rocchetta che rimase finché quest'ultimo non fu abbattuto (vi rimando alla pagina de le CHIESE di GENOVA per conoscere la storia di questo convento).
Una lapide posta in via Ravasco al civico 13 ci ricorda il benefattore Giulio Cesare Drago che donò un'ingente somma affinché il ponte fosse provvisto di inferriate e "perché non passi in consuetudine l'esempio antico e recente di gittare disperatamente la vita", come ci raccontano le parole incise sul marmo. Il ponte era infatti una delle mete predilette di coloro che volevano togliersi la vita (vi rimando alla pagina dei poeti SANTI scrittore AVVENTURIERI ed in particolare al paragrafo dedicato a Giulio Cesare Drago per approfondire il tutto).
Su uno dei piloni che reggono il ponte fu posta un'edicola votiva che oggi è quasi scomparsa alla vista: aguzzate la vista mentre percorrete Via D'Annunzio e la vedrete.
Una curiosità: nelle antiche immagini del ponte si nota, disegnato sul fianco del ponte lato mare, lo stemma Sauli.


29. Il Ponte Monumentale




Il Ponte Monumentale sorge dove un tempo vi era la Porta di Santo Stefano, detta anche Porta dell'Arco o degli Archi (vi rimando alla pagina dedicata a le PORTE e le MURA di GENOVA  per approfondire la sua storia).
Con la costruzione della nuova arteria stradale si rendeva necessario progettare e costruire un ponte con funzioni di collegamento di due sistemi viari, le odierne Via Venti Settembre e Corso Andrea Podestà.
Il progetto fu presentato nel 1890 dall'ingegnere Cesare Gamba e dagli architetti Ronco e Haupt: l'opera, alta 21 metri,  è composta da una immensa arcata  di mattoni che fa da struttura portante e che si rifà alla tipologia dei ponti ferroviari, sulla quale fu sovrapposto un apparato monumentale in marmo con colonne e sculture.
Il fornice centrale , il più ampio, è riservato al passaggio carrabile, mentre i due fornici laterali più piccoli e di altezza ridotta, sono riservati ai pedoni. I due archi laterali furono dedicati nel 1949 ai caduti della libertà: nelle nicchie degli stessi  sono riportati i nomi dei caduti, su una lapide l'atto di resa delle truppe tedesche e su un'altra si può leggere la motivazione con la quale il 1° agosto 1947  venne concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare alla città di Genova (mi piace ricordare queste parole incise: "Piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l'Onore").
Il progetto del ponte fu approvato in sede comunale nel 1893 e nel 1895 vi fu l'inaugurazione. La decorazione, in pietra di Mezzano, fu ultimata nel 1930: si tratta di un tipo di marmo, detto "botticino" da uno dei luoghi di estrazione, che fu utilizzato dagli antichi romani per gli edifici più rappresentativi della "Colonia Civica Augusta Brixia", l'odierna Brescia, e in epoca moderna anche a Roma per l'Altare della Patria o a Washington per la decorazione esterna della Casa Bianca, per fare solo alcuni esempi.
Il Ponte Monumentale nasconde dentro di sé un "ventre" vuoto che ho avuto la fortuna di poter visitare. Vi rimando alla pagina dedicata a la GENOVA sotterranea per approfondire. 
Un'ultima curiosità riguarda le inferiate poste sulla cima del Ponte: come si può notare nelle antiche imagini, esse non nacquero con il ponte ma furono installate solo successivamente. Una lapide posta in Corso Andrea Podestà ne ricorda la storia.  Vi rimando alla pagina dedicata ai poeti SANTI scrittori AVVENTURIERI ed  al paragrafo dedicato al benefattore Giulio Cesare Drago per conoscere tutti i dettagli.



30. La Casa dell'Emigrante (Albergo Popolare Cesare Battisti)

La prima pietra di questo edificio fu posta, alla presenza dei Savoia (molte sono le immagini di questo evento in pompa magna), il 30 ottobre 1905.
I giornali dell'epoca raccontano della grande folla che si era radunata per l'evento della posa della prima pietra ed in attesa dei Reali (che arrivarono alle 14:20) osservava questa pietra trattenuta da due catene e proveniente dalla cava di San Martino d'Albaro: le due dimensioni erano cm 70x70x50.
Il grande edificio era stato costruito per alloggiare i tanti italiani che di lì a poco si sarebbero imbarcati per il nuovo mondo abbandonando per sempre l'Italia.
L'idea di costruire alberghi popolari per dare alloggio alle persone che arrivavano in città ma non avevano possibilità di alloggiare negli alberghi o che si trovavano senza più un alloggio e spesso si trovavano a dormire per strada, si diffonde proprio in quegli anni.
A Firenze nel 1905, stesso anno dell'inaugurazione della Casa dell'Emigrante di Genova, si decide di trasformare l'ex Convento del Carmine in albergo popolare per dare un riparo agli indigenti.
A Milano qualche anno prima, nel 1901, viene inaugurato l'albergo popolare per dare un tetto ai tanti emigrati in città in cerca di un lavoro, negli anni in cui Milano stava diventando la capitale industriale del paese.
Esaurita la sua funzione, l'Albergo Popolare Cesare Battisti fu riconvertito nella Sede Centrale dei Vigili del Fuoco.
 
 

 

 

Nel 1992, durante i lavori delle Colombiane, il grande edificio fu abbattuto davanti a tantissimi genovesi accorsi curiosi per l'evento. 
Nel breve video qui di seguito, ecco gli attimi dell'esplosione:






 
 
31. La Casa della Gente di Mare

Edificata qualche anno dopo l'Albergo Popolare, e precisamente nel 1909, essa sorgeva a poca distanza dallo stesso, lungo la nuova Circonvallazione a Mare.
Mentre dell'Albergo Popolare sono molte le immagini, di questo edificio poco si sa e poche sono le immagini che lo ritraggono anche a causa della sua breve vita. 
 

 

 




32. Sailors' Rest

"Sailors' Rest" ossia "il riposo dei marinai" è il nome di una palazzina posta alla confluenza di Via Bruno Buozzi, Via di Fassolo e Via San Benedetto.
Progettata dall'architetto Carlo Barabino, questo palazzo era stato edificato per dare ristoro fisico e spirituale ai tanti marinai di religione protestante che approdavano a Genova. Le parole  incise in facciata ci raccontano proprio questa destinazione: "Sailors' Chapel and reading room" ("cappella dei marinai e sala di lettura").
Al piano terreno vi era la cappella mentre ad usi non spirituali erano destinati gli altri ambienti ai piani superiori.
La scritta "Sailors' rest" (il riposo dei marinai) è invece incisa lungo la facciata laterale lato ponente.
Oggi questa antica funzione, testimone di una città cosmopolita, è andata perduta ed i locali al piano terreno sono occupati da una farmacia. 





33. Le Terrazze di marmo

Iniziate a costruire nel 1836, su progetto di Ignazio Gardella Senior, collaudate nel 1844 e demolite nel 1885, queste terrazze si estendevano da Porta dei Vacca fino a poco oltre Palazzo San Giorgio.
Il loro percorso ricalcava a sommi capi quello delle Mura e la loro funzione era prettamente logistica: sotto i portici si trovavano infatti i magazzini dove stivare le merci del porto.
La copertura che dava il nome al tutto, le cosiddette "terrazze", era una meravigliosa passeggiata dove la nascente borghesia genovese si ritrovava per passeggiare e dove tutti gli stranieri rimanevano senza fiato anche ammirando la copertura del tetto stesso che era di bianco marmo di carrara.
Di contro, questa grossa struttura così impattante faceva sì che non vi fosse ricircolo d'aria nei vicoli impedendo alla brezza marina di insinuarsi tra le strette vie del centro storico.
La loro demolizione avvenne nel 1885 in primis per allargare la Carrettiera Carlo Alberto (l'attuale Via Gramsci) e spostare la ferrovia a mare anche in funzione di un collegamento della stessa con il porto, ma anche ai fini del miglioramento dell'igiene pubblica poiché, come già detto, questa struttura impediva il normale ricircolo dell'aria da e verso i vicoli interni che si affacciavano sul porto.  







34. Le Terrazze di Via Milano 

Finite di costruire intorno al 1870, furono demolite per allargare Via Milano negli anni '30 del XX Secolo. Esse correvano lungo l'attuale Via Buozzi (all'epoca chiamata appunto Via Milano) e arrivavano fino all'attuale Via Adua (a poca distanza da Palazzo del Principe). 
Anch'esse erano state pensate, come le terrazze di marmo descritte nel precedente paragrafo, quali magazzini per il porto nella loro parte inferiore e quale passeggiata pedonale nella loro parte superiore ma, a differenza delle prime, queste non erano in marmo.
I magazzini sottostanti, come potete vedere nella foto sottostante, erano numerati progressivamente.

Le terrazze di Via Milano e i sottostanti magazzini del porto

I "terrazzi di Via Milano" in una antica cartolina


35. Il trasporto pubblico

"Genova, dove i tramways sono gli ascensori!"
 (Valery Larbaud, "Ex voto: San Zorzo")

In questo paragrafo Vi racconterò la storia di edifici pubblici particolari, dotati di ruote, rotaie, funi e cavi alcuni dei quali ancora in funzione ed altri invece provvisori e purtroppo non più esistenti.


35.1 Le Stazioni e la ferrovia
 
35.1.1 La Stazione di Principe 


La stazione nasce in un luogo compreso tra Piazza del Principe, Via Andrea Doria e Piazza Acquaverde e per questo prende il suo nome di "Principe".
Il fabbricato viaggiatori, progettato dall'Architetto Alessandro Mazzucchetti, fu edificato tra il 1853 e il 1860 (al momento dell'inaugurazione della tratta "Genova - Torino", nel febbraio del '54, esisteva solo una stazione  provvisoria munita di ufficio telegrafico).
La stazione inaugurata nel 1860 era costituita da 10 binari, secondo lo schema delle stazioni di testa (qui cioè terminavano i binari), che rimanevano al coperto sotto una grande volta di acciaio a campata che verrà smontata durante la Seconda guerra Mondiale per recuperare il prezioso metallo e destinarlo a usi bellici.
Qui terminava la linea verso ponente così come a Brignole terminava la linea verso levante.
La galleria Traversata nel 1872 collegò finalmente le due stazioni.
A questo periodo risale la costruzione dei  due binari di collegamento con Brignole che andavano ad aggiungersi ai binari dell'originaria stazione di testa. Col tempo i binari crebbero da 2 a 10 diventando per così dire il cuore della stazione. 
L'originaria stazione di testa  piano piano perderà di importanza divenendo del secondo dopoguerra deposito per locomotive e vagoni.




 


Una curiosità: il 1854, l'anno di inaugurazione della tratta "Genova - Torino",  è anche l'anno di nascita delle locomotive a vapore del gruppo 113 chiamate "Sampierdarena" (nome della località dove vi era lo stabilimento) e costruite dalla ditta Ansaldo, nata appena un anno prima per volere di Giovanni Ansaldo che aveva rilevato le officine "Taylor e Prendi".
Le locomotive del gruppo 113, costruite dal 1854 al 1869 ed in servizio fino al 1911, sono le prime locomotive di fabbricazione italiana.
Le prime locomotive 113 vennero impiegate nella tratta Torino - Rivoli: i primi giorni di esercizio furono guidate dallo stesso Ing. Giovanni Ansaldo in incognito.





A Genova veniva impiegata la locomotiva tipo "Carlo Alberto", presente alla cerimonia di inaugurazione della stazione principe (la vedete al centro del dipinto all'inizio di questo paragrafo) e i "mitici", per chi come me colleziona trenini antichi e conosce la storia delle Ferrovie italiane e non, "Mastodonti dei Giovi", due locotender gemelli a due assi, che permettevano di superare le aspre pendenze del Passo dei Giovi, ideate dal brillante ingegnere italiano Germain Sommeiller, che i più conoscono per essere stato responsabile del progetto e dei lavori del Traforo del Frejus  portato a termine tra il 1857 ed il 1871.
Ecco di seguito la splendida invenzione di Sommeiller, il "Mastodonte dei Giovi":
 



35.1.2 La Stazione di Piazza Caricamento

La grande piazza che concludeva la Carrettiera Carlo Alberto (l'odierna Via Gramsci) fu detta "di Caricamento" quando nel 1854 venne qui costruita una stazione di testa terminale della ferrovia Torino-Genova e destinata a servizio del traffico portuale. La stazione venne inaugurata il 16 febbraio 1854 alla presenza del re Vittoria Emanuele II e di Camillo Benso Conte di Cavour: finalmente Torino, capitale del Regno, aveva una ferrovia che la collegava direttamente al porto di Genova con grande vantaggio per il trasporto rapido delle merci.
Cavour credeva molto nel potenziale della Ferrovia e già anni prima, nel 1845, quando iniziava a diffondersi il treno, scriveva in un articolo che il treno è il futuro e per l'Italia sarà importantissimo perchè le ferrovie favoriranno il turismo, il commercio, faranno dell'Italia un ponte fra l'Europa, l'Africa e l'Asia e soprattuto promuoveranno lo spirito di nazionalità italiana.

Torniamo a Caricamento, un cronista dell'epoca così racconta quel 16 febbraio 1854:

«La piazza Caricamento presentava un aspetto magnifico, indimenticabile. Furono costrutte parecchie logge e tutte erano gremite. Perfino sui tetti notavasi folla di gente, né l'accesso ai tetti era accordato senza una buona mancia di 5 o 10 franchi. Il convoglio reale, composto da 5 vetture, di cui 3 magnifiche [...], giunse un'ora e un quarto e venne annunciato con 100 colpi di cannone. [...] La cerimonia religiosa ebbe termine colla benedizione di 6 locomotive alle quali furono imposti i nomi di Cristoforo Colombo, Andrea Doria, Genova, San Giorgio, Emanuele Filiberto e Torino»



Fu realizzato in seguito anche un prolungamento della linea ferroviaria dalla stazione alle banchine del porto così da permettere di caricare le merci sbarcate dalle navi direttamente sui convogli ferroviari.
Lo scalo merci di Piazza Caricamento seguirà il destino delle Terrazze di Marmo, che vedete nella foto qui di seguito, e verrà demolito nel 1888-1889, in concomitanza con la demolizione delle stesse che stava avvenendo proprio in quegli anni.
Il binario che conduceva a Caricamento e che correva lungo la Carrettiera Carlo Alberto già nel 1885 (anno in cui iniziò la demolizione delle Terrazze) era stato spostato a mare ridonando alla strada la sua originaria larghezza di 20 metri.









 
Una curiosità: nel 1885, in concomitanza con l'abbattimento delle  terrazze di marmo e con lo spostamento a mare della ferrovia lungo la Carrettiera Carlo Alberto, viene ricostruito il cosiddetto "Ponte Reale" o "arco del Palazzo Reale" (come leggiamo nelle didascalie di tante cartoline d'epoca), il cui nome ufficiale era "Passaggio al Regio Arsenale", che collega Palazzo Reale alla ferrovia e ai moli.
Tutti noi conosciamo la foto che vedete qui di seguito, nella quale vediamo il "Ponte Reale" nella sua ultima versione: in realtà il primo "Ponte Reale" (che vedete nella seconda foto qui sotto) fu edificato nel 1839-1840 e scavalcava la più stretta Carrettiera che verrà allargata, come dicevamo poco fa, nel 1885.
Il Ponte Reale, nella sua seconda versione, verrà demolito nel 1964 con la costruzione della Sopraelevata. 







35.1.3 La Stazione di Brignole
 

Il 23 novembre 1868 viene inaugurata, su un piazzale ottenuto sbancando una collina che si affacciava su Piazza Brignole, la stazione che prenderà il nome di "Brignole". 
Il nome ufficiale era "Stazione Orientale" (in questa zona sorgerà anche il mercato "Orientale", siamo infatti a oriente del centro cittadino). Prenderà il nome di Brignole perchè qui vi era il convento delle suore Brignoline (e la Piazza antistante prendeva il nome da loro) così chiamate per lo stretto legame con  Emanuele Brignole, il grande genovese che finanziò anche l'Albergo dei Poveri e che alle suore Brignoline aveva affidato la direzione del suo istituto (secondo la tradizione, la famiglia Brignole, originaria dell'entroterra del levante, prende il proprio nome da un frutto, la "Brigna", una prugna coltivata a Rapallo e di cui vado ghiotto).
Arrivati in stazione sareste stati accolti da un piccolo edificio in legno (che potete vedere nella stampa qui sopra) che tale rimarrà fino al 1902 quando, con l'idea di trasformare questa stazione nel secondo grande scalo cittadino, fu dato avvio alla costruzione del grande edificio, che ancora oggi possiamo apprezzare, progettato dall'Ing. Giovanni Ottino.
Ecco, nelle due cartine sottostanti, la posizione delle due stazioni a confronto: 
 

 

L'edificio era stato costruito più a levante rispetto all'originaria stazione: composto da tre corpi di fabbrica, l'esterno si presentava decorato con stucchi e pietre di granito bianco provenienti dalle cave di Montorfano sul Lago Maggiore, mentre gli interni vennero decorati da affreschi di De Servi, Berroggio e Grifo.
Al centro della facciata troviamo lo stemma di Genova sormontato dal Dio Giano, mentre sulla destra vi è lo stemma di Torino e sulla sinistra quello di Roma (le due mete che si potevano raggiongere da questa stazione).
Di seguito la stazione come si presentava nell'agosto del 1905, a pochi mesi dall'inaugurazione della nuova stazione, più grande e spostata più a levante rispetto all'originaria del 1868.
La nuova stazione verrà inaugurata il 30 ottobre 1905 alla presenza dei Savoia, giunti in città per inaugurare anche la Casa dell'Emigrante, di cui trovate la storia nel paragrafo a seguire.
 

 
35.1.4 La Ferrovia delle Gavette

Discorso a parte merita il binario industriale della Val Bisagno, anche detto "Ferrovia delle Gavette", nato per servire i nuovi insediamenti industriali nati lungo la valle.
Costruito nel 1925 e costato 2 milioni di lire, rimase in servizio fino al 1965.
Il suo percorso, come potete vedere nella cartina sottostante, aveva inizio dallo scalo ferroviario di Genova-Terralba, passava poi in Via Giacometti, Piazza Giusti, Corso Sardegna (dove in corrispondenza del Mercato Ortofrutticolo era presente un raddoppio che consentiva la sosta  per il carico e scarico dei carri). Attraverso poi un fornice, appositamente realizzato nell'edificio che ospita un impianto polisportivo in Via Cagliari, il binario proseguiva la sua corso lungo Corso Galliera. Raggiunta Piazza Carloforte il percorso continuava in Via del Piano, che nasceva proprio in quegli anni, costeggiando lo stadio comunale ed il Carcere di Marassi (qui vi era una fermata: i detenuti potevano arrivare in carcere con questa ferrovia, trasportati, o meglio tradotti, su apposite "carrozze cellulari").
Fermate successive erano uno stabilimento per la riparazione delle ferrocisterne e lo stabilimento della Nettezza Urbana "Volpara".
A questo punto vi era una biforcazione: da una parte la ferrovia proseguiva su questa sponda del Bisagno raggiungendo l'area delle acciaierie Falck in località Cà de Pitta, dove vi erano i nuovi, per allora, macelli comunali e qui terminiva il binario; dall'altra invece, attraverso il ponte G. Veronelli (edificato nel 1927 in cemento armato dalla società Italiana Chini, era formato da nove campate: fu gravemente danneggiato dalla piena del Bisagno del  23 settembre 1993) il convoglio ferroviario raggiungeva la località delle Gavette e l'impianto AMGA che produceva il gas per tutta la città utilizzando come materia prima il carbone che arrivava tramite questa ferrovia. 
La sostituzione del gas con il metano fece sì che non servisse più trasportare il carbone fino alle Gavette: nel 1965 si decise così di dismettere questa ferovia. Il trasporto ai macelli e al mercato nel mentre veniva sempre più eseguito su gomma facendo venire meno l'utilità di questa ferorvia anche sotto questo punto di vista.
Così oggi raccontiamo questa particolare ferrovia che attraversava la città solo attraverso le foto d'epoca ed i racconti di coloro che hanno visto con i loro occhi un treno correre in mezzo alla città.

Percorso della Ferrovia delle Gavette


Convoglio ferroviario della Ferrovia delle Gavette di passaggio in Piazza Giusti


35.1.5 La Ferrovia Genova - Casella 
 
Il 1° settembre 1929 veniva inaugurata la Ferrovia Genova - Casella, il mitico "trenino", nato per unire tre valli (Bisagno, Polcevera e Scrivia).
Progettato nel 1907, la sua costruzione inizia solo nel 1921: dopo grandi opere di sbancamento, mediante l'utilizzo di mine e l'impiego di operai specializzati, molti dei quali ex combattenti della Prima Guerra Mondiale, e la costrzuzione di numerosi ponti e gallerie, finalmente nel 1929 viene inaugurata la ferrovia di 25 km di binari a scartamento ridotto che ancora oggi, ogni giorno, collega Gemova con il suo entroterra.
Da collezionista di trenini in miniatura, questo treno mi ha sempre affascinato. E lo stesso semtimento, sono certo, deve aver colto i primi viaggiatori. E' difficile da pensare oggi ma prima dell'avvento del "trenino" si percorrevano le valli a dorso di mulo ed i collegamenti tra l'entroterra e Genova erano tutt'altro che veloci.
Una curiosità: il progetto iniziale prevedeva un successivo prolungamento del treno fino a Busalla da un lato e fino alla Val Trebbia dall'altro, prgetto che purtroppo rimase solo sulla carta.


35.2 L'Omnibus

Con questo termine si indicava un tipo di carrozza, che fece la sua prima apparizione in Francia nel 1662, trainata da una o due coppie di cavalli con più file di sedili interni rivolti verso il senso di marcia che consentiva il trasporto di buon numero di persone. 
La prima linea di omnibus che collega le estremità di Genova (da Porta Pila a Sampierdarena) è gestita da una società di proprietà di Raffaele Rubattino ed Ignazio Venturini.
Il servizio omnibus all'interno della città (Porta Pila - Sampierdarena) comprendeva quattro linee.
Vi era poi un servizio di omnibus che si occupava delle zone suburbane: a ponente tre linee collegavano Sampierdarena a Voltri, Sestri e Bolzaneto, mentre a levante due linee collegavano Porta Pila a Nervi e alla Doria (Val Bisagno).


35.3 Il Tramway

A causa del cattivo stato delle strade, negli Stati Uniti già negli anni venti dell'ottocento si pensò di collocare sulle strade delle rotaie sulle quali far circolare le vetture: nascono così le prime linee di tramways.
Negli anni '50 il tram arriva in Europa, prima nella capitali come Parigi, Berlino, Vienna ed infine a Genova dove il 10 marzo 1878 ha inizio a Genova il servizio di vetture omnibus a cavalli sopra binari di guide in ferro.
L'incarico di ammodernare il sistema del trasporto pubblico della città viene affidato alla Compagnia Generale Francese di Tramways.
Il tram inizia a svilupparsi nella parte occidentale della città sovrapponendosi in alcune tratte ai vecchi omnibus con la protesta della Società Ligure di Trasporti che gestiva questi ultimi.
Le linee di tramways iniziano ad estendersi anche nella zona  orientale della città ed ai francesi si affiancano altre due società che altrettante concessioni: la "Società dei Tramways Orientali" e la "Società di Ferrovie Elettriche e Funicolari".
La storia del trasporto pubblico genovese continua  con la nascita il 10 settembre 1895 dell'"Unione Italiana Tramways Elettrici" (UITE), per volontà ed impulso di un potente gruppo finanziario tedesco: tra il 1895 e l'anno successivo il gruppo rileva le due società "Società dei Tramways Orientali" e "Società di Ferrovie Elettriche e Funicolari"e in poco tempo rileva le concessioni anche della società francese.
Due società collegate alla nuova UITE, sempre della proprietà tedesca, gestiranno in questi stessi anni l'illuminazione pubblica cittadina (le"Officine Elettriche Genovesi" (OEG), società genovese della tedesca AEG) e l'installazione degli impianti.
I tram a trazione animale vengono quindi piano piano sostituiti da quelli elettrici anche se la transizione fu tutt'altro che breve se è vero che l'ultimo linea "Dinegro-Principe-De Ferrari" rimarrà attiva fino al 1922.
Nel 1939, al fine di ammodernare il parco vetture, nelle officine UITE viene progettata l'elettromotrice serie 900, anche detta "littorina" o "tipo Genova", vettura tranviaria bidirezionale a scartamento metrico. Alla vettura con numero 900, seguiranno altri 99 esemplari, ognuna delle quali numerata da 901 a 999. Ne entreranno in funzione a Genova 94 mentre 6 saranno vendute alla Breda di Milano che consegnerà invece a Genova quattro unità articolate che andranno a costituire la serie 1100.
La seconda guerra mondiale danneggia gravemente le linee e nel dopoguerra si decide di mantenere il tram solo sulle "linee di forza" ossia sui principali percorsi, mentre sulle linee secondarie si inizia a preferire il filobus che aveva fatto la sua prima comparsa in città nel 1938. Quest'ultimo veniva considerato più flessibile per districarsi nel traffico cittadino e più funzionale sulle ripide e lunghe salite genovesi  grazie alla maggiore aderenza delle ruote che permettevano partenze più veloci e minore dispendio energetico.
La storia del "tramway" continua fino alla notte tra il 26 ed il 27 dicembre 1966 quando un tram della linea 12, la littorina numero 935, partita da Caricamento, entra nel deposito di Prato e pone fine ad un epoca: sarà infatti questo l'ultimo tram a transitare per le strade della Superba.
Presso l'area accantonamenti AMT di Campi sopravvive, è proprio il caso di dirlo, in attesa di un restauro che forse non vedrà mai la luce, la "littorina" numero 900.
A proposito di tram: avete mai sentito il modo di dire "attaccati al tram"? Questa espressione, che indica una persona che in una situazione difficile non viene aiutata da nessuno e dunque deve arrangiarsi da solo,  prende spunto da coloro che letteralmente si attaccavano al tram in corsa reggendosi alle sporgenze esterne.
Vi rimando al successivo paragrafo 31 di questa pagina per approfondire la storia e vedere due immagini del tunnel del tramway di San Benigno. 
Un'ultima curiosità: fino al 1905 i tram non avevano un vetro di protezione davanti ai conducenti che così erano esposti alle intemperie. Fu solo nel 1906, dopo uno sciopero, che furono installatiti detti vetri.


35.4 Il Filobus

Il filobus fa  la sua prima comparsa in città nel 1938.
Fu l'allora direttore dell'UITE, l'ing. Giuseppe Barbieri, a proporre l'introduzione di questo mezzo in città.
Esso, rispetto al tram, viene considerato più flessibile per districarsi nel traffico cittadino e più funzionale sulle ripide e lunghe salite genovesi grazie alla maggiore aderenza delle ruote che permettevano partenze più veloci e minore dispendio energetico.
Al massimo del loro estensione la rete comprendeva 9 linee con una estensione di 27 km. 
I filobus rimangono in servizio fino al 1973 quando si decide di puntare sugli autobus con motore termico.
La storia del filobus a Genova non finisce così però: essi torneranno infatti a percorrere le strade genovesi nel 1997 e ancora oggi continuano la loro attività su alcune tratte urbane.


35.5 La Funicolare Zecca-Righi

Lunga 1.428 metri, con un dislivello di 279 metri e una pendenza media del 19,91%, questa funicolare in 12 minuti circa collega Piazza della Zecca al Righi.
L'idea di costruire questo impianto fu dell'imprenditore svizzero Franz Josef Bucher, che in madrepatria aveva costruito qualche anno prima la cremagliera di Vitznau, che collegava la città di Lucerna al monte Rigi e all'albergo di proprietà dell'imprenditore. Avete notato qualcosa di particolare leggendo? La parola "Rigi" in tedesco si legge "righi", e fu proprio questo il motivo per cui la zona di arrivo della funicolare, a pochi passi dal Castellaccio, venne denominata Righi e tuttora mantiene questo nome.
L'impianto viene costruito tra il 1895 e il 1897 in due tronchi separati: il primo, quello a monte, collegava la zona di San Nicola al Righi. La stazione di arrivo era stata costruita in legno in stile "chalet". Il secondo tronco, realizzato interamente in galleria, collegava la Zecca a San Nicola ed entra in servizio nel 1897. Si trattava di due impianti separati: chi avesse voluto arrivare al Righi, doveva scendere a San Nicola e cambiare vettura.
Durante la seconda guerra mondiale il tronco superiore fu seriamente danneggiato, mentre la galleria del tronco inferiore divenne un rifugio antiaereo, come ricorda una bella edicola votiva posta alla fermata di Corso Carbonara.
La splendida stazione a monte fu demolita e sostituita da quella attuale nel secondo dopoguerra quando si decise di allungare il tragitto della funicolare e di unificare i due tratti della funicolare.
Una curiosità: come si nota nelle foto più antiche di fine ottocento, le cabine erano senza vetro: fu il cosiddetto "sciopero dei vetri" ad inizio Novecento, rivendicazione sindacale a livello nazionale, che fece si che la funicolare fosse fornita di un vetro così da proteggere i manovratori dalle intemperie.













Un'immagine notturna attuale della Funicolare Zecca-Righi
(fotodi Antonio Figari)



35.6 La Funicolare di Sant'Anna

Inaugurata il 26 novembre 1891, la funicolare di Sant'Anna è il più antico impianto cittadino.
Lunga 357 metri, con un dislivello di 54,18 metri e una pendenza media del 15,33%, questa funicolare in 2 minuti circa collega Piazza Portello a Via Bertani.
La particolarità di questo impianto era il sistema di azionamento ad acqua che, sfruttando al forza di gravità, permetteva di far scendere a valle una vettura zavorrata con un cassone pieno d'acqua e al contempo di far salire l'altra vettura per mezzo di una fune.
All'arrivo nella stazione di Portello, il cassone veniva svuotato e il ciclo si ripeteva.
Questo sistema così particolare aveva bisogno di abili manovratori che caricassero i cassoni della vettura a monte in base al numero dei passeggeri che vi erano saliti.
Il manovratore sulla vettura poi, con un attento uso del freno che agiva sulla cremagliera centrale, faceva in modo che la vettura si mantenesse ad una velocità bassa.
Il tutto fu purtroppo soppiantato dall'elettricità sul finire degli anni 70 per adeguarsi alle nuove direttive.
Nel 1990 un pauroso incendio distrusse la stazione a monte. Purtroppo fu deciso di non ricostruire l'antica struttura in legno  ma un'anonimo edificio che nulla a che a spartire con la bellezza dell'edificio che è andata a sostituire.


Antica stazione a monte della Funicolare di Sant'Anna


Apertura acqua stazione a monte  Funicolare di sant'Anna Genova
(foto Archivio AMT)


Un'immagine attuale della Funicolare di Sant'Anna
(fotodi Antonio Figari)



35.7 La Cremagliera di Granarolo

Lunga 1.136 metri, con un dislivello di 194 metri e una pendenza media del 16%, questa cremagliera in 11 minuti circa collega Principe a Granarolo.
Costruita nel 1901 da una società privata, essa è una linea ferroviaria a cremagliera e questo la rende unica nel panorama genovese.




 

35.8 L'Ascensore di Castelletto di Levante

Con un dislivello di 57 metri, questo ascensore in meno di un minuto collega Piazza Portello al Belvedere Luigi Montaldo in Spianata Castelletto.
Costruito nel 1909 ed inaugurato il 20 dicembre di quello stesso anno, questo è l'ascensore pubblico genovese per autonomasia: il lungo tunnel dall'ingresso di Piazza Portello vi conduce ad una delle due cabine che in una quarantina di secondi vi condurrà in cima. Usciti vi ritroverete all'ultimo piano di una torretta in stile liberty attraverso i vetri della quale avrete Genova ai vostri piedi, uno dei punti, se non il punto migliore, dove passare ore ad osservare e a perdersi nella bellezza della Superba e dei suoi vicoli.
Tutti conosciamo le parole di Giorgio Caproni, livornese di nascita ma genovese di adozione, che così dice nella sua "L'Ascensore":

"Quando mi sarò deciso
d'andarci, in Paradiso,
ci andrò con l'ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo." 

Antica immagine dell'ascensore di Castelletto di levante

Una curiosità, anzi due: osservando l'immagine qui sopra potete notare che le arcate dei vari piani della struttura un tempo non erano chiuse come oggi ma con ampie vetrate che permettevano a chi saliva o scendeva di godersi la bellezza della città in movimento. Sul tetto dell'ascensore poi un tempo vi era un ristorante: il "Cafè Restaurant Belvedere Carlo Erhart" di cui oggi nulla rimane se non il suo ricordo in vecchie foto. Sopravvive invece ancora oggi la bella ringhiera liberty che dall'ingresso superiore della struttura conduce al terrazzo dove un tempo avreste potuto godervi un caffè con una vista invidiabile (trovate questa e le altre botteghe un tempo esistenti a Genova nella pagina dedicata a le BOTTEGHE storiche).


35.9 L'Ascensore di Castelletto di Ponente

Con un dislivello di 61 metri, questo ascensore collega in meno di un minuto la Galleria Garibaldi, sita tra Piazza Portello e Largo della Zecca, a Spianata Castelletto.
Costruito nel 1929, mantiene ancora intatte le due splendide cabine in legno della Stigler.
L'ingresso superiore è sormontato da un bel sovraporta liberty in ferro e vetro.
L'ascensore è stato recentemente sottoposto ad un profondo restauro e riaperto al pubblico il 27 settembre 2019. Delle due cabine originali in legno, solo una è attualmente utilizzata. Gli interni della stessa sono stati riportati all'antico splendore con un restauro conservativo che ha mantenuto l'aspetto e i materiali originari: prendere questo ascensore è davvero un tuffo indietro nel passato.
Una curiosità: una palla di cannone, proveniente dall'antico Castelletto, è oggi elemento di decoro del terrazzo sul tetto del palazzo che ospita l'uscita superiore dell'ascensore. Potrete vederla alzando gli occhi proprio sopra l'ingresso dell'edificio (trovate questa e le altre palle di cannone incastonate nei palazzo genovesi nella pagina de le PIETRE parlanti).











35.10 L'Ascensore Castello Castello d'Albertis - Montegalletto

Con un dislivello di 72 metri, questo ascensore collega in 3 minuti e 25 secondi Via Balbi a Corso Dogali.
Costruito nel 1929, questa struttura comprendeva in principio un lungo tunnel di 300 metri (utilizzato come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale) in fondo al quale vi erano le due cabine dell'ascensore.
Oggi, dopo l'ultimo restauro, la struttura si presenta come sistema integrato orizzontale-verticale: non si deve più percorrere tutto il tunnel a piedi, si sale in cabina all'inizio dello stesso e lo si percorre in orizzontale lungo una rotaia; in fondo al tunnel la cabina si unisce ad un'altra struttura che la trasforma in ascensore verticale e la fa salire fino a Castello D'Albertis.
Il Galletto lo si ritrova nella bella insegna in ferro battuto all'uscita superiore.
 

35.11 Gli impianti provvisori

35.11.1 La ferrovia funicolare Ferretti

In occasione dell'Esposizione Italo-Americana per il Centenario Colombiano che si svolse a Genova nel 1892, fu costruita una piccola strada ferrata dal percorso semicircolare per collegare le due sezioni dell'esposizione: le ferrovia era lunga 220 metri, 25 metri dei quali correvano sotto il Ponte Pila ossia a livello del Bisagno.  
Il costo del biglietto era pari a 25 lire per la prima classe e 15 per la seconda.
Era detta "Ferretti" dal nome della ditta costruttrice, ditta che si occuperà nel 1914 di un altro impianto provvisorio, questa volta aereo ed in salita (vi rimando al successivo paragrafo 31.7.2 per approfondire).
Di questo impianto nulla rimane se non alcune antiche  illustrazioni.


35.11.2 La funivia o funicolare aerea Ferretti


Meraviglia ingegneristica, costruita in occasione  dell'Esposizione Internazionale di Genova del 1914, fu la funivia o funicolare Aerea detta Ferretti dal nome del suo pensatore, l’ingegnere Alessandro Ferretti, titolare dell’omonima ditta che già aveva costruito una funivia per l’esposizione di Torino del 1911, quella volta però per un percorso in piano e non aereo, e a Genova già si era occupata di una piccola ferrovia nel 1892 come vi raccontavo  nel precedente paragrafo.

Essa collegava l’allora Piazza di Francia alla cima del bastione delle Mura del Prato  in un percorso in salita che ricalca lo spazio oggi occupato dalla Scalinata delle Caravelle.

Con 30 centesimi (il costo della corsa per andata e ritorno) si poteva arrivare in cima al colle di Carignano e godersi dall’alto tutti i padiglioni dell’Esposizione. 

La funivia, prima ad esser progettata da Ferretti per il trasporto di persone su un percorso aereo e in salita, era all’avanguardia anche dal punto di vista della sicurezza montando doppie funi trainanti, soluzione inedita all’epoca. 

Questo impianto purtroppo non “sopravviverà” all’Esposizione ed oggi rimane solo il suo ricordo nelle foto d’epoca.








35.11.3 Il Telfer


 
Il Telfer (nome derivato dall'inglese "telpher", teleferica) era una linea ferroviaria a "sella" costruita in occasione dell'Esposizione Internazionale di Genova del 1914.
L'idea ebbe impulso da due figure: Nino Ronco, Presidente del consorzio Autonomo del Porto, ed Enrico Coen-Cagli, ingegnere del Consorzio. Si voleva congiungere l'Esposizione con il porto dando ai visitatori la possibilità di imbarcarsi su battelli per addentrarsi nel cuore dell'attività portuale genovese.
Tra le ipotesi quella di costruire una filovia aerea, idea ben presto abbandonata per la difficoltà di un impianto di tal tipo sul mare. Si pensò allora ad una monorotaia sull'acqua, un telfer elettrico, e lo si fece ripescando un progetto mai realizzato di collegamento di tal tipo che si voleva costruire tra Milano e Milanino.
Costruita in appena cento giorni ed inaugurata il 18 luglio del 1914,  ebbe molto successo tra i visitatori dell'Esposizione ma anche tra gli stessi genovesi.
Il suo percorso era così strutturato: partenza da Piazza di Francia, all'altezza del ponte della Bezzecca (all'incirca dove oggi sorge la Questura), dove aveva sede l'Esposizione Internazionale, rettilineo  lungo il Bisagno, si costeggiava il muraglione di sostegno di Corso Aurelio Saffi,  s passava davanti ai Bagni Popolari Strega, poi una galleria e si giungeva ai Bagni della Cava ed infine dopo una curva di 50 gradi si arrivava dopo un breve rettilineo in cima al Molo giano.
Qui fu costruita per l'occasione la stazione di arrivo: un elegante edificio in legno che ospitava all'interno il padiglione del Consorzio Autonomo del Porto. 
 

 



La lunghezza totale era di 2227 metri ed il telfer raggiungeva una velocità di 20-30 km congiungendo le due stazioni in appena 6 minuti. 
La motrice era dotata di quattro ruote di scorrimento, ognuna delle quali collegata ad un motore da 40 cavalli, sviluppando quindi una potenza complessiva di 160 cavalli.
Il manovratore non poteva vedere davanti a sè se non sporgendosi.
Per sopperire a ciò, fu introdotto un'innovativo sistema di arresto automatico in corrispondenza delle stazioni (meccanismo ancora oggi usato dai treni delle metropolitane).
I posti a sedere erano 38, quelli in piedi 12.
Il servizio era attivo dalle 9 alle 24, il costo del biglietto era fi un lira per sola andata, una lira e trenta per andata e ritorno.
Dopo l'esposizione e con la guerra alle porte non trovava più molto senso il trasporto passeggieri da e per il Molo Giano. Si decise così di  modificare il Telfer per il trasporto merci e venne così utilizzata fino al suo smantellamento, avvenuto nel 1918, per portare in particolare il carbone dal porto alle industrie lungo il Bisagno. Da una parte questo utilizzo però si rivelò poco funzionale, soprattuto per il fatto che il carbone o le altre merci, arrivate ad una delle stazioni del Telfer, doveva essere scaricato e portato a livello suolo a mano, dall'altra esser così esposto al mare e al salino con i suoi piloni in cemento armato portava a costi proibitivi la manutenzione di questo gioiello che fu smantellato ma che lasciò visibile lo scheletro ancora per molti anni.





















35.12 La metropolitana che non fu

Dopo aver parlato di impianti antichi, alcuni dei quali ancora esistenti, e di impianti provvisori, durati il tempo di una esposizione, è ora il momento di esaminare un progetto che non vide mai la luce.
Siamo nel 1911 e l'ingegnere genovese Renzo Picasso, classe 1880, innamorato dei grattacieli e della modernità delle città americane, progetta un'avveniristica linea della metropolitana per Genova che parte da Piazza De Ferrari e corre sotto Via XX Settembre.
La metro di Picasso è pensata a quattro linee: due dedicate ai treni locali (che si sarebbero fermati in ogni stazione) e altre due per gli espressi.
Come saprete, questo progetto non vide mai la luce ed il progetto di una metropolitana a Genova vedrà la luce solo negli anni '80 del ventesimo secolo.
Nel disegno qui sotto eccovi come  Picasso pensava la sua metropolitana:


immagine  tratta dl sito http://www.renzopicasso.com



36. La cava della Chiappella
 
In questo paragrafo parleremo non di un edificio ma di un qualcosa che agli edifici è molto legata: la cava della Chiappella.
Questa sorta di anfiteatro naturale era stato creato dall'uomo sbancando la parte terminale della collina (lato Genova centro ossia levante) che da Promontorio scendeva fino alla Lanterna arrivando quasi alla zona occupata dal complesso monasteriale di San Benigno.
E' la famosa pietra di promontorio, quella con cui sono stati costruiti tantissimi edifici del nostro centro storico.
Qui poi vi era una fabbrica di cemento e una centrale elettrica che dava energia al porto.
I lavori per aprire Via di Francia, completati nel 1929, aprirono il primo squarcio nella collina che verrà ulteriormente spianata quando verrà aperta la Camionale (cona la sua elicoidale) e via Cantore negli anni 30.
Sono proprio questi grandi lavori che  porteranno allo sbancamento definitivo della cava.



 


37. Il cimitero inglese a San Benigno 

"A poca distanza, sulla cresta del promontorio che corre ad unirsi alla collina degli Angeli fu spianato e chiuso di mura un Cimitero per gli Inglesi che muoiono in queste contrade. Sorgeva per l’addietro sull’area stessa di una cappella dedicata a Santo Stefano, la quale donata per Regia munificenza alla detta nazione, mutò faccia. Giacomo Sterling console inglese presso S.M. il Re di Sardegna uguagliò il suolo scosceso di greppi, e lo fe’ ridurre all’uso presente, come dice una lapide all’ingresso: Britannis his in oris" 
(Federico Alizeri, Guida artistica per la città di Genova)

Sulla collina di San Benigno, a poca distanza dal complesso monasteriale dedicato a questo Santo, nel 1819 agli inglesi viene donato da Re Vittorio Emanuele I un appezzamento di terreno per dare sepoltura a "gli Inglesi che muoiono in queste contrade", come scrive l'Alizeri.
La sua posizione però gli costerà cara all'inizio deldel XX Secolo quando la cava della Chiappella lambiva ormai il cimitero e si iniziava a pensare di sbancare tutta la collina di Promontorio.
Il terreno su cui sorge il cimitero sarà espropriato e le salme ed i monumenti del cimitero stesso riposizionati a Staglieno dove ancora sono presenti. 
Una lapide sopra l'arco che introduce in questo settore del cimiterocosi recita:

"All remains from the British Burial ground at San Benigno were removed to this new cemetery who was consecrated by William Edward Bishop of Gibraltar on the 27th day of March 1904"


38. Il tunnel del Tramway di San Benigno
 
Il 10 marzo 1878 viene inaugurata sotto il colle di San Benigno (proprio sotto le caserme) la galleria che collega la Genova antica a Sampierdarena. E' la compagnia francese dei Tramway che si occupa della costruzione della stessa per evitare agli Omnibus trainati da cavalli di compiere il giro della Lanterna con la faticosa salita.
La galleria verrà adattata dalla UITE al passaggio dei tram elettrici (della linea 1 che portava fino a Voltri) ed infine demolita nel 1931 per la costruzione della Camionale.
Vi rimando al precedente paragrafo 28.3 per approfondire la storia del "tramway" a Genova. 








 
39. La Vaccheria Urbana

(...continua)


40. L'Officina del Gas in Via Canevari

In Via Canevari, nello spazio in cui negli anni '30 del novecento sarà edificata la nuova chiesa intitolata ai Diecimila Martiri Crocifissi, vi era l'Officina del Gas di proprietà comunale.
Fino al 1888, anno in cui si decise di adottare l'elettricità, erano 484 i lampioni alimentati a gas, tutti poi riconvertiti all'ellettrico.
Permutando con il Comune alcuni immobili in Borgo Incrociati di proprietà della Parrocchia, quest'ultima potè edificare proprio negli spazi occupati dall'Officina la nuova chiesa.


41. Le Officine Elettriche Genovesi e le centrali di Via Canevari e del Carmine 

"Officine Elettriche Genovesi", anche nota con l'acronimo "OEG", è una società genovese fondata il 13 aprile 1895 dalla tedesca AEG (Allgemeine Elektricitats-Gesellshaft) che operava nella produzione e distribuzione dell'energia elettrica a Genova.
Nello stesso anno la AEG darà vita all'"Unione Italiana Tramways Elettrici" (UITE) (vi rimando al paragrafo 28.3  per approfondire la sua storia e quella dei "tramways" genovesi"): in questo modo la società tedesca gestiva il trasporto pubblico, l'installazione degli impianti dello stesso e le centrali elettriche che al trasporto pubblico da poco elettrificato davano energia.
Risale sempre al 1895 la costruzione della centrale in Via Canevari, la prima centrale elettrica genovese alimentata a carbone.
Quest'ultimo, necessario a generare il vapore che a sua volta faceva girare le dinamo che producevano l'energia elettrica, giungeva via treno alla vicina stazione di Brignole.
La centrale di Via Canevari continuerà la sua attività come OEG fino al 1967, quando la centrale verrà ceduta allo Stato dopo le leggi di nazionalizzazione dell'energia elettrica. Nello stesso anno la le OEG cessaranno lea loro attività.
Ancora oggi l'edificio, orfano della grande ciminiera in mattoni rossi che un tempo dominava la zona, svolge la funzione per il quale fu costruito essendo dotato di trasformatori e di una linea ad alta tensione.  
Sulla facciata che dà su Via Canevari, che un restauro del 2017 ha riportato all'antico splendore insieme al resto dell'edificio,   la lunga scritta "Non heic molitur vanos Salmoneus ingredere o tandem prona vides MDCCCXCVI" fa riferimento alla storia del mortale Salmoneo che volle mettersi in competizione con Zeus nella produzione di fulmoni e fu dal padre degli dei incenerito come punizione per l'offesa arrecatagli.
Lungo tutte le pareti dell'edificio si sono poi riportati i nomi degli scienziati, fisici e chimici che diedero impulso (e questo termine non è usato a caso!) allo studio dell'energia elettrica.
Per dare energia elettrica al Porto, troppo distante da Via Canevari, le OEG costruirono davanti alla Chiesa del Carmine una piccola centrale: nella stessa vi erano tre dinamo mosse da motori che giravano grazie alla "trifase" che arrivava da Via Canevari.
Ancora oggi, sulla facciata che insiste su Salita Antonio Giusti, si legge la scritta "OFFICINE ELETTRICHE GENOVESI" sormontata da due grifoni che reggono lo stemma di Genova. Oggi gli spazi lato strada, proprio davanti alla Chiesa del Carmine, sono occupati da uffici dell'Enel aperti al pubblico.
Se vi capita di entrare in palazzi del centro storico e non solo, non vi sarà difficile trovare scatole elettriche da incasso con la scritta OEG, un piccolo reperto storico che ricorda un'epoca ormai tramontata ma viva nelle menti dei genovesi.
Alle officine Elettriche Genovesi è legata anche una tragedia del nostro Paese: il crollo della diga di Molare. Le OEG infatti ottennero la concessione della centrale idroelettrica di Molare nel  nel 1916 rilevandola dalla "Società Forze Idrauliche della Liguria". Svilupparono il progetto costruendo  le due dighe che diedero vita al lago. Il tutto venne bruscamente interrotto il 13  agosto 1935 quando il crollo della diga secondaria creò un onda che travolse ponti, strade e case provocando la morte di 111 persone e ponendo fine allo sviluppo di questa opera avveniristica. 
Una curiosità: alle Officine Elettriche Genovesi lavorò un giovane Gilberto Govi e Luigi Ferraris, calciatore e ingegnere morto sui campi di battaglia durante la prima guerra mondiale al quale sarà intitolato lo Stadio Comunale di Marassi.


42. Le sedi genovesi della Banca d'Italia

La storia della Banca d'Italia a Genova si intreccia con due luoghi: il primo, Palazzo Bendinelli Sauli in Via San Lorenzo, il secondo, Palazzo de Caetani in Via Dante.
Il primo fu sede della Banca di Genova, che si fonderà con la Banca di Torino dando vita alla Banca Nazionale degli Stati Sardi, poi Banca Nazionale del Regno ed infine, dopo ulteriori acquisizioni, Banca d'Italia. Il palazzo aveva il suo ingresso in Piazza Scuole Pie e successivamente alla nascita di Via San Lorenzo venne eretto un nuovo portale su questa via: su di esso ancora oggi troneggia uno stemma nel quale troviamo a destra la croce di San Giorgio e a sinistra il toro simbolo della città piemontese allora capitale del Regno. Accanto allo stemma sulla destra il dio Nettuno con il tridente in mano e a fianco il volto di Giano sopra una colonna dove è inciso il "castello", imago civitatis di Genova. Sulla sinistra invece è raffigurata la personificazione del Po con in mano una vanga, simbolo del lavoro nella campagna, e accanto il toro, simbolo della città della Mole.
E se Nettuno si appoggia su un vaso dal quale sgorga acqua di mare e sotto il quale fa capolino un delfino, la personificazione del Po si appoggia su un vaso, dal quale sgorga l'acqua del fiume più lungo della Pianura Padana, e sotto una cornucopia, simbolo dell'abbondanza che vi è grazie alle fertili acque del grande fiume che dal Monviso arriva all'Adriatico.
La seconda sede, Palazzo de Caetani, la cui edificazione costò quasi tre milioni di lire,  fu inaugurata il 22 maggio 1916 e tuttora è sede della filiale di Genova della Banca d'Italia. Alla bella facciata in marmo bianco e alla cancellata in ferro battuto fa da contraltare all'interno il grande Salone del Pubblico al piano terreno decorato da marmi, stucchi, pannelli in vetro colorato legato a piombo e da tredici grandi tele, opera di Giovanni Capranesi ("Genova gloriosa", "L'industria", "La prima banca", "I grandi navigatori liguri" ed "Il commercio"), Gaetano Miolato ("La Pietà", "La Laboriosità",  "La Magnificenza" e "L'Ardimento") e Antonio Orazio Quinzio ("La Beneficenza", "La Virtù Militare", "L'Intraprendenza" e "l'Amor Patrio").
Il secondo piano ospita nei suoi saloni quadri, sculture e ceramiche di varie epoche. 
Nella Sala del Consiglio troneggia il grande arazzo seicentesco raffigurante "Il giudizio di Paride", probabilmente opera francese della Manifattura "des Gobelins", due busti raffiguranti Camillo Benso Conte di Cavour e Carlo Bombrini (quest'ultimo "fondatore della Banca Nazionale Italiana" come recita l'iscrizione sulla colonna che regge il busto), e sulla parte alta delle pareti gli stemmi delle città in cui, all'epoca di edificazione del palazzo, operava una sede della Banca d'Italia.
La Sacristia (altro nome per indicare il caveau), ospitata nel semitentarrato, in servizio dal 1922 al 1972, ospita al suo interno 4.453 cassette di sicurezza.
Due curiosità: Capranesi, autore di cinque tele del Salone del Pubblico, collaborò con la Banca d'Italia anche nella realizzazione dei bozzetti per le banconote da 50, 100, 500, 1.000 e 10.000 lire. Il volto della figura di Genova Gloriosa ritratto in una delle tele del Salone del Pubblico fu ripreso nella banconota da 1.000 lire stampata a partire dal 1930.
La seconda curiosità è relativa ai portici: se osservate con attenzione il pavimento di splendide lastre color salmone potrete osservare alcuni fossili di color bianco rimasti imprigionati nella pietra per sempre. Si tratta di piccole seppie passate, per così dire, dai fondali marini alle strade della Genova novecentesca.


43. Il Palazzo della Borsa

(...continua)



Gli edifici pubblici di Genova da raccontare non sono finiti...

(continua...)



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23 commenti:

  1. Purtoppo le serre comunali diverranno palazzine e posteggio sotteraneo riempiendo così la valletta di cemento.

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    1. Ciao! Non sono a conoscenza di questo scellerato progetto e spero sia solo un'idea strampalata di qualche progettista e che essa rimarrà solo sulla carta. Sarebbe un delitto perdere questa valle ed il suo verde.

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  2. negli anni 70 mia mamma lavorava al pammatone ora tribunale dei minori..era un distaccamento ambulatoriale del San Martino

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  3. L'ambulatorio di Pammatone, da non confondersi con quello più recente (una sorta di revival) di Via Gestro,ora chiuso,dipendeva da San Martino (da bambino, nel '60,mi ci avevano portato a fare una visita).Era situato sulla spianata dell'Acquasola ed ora credo che continui ad ospitare il Tribunale dei Minori. Nel corpo munito di torretta c'era il vecchio Istituto di Anatomia dell'Università (ante San Martino) e la relativa torretta (si dice e credo che sia vero) serviva ad arieggiare non tanto le mefitiche sale settorie, quanto la molto sottostante galleria ferroviaria ...

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    1. Ciao Pippo! Eh sì, il vecchio ambulatorio è ora sede del Tribunale dei Minori.
      La vicina palazzina con torretta, Villetta Serra, oggi sede del Museo Biblioteca dell'Attore, era invece, come dici te, il vecchio Istituto di Anatomia.
      Pensavo e ho letto nei miei libri che la torretta aiutasse ad incanalare l'odore delle sale settorie ma stuzzica molto la mia curiosità l'idea che essa servisse anche come camino di sfiato del treno sottostante... indagherò!

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  4. Aspetto altre foto di Palazzo San Giorgio,amico... Spero di vederle presto! Ciao

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    1. Ciao Laila! Presto le metterò!
      Buona giornata amica mia!

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  5. Ciao Antonio!
    avevo letto che il primo manicomio aveva forma pentagonale ed era situato sulla collina di albaro se non sbaglio, verso la foce, ma non mi ricordo bene! Aspetto la storia!!
    A presto
    Elisa

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    1. Ciao Elisa, presto racconterò la storia del Manicomio e la Tua curiosità sarà soddisfatta. Per il momento Ti dico solo che ciò che mi hai scritto è solo in parte esatto!

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  6. Ti seguo e ti ammiro per l'amore che abbiamo in comune per la nostra città. cerco anche io nel mio piccolo blog
    htpp:/raccontidinonnablogspot.blogspot.com di portare a conoscenza le bellezze della mia amata città,
    nel mio piccolo le trasmetto anche a una comunità in web di over a livello internazionale.
    se hai pacere il albamorsilli@gmail.com

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    1. Cara Alba, è bello vedere tanti genovesi che amano la propria città e che diffondono la sua bellezza sul web. Sarà un piacere leggere le pagine del tuo blog!

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  7. Sono rimasto affascinato per la bellezza, la cura, le ricerche storiche, le foto, le storie. i detti ed i proverbi inerenti alla ns. città. Mi chiamo Alessandro Biasotti e sono proprietario di un'ag. immobiliare in Genova. Siccome posseggo uno spazio su Facebook dove ogni tanto pubblico qualche cosa inerente alla ns. Città ti chiedo il permesso di poter pubblicare qualcosa sul mio spazio FB tratto dal tuo sito. Ancora complimenti e mi ritengo fortunato ad averti scoperto in modo tale che possa seguire e leggere tutto ciò che hai pubblicato su Genova. Grazie di cuore

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    1. Caro Alessandro,
      Ti ringrazio moltissimo per le Tue parole.
      Volentieri Ti concedo il permesso di pubblicare stralci del mio sito sulla Tua pagina facebook, Ti chiedo soltanto di citarmi quale autore.
      Un caro saluto
      Antonio

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  8. il manicomio? Sig. Figari non ha piu scritto nulla a tal proposito? Arrivederci

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  9. Ciao Antonio, sono un architetto romano, studioso di Storia dell'Architettura. Sto scrivendo un saggio, che a breve sarà pubblicato su una nota rivista scientifica, in cui parlo di alcuni edifici seicenteschi di Genova, e vorrei inserire nel testo la tua foto dell'interno della chiesa dell'Albergo dei Poveri. Naturalmente, citerei il tuo nome nella didascalia, in qualità di autore della foto, e all'occorrenza anche il tuo blog come fonte di provenienza dell'immagine. Nel caso in cui tu acconsenta alla pubblicazione, potresti farmi avere l'immagine originale, cioè priva della scritta "i segreti dei vicoli di Genova"? Grazie.

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    1. Ciao Marco, sarà un piacere esserti di aiuto. Ho visto che mi hai mandato anche una mail. Ti rispondo a breve.

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  10. E' sempre più piacevole, leggere i tuo blog, Antonio! Un bacino ai bambini, e anche a te!

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  11. Scusa, Antonio, sai mica dove mettessero i delinquenti comuni, prima di costruire il Palazzetto Criminale? Mi serve per un romanzo...

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    1. Faccio un piccolo studio tra i miei libri e poi ti scrivo via mail non appena ho un pò di materiale!

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  12. Nell'ambito del Palazzo Ducale, scrivendo delle statue dei personaggi nella facciata di Palazzo Ducale, al punto 7 b relativamente al Morosini, probabilmente per un errore di battitura viene indicato San Siro quale protettore dei Pisani, festeggiato il 6 agosto, giorno della battaglia della Meloria: era San Sisto II, papa nel III secolo.

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